PROPOSTA DI TESI SULLA SCUOLA
Dipartimento Pubblica Istruzione Forza Italia
(Roma, 23/24 ottobre 1997)
1. AUTONOMIA
1. 1 Il problema
La causa principale della crisi in cui versa la nostra scuola è l'accentramento burocratico e monopolistico dell'attuale sistema scolastico.
La legge 15/3/97 N° 59 recante delega al Governo per il conferimento di funzioni alle Regioni e agli Enti Locali, per la riforma della P.A. e per la semplificazione amministrativa ha introdotto l'autonomia scolastica nel nostro Paese.
Quella varata dal Governo Prodi è un'autonomia ancora fortemente statalista e decisamente sterilizzata rispetto ai contenuti.
Mancano l'autonomia finanziaria e territoriale, ci sono troppe deleghe in bianco, (si pensi alla riforma del ministero di cui nulla si dice rispetto alla ricollocazione delle funzioni ai diversi livelli dell'amministrazione) contiene molti elementi dì conservazione (si conservano gli IRRSAE, dispendiosi ed opinabili carrozzoni statali per l'aggiornamento e gli organi collegiali territoriali che saranno in palese contrasto con un modello orizzontale del sistema), non ha introdotto elementi di parità, esasperando il carattere statale dell'ordinamento scolastico.
1.2 La proposta
Occorre rovesciare la filosofia Normativa della scuola fondata sull'unicità del percorso formativo e sul primato assoluto, della funzione docente.
Al centro dei processo formativo deve stare il soggetto che apprende e si forma, nella concretezza della sua condizione sociale, culturale, ambientale.
Fine del processo formativo è il conseguimento dell'autonomia del soggetto, la sua capacità di scegliere e di definire i propri itinerari esistenziali e professionali.
E' quest'autonomia personale, sociale, civile che fonda ogni discorso sull'autonomia nel sistema d'istruzione.
Nell'ottica dell'autonomia l'istituzione scolastica costituisce se stessa e la qualità dei propri servizi facendo leva su quattro elementi : le norme e gli obiettivi generali della Repubblica, la libertà di apprendimento &gli. allievi, la libertà di scelta delle famiglie, la libertà di insegnamento dei docenti.
La scuola autonoma deve prevedere, in ogni suo grado, larghi margini d'opzione, deve articolare l'onnicomprensività, deve adottare "la pedagogia del successo", valorizzando attitudini e interessi. Occorre pertanto una nuova strutturazione dell'apparato formativo, che preveda un minimo comune denominatore di strumenti culturali, sufficiente per muoversi nella società contemporanea, e una pluralità di percorsi flessibili e di curricoli, ai quali i giovani possano accedere consapevolmente. Il sistema scolastico deve modellarsi sui bisogni, sui ritmi, sulle domande del soggetto, in formazione, non viceversa.
Va dunque, riconosciuta una piena autonomia giuridica, didattica, amministrativa, organizzativa, gestionale e finanziaria ai singoli istituti scolastici, abrogando gli attuali vincoli sulla destinazione delle risorse e ridefinendo i poteri all'interno degli istituti. Una "forte" autonomia degli istituti scolastici è, inoltre, l'unica risposta alle complicazioni amministrative che attualmente comportano sprechi e inefficienza.
Questo carattere territoriale diviene tanto più urgente, in presenza di una proposta di nuovo assetto dei gradi scolastici e quindi dei programmi, che richiede un intreccio più stretto con il mercato, il lavoro e l'impresa.
Solo a livello regionale è possibile insieme formazione di base, orientamento esperienza lavorativa, formazione tecnica superiore università e raccordo con altre agenzie di formazione e educazione.
La dimensione territoriale è anche la condizione politica e istituzionale per incentivare l'investimento culturale e finanziario della società civile, delle famiglie, delle imprese, degli enti locali sul processo formativo, sui singoli istituti.
L'investimento degli enti locali, delle regioni, delle imprese delle famiglie è condizione indispensabile per uscire da una condizione di miseria statale equamente distribuita.
L'autonomia finanziaria, quale facoltà delle scuole di reperire e gestire risorse aggiuntive a quelle pubbliche, senza alcuna autorizzazione, è il necessario "pendant' istituzionale dell'investimento pubblico e privato.
Gli istituti devono essere liberi di reperire e gestire, senza alcuna autorizzazione, risorse aggiuntive, derivanti da donazioni, lavori per conto terzi, contributi delle famiglie finalizzati alla gestione dei laboratori e delle attrezzature, interessi per depositi e titoli, svolgimento di corsi a pagamento.
Nuovi spazi di autonomia finanziaria potranno altresì derivare dalla nuova struttura del bilancio dello Stato impostata su funzioni-obiettivo, centri di responsabilità e funzioni, come prevedono le recenti leggi n° 59 del 15/3/97, n° 94 del 3/4/97 e n° 127 del 15/5/97, riguardanti, rispettivamente, la riorganizzazione della pubblica amministrazione, la riforma delle norme di contabilità pubblica e la semplificazione della attività amministrativa.
Altrettanto determinante, ai fini di una vera autonomia scolastica, è la regolamentazione dell'autonomia didattica.
La scuola è un servizio alla comunità e conseguentemente gli obiettivi formativi non devono essere fissati in modo rigido ed in sede remota.
Occorre che si passi sempre di più da una concezione "aggiuntiva " ed " incrementale ad un'autonomia didattica realmente progettuale e flessibile, ma soprattutto ed in ogni caso " al plurale ", per consentire il confronto e la convivenza di metodologie e sistemi educativi diversi all'interno di ogni singolo istituto.
La pluralità di opzioni didattiche diverse da contemplare nel progetto educativo di istituto è stata recepita dall'art.21 legge 59 /97 su esplicita richiesta di Forza Italia che ha voluto in tal modo, evitare che nelle scuole le " maggioranze " possano dettare legge sul piano didattico e educativo. Le altre forme di autonomia: amministrativa, organizzativa e gestionale vanno garantite attraverso una diversa concezione della gestione degli organici del personale.
Occorre superare l'organico di diritto e, di fatto, e abrogare tutti i vincoli organizzativi (numero degli alunni per classe, orari rigidi). Si deve definire un organico d'istituto sulla base delle ore complessive di lezione garantite agli studenti. Questa determinazione di organico consente alle scuole di utilizzare al meglio i docenti complessivamente assegnati all'istituto rispetto al totale degli alunni frequentanti.
L'intero quadro delle varie forme in cui l'autonomia si può esercitare configura dunque, un'autonomia che può essere considerata sia come risultato che come mezzo. Come risultato perché l'esercizio dell'autonomia non è un punto di partenza bensì di arrivo, un valore da far perseguire ad ogni scuola e da trasformare in termini di risultati e di produttività. Come mezzo, in quanto metodo di governo della scuola in una società democratica e complessa, nella quale si sono ormai esauriti i baricentri ideali o politici in grado di governare sincronicamente i processi di sviluppo.
Le diverse forme di autonomia devono per questo, trovare il punto di convergenza nel Programma Educativo di Istituto e nella Carta dei Servizi della scuola.
Documenti che ciascuna scuola dovrà predisporre indicando le caratteristiche della sua offerta (proposta) educativa sulla base, da una parte, delle finalità generali, degli obiettivi di apprendimento per i diversi gradi scolastici fissati dal Ministero, e dall'altra, riflettendo l'esigenza, le richieste e le aspettative della comunità locale, delle famiglie e degli studenti. In ogni caso l'attuazione di una "autonome forte" non può prescindere da:
Occorre verificare nelle scuole:
Senza l'attuazione degli obiettivi di riordino e senza un controllo puntuale sull'efficacia degli incentivi, non ha senso destinare più risorse alla scuola.
L'obiettivo è creare strumenti e risorse umane per gestire la crescita dei territorio.
Ma l'autonomia deve essere reale, non si può consentire alle scuole di aprirsi al mercato e poi dare loro la "lista della spesa"
2. PARITA
2.1 Il problema
Il sistema scolastico pubblico detiene in Italia di fatto il monopolio (93% delle scuole sono statali). E' ben noto d'altra parte che interferenze ideologiche e demagogiche hanno impedito un corretto rapporto tra scuole statali e non statali, ostacolando qualsiasi apertura verso la parità e contribuendo a statalizzare sempre più la scuola pubblica, attraverso la scorretta identificazione di servizio pubblico e gestione pubblica.
La scuola libera non è, dunque, una virtù italiana.
Occorre dare vita ad un reale pluralismo educativo. E' tanto più urgente affrontare il tema della parità in considerazione del fatto che l'autonomia prevista dalla legge 59/97 costituisce un primo passo verso una nuova concezione della scuola che si avvia ad essere meno statale e più pubblica. Il punto nevralgico resta il riconoscimento delle scuole non statali all'interno delle scuole pubbliche. Non si può tra l'altro ignorare che tutti gli altri paesi europei e non, hanno delle leggi di parità.
E' tempo di superare anche nel nostro ]Paese lo statalismo e la pianificazione dell'istruzione, spostando il baricentro delle istituzioni scolastiche dall'amministrazione burocratica alla società, consentendo l'esercizio reale, e non fittizio, della libertà di scelta da parte delle famiglie, di finanziare direttamente le scuole presso cui intendono iscrivere i propri figli.
2.2 La proposta
In nome del pluralismo educativo e culturale e di un'autentica democrazia, concepita in funzione del bene della persona e della società, occorre approdare all'effettivo riconoscimento giuridico ed economico della parità scolastica, riferito a tutti quei soggetti pubblici e privati che offrono un servizio pubblico in campo scolastico.
Il pluralismo contempla strutture, organizzazione e modelli educativi diversi, sia pur nel rispetto di un quadro di riferimento di valori e di obiettivi nazionali.
La legge di parità è peraltro prevista dalla nostra Costituzione proprio all'articolo 33, citato dagli oppositori alla legge stessa.
Questo articolo contiene, tra gli altri, due commi decisivi: il comma tre, il notissimo "senza oneri per lo Stato", il quale semplicemente non dà diritto ai finanziamento, ma non li esclude. E il comma quattro che prevede una legge di parità, che assicuri alle scuole non statali "piena libertà" e "l'equipollenza" di trattamento degli alunni con le scuole statali.
La libertà, di cui parla il comma quattro, significa appunto non tanto libertà d'impresa Normativa, ma libertà d'ordinamenti, di metodi, di contenuti. Il che è esattamente l'altra faccia della scuola legata al territorio, statale o non statale che sia.
La parità è necessaria anche per responsabilizzare maggiormente le famiglie nei confronti dell'educazione dei figli, proprio mentre la tendenza crescente è quella all'abbandono dei figli al proprio destino.
Ma anche ragioni storico-costituzionali e istituzionali spingono verso l'abbandono dello statalismo, anche nel campo educativo.
La dimensione pubblica non si riduce più a quella statale. Il federalismo, condiviso da un vasto arco di forze politiche, prevede che l'educazione possa essere lasciata anche ad altri soggetti istituzionali ed enti, oltre lo Stato.
Lo Stato non sparisce (vedi proposta di legge N° 3414), ma semplicemente svolge una funzione di promozione della funzione civile dell'educazione e della cultura e sviluppa una sua presenza sussidiaria, laddove la società civile non ce la faccia con le proprie forze.
Come strumento di finanziamento proponiamo il buono-scuola poiché responsabilizza realmente le famiglie e gli insegnanti ed attua un rapporto autenticamente sussidiario.
In via transitoria si individua come strumento di parità il credito d'imposta e cioè l'ammontare di una somma fissa da detrarre direttamente dall'imposta dovuta; in altri termini, restituzione al committente di un ammontare prefissato, indipendentemente dal reddito dichiarato e di conseguenza non soggetto agli effetti della progressività dell'imposta. La formula del credito d'imposta risponde ad un'esigenza fondamentale: quella di assicurare alle famiglie meno abbienti l'accesso Alla scuola non statale.
3. VALUTAZIONE DEL SERVIZIO
3.1 Il problema
Uno dei limiti del nostro sistema scolastico è costituito dall'assenza di un Servizio Nazionale di Valutazione, peraltro previsto già dal DDL N° 35 del febbraio 93, che all'art.8 avviava il piano triennale di valutazione della produttività del sistema scolastico, e dal DPCM del 7/6/95, meglio noto come " carta dei servizi della scuola."
La conseguenza è l'autoreferenzialità dei sistema, nonché l'impossibilità di valutare la produttività del sistema e degli investimenti. Tale carenza va colmata in tempi rapidi, non solo per le ragioni precedentemente esposte, ma anche in virtù del processo autonomistico avviato con la legge 59. Solo un'autonomia debole può fare a meno di un servizio Nazionale di Valutazione e di certificazione del servizio scolastico.
Né si possono condividere scelte ambigue come quella recentemente effettuata dal Governo con la direttiva N° 307 del 21/5/97.
Il Governo ha, infatti, istituito un Servizio Nazionale per la Qualità dell'istruzione che, nelle intenzioni, dovrebbe precedere l'istituzione del servizio nazionale di valutazione. Tale servizio era stato immaginato, esattamente come lo richiediamo noi: esterno all'amministrazione.
Invece la direttiva su richiamata affida sostanzialmente tale servizio all'Amministrazione, utilizzando i direttori generali, il CEDE, nonché i dirigenti amministrativi e gli ispettori. Né manca un comitato tecnico scientifico direttamente designato dal Ministro che rafforza l'intreccio delle competenze attribuite al Ministro e al Ministero, arrivando ad edificare un vero e proprio monumento autoreferenziale ed autocelebrativo. Il tutto dovrebbe avere una natura transitoria.
In realtà vi si legge solo una volontà di restaurazione del potere e della gestione da parte dell'Amministrazione, che non accetta l'idea di dover assumere semplicemente il potere di indirizzo, così come prevede la legge n° 421 del 1992.
3.2 La proposta
Va costituito un organismo indipendente di Valutazione e Certificazione dei Servizio Scolastico, che operi in concorso con le Università, con il servizio ispettivo, con enti specializzati, con associazioni di tutela dei diritti dei cittadini e della qualità dei servizi, con gli operatori scolastici e in rapporto con analoghi organismi operanti nei Paesi europei.
Si tratta di dar vita ad un organismo che elabori strumenti ai quali ancorare la misurazione e la valutazione del servizio scolastico.
Più precisamente INDICATORI da utilizzare a più livelli sia per le scelte del governo complessivo del sistema, alle varie scale territoriali, che per la valutazione diretta del servizio fornito da parte del singolo istituto scolastico.
Essenzialmente dovranno essere compresi in due categorie: INDICATORI FINANZIARI e INDICATORI DI RISULTATO, sia. sotto il profilo sociale che educazionale. Gli indicatori finanziari dovranno misurare la funzionalità gestionale come ad esempio la capacità di spesa, la velocità di cassa, la capacità di impegno, le economie, lo smaltimento dei residui, l'accumulazione, la consistenza dei residui passivi.
Tra gli indicatori di risultato, indirizzati soprattutto agli effetti qualitativi del servizio offerto e a "testare" l'efficacia dell'intervento", possono indicarsi: la dispersione scolastica, l'abbandono, la ripetenza, il conseguimento del titolo di studio, la situazione di occupazione o non occupazione all'uscita del sistema scolastico ed il completamente, rispettivamente della scuola dell'obbligo e della scuola secondaria superiore.
Appare indispensabile, altresì, la costruzione di un sistema informativo che, avvalendosi dei dati forniti 'dal sistema gestionale (reporting), costituisca la necessaria struttura funzionale per l'elaborazione e l'utilizzazione degli indicatori..
4. RIFORMA DEL MINISTERO
4.1 Il problema
Un'Amministrazione elefantiaca controlla tutte le decisioni riferite alla vita scolastica: dal programmi, ai contenuti degli esami, fino all'istituzione e alla chiusura delle scuole stesse.
Pur avendo un nobile modello, come quello francese, il nostro centralismo non ha mai funzionato ed ha prodotto disuguaglianza qualitative e quantitative e costi insopportabili per un Paese democratico. In modo particolare, l'attività ministeriale si è caratterizzata per la pesantezza e l'inerzia, al punto che esperienze di avanguardia hanno continuato a coesistere con le strutture più vecchie ed antiquate. In un sistema educativo così centralizzato il Ministero ha dominato con la sua influenza e la sua logica, tradotta in una legificazione ipertrofica, tutti i rapporti tra la scuola e l'ambiente sociale, a partire dai genitori e dagli alunni, fino ai responsabili locali e regionali.
E' presente insomma, un'influenza materiale, istituzionale e culturale ormai non più conciliabile con la visione di uno Stato federalista e di una società aperta che richiede spazi di flessibilità e di gestione all'interno del sistema scolastico.
Né si può' trascurare l'incompatibilità tra questo tipo di Amministrazione e l'autonomia scolastica varata con la legge 59/97. Essa implica la costruzione di un "nuovo centro", che smetta di essere il livello gestionale del servizio e sia il livello strategico di governo del sistema nel suo complesso.
4.2 La proposta
La riforma del Ministero si deve collocare nel processo di rifondazione in senso federalista dell'intero sistema istituzionale e amministrativo della Repubblica.
Ci si riferisce ad una ridistribuzione su più poli istituzionali della legittimità e dei poteri della Repubblica. Esso comporta inevitabilmente uno spostamento dei poteri dallo Stato alle Regioni e agli Enti locali. Ogni istituzione dello Stato va sottoposta ad una riconversione federalista: ciò tocca pertanto anche il sistema dell'istruzione pubblica.
La Repubblica è costituita dai Comuni, dalla Province, dalle Regioni e dallo Stato.
La Repubblica non si identifica con lo Stato, esso ne è solo una parte, che insieme con altre converge nel definirne l'architettura istituzionale.
L'essenza di questa. riforma è lo spostamento dei poteri di definizione delle politiche formative sul territorio, sui distretti territoriali, sulle Regioni, all'interno di parametri, regole, sistema di valutazione nazionali.
E' questo peraltro l'orientamento chiaramente emerso dalla Commissione parlamentare per le Riforme Costituzionali (bicamerale per le riforme) che all'articolo 59 proposto dal comitato ristretto esclude la potestà legislativa dello Stato in materia di istruzione, specificando che in questa materia allo Stato spetta determinare la disciplina generale.
La struttura attuale del Ministero della Pubblica istruzione deve essere per questo abolita e sostituita da un Centro con compiti nazionali d'indirizzo per quanto concerne gli ordinamenti, le finalità e gli standard minimi dei programmi, i criteri di reclutamento, i criteri di distribuzione delle risorse da attribuire alle scuole, di coordinamento, di programmazione congiunta con le Regioni e gli Enti locali, di controllo, di promozione e sostegno dell'innovazione.
Occorre procedere ad una drastica riduzione delle attuali Direzioni generali, ad una netta distinzione tra funzioni amministrative (definizione degli standard e parametri minimi che devono regolare il funzionamento amministrativo dei sistema, gestito e attuato a livelli decentrati) e funzioni tecnico-professionali (coordinamento delle attività di programmazione e sostegno all'attività didattic,2, all'innovazione ecc.).
Devono essere previsti nuovi rapporti (di dipendenza funzionale e non gerarchica) tra istituzioni scolastiche ed EE.LL., Comuni e Regioni. L'ipotesi di regionalizzazione integrale dell'istituzione scolastica va respinta, non solo perché non semplificherebbe i rapporti burocratici tra i diversi livelli dell'Amministrazione, ma finirebbe per aumentarne i costi e l'inefficienza.
La risposta alle complicazioni amministrative va ricercata in una forte autonomia degli istituti scolastici. .
La riforma dell'Amministrazione da noi auspicata ha dunque, come criterio guida l'orizzontalità del sistema, che dovrebbe sostituire il dirigiamo e il centralismo che hanno finora dominato nella gestione del servizio scolastico.
5. ORGANI DI AUTOGOVERNO NEL SISTEMA DELLA SCUOLA
5.1 Il problema
La riforma degli anni '70 cercò di superare lo statalismo e la chiusura delle scuole verso l'esterno attraverso lo strumento della partecipazione, ma non vi riuscì perché l'organizzazione scolastica conservò intatta la dipendenza rigida dal sistema del centralismo burocratico ministeriale, nell'illusione di poter far coesistere il regime preesistente con le nuove istanze partecipativi.
Dopo più di 20 anni, nessuno mette più in dubbio che l'esperienza della partecipazione, così come introdotta e realizzata dai decreti delegati sia fallita.
5.2 La proposta
Forza Italia ha presentato una proposta di legge (A.C. 2226) che snellisce e semplifica le procedure; individua pochi ed essenziali organi collegiali d'istituto (consiglio d'amministrazione, assemblea del corpo docente e consiglio di classe), assegna al regolamento interno tutte le materie che possono essere ragionevolmente affrontate e risolte a livello d'istituto- abroga in modo esplicito la legislazione precedente chiaramente incompatibile con il disegno dell'autonomia delle scuole; prefigura, insomma, un modello dinamico, capace di adattarsi nel tempo sia alle molteplici situazioni delle scuole (dimensione, articolazione interna, indirizzi, livelli d'innovazione) che alla loro evoluzione organizzativa e didattica; separa, infine, la valutazione del personale da quella del funzionamento dell'istituzione.
Abbiamo confermato con le scelte appena richiamate di favorire una vasta area autonoma di responsabilità organizzativa delle scuole, assegnando agli stessi operatori il compito di stabilire contenuti, le procedure decisionali, le modalità di coordinamento organizzativo e, per quanto riguarda il Consiglio di amministrazione, anche la composizione e la modalità di elezione. Si crea così un reale aut3,Yoverno delle istituzioni scolastiche che coniuga responsabilità ed efficienza superando definitivamente ogni forma di assemblearismo fine a se stesso che produce formalismo e inefficienza.
Gli organi collegiali esterni alle istituzioni scolastiche sembrano a noi non più compatibili con un sistema che si avvia ad essere sempre meno centralistico e con ampia autonomia delle istituzioni stesse.
Il Consiglio scolastico distrettuale, elefantiaco nella composizione, privo di precise competenze se non di tipo propositivo, è di fatto letteralmente scomparso dalla scena del sistema scolastico.
Il Consiglio scolastico provinciale ha perso di significato non solo per l'indeterminatezza dei compiti, ma soprattutto per l'irrisolta contraddizione tra funzioni di gestione dei personale e coordinamento dell'offerta scolastica sul territorio. In realtà il Consiglio provinciale è diventato oggi la sede di una doppia contrattazione, che si aggiunge a quella propria, la contrattazione decentrata provinciale.
Analoghe considerazioni si possono sviluppare per il Consiglio Nazionale della Pubblica Istruzione, che infatti, ne riproduce ambiguità e contraddizioni.
Queste ragioni ci spingono a sostenere la soppressione degli attuali organi collegiali esterni alla scuola.
In altri modi e con altre strategie va ricercato il pur necessario coordinamento delle politiche educative a livello territoriale.
Con rammarico prendiamo atto che altra è la volontà del Governo che, all'interno dell'art. 21 della legge 59 ha ottenuto dalla propria maggioranza la delega a riformare i suddetti organi collegiali, mantenendoli dunque in vita anche nel Sistema autonomistico.
Diverso è il problema della revisione degli organi collegiali a livello di istituto che, con l'autonomia, assumono una valenza ancora più importante divenendo organi di governo.
6 FORMAZIONE, RECLUTAMENTO, CARRIERE, AGGIORNAMENTO DEL
PERSONALE DIRIGENTE E DOCENTE
6.1 Il problema
Per essere funzionali, i sistemi scolastici hanno bisogno soprattutto di insegnanti molto qualificati e fortemente motivati. Nessun programma, per quanto perfetto, e nessun contenuto, per quanto aggiornato, può fare a meno della mediazione dell'insegnante.
Gli indicatori internazionali dell'istruzione mostrano che i paesi OCSE investono una consistente quantità di risorse umane nell'educazione. Il nostro paese presenta tuttavia un notevole esubero: un docente ogni 10 allievi, mentre la media OCSE è di un docente ogni 17 alunni. In compenso sono pagati poco e male con un appiattimento inaccettabile.
La causa principale di questa situazione va cercata nei contenuti delle politiche sindacali fin qui proposte da una classe politica complice- in quel circolo vizioso che da decenni si alimenta attraverso le azioni sindacali, la demagogia studentesca, l'assistenzialismo.
Questo circolo vizioso ha favorito un gonfiamento degli organici dei docenti, al di là di ogni ragionevole limite, scegliendo la quantità a scapito della qualità (ad esempio sono state introdotte numerose discipline nel diversi ordini di scuole e rese tutte obbligatorie e nella scuola elementare il modulo - tre doc per due classi -). Oggi, in presenza del calo demografico, esso produce strategie di difesa ad oltranza dei livelli occupazionali, che ulteriormente dequalificano il sistema scolastico. Il docente della scuola italiana percepisce di non avere più l'autorevolezza di un tempo anche a causa di una continua ma inesorabile sottrazione di poteri che è andata via via manifestandosi negli ultimi anni. E' tipico di una struttura in decadenza il non garantire un potere equilibrato tra le varie componenti, ulteriormente messo a rischio dalle recenti scelte governative contenute nello statuto degli studenti e delle studentesse.
1 docenti si sentono sempre più oberati di lavoro non professionale ma compilativo: la loro occupazione principale è sempre meno la didattica (insegnamento, preparazione delle lezioni, studio di strategie didattiche) e sempre più la stesura di relazioni, partecipazioni a riunioni condotte spesso in modo poco razionale e rispondenti a logiche più burocratiche che di efficienza e produttività del servizio.
Il tempo per l'autoaggiornamento si riduce sempre di più e i corsi di aggiornamento obbligatori sono per la maggior parte inutili, se non addirittura scadenti, e eseguiti unicamente per la progressione di carriera. In più non sono offerti ai docenti strumenti di formazione per migliorare le loro competenze, non esistono sedi deputate a ciò, se si escludono polverose biblioteche dove i testi tecnici sono raramente aggiornati. Mancano infine, o sono insufficienti, strumenti multimediali che favoriscano nuove strade per la didattica.
Non esiste una politica che incentiva l'aspetto sperimentale e di ricerca didattica nelle scuole. Non si può pensare di gestire una scuola che ha circa 12.000 presidi e oltre 750.000 insegnanti senza costituire dei "quadri intermedi", un management che garantisca lo svolgimento di compiti e funzioni particolari e funzioni da cerniera verso il basso.
La recente richiesta di sessantamila docenti di prepensionamento impone la necessità di non lasciare più al caso la politica del personale della scuola, oggi totalmente assente: qualsiasi altra organizzazione, in queste condizioni, sarebbe crollata da anni.
Nessuna riforma potrà funzionare se non si ripensa lo stato giuridico del personale docente e dirigente.
L'aggiornamento dei docenti è una questione centrale del sistema scolastico. Finora è stata gestita in modo burocratico e clientelare. Gli IRRSAE che avrebbero dovuto svolgere un ruolo determinante in questo campo, hanno dato vita a carrozzoni statali di dubbia utilità per la ricerca e lo sviluppo, ma soprattutto non hanno garantito un raccordo tra la scuola attiva e la ricerca. L'articolo 21 della legge 59/97 li ha mantenuti, finalizzandoli al sostegno dei processo autonomistico. Ancora una volta non si è voluto affrontare in modo corretto il problema così delicato dell'aggiornamento dei docenti.
6.2 La proposta
Fattore decisivo dell'istruzione resta l'insegnante che dovrà essere sempre più qualificato e soprattutto fortemente motivato.
Questo obiettivo è certamente difficile da raggiungere in considerazione dei cambiamenti che sarebbero necessari sul piano formativo, nonché giuridico, ma anche soprattutto per le implicazioni finanziarie legate ai loro stipendi.
Nei paesi dell'OCSE sono infatti evidenti le pressioni affinché si migliorino le condizioni di trattamento economico dei docenti. Ma queste pressioni devono fare i conti con nuove restrizioni di bilancio. Pur tuttavia la remunerazione dei docenti è diventata in Europa e nel mondo un teina di grande rilievo, perché il livello di stipendio degli insegnanti può incidere sulla qualità.
Dipende da quel livello, infatti, la maggiore o minore capacità dei paesi di favorire l'accesso alla professione docente dei laureati più validi e di armonizzare la spesa pubblica globale con le realtà delle restrizioni di bilancio.
Non soltanto il livello delle remunerazioni, ma anche altri aspetti delle condizioni di lavoro degli insegnanti incidono sulla attrattiva che la professione di docente è in grado di esercitare.
Due aspetti che numerosi insegnanti considerano significativi sono il numero delle ore di scuola e le dimensioni delle classi. Recentemente tuttavia molti sono gli insegnanti che dedicano al proprio lavoro molte ore al di fuori dell'orario scolastico.
Un primo intervento da prevedere potrebbe essere proprio questo: differenziare lo stipendio tra chi lavora a tempo pieno e chi lavora a tempo parziale. Al di là poi degli impegni aggiuntivi temporali, va prevista anche nel nostro paese una differenziazione delle remunerazioni rispetto alle prestazioni.
Intanto, con l'istituzione della Scuola di specializzazione per la formazione degli insegnanti (tab. XXIII bis, DPR 31 luglio 1996, n.470), il laureato che voglia intraprendere la carriera dell'insegnamento deve seguire un corso di studi di due anni presso una Scuola di specializzazione, che prevede almeno 700 ore d'insegnamento e 300 ore di tirocinio pratico guidato, affidato a docenti di ruolo di scuola secondaria. Così pure, dovrebbero partire i corsi di laurea per i docenti di scuola materna ed elementare. Tutto ciò segna indubbiamente una, svolta nella formazione iniziale dei docenti.
Molte sono ancora, tuttavia, le difficoltà e le incertezze che accompagnano l'avvio di questa nuova fase di formazione.
Ciò che invece deve essere ripensato, e subito, e in armonia con i processi riformatori in atto è la carriera dei personale docente, con contrattazione autonoma e separata.
La differenza già presente nella qualità e nella quantità delle prestazioni nella scuola va riconosciuta nella retribuzione e nell'apertura della carriera, pur permanendo un'incidenza, per quanto ridimensionata, del meccanismo d'avanzamento per anzianità.
L'intervento sulla qualità, attualmente in fase di stallo per almeno due ragioni - la mancanza di risorse finanziarie e la contesa tra sostenitori di criteri di valutazione oggettivi esterni alla scuola e sostenitori di un affidamento della valutazione ai capi d'istituto - può avvenire attraverso criteri misti di valutazione:
e ad opera sia d'esperti esterni sia dei dirigenti scolastici;
la sulla base sia di titoli di studio che d'esperienza professionale.
Sulla quantità si tratta di rivalorizzare la consistenza della retribuzione per attività aggiuntive, ben determinate nella funzione e nella durata.
L'adeguamento retributivo deve avvenire sulla base di almeno due parametri oggettivi: quello della trasparenza e oggettività delle forme di reclutamento e quello delle esperienze e dell'investimento temporale e formativo
Rivedere tutta l'architettura professionale è necessario e inevitabile in una scuola della responsabilità e dell'autonomia. Ciò significa altresì aprire sbocchi verso carriere e funzioni diverse egli insegnanti la cui parte migliore non può più tollerare di sopravvivere dentro ad un orizzonte piatto, in cui tutti, al di là degli arricchimenti professionali acquisiti, sono considerati uguali.
Non meno impegnativa appare la questione relativa alla costruzione del nuovo profilo professionale del dirigente scolastico. E' ormai unanimemente riconosciuto il superamento del ruolo che lo stesso ha rivestito nella scuola del vecchio sistema centralizzato in qualità di garante della regolarità amministrativa.
Nella scuola dell'autonomia egli si configura sempre più come responsabile dei risultati dell'attività educativa e didattica dell'istituto da lui diretto. Forza Italia ha contribuito in modo determinante ad includere all'art.21 della 1.59 la lettera a) del comma 16 che prevede, appunto, l'attribuzione ai Capi d'istituto di responsabilità in ordine ai risultati conseguiti nella gestione delle risorse finanziarie e strumentali e nella direzione e coordinamento delle risorse umane e professionali.
Tutto questo corrisponde all'avvento della scuola della valorizzazione delle diverse opportunità, alla cui determinazione concorrono scelte progettuali e programmatorie di ogni singolo istituto, in un rapporto standard-contesto che salvaguardi allo stesso tempo unitarietà culturale e risposte ai differenti bisogni formativi espressi dal territorio.
Ne deriva la necessità di una riqualificazione del capo di istituto, da "primus inter pares" a dirigente, da superdocente esecutore eterodiretto a organizzatore di un servizio culturale che trova in se stesso le ragioni delle proprie scelte nel campo della programmazione didattica ispirata alla flessibilità curricolare.
Insomma, al posto del controllo burocratico formale, al dirigente scolastico si richiede la capacità di governo delle risorse umane e materiali in funzione del progetto generale di istituto, la capacità di organizzazione delle strutture per l'autovalutazione del servizio dell'unità scolastica e per la valutazione della prestazione professionale.
Il passaggio qualitativamente più interessante potrebbe tuttavia essere costituito da un reclutamento sulla base di criteri rigorosamente meritocratici e allo stesso tempo squisitamente professionali.
Sarebbe cioè auspicabile prevedere liste di idoneità nazionali o albi professionali per il reclutamento dei docenti e dei dirigenti, ai quali si dovrebbe accedere per concorso pubblico, (nazionale, regionale, provinciale) e da cui i singoli istituiti scolastici, sulla base dei propri regolamenti e statuti, dovrebbero attingere i nominativi del personale idoneo.
La chiamata diretta dei singoli istituti per l'assunzione del personale docente e dirigente determinerebbe un'assunzione di responsabilità diretta da parte degli organismi di gestione degli istituti autonomi in relazione ai risultati e dall'altra favorirebbe una sana competizione professionale tra chi aspira ad insegnare nelle scuole pubbliche.
Nella fase transitoria dal vecchio al nuovo sistema di reclutamento va prevista una soluzione accettabile per le decine di migliaia di docenti precari e di capi d'istituto incaricati nelle scuole secondarie di primo e secondo grado, al fine di non disperdere la professionalità acquisita da questo personale, utilizzato dall'Amministrazione per consentire il regolare funzionamento del servizio.
Noi proponiamo per questo che si prevedano concorsi riservati abilitanti per il personale docente e dirigente che ha prestato, senza demerito, servizio nelle scuole statali e non statali per un tempo considerevole di anni. Non va dimenticato che, in assenza dei requisiti indicati nella parte iniziale di questo paragrafo (formazione iniziale superiore, tirocini, concorsi), l'esperienza maturata con l'insegnamento può costituire un valido prerequisito per accedere alla carriera docente e dirigente. Rispetto all'aggiornamento dei docenti, infine, proponiamo di istituire a livello dipartimentale e di reti di scuole centri territoriali per l'aggiornamento, la ricerca e la documentazione che, in collegamento con il servizio nazionale di valutazione, devono essere in grado, come avviene con successo in Francia, di svolgere funzioni operative e di servizio con un'organizzazione di laboratorio aperto opportunamente attrezzato per la formazione, la ricerca e l'autoaggiornamento degli insegnanti.
In particolare, questi centri territoriali potrebbero provvedere ad assicurare un efficace servizio di informazione e documentazione anche in reti telematiche sulle esperienze didattico-educative; fornire un'assistenza e supporto al servizio di valutazione e alle iniziative delle scuole per le attività di formazione e di aggiornamento.
Il rapporto con l'attività d'insegnamento dei docenti utilizzati presso i centri può avvenire attraverso esoneri, semi-esoneri, rientri.
7. DIRITTI E DOVERI DEGLI STUDENTI
7.1 I1 problema
Una scuola dell'autonomia richiede che si riveda la disciplina dei diritti e dei doveri degli studenti, aggiornandola alle nuove prospettive di formazione e partecipazione degli studenti alla vita della scuola.
Ciò premesso, e ribadendo che noi siamo a favore di una scuola "per" gli studenti e non "degli" studenti, catastrofiche ci appaiono le soluzioni con cui l'attuale Governo intende impostare le relazioni tra studenti ed insegnanti.
In particolare, il combinato disposto delle linee per uno statuto delle studentesse e degli studenti e dei principi per le nuove norme sulla disciplina degli organi di. governo della scuola contenute nel disegno di legge dell'Ulivo, ha la portata di una bomba, capace di minare l'intero edificio della scuola italiana e di vanificare ogni altra possibilità di riforma.
Riteniamo che lo statuto proposto dal Governo contenga molti diritti, pochi doveri in una scuola prevalentemente assistenziale e soltanto demagogicamente incentrata sugli studenti. Si coglie una visione distorta della funzione della scuola e una confusione di ruoli e funzioni in nome di una mistificante partecipazione al percorso formativo.
7.2 La proposta
Una carta dei diritti e dei doveri del soggetto dell'istruzione in cui il primo diritto sia il diritto all'apprendimento.
Esso va inteso come diritto ad una scuola capace di creare condizioni per lo sviluppo di ogni capacità, in virtù del massimo livello possibile di competenze.
Allo studente deve essere altresì garantito il diritto di partecipare alla vita della comunità scolastica, di esprimere liberamente le proprie convinzioni e di formulare proposte.
L'esercizio di tali libertà non deve tuttavia essere pregiudizievole per l'attività didattica.
Lo studente deve aver diritto ad una informazione trasparente sul mondo della scuola e all'orientamento scolastico e professionale. A questi diritti corrispondono altrettanti doveri di carattere generale che impegnano lo studente a concorrere al raggiungimento dei fini formativi individuali e del proprio corso di studi. Proponiamo infine di rivedere il sistema disciplinare attraverso un nuovo sistema sanzionatorio.
8 RIFORMA DEI GRADI SCOLASTICI
8.1 Il problema
E' in atto una fortissima Competizione per una nuova divisione internazionale del lavoro. La scuola diviene protagonista centrale, perché nella competizione mondiale odierna conta sempre di più la quantità e la qualità del sapere.
Occorre prendere atto dell'inadeguatezza dei modelli formativi vigenti. 1 mutamenti produttivi, economici e sociali indotti dalla "globalizzazione" e dalle trasformazioni profonde, cui il modello di stato che si suole designare come "welfare state" e' stato costretto, hanno prodotto il crollo dei parametri sociali e delle culture pedagogiche dei secolo scorso. Torna una domanda radicale: a che serve la scuola?
La scuola italiana non fa eccezione alla condizione generale di crisi. Tuttavia, vi partecipa secondo proprie specifiche caratteristiche e per proprie specifiche cause, sia sotto il profilo della qualità dei risultati che della quantità (alta percentuale di dispersione scolastica e abbandoni).
Il Governo ha avanzato una proposta di riforma ordinamentale prevedendo un riordino dei cieli che, se attuato, provocherà un terremoto negli ordini scolastici tradizionali, ma offrirà poche garanzie per la ricostruzione degli stessi.
Per portare l'obbligo scolastico alla durata di 1 0 anni, rivoluziona tutti gli ordinamenti, calpestando le migliori tradizioni della scuola italiana, in particolar modo di quella secondaria. C'è il rischio che la scuola secondaria si trasformi in una scuola media sotto diverso nome. La scuola deve essere, al contrario, quanto prima e il più possibile diversificata sul piano delle offerte perché diverse sono le attitudini, diverse sono le potenzialità e pertanto è inutile e dannoso proporre un'offerta Normativa uguale per tutti fino al quindicesimo anno d'età. Ciò significherebbe livellare e massificare.
1 diversi indirizzi debbono mantenere, ciascuno, una forte e propria autonoma caratterizzazione e identità. E' la differenziazione e non l'omogeneizzazione a fare la ricchezza di un sistema educativo.
L'inizio dell'obbligo al quinto anno d'età, ipotesi che scavalca e ignora i diritti delle famiglie, impone rigidità e vincoli che contrastano anche con le esigenze della psicologia infantile. li riordino dei cicli deve in ogni caso portare anche nel nostro paese alla creazione di un autentico, serio canale di formazione professionale tuttora inesistente, autentico buco nero del nostro sistema formativo.
La differenziazione dei canali. scolastico e scolastico/professionale contribuirebbe inoltre a combattere il fenomeno dell'uscita dai progetti formativi della schiacciante maggioranza dei giovani dopo la scuola dell'obbligo, ed è anche la premessa per la riqualificazione della scuola media superiore, costretta oggi a svolgere un compito che non le spetta: quello di fungere, in alcuni indirizzi da surrogato della formazione professionale. Almeno in parte, la dequalificazione progressiva della scuola media superiore ha in questo la sua origine.
Vanno ripensati anche il livello della scuola elementare e dell'attuale scuola media. In particolare, rispetto alla scuola elementare occorre puntare al superamento dei limiti e delle rigidità contenute nella legge 148, a partire dalle formule organizzativo-pedagogiche (il modulo didattico) fino al tempo-scuola e al modo di intendere i programmi.
8.2 La proposta
Investire nella scuola e riformare la scuola sono due dei più rilevanti compiti che l'Italia ha davanti a sé, se vuole vincere la sfida della libertà e della creatività di fronte alla quale la pone il mondo contemporaneo.
Il nuovo sistema scolastico dovrà ad un tempo potenziare e rinnovare la dimensione culturale, professionale e nazionale degli studenti e favorire il radicamento locale della scuola, proprio di uno Stato federale.
Centralità dello studente e competitività dell'intero sistema scolastico sono le due direttrici di fondo di una strategia scolastica globale che indichiamo come necessità prioritario del nostro Paese. La scuola deve dunque porre al centro della propria azione la "persona". Si istruisce per educare. Per questa la scuola deve partire da un progetto intenzionalmente rivolto alla promozione totale della persona. La scuola non può ridursi a un luogo di accumulo delle conoscenze, ma deve offrire "significati".
E' inoltre importante che la scuola recuperi il posto e il ruolo che dovrebbe avere nel contesto attuale in rapporto alle altre agenzie educative, prima fra tutte con la famiglia che è titolare del diritto-dovere dell'istruzione dei propri figli. La scuola non deve essere, insomma, un'istituzione totalizzante, ma, al contrario deve dialogare con tutte le realtà, interagendo. con esse.
Vanno rivisti e aggiornati anche i programmi di studio, che dovranno fare riferimento a pochi e approfonditi saperi, evitando il sovraccarico quantitativo di informazione. Va recuperato un modello culturale che eviti il pericolo rappresentato da un sistema sommatorio di un sapere illusoriamente enciclopedico.
Un'attenzione particolare va data al rapporto della scuola con il mondo dei lavoro; tale rapporto deve divenire organico e sinergico. E' tempo che nasca anche nel nostro Paese un sistema duale della formazione che riabiliti e valorizzi adeguatamente la formazione professionale.
Sulla base degli orientamenti espressi, proponiamo una riforma dei gradi scolastici che, secondo lo schema allegato, comprende:
L'obbligo scolastico è previsto dai 6 ai 16 anni e interessa in modo differenziato ed articolato i tre gradi scolastici. La scuola dell'infanzia resta fuori dall'obbligo per le ragioni precedentemente esposte. La scuola di base è stata immaginata di 4 anni di istruzione elementare più 2 anni di consolidamento nella scuola di secondo grado. Si dà vita ad un secondo canale di formazione, quello della formazione professionale, di pari dignità del canale dell'istruzione. La scuola superiore, composta da due bienni, mantiene la propria specificità di indirizzo e la caratteristica di scuola di approfondimento culturale. Dopo il diciottesimo anno si apre un ventaglio di offerte formative, della durata più o meno lunga, da spendere sia nell'Università che nell'istruzione post-secondaria o nei corsi di formazione professionale.
L'obiettivo prioritario di questa proposta è quello di consentire il passaggio:
9. FORMAZIONE PROFESSIONALE
9.1 Il problema
I1 modello italiano è rimasto l'unico in Europa che non si è posto in sintonia con lo sviluppo industriale e con le nuove logiche della società complessa in cui viviamo. Sicché la formazione professionali è rimasta, nel nostro sistema scolastico, isolata, in una posizione subalterna e di emarginazione, sino a porsi come alternativa finale di ripiego rispetto a fenomeni che purtroppo caratterizzano negativamente il nostro sistema scolastico (evasione, dispersione, insuccessi).
Nei paesi membri deli'OCSE, l'impegno teso a migliorare il passaggio dalla scuola al lavoro costituisce una priorità almeno da due decenni. Problematiche come la transizione lunga e variegata dalla condizione di studente non lavoratore a quella di lavoratore non studente, i tassi sempre più crescenti di disoccupazione, l'educazione permanente che richiede una flessibilità mentale ed una predisposizione continua all'apprendimento impongono nuove politiche scolastiche e canali di formazione meno rigidi di quelli immaginati finora.
Nel porre mano ad una revisione del sistema scolastico che voglia finalmente rivalutare la formazione professionale, si dovrà per questo tenere ben presente che il rapporto tra disoccupazione giovanile e disoccupazione degli adulti denuncia valori inferiori nei paesi che dispongono di validi sistemi di apprendistato (Danimarca, Germania, Austria) e nei quali i programmi di formazione professionali erogati presso le imprese costituiscono la parte più importante dell'istruzione secondaria superiore, come accade nei Paesi Bassi. Al contrario i programmi di istruzione professionale, sempre secondo le stime dell'OCSE, erogati dalle scuole, non migliorano necessariamente la media delle prospettive di impiego, a meno che tali programmi non siano strettamente collegati con le imprese e non godano del sostegno dei datori di lavoro.
9.2 La proposta
L'ipotesi della formazione professionale, così come si evince dallo schema allegato, raccoglie le indicazioni dell'OCSE per creare un sistema nel quale:
10, ABOLIZIONE DEL VALORE LEGALE DEL TITOLO DI STUDIO
10.1 Il problema
Altro punto qualificante di una vera riforma del sistema scolastico resta, dal nostro punto di vista, l'abolizione del valore legale dei titolo di studio che sposta l'attenzione dalla certificazione burocratica alle reali competenze acquisite dagli alunni nei singoli istituti.
In realtà, la riforma dell'esame di maturità avrebbe dovuto essere subordinata a decisioni nodali che non ci sembra siano state assolutamente considerate dal Governo in sede di discussione parlamentare quali :
10.2 La proposta
Noi siamo convinti
L'esame finale della secondaria assume così una funzione di valutazione finale del percorso formativo da affidarsi ad uno scrutinio interno alla scuola stessa con presidente esterno (solo al fini della vigilanza e della correttezza degli atti).
La funzione invece di certificazione del livello di conoscenza dei requisiti necessari per accesso universitario, agli uffici pubblici o al mondo delle professioni (magari solo su domanda dell'interessato) è da affidarsi alle Università e al Sistema Nazionale di valutazione e certificazione di cui al punto 3.2 di questo lavoro che operi, appunto, sia sulla qualità delle scuole che sul livelli finali di preparazione, la cui classificazione venga ritenuta valida per gli accessi che la esigono.
Questa nostra posizione è peraltro in linea con le indicazioni emerse dal seminario europeo dei 1993 tenutosi in Finlandia su questo tema.
Nel corso di quel seminario è stato osservato che l'esame finale della scuola secondaria non ha più quel ruolo che aveva 40 anni fa, ha dunque perso la sua funzione di biglietto d'ingresso per l'istruzione superiore o per il mondo del lavoro. Pur rimanendo uno dei nodi centrali della scuola europea alle soglie del 2000, la soluzione non è certamente quella italiana del valore legale dei titolo di studio.
A)
Generalizzazione della frequenza. gratuita per tutti, attraverso l'apporto degli Enti Locali e degli Enti pubblici e privati.B) 4 anni di istruzione elementare più 2 anni di scuola media dedicati al consolidamento dell'istruzione di base.
C) Biennio di orientamento con possibilità di utilizzare moduli della Formazione Professionale, previo convenzionamento fra i soggetti formatori.
D) Si articola in indirizzi essenziali (pochi) garantendo ciascuno un asse culturale forte; comprende un primo biennio obbligatorio ed un secondo biennio di approfondimento culturale.
E) La Formazione Professionale si inserisce con pari dignità nel sistema formativo nel biennio conclusivo dell'obbligo (età 14/16 anni) con moduli di formazione, raccordo scuola-lavoro e apprendistato: nel post-obbligo (età 16/18 aiuti) con percorsi di alternanza e riqualificazione professionale e con possibilità di integrazione dei percorsi per il conseguimento di competenze di grado superiore congiuntamente a qualifiche professionali.
F) Va previsto un sistema di certificazione delle competenze e di riconoscimento dei crediti formativi per consentire l'integrazione effettiva e i passaggi tra i due canali di formazione (istruzione e formazione professionale), a garanzia di eventuali accordi di programma fra soggetti diversi e per la valutazione delle attività di formazione permanente.