SENATO DELLA REPUBBLICA
XIV LEGISLATURA
Resoconto stenografico
Seduta n. 348
5 marzo 2003
Discussione del disegno di legge:
(3387) Delega al Governo per la
definizione delle norme generali sull'istruzione e dei livelli
essenziali delle prestazioni in materia di istruzione e formazione
professionale
ASCIUTTI, Relatore per la maggioranza.
Signor Presidente, signora Ministro, onorevoli
senatori, il disegno di legge n. 1306-B, recante delega al Governo per
la definizione delle norme generali sull'istruzione e dei livelli
essenziali delle prestazioni in materia di istruzione e formazione
professionale, già approvato dal Senato lo scorso novembre, torna
all'esame di questo ramo del Parlamento a seguito di un limitato
numero di modifiche apportate dalla Camera dei deputati. (...).
I primi sei articoli del provvedimento sono stati infatti approvati
dall'altro ramo del Parlamento nell'identico testo licenziato dal
Senato. Solo all'articolo 7, recante le disposizioni finali e
attuative, sono state apportate alcune modifiche, in parte di natura
meramente tecnica, come ad esempio lo slittamento del triennio
finanziario di riferimento dal 2002-2004 al 2003-2005. Anche la
sostituzione dell'espressione «entro il limite massimo» con l'altra
«nella misura massima», di cui al comma 5 dell'articolo 7, appare di
carattere meramente lessicale.
La sostituzione del comma 7 con tre nuovi commi, che assumono
rispettivamente la numerazione 7, 8 e 9, riveste invece maggior
rilievo. I nuovi commi impongono infatti che ciascuno degli schemi dei
decreti legislativi attuativi della riforma sia corredato da relazione
tecnica, ai sensi dell'articolo 11-ter della legge n. 468 del 1978.
Quelli comportanti nuovi o maggiori oneri potranno inoltre essere
emanati solo successivamente all'entrata in vigore di provvedimenti
legislativi che stanziano le occorrenti risorse finanziarie. Il testo
licenziato dal Senato prevedeva invece che i decreti comportanti oneri
aggiuntivi avessero comunque attuazione nell'ambito dei finanziamenti
annualmente iscritti nella legge finanziaria. (...) Il comma 9,
infine, stabilisce che il parere parlamentare sugli schemi dei decreti
legislativi sia reso dalle Commissioni competenti per materia e da
quelle competenti per le conseguenze di carattere finanziario.
Si tratta nel complesso di modifiche di limitato spessore che
completano il percorso già avviato dal Senato. Nel corso dell'esame in
sede referente da parte della Commissione istruzione esse sono state
ampiamente esaminate e dibattute.
La Commissione ha altresì esaminato circa una ventina di ulteriori
proposte di modifica presentate dall'opposizione. Nessuna di queste è
stata tuttavia accolta nella convinzione che occorresse quanto prima
porre termine allo stato di incertezza che da troppo tempo agita ormai
il mondo della scuola. Pur riconoscendo all'opposizione un impegno
costruttivo e non ostruzionistico, la maggioranza si sente chiamata ad
approvare sollecitamente la riforma in tempi utili affinché i decreti
legislativi di attuazione possano essere emanati nell'arco della
legislatura.
Con questo spirito, raccomando all'Aula la tempestiva approvazione del
disegno di legge, nel testo licenziato dalla Camera dei deputati.
SOLIANI, relatrice di minoranza.
Signor Presidente, signora Ministro, signora
Sottosegretaria, colleghi, torna nell'Aula del Senato, cinque mesi
dopo la prima approvazione, il disegno di legge delega per la
definizione delle norme generali sull'istruzione e dei livelli
essenziali delle prestazioni in materia di istruzione e formazione
professionale.
Lo attendevamo. Noi conoscevamo – e l'avevamo denunciata in quest'Aula
– l'inconsistenza finanziaria del provvedimento e su questo punto
avevamo avanzato invano, qui in Senato, una pregiudiziale di
costituzionalità ai sensi dell'articolo 81 della Costituzione.
La maggioranza non ha inteso ragioni e riceve ora dalla Camera dei
deputati un testo meglio definito nelle sue implicazioni finanziarie
che, nel correggere formalmente i passaggi procedurali per
l'esercizio di alcune delle deleghe, finisce tuttavia per
evidenziare ulteriormente i profili di illegittimità e di scopertura
finanziaria dell'intera riforma.
In particolare, le modifiche introdotte alla Camera riguardano le
modalità di attuazione delle due norme di delega che, nelle
intenzioni del Governo, dovrebbero costituire il pilastro portante
della riforma: la delega in materia di norme generali
sull'istruzione e di livelli essenziali delle prestazioni in materia
di istruzione e di formazione professionale (articolo 1) e la delega
in materia di disciplina dell'alternanza scuola-lavoro (articolo 4).
A questo proposito, la Camera ha espressamente previsto che i
decreti legislativi relativi a tali norme siano corredati da
relazione tecnica, come peraltro già imposto dall'articolo 11-ter,
comma 2, della legge n. 468 del 1978 in materia di contabilità dello
Stato. Ma soprattutto ha disposto che, ove tali decreti recassero
nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, essi siano emanati
solo dopo l'approvazione di appositi provvedimenti di spesa che
stanzino le necessarie risorse.
Questa formulazione, che pure nasconde dietro l'eventualità di
maggiori spese quella che evidentemente è già una certezza
considerata la natura degli interventi oggetto della delega, giova
comunque ad evidenziare come quelle disposizioni siano a tutt'oggi
prive di qualunque forma di copertura finanziaria.
Con una norma di dubbia legittimità costituzionale, si rinvia
infatti al legislatore futuro la responsabilità politica di far
fronte agli oneri che deriveranno dall'attuazione delle attuali
deleghe. Lo stesso legislatore futuro dovrà a tal fine stabilire
nuove entrate o minori spese che, a loro volta, incideranno sulle
politiche fiscali o sulle politiche di spesa pubblica in forme e in
misura che oggi non sono conoscibili da nessuno, né dal Parlamento
né dal Governo.
Questa impostazione configura un'inaccettabile negazione del
principio di responsabilità politica alla base di ogni sistema
giuridico moderno, secondo cui ogni decisione recante un costo o un
onere per la collettività deve essere accompagnata da una
corrispondente assunzione di responsabilità certa e contestuale (e
non soltanto indeterminata ed eventuale) circa le politiche da
attuare per far fronte a tali oneri.
Diversamente, il Parlamento risulterebbe semplicemente privato della
possibilità di conoscere e valutare la complessiva portata politica
e finanziaria delle riforme sottoposte alla sua approvazione, con la
conseguenza di vedere umiliate e compresse le sue prerogative
istituzionali, ridotte alla mera ratifica di norme manifesto, prive
di alcun contenuto giuridico rilevante.
Peraltro, la mancanza di una quantificazione certa degli oneri
finanziari della riforma ed il rinvio, per la loro determinazione e
copertura, a una nuova decisione politica e legislativa del
Parlamento negano e stravolgono anche lo stesso istituto della
delega legislativa, come delineato dall'articolo 76 della
Costituzione, configurando un ulteriore profilo di illegittimità
costituzionale della cosiddetta riforma Moratti.
D'altra parte, a mettere in luce tali aspetti problematici, se non
addirittura allarmanti della legge di delega in materia scolastica,
proponendo in concreto degli interventi correttivi praticabili,
erano state le proposte emendative presentate dall'Ulivo già in
prima lettura e ribadite, per quanto possibile, anche in terza
lettura, per i soli aspetti di copertura finanziaria. Sotto quest'ultimo
aspetto le nostre proposte indicano un'immediata forma di copertura
finanziaria, nell'incremento uniforme delle aliquote sui redditi da
capitale, in misura idonea a generare il gettito atteso per la
riforma.
Pur intendendo tale copertura come destinata a finanziare gli
interventi di riforma scolastica che noi sosteniamo in alternativa a
quelli della riforma Moratti, abbiamo tuttavia ritenuto di
riproporre questa copertura anche con riferimento a norme di delega
contenute nella riforma in approvazione, proprio allo scopo di
ribadire l'esigenza di una vera e realistica disposizione di
copertura finanziaria, del tutto omessa dal Governo.
In definitiva, si tratta della conferma di ciò che l'opposizione ha
sempre sostenuto, vale a dire che l'intero disegno, che si presume
riformatore, è inchiodato alla partenza, rimanendo inattuabile; che
il suo futuro è condizionato dalle disponibilità via via definite
dal Tesoro; che l'iter, sempre tormentato sul piano delle risorse, è
destinato ad aggravarsi; che, dopo l'eventuale sua approvazione
definitiva, che il ministro Moratti saluterà come una conquista, la
barra del timone passerà definitivamente nelle mani del ministro
Tremonti. È il sigillo dell'impotenza di questa legge e del ministro
Moratti, e questo è ciò che più conta per il sistema scolastico
italiano e per il Paese.
Il ritorno al Senato di questo disegno di legge non è solo tecnico,
assume un rilievo tutto politico. L'articolo 7 infatti nega, in
sostanza, ciò che è contenuto nei precedenti. Il rinvio ad altri
provvedimenti di spesa se, da un lato, manifesta di nuovo problemi
di costituzionalità, confermando peraltro lo stile del Governo che
presenta disegni di riforma senza prevederne la copertura
finanziaria, dall'altro, getta uno sguardo di grande preoccupazione
sui prossimi ventiquattro mesi nei quali potranno essere emanati i
decreti attuativi.
L'interrogativo è uno solo: ci saranno le risorse? È realistico
prevederle? La risposta non può che essere negativa, sia perché non
sono ipotizzati nelle previsioni del Governo aumenti di entrate, sia
perché le rigidità di bilancio sono destinate ad aumentare entro il
Patto di stabilità.
L'articolo 7, modificato al comma 7, rende del tutto vuoti i
precedenti articoli, quelli che riguardano il corpo vivo della
scuola, la sua attività, le sue strutture portanti; quelli indicati
al comma 3 dell'articolo 1: la riforma degli ordinamenti; la
valorizzazione della formazione professionale; il Servizio nazionale
di valutazione; le nuove tecnologie; lo sviluppo dell'attività
motoria e delle competenze ludico-sportive degli studenti; la
formazione iniziale e continua; l'autoaggiornamento del personale
docente e la sua valorizzazione; il personale ATA; gli interventi
contro la dispersione scolastica; l'istruzione e la formazione
tecnica superiore e l'educazione degli adulti; gli interventi per
l'edilizia scolastica.
Senza risorse certe, ogni provvedimento resta soltanto una
dichiarazione d'intenti. Quando il ministro Moratti parla alle
famiglie e al Paese della sua supposta riforma, dovrebbe anche
aggiungere che non un centesimo di euro è stato di fatto stanziato
per realizzarla.
Non si tratta di dettagli, le risorse sono un elemento portante
degli interventi dei Governi, i quali poggiano su due pilastri
fondamentali: il merito delle scelte, che in questo caso riguardano
il presente e il futuro della scuola italiana, e le risorse
finanziarie che vanificano o potenziano il merito delle scelte, le
realizzano o no. La differenza non è irrilevante.
La legge torna, signora Ministro, nella sua verità. Torna nuda,
esposta senza scampo al destino di rimanere puro annuncio,
manifesto, comunicazione massmediatica; in definitiva, solo
propaganda. E dire che lei aveva parlato al Paese, nei mesi scorsi,
di almeno 10 miliardi di euro necessari per la sua riforma,
sostenuti peraltro da un ordine del giorno del senatore Valditara
approvato da quest'Aula. Annunci: la verità è nei fatti, non nelle
parole.
La verità è nella più grande riduzione di risorse che la scuola
italiana ricordi, operata da questo Governo con le sue leggi
finanziarie. Una contrazione di risorse che corrisponde, per il
triennio 2003-2005, a un complessivo definanziamento pari ad almeno
2,1 miliardi di euro (circa 4 mila miliardi di vecchie lire)
dell'intero sistema delle politiche scolastiche.
Questa è la prima certezza che la scuola riscontra e che appartiene
a quest'anno e mezzo di Governo: una gestione che la impoverisce e
ne mette a rischio la qualità, mentre la perdurante incertezza sul
contratto del personale accresce la demotivazione degli insegnanti.
La seconda certezza è l'assoluta indeterminatezza circa la concreta
attuazione del presente disegno di legge: una scuola senza futuro,
senza prospettiva europea. Quel che resta della fattibilità di
questo provvedimento, allo stato delle cose, è scritto al comma 5
dell'articolo 7, con il quale la Camera dei deputati conferma la
misura massima delle risorse per l'attuazione dell'anticipo della
frequenza della scuola dell'infanzia e della scuola primaria
statale, secondo criteri di gradualità e sperimentazione,
compatibilmente con la disponibilità dei posti e delle risorse
finanziarie dei Comuni.
Sappiamo bene tutti quale sia questa disponibilità, in seguito alle
scelte del Governo con i provvedimenti e le leggi finanziarie.
Questo è tutto ciò che oggi il Governo si è impegnato a fare. Qui
comincia e qui finisce «la riforma».
La terza certezza è ciò che per espressa volontà di questo disegno
di legge viene tolto alla scuola italiana: gli effetti della legge
20 gennaio 1999, n. 9, e tutte le potenzialità della legge 10
febbraio 2000, n. 30, che vengono abrogate.
Questa è la responsabilità che si è assunto il Governo bloccando le
riforme del centro-sinistra: nessun approdo ad un'altra sponda per
la riforma, siamo invece in vista del deserto.
L'abrogazione della citata legge n. 9 del 1999, sull'elevamento
dell'obbligo di istruzione, fa cessare la garanzia del diritto a
frequentare iniziative formative volte al conseguimento di una
qualifica professionale per coloro che non riescono a raggiungere un
titolo di studio; scompaiono le misure attive sull'ultimo anno
dell'obbligo volte a contrastare il fenomeno della dispersione
scolastica; si perde il credito formativo per chi non consegue un
diploma o una qualifica; si minano le basi giuridiche del Fondo per
l'offerta formativa delle istituzioni scolastiche autonome, del
Fondo per il sostegno all'handicap per la parte relativa
all'integrazione oltre il livello dell'obbligo, del raccordo con
l'articolo 68 della legge 17 maggio 1999, n. 144.
Con l'abrogazione della legge n. 30 del 2000, diventa problematico
il raccordo con la legge n. 144 del 1999, scompare la deroga per le
Province autonome di Trento e di Bolzano sulla disciplina
dell'obbligo scolastico, diventa impossibile individuare i titoli
universitari e curricolari richiesti in deroga alla normativa
vigente per l'accesso alle professioni, tra cui l'attività docente.
Questo l'esito più pesante e più certo del provvedimento al nostro
esame: l'abbassamento dell'obbligo scolastico, mentre ovunque, negli
altri Paesi, viene innalzato.
Signora Ministro, solo un approccio ideologico, unito alla fretta,
può spiegare un provvedimento che genera un tale scompenso, una tale
devastazione per l'intero sistema. Resta, invece, l'approccio
culturale con il quale il Governo guarda al sistema scolastico e
formativo: l'istruzione come avventura individuale; la scuola a
domanda individuale, fornitrice di deboli prestazioni senza
progetto; la codificazione della differenziazione sociale;
l'incremento delle disuguaglianze territoriali per effetto della
devoluzione che intanto continua il suo iter parlamentare.
La scuola, le famiglie, il Paese hanno bisogno di stabilità.
L'azione del Governo consegna invece la scuola ad una permanente
instabilità, ogni attesa è già delusa. Questo passaggio al Senato lo
conferma: nulla è certo in questo provvedimento. Per il Governo che
accada o no quel che si scrive è la stessa cosa, e il malessere e la
rabbia aumentano.
La scuola chiede reali interlocutori: la via maestra dell'autonomia
esce, da questo provvedimento, del tutto mortificata. Ben altra può
essere la forza di un sistema delle istituzioni scolastiche
autonome, protagoniste della vita del Paese, inserite in un contesto
di ricerca, di innovazione, di qualificazione. L'autonomia esce
mortificata dall'assenza di risorse.
È il Paese che resta bloccato. Bloccato nella sua dinamica sociale,
nel suo bisogno di quella mobilità che solo un sistema di istruzione
e formazione aperto, non rigido, integrato può assicurare.
L'Italia ha di fronte a sé, nella comparazione europea e
internazionale, tutto intero il problema dell'efficacia del sistema
di istruzione. La dipendenza dell'iter scolastico dalle condizioni
socio-familiari di partenza dei ragazzi irrigidisce l'intero Paese e
gli preclude ogni possibilità di crescita.
Una società più fluida ha bisogno non dell'ingessamento del sistema
scolastico, che questo provvedimento rischia di introdurre, ma di
una scuola che sia potente strumento di mobilità e progressione
sociale. I ragazzi italiani oggi hanno bisogno di ben altro rispetto
a ciò che ci consegna questo provvedimento.
Queste, onorevoli colleghi, le forti implicazioni politiche, le
contraddizioni che accompagnano il ritorno del disegno di legge in
quest'Aula. Ne è consapevole anche la maggioranza, preoccupata del
fatto che il Governo si sia inerpicato su una strada difficilissima.
In realtà, in questo articolo 7 vi è la prova della caduta di
credibilità del Governo: non fa quel che dice di voler fare.
Il dibattito svoltosi alla Camera dei deputati ha messo in luce un
altro fatto, del resto previsto. Dopo giorni di dibattito il testo
torna modificato solo all'articolo 7; tutto il resto è identico,
come se il dibattito e il contributo dell'opposizione fossero
inutili. Un'altra prova che il confronto parlamentare non è
apprezzato dal Governo e dalla maggioranza.
Non parli più, signora Ministro, di sue intenzioni bipartisan: è in
Parlamento che si verifica se le intenzioni hanno un rilievo
politico oppure no. Le parole impegnano sempre, in politica: debbono
avere riscontro nei fatti.
Il testo torna al Senato «accompagnato» dai 37 ordini del giorno
accolti dal Governo alla Camera, a loro volta corrispondenti a circa
l'80 per cento degli ordini del giorno presentati in quella sede sia
dalla maggioranza che dall'opposizione: riguardano tutto, sono stati
approvati di fretta, spesso sono in vistosa e stridente
contraddizione tra loro. Segno che la riforma non convince nessuno:
né l'opposizione né la maggioranza, la quale, evidentemente, deve
accontentarsi di esprimere il suo dissenso attraverso gli ordini del
giorno.
Dalla Camera esce dunque una doppia «riforma»: quella del disegno di
legge e quella, diversa, caotica e incoerente disegnata dagli ordini
del giorno.
Oggi il ritiro del provvedimento da parte del Governo sarebbe la
cosa più seria e più utile per la scuola italiana e per lo stesso
Governo. Chiudiamo una fase, riapriamo il discorso.
In ogni caso, signora Ministro, l'Ulivo e il centro-sinistra
chiedono che il discorso si apra davvero sui contenuti dei decreti
delegati, perché è lì che si decideranno, se si decideranno, gli
interventi concreti. Vogliamo discutere davvero, in un confronto
aperto, sia i provvedimenti finanziari sia i decreti delegati,
affinché siano trovate le soluzioni migliori possibili nelle
condizioni date.
Perché questo è l'impegno del centro-sinistra: dare alla scuola e al
Paese la prospettiva di futuro che il Governo sta loro negando,
attraverso un grande progetto di investimento e di innovazione che
pensi la scuola come perno della coesione e dell'inclusione sociale
e dell'unità culturale e civile della Nazione, che scelga
l'istruzione, l'università, la ricerca come motore del Paese, che
indichi la conoscenza come la priorità di un Governo che, come ha
portato l'Italia in Europa con l'euro, in Europa la vuole mantenere
con la formazione delle persone e in particolare delle nuove
generazioni.
Un progetto di speranza che accompagni la scuola italiana e il Paese
nel tempo difficile del governo della destra, che non li lasci soli
nelle crescenti difficoltà, che riduca, per quanto possibile, il
danno che è loro arrecato, che dia un diverso approdo alle attese
della scuola e dell'Italia.
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