Sentenza della Corte di Cassazione n. 6331/98 del 26 giugno 1998
Responsabilità per danni agli studenti
Svolgimento del processo
[omissis] in proprio e quali esercenti la potestà genitoriale sul minore [omissis], convennero innanzi al tribunale di Milano il ministero della pubblica istruzione, del quale chiesero la condanna al risarcimento dei danni, previo accertamento della responsabilità del personale preposto alla sorveglianza degli alunni nel circolo didattico [omissis] di Milano, ai sensi dell'art. 2048 cc, sull'assunto che durante la ricreazione pomeridiana il minore, alunno di scuola del circolo, era stato «sgambettato», in assenza dell'insegnante, dal compagno [omissis] e nella caduta si era rotti i denti incisivi superiori.
Il ministero, costituitosi in giudizio, dedusse che la caduta si era verificata accidentalmente alla presenza dell'insegnante e chiese il rigetto della domanda.
Il tribunale ritenne la responsabilità del ministero e lo condannò al risarcimento dei danni, che quantificò in lire 11.782.000.
A seguito di gravame del ministero la Corte d'appello di Milano, con sentenza resa il 5/7/1994, rigettò la domanda.
Considerò la Corte che, dopo aver ricondotto la fattispecie all'art. 2048 cc, i primi giudici avevano ritenuto sufficiente a fondare la responsabilità del ministero il fatto che l'infortunio si era verificato nel periodo dell'affidamento del minore al personale della scuola.
Secondo la Corte:
1) l'art. 2048 cc presuppone l'accertamento che il danno è provocato dal minore e non, come nella specie, al minore;
2) la «responsabilità oggettiva» posta da tale disposizione esonera il danneggiato dalla prova dell'elemento psicologico (culpa in vigilando) del fatto, illecito dei precettori e insegnanti e non pure della prova, mancata nella specie, della derivazione dell'evento lesivo dalla condotta del minore, identificato come autore dell'illecito;
3) dall'interpretazione della domanda risultava escluso che gli attori avessero dedotto la violazione dell'obbligo di vigilanza connesso all'affidamento;
4) in tal caso, peraltro, essi avrebbero dovuto provare, oltre alle modalità del fatto, il difetto di vigilanza.
Propongono ricorso per cassazione [omissis] e [omissis] sulla base di due motivi, illustrati con memoria.
Resiste con controricorso il ministero.
Motivi della decisione
Il ministero deduce che la notificazione del ricorso è nulla per essere stata eseguita presso l'avvocatura distrettuale dello stato anziché presso l'avvocatura generale in Roma.
In effetti, la notificazione del ricorso per Cassazione eseguita presso l'avvocatura distrettuale è nulla; si tratta, peraltro, di nullità che, a seguito della dichiarazione di parziale illegittimità dell'art. 11, comma 3, del rd 30/10/1933, n. 1611, intervenuta con sentenza della Corte costituzionale n. 97 del 1967, si deve ritenere sanata con effetti ex tunc dalla costituzione in giudizio dell'amministrazione destinataria (cfr. Cass. 13/9/1996, n. 8270, Cass. 15/3/1995, n. 3023; Cass. 19/12/1990, n. 12029).
Con il primo motivo i ricorrenti denunciano errata applicazione dell'art. 2048 cc.
Sostengono che il giudice di appello ha erroneamente rigettato la domanda per carenza di attività istruttoria, essendo essi tenuti, ai sensi dell'art. 2048 cc, a provare soltanto che il minore ha riportato le lesioni nel periodo in cui è rimasto affidato al personale della scuola; prova largamente superata dalle ammissioni del ministero e, comunque, desumibile da una serie di elementi indiziari; sarebbe stato, viceversa, onere del ministero fornire la prova liberatoria attraverso la dimostrazione di aver adottato ogni misura idonea a evitare situazioni di pericolo.
Con il secondo motivo, che costituisce completamento del primo, i ricorrenti lamentano che il giudice di appello li abbia onerati «della prova relativa all'individuazione della conditio sine qua non dell'incidente»; deducono che, in realtà, essi non erano tenuti a fornire alcuna prova, essendo pacifico il fatto da provare, e cioè che il minore ha subito lesioni nel periodo di affidamento al personale scolastico; sostengono che l'art. 2048 cc attua una forma di inversione dell'onere della prova, stabilendo la presunzione che l'evento dannoso, verificatosi durante l'affidamento, è dovuto a inosservanza del dovere di vigilanza e prevedendo il superamento della presunzione con la dimostrazione dell'impossibilità di impedire l'evento.
I motivi, che si esaminano congiuntamente per il rapporto di complementarietà, sono fondati.
Nella mutata realtà sociale il principale ambito di applicazione della responsabilità prevista dall'art. 2048, comma 2 cc è diventato la scuola, con coinvolgimento diretto della pubblica amministrazione o del privato che la gestisce.
La responsabilità della pubblica amministrazione è costruita come riflesso di quella del personale scolastico.
Lo strumento tecnico-giuridico adoperato è il rapporto organico, che comporta immedesimazione dell'attività dell'organo con quella della pubblica amministrazione (cfr., fra tutte, Cass. 9/4/1973, n. 997).
La tendenza legislativa è nel senso della sostituzione dell'amministrazione al personale scolastico quale soggetto passivo dell'azione di danno.
Ne sono espressione la legge 11/7/1980, n. 312, e le successive disposizioni (dlgs 16/4/1994, n. 297), che, diversamente da quanto sostenuto dal pm, non limitano la responsabilità verso il danneggiato ai casi di dolo o colpa grave, ma concedono azione allo stesso nei confronti della sola amministrazione, con esclusione dell'azione verso il personale scolastico, stabilita dalla legislazione precedente (T.u. del 1957, artt. 22 e 23) e con previsione dell'azione di rivalsa dell'amministrazione, che abbia risarcito il danno, limitatamente alle ipotesi di dolo o colpa grave del detto personale.
In dottrina si è prospettata l'idea che prevalente funzione della responsabilità per i danni cagionati dall'allievo sia quella di garanzia; in giurisprudenza si continua a costruire la responsabilità sull'obbligo di sorveglianza dell'allievo e a fondare la fattispecie risarcitoria sulla presunzione di negligente adempimento di esso (cfr. Cass. 1/8/1995, n. 8390).
L'obbligo di sorveglianza è funzionale alla conservazione della disciplina nella popolazione scolastica e, in tale ambito, all'impedimento di atti causativi di danno (cfr. Cass. 4/3/1977, n. 894).
La fonte dell'obbligo può essere indifferentemente negoziale o legale e, a dimostrazione di questa ambivalenza, si è osservato che la fattispecie risarcitoria trova applicazione nei confronti dei genitori, pur essendo i medesimi titolari di un potere-dovere di diritto familiare (cfr. Cass. 6/2/1970, n. 263).
Per l'amministrazione scolastica l'obbligo scaturisce dall'affidamento del minore per ragioni di istruzione e da tale caratteristica si argomenta ulteriore giustificazione dell'operatività della presunzione, rilevandosi che all'obbligo dell'insegnamento invariabilmente si affianca quello di completamento e integrazione dell'educazione familiare (cfr. Cass. 6/2/1970, n. 263).
Il limite esterno della responsabilità è costituito dalla dimensione temporale dell'obbligo.
È ricorrente in giurisprudenza l'affermazione che l'obbligo si estende dal momento dell'ingresso degli allievi nei locali della scuola a quello della loro uscita (cfr. Cass. 5/9/1986, n. 5424), comprendendo il periodo destinato alla ricreazione (cfr. Cass. 28/7/1972, n. 2590; Cass. 7/6/1977, n. 2342), con la precisazione che l'obbligo assume contenuti diversi in rapporto al grado di maturità degli allievi (cfr. Cass. 4/3/1977, n. 894).
La questione della direzione dell'obbligo è stata risolta nel senso che esso mira a impedire non soltanto che l'allievo compia atti dannosi a terzi, siano o meno coetanei ed estranei all'ambito scolastico, ma che resti danneggiato da atti compiuti da esso medesimo (cfr. Cass. 3/2/1972, n. 260; Cass. 1/8/1995, n. 8890).
Il limite interno della responsabilità è rappresentato dall'impossibilità di impedire il fatto dannoso.
In dottrina si registrano tendenze mitigatrici del sistema della responsabilità, pur nel rispetto della tutela risarcitoria dei danneggiati.
In conclusione, l'amministrazione scolastica è responsabile in via diretta dei danni che il minore cagioni a terzi o a se medesimo nel tempo in cui è sottoposto alla vigilanza del personale dipendente, salvo che non provi che non è stato possibile impedire il fatto (cfr. Cass. 4/3/1977, n. 894; Cass. 10/2/1981, n. 826; Cass. 1/8/1995, n. 8390).
L'onere probatorio del danneggiato, sia esso un terzo o il minore medesimo, si esaurisce nella dimostrazione che il fatto si è verificato nel tempo in cui il minore è rimasto affidato alla scuola, bastando questo a rendere operante la presunzione di colpa per inosservanza dell'obbligo di sorveglianza, mentre spetta all'amministrazione scolastica la prova liberatoria, che consiste nella dimostrazione che è stata esercitata la sorveglianza sugli allievi con una diligenza idonea a impedire il fatto, e cioè quel grado di sorveglianza correlato alla prevedibilità di quanto può accadere (cfr. Cass. 22/1/1990, n. 318).
Nella specie, la sentenza impugnata ha escluso che la responsabilità prevista dall'art. 2048, comma 2 cc, si riferisca al danno, che si procuri il minore con atti da lui medesimo compiuti e ha, inoltre, ritenuto che i danneggiati non hanno assolto l'onere di provare «il nesso causale fra la condotta del minore identificato come autore del fatto illecito e l'evento lesivo», incorrendo nel duplice errore di limitare l'ambito della responsabilità e di aggravare l'onere probatorio dei danneggiati.
La sentenza va pertanto cassata, con rinvio per nuovo esame ad altra sezione della Corte d'appello di Milano, che si atterrà al seguente principio: «Il ministero della pubblica istruzione è tenuto a risarcire il danno che si dimostri essere stato subito da terzo a opera di minore affidato a personale scolastico da esso dipendente o dal minore stesso in conseguenza di atto da lui compiuto nel periodo del suo affidamento alla scuola, sempre che non dimostri l'impossibilità di impedire l'evento».
Il giudice di rinvio provvederà, inoltre, a regolare le spese di questo giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese di questo giudizio, ad altra sezione della Corte d'appello di Milano.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio della terza sezione civile della Corte di cassazione il 21 ottobre 1997.