SENATO DELLA REPUBBLICA
XIV LEGISLATURA
3ª SEDUTA PUBBLICA
Lunedì 18 giugno 2001
(dal resoconto stenografico)
Comunicazioni del Governo
Presidente del Consiglio dei ministri on. Silvio Berlusconi
Signor Presidente, onorevoli senatori, sette anni fa presentammo in
quest'Aula il programma del nostro primo Governo; da allora molte cose sono
cambiate e ciascuno di noi ha imparato molto dai fatti della vita e della
politica.
Ma consentitemi di cominciare con una frase schietta, diretta, semplice. Noi
siamo qui per lo stesso motivo di allora: vogliamo cambiare l'Italia. Lo faremo
pacificamente, nell'ordine, nel libero dibattito democratico, guardando ai
valori fondamentali della persona scolpiti nella Costituzione della nostra
Repubblica, nel rispetto intransigente dei diritti civili di ciascuno, ma lo
faremo. Lo faremo nella legalità, in piena integrazione nel sistema
istituzionale vigente e nel rispetto di tutti i poteri costituzionali dello
Stato, ma lo faremo. Lo faremo nell'ottimismo, che non c'è mai mancato, nello
spirito di fiducia e di collaborazione con tutti coloro che mostrano buona
volontà e anche in un clima sereno, ma lo faremo, perché il Paese, che noi
tutti amiamo, ha il diritto di compiere e completare al meglio la lunga e
difficile transizione che ha investito il sistema politico e costituzionale.
C'è un capitolo da chiudere definitivamente, ed è quello della vecchia
politica, e c'è un capitolo tutto da scrivere, quello di un nuovo modo di fare
politica. Vorrei cominciare da qui, evitando i riti ripetuti, i riti stanchi
delle vecchie formule, i buoni propositi, le parole vuote, gli omaggi dovuti,
l'inventario dei problemi o il libro dei sogni.
Vorrei, invece, nel momento in cui chiedo a voi la fiducia per l'atto fondante
dell'investitura parlamentare, cogliere il senso complessivo di questa svolta
necessaria. Vorrei parteciparvi lo spirito che ci muove e che ci guiderà
nell'azione di Governo. Vorrei, anzi voglio, assumere qui davanti a voi, nel
Senato della Repubblica, l'impegno ad essere il Presidente del Consiglio di
tutti gli italiani.
L'identità di questo Governo e, se mi consentite, la sua peculiare posizione
nella storia del Paese è chiara ormai a tutti. Dopo cinque anni la coalizione
delle opposizioni è diventata maggioranza. Non era mai successo nei lunghi
decenni, dal 1948 al 1994, anno dell'applicazione della nuova legge elettorale
maggioritaria, e anche successivamente non si era mai prodotta la classica
circostanza di tutte le democrazie europee: l'opposizione che si fa Governo, la
maggioranza che diventa opposizione, per decisione degli elettori.
In alcuni momenti era accaduto addirittura il contrario e il vento trasformista
umiliava le istituzioni con la minoranza che si faceva Governo e la vera
maggioranza del Paese costretta all'opposizione nonostante il voto degli
elettori.
Questo meccanismo salutare che lo scrutinio maggioritario ha reso possibile,
questo insieme di stabilità nella legislatura e di ricambio costituzionale alla
guida di Governo i politologi lo chiamano «alternanza». Per noi questa
alternanza rappresenta l'ossigeno della democrazia, é l'antidoto naturale alle
tentazioni consociative e ad una visione manovriera e cinica della politica
nazionale. E' un primo grande cambiamento che fa dell'Italia, finalmente, una
democrazia compiuta.
Da questo giudizio, credo inattaccabile, discende la prima questione di metodo
che penso sia utile sottoporre alla vostra attenzione: il rapporto tra Governo e
opposizione. Noi abbiamo e avremo sempre il massimo rispetto per i diritti e le
prerogative della minoranza e per la sua funzione di controllo costituzionale
degli atti dell'Esecutivo, funzione seria, sacra, insostituibile in una
democrazia. Per questo le minoranze hanno uno statuto parlamentare, spazi
riconosciuti, inviolabili e incomprimibili nelle istituzioni del Paese e il
diritto di manifestare liberamente il loro pensiero, un diritto che si combina
con gli effetti di una stampa libera di criticare e contestare la maggioranza e
il suo Governo.
Sono i presupposti della dialettica democratica, la base del confronto che
vogliamo aperto, forte, schietto ma sempre rispettoso dei ruoli che la
Costituzione assegna a maggioranza e a opposizione.
Non ci spaventa la contrapposizione, soprattutto quando nasce dalle idee, dalle
convinzioni e dalla passione politica. Auspichiamo soltanto che il confronto si
svolga sempre in un clima di serenità e di correttezza istituzionale, senza
ambiguità, alla luce del sole, senza confusione di ruoli, senza i sospetti e le
ombre degli intrighi consociativi.
Ci mettiamo volentieri alle spalle polemiche, anche motivate e di rilievo, sui
cinque anni trascorsi, sul modo in cui furono formate le due diverse maggioranze
di centro-sinistra e sulla gestione della vita parlamentare, comprese le riforme
costituzionali per così dire solitarie e la definizione di regole ad hoc nel
campo dell'informazione. Ma ribadiamo con profonda convinzione che questo
Governo e la sua maggioranza, nella loro autonomia e in quanto espressione
diretta della sovranità popolare, hanno il diritto e il dovere civile di
governare, cioè di attuare nei tempi programmati il loro programma di Governo.
Spero che questa convinzione sia ormai diffusa; voglio credere che sia diventata
patrimonio comune, elemento centrale della cultura istituzionale del Paese,
davvero, direi, patrimonio comune e condiviso da tutte le forze parlamentari.
Come ha detto il presidente Ciampi, la Repubblica progredisce nel segno
dell'alternanza e noi siamo orgogliosi di aver dato un contributo determinante
alla rifondazione della democrazia italiana su un impianto liberale e
democratico, su basi moderne ed europee.
Signor Presidente, onorevoli senatori, la maggioranza che oggi si presenta alle
Camere è convintamente, direi intrinsecamente, europeista. L'ho riaffermato
proprio in questi giorni a Bruxelles e a Göteborg. Con la posizione assunta al
vertice NATO e al Consiglio europeo il Governo ha evidenziato la continuità
della linea di politica estera che intende rafforzare con un più incisivo
impegno per la costruzione europea e per il suo futuro, così come per il
consolidamento dell'Alleanza atlantica e del rapporto con gli Stati Uniti.
Impegno europeo, anzitutto. E' intenzione del Governo portare avanti il
programma di lavoro adottato con il trattato di Nizza, che presenteremo quanto
prima al Parlamento per la ratifica.
Sono caduti ormai gli ostacoli all'allargamento dell'Unione europea e abbiamo di
fronte a noi la responsabilità storica di unificare il continente nella
democrazia e nella libertà, dopo i due totalitarismi nazista e comunista e dopo
le divisioni del dopoguerra.
Il Consiglio europeo di Göteborg ha ribadito con forza che questo processo è
irreversibile. In questo senso lavoreremo convintamente, certi di garantire
così gli interessi nazionali.
Siamo inoltre – e lo siamo con un accento speciale – amici degli Stati Uniti
d'America. In quell'amicizia indistruttibile stanno, infatti, le radici della
nostra libertà e quell'alleanza tra pari che è il fondamento strategico della
nostra sicurezza. I decenni passano, i Muri crollano e alla Guerra fredda si
sostituisce il compito ben più esaltante di costruire un ordine mondiale
policentrico, un equilibrio nuovo tra le aree sviluppate e quelle in via di
sviluppo, in un'impegnativa battaglia contro i mali della povertà, delle grandi
epidemie, dell'analfabetismo e della fame.
Si stagliano di fronte a noi grandi questioni strategiche. Miliardi di uomini
premono con i loro bisogni, con le loro ansie di emancipazione dai vincoli del
sottosviluppo, con le loro identità e le loro religioni, con i loro costumi e i
loro valori e nel mercato, che ormai è globale, vengono messe in campo nuove
occasioni di sviluppo, potenzialità immense di conoscenza e di ricerca,
tendenze demografiche esplosive insieme a tutta quella rete di mobilità
sociale, di migrazioni transfrontaliere, di evoluzione degli stili di vita e di
lavoro di interi popoli.
Alla vigilia del G8, cioè del vertice mondiale che l'Italia avrà l'onore e la
responsabilità di presiedere, bisogna ribadire una verità che noi teniamo per
salda e sicura: non c'è questione dirimente della vita contemporanea, dalla
tutela dell'ambiente alla conquista di una pace stabile e ben garantita in
termini di sicurezza militare, che possa essere risolta senza il metodo della
reciprocità e del negoziato tra gli americani e noi europei, nel rispetto di un
alleato storico dell'Europa libera e nel quadro di una puntigliosa tutela della
nostra indipendenza e del nostro orgoglio nazionale.
A Genova, il Governo coglierà l'occasione per un messaggio forte sui grandi
temi della modernizzazione e della lotta alla povertà. La lotta contro
l'emarginazione e la miseria, soprattutto nel tormentato continente africano,
non è solo un dovere etico; significa anche espandere le frontiere della
democrazia, prevenire i conflitti, attenuare i fenomeni migratori.
Sul problema del debito, 23 Paesi stanno beneficiando di una sostanziale
riduzione. Essa si tradurrà nella cancellazione dei crediti commerciali e di
aiuto per complessivi 54 miliardi di dollari. L'Italia andrà oltre le intese di
Colonia, con la cancellazione del 100 per cento di tutti i crediti commerciali e
di aiuto ai Paesi che avranno completato il negoziato. (Applausi dai Gruppi FI,
AN, CCD-CDU:BF e LNP. I senatori Malabarba, Malentacchi e Tommaso Sodano
espongono cartelli contro il vertice dei G8).
Ma condonare il debito non garantisce lo sviluppo. Il Governo si impegnerà
perché nel G8 si pongano le basi per un patto di reciproca responsabilità.
Spetta a quei Paesi adottare al loro interno politiche mirate al rispetto dei
diritti civili ed alla riduzione della povertà; spetta ai Paesi più avanzati
aprire i propri mercati e dare risorse aggiuntive ai Paesi poveri che conducano
politiche corrette.
Ci adopereremo per fare in modo che la globalizzazione li aiuti ad uscire
dall'emarginazione e a rimuovere gli ostacoli al loro sviluppo assicurando più
risorse per la sanità e l'istruzione, più libertà di vendere i loro prodotti,
più investimenti privati. Il Governo sta operando con gli altri membri del G8
in questa direzione e anche nella direzione cruciale della protezione
dell'ambiente e della sicurezza alimentare.
Agli italiani e agli europei che dissentono, che si preparano a manifestare –
in piena legittimità – a Genova, il Governo si rivolge con una sola voce, con
una sola parola: siamo aperti al dialogo, purché il diritto costituzionale
venga rispettato, perché il diritto di manifestare è indisponibile da parte di
qualsiasi autorità.
Ma anche nel merito diciamo loro: riflettete, non sciupate una grande occasione.
Come ho già detto a Göteborg, tutti debbono capire che i temi che vogliamo
discutere nel G8 sono gli stessi che muovono e animano i cosiddetti
contestatori. Anche nel Consiglio europeo ci siamo occupati proprio degli stessi
temi e delle stesse esigenze. Forse il problema è che non c'è, o non c'è
stata fino ad ora, una linea di comunicazione tra noi e loro per far comprendere
che in gran parte i loro obiettivi sono anche i nostri, sono gli obiettivi di
chi ha ricevuto, democraticamente, la responsabilità di governare.
È per questo che tenteremo di stabilire quella linea di comunicazione per
creare con le organizzazioni della protesta un modo, un'occasione, uno strumento
per comunicare. Ma il tutto deve svolgersi – lo ripeto – nella più rigorosa
esclusione di ogni forma di violenza e nella più gelosa tutela dell'ordine
pubblico. L'ala estremista del movimento contrario alla globalizzazione deve
essere isolata e messa in condizioni di non nuocere. Auspichiamo che anche le
opposizioni si facciano carico di evitare a Genova lo spettacolo drammatico a
cui abbiamo assistito in molte città del mondo e, da ultimo, nella pacifica
Göteborg.
Signor Presidente, onorevoli senatori, non farò un'esposizione – l'ho già
detto – tecnica e dettagliata del contratto con gli italiani e del piano di
Governo elaborato e reso pubblico nel corso del confronto elettorale; documenti
che i senatori della maggioranza conoscono parola per parola per esserne stati
divulgatori e che anche i senatori dell'opposizione conoscono per esserne stati
critici puntuali.
Non ricorderò, per esigenze di tempo, tutti i singoli impegni che abbiamo
chiamato «missioni» e tutte le misure e le opere a cui ci siamo impegnati per
ammodernare lo Stato, la sua architettura istituzionale, le sue leggi, le sue
infrastrutture e per far decollare il Mezzogiorno. Le abbiamo affidate alla
testimonianza, che non mente e che non vola via, della carta stampata e del
testo scritto. Se abbiamo fissato in una forma contrattuale le nostre intenzioni
non è per una concessione alle regole spettacolari del confronto elettorale, ma
per un'intima convinzione: il Paese ha storicamente sopportato un tale numero di
rinvii e di elusioni del dovere di governare e di realizzare i programmi
presentati agli elettori che una nuova delusione dovrebbe essere necessariamente
seguita da un dignitoso ritiro dalla vita pubblica di chi non sia stato capace
di mantenere gli impegni assunti con gli elettori, uniformando l'attività di
Governo all'arte e alla cultura del fare.
Ma è qui, davanti al Parlamento della Nazione, che quelle missioni diventano
piano di Governo, che quegli impegni, confortati dalla vostra fiducia, diventano
programma e strumento dell'azione governativa. Consentitemi, dunque, di
tracciare solo una sintesi delle questioni più rilevanti che ci accingiamo ad
affrontare da ora alla fine della legislatura.
La prima questione concerne la riforma federalista dello Stato; la devoluzione
di poteri effettivi di Governo alle regioni e della connessa responsabilità,
anche fiscale. Il tema del federalismo è stato imposto all'attenzione generale
nel corso degli ultimi dieci anni dentro e fuori dalle istituzioni. La battaglia
federalista ha avuto il merito di porre il grande problema di decentrare poteri
e responsabilità effettivi in un contesto di equilibrio territoriale tra Nord e
Sud e di unità nazionale.
Il nostro federalismo, infatti, si fonda sui princìpi di autonomia e
sussidiarietà. Secondo il principio di autonomia, il soggetto fondamentale
dell'esperienza sociale, politica e istituzionale è rappresentato dalle
comunità locali, amministrate dai loro enti rappresentativi. Insieme alle
regioni e alle province, quindi, non possiamo non ricordare il ruolo particolare
dei comuni, che sono il portato più significativo della ricchezza e della
varietà della nostra storia.
Il principio di sussidiarietà, dal canto suo, consente invece non solo di
valorizzare l'autonomia della società civile, delle famiglie, delle
organizzazioni sociali e delle imprese, ma anche di tutelare l'autonomia delle
comunità e delle organizzazioni più piccole nei confronti di quelle più
grandi. Saranno questi princìpi, più che le dispute astratte sui diversi
modelli di federalismo, a guidarci nell'opera di ammodernamento dello Stato e
della sua architettura istituzionale.
In materia di sanità, d'istruzione e di sicurezza civile, con la necessaria
gradualità ma in tempi certi e coniugando efficienza e solidarietà, intendiamo
dunque imprimere una svolta federalista alla macchina dello Stato, ridisegnando
di conseguenza intere sezioni architettoniche dell'edificio pubblico.
Abbiamo criticato la riforma costituzionale solitaria della vecchia maggioranza
di centro-sinistra perché pensavamo e pensiamo che si debba fare di più e di
meglio, ma faremo di tutto affinché gli adempimenti che a quella legge
costituzionale conseguono – tra questi la consultazione popolare – non
fermino il processo di riforma e il suo allargamento e non gettino il Paese in
un'altra stagione di esercitazioni propagandistiche ed elettoralistiche.
In materia di federalismo – ripeto – dobbiamo fare di più e di meglio di
quanto finora è stato fatto. Questa è la nostra stella polare, le tecnicalità
seguiranno. Una riforma federalista, dopo la decisione di eleggere direttamente
i sindaci e i presidenti delle province e delle regioni, implica naturalmente
una ridefinizione dei poteri e della stessa procedura di legittimazione
dell'autorità centrale; implica cioè un rafforzamento netto del potere
dell'Esecutivo e del suo vertice. Pensiamo, in definitiva, al federalismo per
valorizzare le energie locali e al tempo stesso ad un moderno presidenzialismo
per garantire l'unità della Nazione. (Applausi dai Gruppi FI, AN, CCD-CDU:BF e
LNP).
In un sistema istituzionale bilanciato devono in pari tempo aumentare i poteri
di controllo del Parlamento, che può diventare un organo legislativo più agile
e più operativo di quello attuale, fatte salve le antiche prerogative di una
lunga e onorata tradizione repubblicana.
Su tutta questa materia furono raggiunte intese di massima, e anche imbastite
misure specifiche, nel corso dei lavori di diverse Commissioni bicamerali
costituite negli ultimi decenni e le diverse forze politiche hanno un loro
profilo programmatico ormai sufficientemente preciso, sia quelle di maggioranza
sia quelle di minoranza. Non sarà difficile – questo è almeno l'auspicio del
Governo – trovare un'intesa di fondo per promuovere i cambiamenti necessari,
nel rispetto delle necessità e dei tempi di un serio dialogo ma con la
consapevolezza di un programma da attuare nelle sue linee fondamentali.
Il Governo, alla fine, chiederà al Parlamento di procedere conclusivamente
verso l'orizzonte per noi irrinunciabile di uno Stato profondamente rinnovato.
La società dell'informazione, della nuova economia, del pluralismo culturale,
religioso e tecnico, richiede come esigenza primaria uno Stato che non sia più
l'arcigno controllore dei doveri del cittadino, bensì il difensore autorevole e
forte delle sue libertà e dei suoi diritti inalienabili. È ormai chiaro a
tutti che gli straordinari progressi delle tecnologie informatiche e delle
telecomunicazioni sono alla base di alcune profonde trasformazioni economiche e
sociali che stanno modificando la nostra vita quotidiana e debbono essere
governate per migliorare le nostre attività, le nostre capacità professionali,
le nostre possibilità di informazione e di comunicazione.
L'esempio di molti Paesi, gli Stati Uniti ma anche di molti nostri partner
europei, mostra i grandi vantaggi che si possono ottenere da efficaci politiche
informatiche in termini di crescita economica, di creazione di posti di lavoro,
di qualità dei servizi disponibili, di competitività generale. Con la
creazione del Ministro senza portafoglio per l'innovazione e le tecnologie
abbiamo inteso colmare una visibile carenza del passato: la mancanza di una
visione, di una strategia nazionale complessiva e coerente che sappia tradursi
in un piano d'azione e in progetti coordinati.
Partiamo certamente da una posizione di ritardo ma uno dei principali obiettivi
di questo Governo è portare il nostro Paese in una posizione di leadership
nell'era digitale. (Applausi dai Gruppi FI, CCD-CDU:BF e AN).
In questo grande sforzo di ammodernamento dell'Italia la pubblica
amministrazione occupa certamente il primo posto. (Applausi dai Gruppi FI, AN,
CCD-CDU: BF e LNP. Ilarità dal Gruppo DS-U). Ci dovete scusare ma non siamo
ancora coordinati! (Applausi dai Gruppi FI, AN, CCD-CDU: BF e LNP).
Le recenti parole del Governatore della Banca d'Italia ancora una volta
confermano che esiste un problema di efficienza e di efficacia dell'attività
della pubblica amministrazione. Sono parole che il Governatore della Banca
d'Italia ha pronunciato recentemente. Il nostro è dunque uno dei Paesi dove il
settore pubblico meno contribuisce alla competitività dell'economia e quindi al
suo sviluppo. L'obiettivo che il Governo si pone è trasformare la pubblica
amministrazione da handicap a punto di forza per il nostro competere
nell'economia mondiale.
Nell'orizzonte temporale di questa intera legislatura il Governo intende quindi
impegnarsi a fare molti e importanti passi avanti per realizzare un nuovo
modello di amministrazione pubblica: più efficiente, realmente al servizio dei
cittadini e delle imprese, più snella e veloce, più accessibile, più
trasparente.
Questo grande sforzo verrà condotto non solo utilizzando le moderne tecnologie
ma anche con interventi riorganizzativi, riducendo il carico di compiti e di
funzioni che gravano sull'amministrazione, ridisegnando i processi
amministrativi per renderli funzionali ai destinatari finali, decentrando
responsabilità e attività, creando nuovi e più moderni servizi, attuando uno
strategico investimento di riqualificazione e miglioramento professionale dei
dipendenti pubblici.
Il modo in cui le amministrazioni e gli uffici si organizzano non deve
costituire un ostacolo per i cittadini e le imprese nella soluzione dei loro
problemi; al contrario, anche attraverso l'effettiva interoperatività, deve
garantire, in tempi molto più rapidi di quelli attuali, risposte e risultati.
L'interconnessione informatica può assicurare un'amministrazione unica, a cui
è possibile fare riferimento e con cui soddisfare ogni esigenza. Il Governo si
impegnerà affinché, al termine di questa legislatura, la stragrande
maggioranza dei servizi ai cittadini e alle imprese sia accessibile e
disponibile in rete.
Un'altra area di primaria importanza, in questo sforzo di modernizzazione
dell'Italia, è naturalmente la scuola, dalle classi iniziali all'università.
Tutti gli studenti dovranno ricevere un'ottima formazione informatica di base;
gli insegnanti dovranno usufruire di programmi di preparazione; tutte le scuole
e gli istituti dovranno essere collegati a Internet.
Altri campi di intervento del Governo, con appositi programmi e incentivi,
riguarderanno l'addestramento e la formazione professionale continua per chi è
già nel mondo del lavoro e soprattutto per chi ne è al di fuori, per
facilitarne le capacità di inserimento, e politiche che contrastino o evitino
il cosiddetto digital divide, cioè la divisione tra chi può far parte e
beneficiare dei vantaggi della società dell'informazione e chi invece ne rimane
al di fuori.
In sostanza, si tratta di un grande disegno di modernizzazione del Paese che
potrà essere realizzato attraverso la mobilitazione degli uomini e l'efficace
riallocazione delle risorse.
C'è poi da mettere mano al complesso delle leggi. Oggi in Italia esiste un
numero incalcolabile di leggi che non garantisce certezza del diritto e
serenità a chi vuole operare nel pieno rispetto delle regole. Si tratta di
rivisitare il codice civile, il codice penale, i codici delle procedure; si
tratta di abrogare molte leggi, di riunire le normative delle varie materie in
testi unici e di dare vita ad un nuovo codice fiscale abrogando le attuali oltre
3.000 leggi fiscali. È un immane lavoro a cui chiameremo i migliori fra i
nostri giuristi, contando di completarlo entro la legislatura.
Signor Presidente, signori senatori, è nostra intenzione ridurre la pressione
fiscale, esentando i redditi marginali e fermando gradualmente l'aliquota
dell'imposta personale al di sopra di una certa soglia, a un terzo del reddito.
È nostra intenzione aumentare rapidamente le pensioni più basse fino al
livello minimo di un milione di lire. Non si tratta di bandiere elettorali né
di parole d'ordine, ma di una necessità economica e, per certi versi, anche
morale.
Da un lato, sgravando il reddito dal peso soverchio di un'imposta sentita come
oppressiva e ingiusta, si stimola la fiducia nel sistema, la propensione a
investire e a consumare, l'autonomia e la responsabilità individuale di fronte
ad uno Stato che fa un passo indietro e non si propone più come controllore
ingombrante della libera iniziativa dei cittadini. Dall'altro lato, aumentando
il reddito di chi ha più bisogno, di chi è rimasto indietro nella scala
sociale perché le circostanze della vita e l'età l'hanno reso più debole, si
sposa un grado maggiore di libertà, un elemento indispensabile di coesione
della società, di solidarietà fattiva ed efficace all'interno della comunità.
L'economia sociale di mercato è poi questa e, come tutte le grandi idee, è
qualcosa di semplice: più libertà e più solidarietà. (Vivi, prolungati
applausi dai Gruppi FI, AN, CCD-CDU:BF e LNP).
La riforma dell'IRPEF e delle pensioni sociali minime non è naturalmente che
uno degli elementi di una gestione innovativa della leva fiscale e della spesa
pubblica, due obiettivi che perseguiremo nelle nuove condizioni istituzionali
connotate dalla riunione dei Ministeri delle finanze, del bilancio e del tesoro.
Rilanceremo altresì la logica, già sperimentata con successo dal nostro primo
Governo, dell'incentivazione al reinvestimento degli utili d'impresa.
L'emersione della parte sommersa del nostro apparato produttivo e di servizi,
anche attraverso una oculata riforma del mercato del lavoro nel senso di una
accresciuta flessibilità del nostro sistema contrattuale, è da mesi materia di
confronto, e in alcuni casi anche di scontro, tra le parti sociali.
Il Governo farà la sua parte per favorire soluzioni che estendano la logica del
mercato e dello sviluppo, dunque della creazione di lavoro qualificato,
soprattutto nel Mezzogiorno. È un'opera da intraprendere senza ledere
unilateralmente alcuni diritti acquisiti di base, ma anche senza cedere ad una
visione statica, conservatrice e corporativa delle giuste tutele sindacali che
fanno parte imprescindibilmente di una sana economia di mercato. Per creare
lavoro non effimero occorrono capitali e la decisione di investirli secondo le
convenienze di un mercato regolato, ma libero. Non lo insegna un'astratta
filosofia liberista, lo dimostra l'esperienza di milioni di imprenditori
italiani.
Veniamo alla situazione dell'economia italiana e dei conti pubblici che è, per
usare un eufemismo gentile, una situazione molto complicata. Non siamo qui per
lagnarci di chi ci ha preceduto e per addebitargli ciò che non va, ma non
possiamo nascondere al Parlamento e alla pubblica opinione alcuni dati di fatto
da cui ripartiremo con ottimismo e con grande volontà per fare quel che
pensiamo sia giusto fare.
La situazione economica internazionale è caratterizzata da grande incertezza.
L'espansione congiunturale iniziata nel 1999 ha portato ad una crescita molto
forte in Europa e, in misura minore, anche in Italia. Quella buona congiuntura
si è però rapidamente dileguata, anche per l'incapacità di assecondarla, in
particolare da noi, con misure attive di risanamento e di sviluppo. È in corso,
come sapete, una verifica attenta dei conti pubblici, ma è fin d'ora chiaro che
gravano su di noi ipoteche assai più pesanti di quelle che la gestione
elettorale delle cifre lasciava intravedere fino al 13 maggio.
Noi intendiamo lavorare tenacemente perché i cittadini possano continuare a
fare assegnamento sui benefici del sistema previdenziale, del sistema sanitario,
del sistema assistenziale e perché una strategia espansiva porti ad un aumento
consistente e duraturo dell'occupazione. L'Italia nell'ultimo decennio ha avuto
uno sviluppo al di sotto della media europea. Ciò era dovuto anche alla
difficoltà di rimuovere alcuni squilibri strutturali: molti di quegli squilibri
non sono stati ancora superati.
Possiamo e dobbiamo rimuoverli, nel contesto di una politica che privilegi
l'aumento della produzione e la competitività. Abbiamo le risorse di lavoro e
le capacità imprenditoriali, dobbiamo farlo con l'ausilio delle parti sociali.
La coesione è una delle condizioni dello sviluppo e della competitività.
Il governatore della Banca d'Italia, Antonio Fazio, ha espresso in più riprese
il suo monito affinché si agisca sul fronte della spesa pubblica, sulla
struttura dei mercati e sulla leva fiscale con l'obiettivo di selezionare meglio
le spese improduttive del settore pubblico e rendere disponibili i capitali
necessari al rinnovamento delle infrastrutture di base, a cominciare da quelle
per i trasporti. La chiave di tutto, secondo la più alta istituzione
finanziaria del Paese, che nella sua autonomia e indipendenza rappresenta anche
un saldo punto di riferimento dentro e fuori l'Italia, è proprio nel recupero
di competitività del nostro sistema sui mercati internazionali.
A questo scopo occorre attirare in Italia una quota maggiore di investimenti
esteri ed affermare una politica dei redditi che ci salvaguardi dal rischio
dell'inflazione. Pensiamo che la politica dei redditi debba essere volta a
garantire la stabilità perché alcune fasce di lavoratori già occupati non
perdano il posto di lavoro e perché si creino opportunità per le numerose
schiere di giovani che si affacciano alle responsabilità della vita e che
debbono avere fiducia nelle possibilità di sviluppo e di progresso civile del
nostro Paese. Dobbiamo premiare il merito, la voglia di lavorare, di
intraprendere, di progredire.
Il Governo è già al lavoro per la preparazione del Documento di programmazione
economico-finanziaria, nel quale le azioni necessarie a procedere lungo queste
linee di sviluppo assumeranno definizione e concretezza. Poniamo davanti a tutto
il bene comune, il bene di un'Italia più moderna e più giusta, più operosa e
più solidale, un'Italia che investe nel futuro, l'Italia dei padri, l'Italia
dei figli.
Non c'è piano economico di successo senza che si rimettano in moto gli
investimenti, pubblici e privati, per realizzare ambiziosi progetti
infrastrutturali: ponti, metropolitane, strade, autostrade, nuove linee
ferroviarie, nuove tipologie nel campo dell'alta velocità. Saranno le grandi
opere individuate dal nostro piano decennale che arricchiranno e consolideranno
il Paese e lo renderanno più vicino ai bisogni dei cittadini e allo stesso
tempo creeranno lavoro, ricerca, cultura e altre utilità pubbliche e private.
Abbiamo le competenze giuste per realizzare questi grandi progetti e lo faremo
anche innovando nella legislazione e chiamando il capitale privato a concorrere
alla realizzazione, così come avviene nei più avanzati Paesi europei.
Le compatibilità ambientali saranno lo standard al quale ci atterremo; perché
è finito il tempo in cui era vero che governare è asfaltare, ma respingiamo
con forza la filosofia integralista secondo la quale la tutela dell'ambiente è
incompatibile con la realizzazione di grandi opere pubbliche. L'Italia ha
bisogno di un ambientalismo serio e responsabile che non pregiudichi la
possibilità di progettare il futuro. (Applausi dai Gruppi FI, AN, CCD-CDU:BF,
LNP e del senatore Agnelli).
Signor Presidente, onorevoli senatori, giustizia e sicurezza non sono soltanto i
capitoli obbligati di un serio programma di Governo, sono anche e soprattutto i
principali regolatori di tutta la vita pubblica. Si forma una comunità politica
in quanto si ha chiaro che tutti i cittadini, chiunque essi siano e quale che
sia la loro identità sociale, sono sottomessi alle stesse leggi, correttamente
applicate da magistrati imparziali.
Di questi magistrati e giudici l'Italia è stata ed è ricca. Sette anni fa, in
questa stessa Aula, feci il nome di due martiri e simboli assoluti di onestà e
di devozione alla causa della legalità. I sette anni passati da allora hanno,
se possibile, consolidato e allargato i confini della loro leggenda di uomini
giusti. Parlo, come avrete capito, di Giovanni Falcone e di Paolo Borsellino.
(Vivi, prolungati applausi. L'Assemblea si leva in piedi).
Ma è certo che si forma una comunità politica in quanto la libertà di
ciascuno è limitata dal rispetto della libertà dell'altro. E questo rispetto
è garantito dalla delega all'autorità pubblica del potere e della
responsabilità nell'uso della forza. Senza giustizia e senza sicurezza, esterna
e interna, non può esistere alcuno Stato degno di questo nome. Non è dunque
per sollecitare o assecondare paure sociali diffuse di fronte ai fenomeni di
criminalità che questa coalizione, oggi fattasi Governo, ha condotto alcune
delle sue più convinte battaglie.
Abbiamo proposto e riconfermiamo una politica cosiddetta di prossimità
nell'impiego delle Forze dell'ordine, che devono sempre più essere collegate al
territorio, radicate nella realtà della vita civile, formate e informate con i
mezzi più moderni e con le tecniche investigative più avanzate, e dunque
provviste di organici adeguati e di mezzi adeguati.
Confermiamo i nostri impegni e continuiamo ad evidenziarli, dopo la discussione
sul Documento di politica economica e finanziaria, nella stesura di bilancio per
l'anno 2002.
La tutela della sicurezza per le famiglie e per le persone sole, in particolare
per le persone anziane e deboli, che sono spesso oggetto di odiose prepotenze,
non è una concessione all'idea di uno Stato repressivo e autoritario; al
contrario, è l'espressione più limpida di un'idea liberale di ciò che è nei
fatti la funzione del potere pubblico. Che cosa ne è della mia libertà e della
mia stessa vita di cittadino libero se un altro può agevolmente limitare i miei
movimenti, costringermi dentro casa in preda all'angoscia, colpirmi a suo
piacimento senza la certezza che sarà punito da un'autorità giusta e
imparziale?
Abbiamo anche sempre evitato di identificare erroneamente la questione della
sicurezza interna con il problema dell'accoglienza e dell'integrazione di quote
crescenti di immigrati nei confini del Paese. Lo faremo con una politica
dell'immigrazione che soddisfi le esigenze dello sviluppo economico e sociale
del Paese, disciplinando i flussi e combattendo gli ingressi clandestini
nell'osservanza dei criteri del Trattato di Schengen e nel quadro di una forte
politica della sicurezza in ambito europeo.
Signor Presidente, signori senatori, la politica di difesa a tutela della
sicurezza esterna del Paese deve fare un salto di qualità legato alla
formazione di Forze armate professionali. L'Italia ha ormai una politica europea
e internazionale vincolata a impegni crescenti nel campo della sicurezza e del
mantenimento della pace in aree centrali per l'equilibrio geopolitico che
interessa noi e gli alleati. La politica di difesa ha bisogno di investimenti di
qualità, di un processo di formazione che deve inevitabilmente integrare
l'industria della sicurezza collettiva con le nuove acquisizioni della
tecnologia militare e con i patti sottoscritti dal nostro Paese.
È uno di quei settori in cui l'innovazione, di fatto, dev'essere accompagnata
da una continuità di princìpi e di valori. In nome di quei princìpi, senza
alcun formalismo, credo di rappresentare tutta l'Assemblea se rivolgo un saluto
ai nostri ragazzi in missione nel mondo (Generali applausi) e il nostro omaggio
alle Forze armate italiane, alla loro storia e al loro presente al servizio del
mantenimento della pace.
Devo dire che niente dimostra la nuova fiducia degli italiani in se stessi
quanto il clima di commozione sincera che tutti avete visto pervadere le
celebrazioni, fortemente volute dal Presidente della Repubblica, della festa
della Repubblica nello scorso 2 giugno.
Sarebbe un elemento di forte modernizzazione della vita politica italiana se
riuscissimo, una volta per tutte, su questo piano così delicato della vita
collettiva, ad eliminare le barriere partigiane legate a vecchie posizioni
ideologiche. Lo abbiamo fatto dai banchi dell'opposizione, lo abbiamo fatto
lealmente, con impegno e convinzione; sempre, sui grandi temi di politica estera
e di difesa nazionale, lo spirito e il voto sono stati, per così dire,
bipartisan. Ci piacerebbe che così fosse anche adesso, a parti invertite, per
riaffermare, ora come allora, l'imprescindibile valore degli interessi superiori
dell'Italia. Non c'è schieramento di parte né contrapposizione politica che
possa dividerci su un valore così alto che tutti ci impegna, maggioranza e
opposizione.
Per le riforme strutturali della giustizia rinvio ai testi scritti, ampiamente
conosciuti. Ci sono state polemiche su un preteso assoggettamento a indicazioni
parlamentari del lavoro dei magistrati; in realtà noi pensiamo che l'attuale
sistema non debba affatto essere rovesciato. Ci limitiamo a proporre
integrazioni e innovazioni, che sono nella legittima potestà delle Assemblee
legislative. L'obbligatorietà dell'azione penale e l'autonomia della
magistratura sono princìpi del nostro ordinamento e, in quanto tali, da
rispettarsi scrupolosamente; ma sono anche problemi da risolvere, in quanto
questi princìpi sono realizzati solo in parte e talvolta in modo del tutto
insoddisfacente: basti pensare all'alto numero di reati per cui non si procede e
agli effetti perversi di una totale unificazione delle carriere e delle funzioni
tra magistratura inquirente e magistratura giudicante.
Desidero qui ricordare che questi problemi furono affrontati già durante i
lavori della Costituente, al punto che alcuni insigni giuristi di limpida fede
democratica si preoccuparono di definire il ruolo e la potestà del Parlamento
nella formulazione e nella verifica degli obiettivi nel campo della sicurezza e
della giustizia, fatta salva l'autonomia dei magistrati. Se una maggioranza e un
Governo si autolimitassero fino al punto di escludere dal novero dei problemi,
che affronteranno con il concorso naturalmente di tutte le parti interessate nel
rispetto di una sana dialettica parlamentare, le principali questioni di
amministrazione della giustizia, vorrebbe dire che viviamo in una Repubblica
dimezzata e che la fonte della sovranità legislativa si condanna ad inaridirsi
e ad estinguersi. (Applausi dai Gruppi FI, AN, CCD-CDU:BF e LNP). Per quanto sta
in noi, visto che anche dall'opposizione siamo stati parte attiva per la
costruzione delle regole costituzionali del giusto processo, non sarà così e
speriamo in una leale collaborazione di tutto il Parlamento.
Veniamo al tema della sanità, che è lo specchio del grado di civiltà di un
Paese. Un Paese dove esistono lunghe liste di attesa per prestazioni
specialistiche, dove si rischia di non trovare posto in rianimazione o in unità
coronariche, dove non di rado i letti dei malati occupano i corridoi, non è un
Paese civile. (Applausi dai Gruppi FI, AN, CCD-CDU:BF e LNP). La salute è uno
dei diritti che uno Stato deve garantire ai suoi cittadini indipendentemente
dalle loro condizioni sociali.
Non abbiamo nascosto le nostre critiche alla riforma della Sanità approvata dai
precedenti Governi, critiche del resto condivise dalla maggior parte degli
operatori del settore. Noi riteniamo che si debba applicare anche nel campo
della Sanità il principio di sussidiarietà come criterio fondamentale per
migliorare i servizi e avvicinarli ai bisogni dei cittadini, abbandonando la
strada della centralizzazione e della burocratizzazione. Si dovrà fare
dell'autonomia delle regioni il mezzo per accrescere il grado di efficacia e di
personalizzazione delle prestazioni e per riorganizzare un sistema
pubblico-privato che parta dalla centralità del cittadino e dalle sue
necessità.
Per questo occorre affrontare il problema dei rapporti dei medici con le
strutture sanitarie, riducendo in maniera significativa i vincoli attuali che
demotivano fortemente una categoria che oggi si sente poco considerata e
soggiogata alle regole burocratiche dell'amministrazione pubblica. Il medico non
è soltanto un impiegato dello Stato, ma è un professionista a cui è affidata
la missione di tutelare il bene costituzionalmente garantito della salute.
Occorrerà anche esaminare attentamente le cause da cui deriva il disavanzo che
si è registrato negli ultimi anni e assumere di conseguenza le decisioni più
appropriate. Lo faremo con l'obiettivo di soddisfare le esigenze dei cittadini,
che dal Servizio sanitario nazionale richiedono più facile accesso, migliore
qualità e personalizzazione, alta professionalità degli operatori, umanità
nel trattamento ed equità nei confronti di tutti.
Altro tema centrale, la scuola.Stiamo vivendo una rivoluzione tecnologica
destinata a cambiare profondamente la nostra società, la nostra economia, ma
anche le nostre prospettive di benessere e le nostre stesse libertà. Credo sia
un fatto straordinario di cui tutti sentiamo l'importanza, un'opportunità per
tutti noi ma soprattutto per i giovani. Bisogna però entrare dentro questa
opportunità, essendo capaci di goderne, di sfruttarla, di utilizzarla
pienamente. Ciò non può avvenire senza una profonda riforma di tutto il nostro
sistema di istruzione. La nostra scuola è lontana dall'avere i mezzi, i
programmi, le capacità di formare dei giovani che possano in qualunque Paese
del mondo trovare il modo di affermarsi, di realizzare se stessi, di contribuire
al progresso generale, e ciò nonostante l'impegno e la dedizione di tanti
insegnanti.
La new economy, la nuova economia, ha aumentato le sfide che mettono alla prova
i sistemi educativi, ma la nostra scuola sembra subirla più che dominarla. Non
c'è più tempo da perdere. Se l'Italia vuole davvero contare nel mondo
integrato dell'economia dovrà investire, dovrà investire molto nel campo della
formazione, dell'università, della ricerca. Investire nel capitale umano è il
modo migliore non solo per rendere competitive le nazioni, per aumentarne la
ricchezza, ma soprattutto per aiutare chi oggi non è in grado di trarre
vantaggio dalla globalizzazione.
Nel nuovo millennio la nuova frontiera dell'uguaglianza, della giustizia sociale
e della libertà si gioca e si giocherà in gran parte sul terreno della cultura
e della formazione. Per queste ragioni intendiamo fare della scuola un tema
preminente della nostra politica di Governo, procedendo anche in questo campo
nella direzione della sussidiarietà, perché siamo convinti che dove c'è più
autonomia della società civile, delle istituzioni, dei privati non c'è solo
più democrazia, ma c'è anche maggiore qualità e maggiore efficienza.
Il nostro obiettivo è dunque quello di realizzare un sistema formativo di
qualità e di libertà, una scuola correlata al mondo della cultura ma anche del
lavoro, dell'impresa, della produzione, una scuola che sappia garantire ai
nostri figli un avvenire sicuro.
A proposito delle riforme che troviamo già fatte, la nostra posizione è nota.
Rifiutiamo la strutturazione in cicli, così come è stata disposta, della
scuola elementare e media. (Applausi dai Gruppi FI, AN, CCD-CDU:BF e LNP).
Il Governo, a tale proposito, ritiene necessaria una compiuta e complessiva
valutazione del problema degli ordinamenti scolastici in tutti i suoi aspetti,
familiari, pedagogici, sociali. A questo fine l'attuazione della riforma va
rinviata e del resto la Corte dei conti, formulando un rilievo sul regolamento
che prevedeva l'avvio della riforma delle prime due classi dell'attuale scuola
elementare a partire dal prossimo 1º settembre, ha comunque già di fatto reso
impossibile l'avvio della riforma per tale data.
Siamo convinti invece che sarebbe dannoso interrompere in corsa la riforma
universitaria detta «delle lauree brevi» e ci comporteremo di conseguenza, pur
riservandoci di introdurre i correttivi e gli adeguamenti che si renderanno
necessari.
Quanto ai finanziamenti per garantire la libertà scolastica e il diritto delle
famiglie ad avere una scelta più ricca e una scuola migliorata dal meccanismo
della concorrenza e dell'emulazione, non accetteremo una concezione dirigista e
statalista di quel bene pur fondamentale che è la scuola pubblica.
Il tema dell'educazione è strettamente legato a quello della famiglia, uno dei
pilastri più importanti della nostra azione di Governo. La famiglia, come noi
la concepiamo, è l'ambito naturale in cui si prospettano i valori morali e
civili fondamentali; è un grande elemento di coesione sociale e di solidarietà
ed è anche la garanzia per il futuro del Paese. Per questo tutta la nostra
politica, dalla fiscalità ai fondi pensione, dagli asili nido ai contratti di
lavoro, sarà mirata a sostenere e a sviluppare la famiglia, come fondamento di
un nuovo patto sociale, come fattore di solidarietà fra le generazioni, come
sorgente di valori positivi e cellula primaria della società.
Nella strategia del Governo un ruolo di grande rilievo sarà riservato
ovviamente alle attività e ai beni culturali. Questo Governo non pensa – ed
è logico – di imporre una sua cultura e una sua visione dell'arte, della
musica, del teatro e del cinema, ma intende favorire la più libera e multiforme
espressione delle culture e dei fermenti presenti nella società italiana,
contribuendo alla diffusione nel mondo delle nostre arti e della nostra cultura.
Nello stesso tempo, si impegna alla più severa ed efficace tutela del
patrimonio culturale, artistico, archeologico e monumentale accumulato nei
secoli. Nessun Paese al mondo potrebbe permettersi di lasciar deperire e di
tenere inattive le straordinarie riserve e risorse che compongono
l'impareggiabile patrimonio culturale ed artistico dell'Italia. Su questo
capitale anzi intendiamo investire, convinti come siamo che questa sia la più
grande risorsa del nostro Paese.
Pochi altri Paesi possono vantare il patrimonio di cultura dell'Italia e la
straordinaria vitalità delle nostre comunità all'estero. Abbiamo dunque il
dovere di valorizzare queste ricchezze.
Intendiamo rilanciare la nostra presenza culturale, diffondere la conoscenza e
l'insegnamento dell'italiano, favorire l'internazionalizzazione delle nostre
università, sostenere la cooperazione in campo scientifico e tecnologico. A
questo scopo, il Governo si impegna a rivedere la legge sulla promozione della
cultura italiana nel mondo. (Applausi dai Gruppi FI, AN, LNP e CCD-CDU:BF).
Con gli italiani che lavorano e vivono in altri Paesi l'Italia ha contratto un
debito antico. La nomina del Ministro per gli italiani nel mondo è una
testimonianza della volontà del Governo di attuare, nel più breve tempo
possibile, la legge sul voto degli italiani all'estero. (Applausi dai Gruppi FI,
AN, LNP e CCD-CDU:BF).
Signor Presidente, signori senatori, mi sono pubblicamente impegnato a
presentare una legge di regolamentazione dei conflitti potenziali di interessi.
La situazione nella quale mi trovo era peraltro ben nota a tutti gli oltre
diciotto milioni di italiani che mi hanno votato. (Applausi dai Gruppi FI, AN,
LNP e CCD-CDU:BF). Intendo, tuttavia, affrontarla con il massimo di oggettività
e di efficacia possibili, ma ribadisco che la mia storia di imprenditore nel
settore delle comunicazioni e la mia coscienza personale non autorizzano alcuno
a sospettare, nella mia azione istituzionale, fini diversi da quelli del bene
comune. (Applausi dai Gruppi FI, AN, LNP e CCD-CDU:BF. Commenti dai Gruppi DS-U,
Mar-DL-U e Verdi-U).
Il mio impegno sarà inderogabilmente mantenuto. (Applausi dai Gruppi FI, AN,
LNP e CCD-CDU:BF. Commenti dai Gruppi DS-U, Mar-DL-U e Verdi-U). Prima della
sospensione estiva dei lavori parlamentari, le Camere avranno a disposizione il
nuovo testo legislativo in materia, nella forma di un disegno di legge del
Governo. (Applausi dai Gruppi FI, AN, LNP e CCD-CDU:BF. Commenti dai Gruppi DS-U,
Mar-DL-U e Verdi-U).
Signor Presidente, signori senatori, ho ripercorso qui sommariamente i punti
salienti del piano di Governo per una legislatura, che abbiamo presentato agli
italiani e articolato nelle cinque grandi missioni per cambiare l'Italia e nelle
cinque strategie per migliorare la vita dei cittadini. Lo richiamo idealmente
nella sua interezza e nella sua originalità di fronte a voi, perché questo
costituirà la guida del nostro agire quotidiano, perché questo costituirà
l'impegno del Governo nella sua collegialità e di ogni Ministro nel settore di
sua competenza.
Per dare concretezza al nostro impegno e per garantire, nell'attuazione del
programma, il rispetto dei tempi che ci siamo assegnati, abbiamo nominato un
Ministro che avrà proprio il compito di sorvegliare, di stimolare e di
incalzare, giorno per giorno, l'attività di tutti noi per la puntuale
esecuzione del contratto con gli italiani. (Commenti e ilarità dai Gruppi DS-U,
Mar-DL-U e Verdi-U. Applausi dai Gruppi FI, AN, LNP e CCD-CDU:BF).
Chi è stato imprenditore sa che cos'è un contratto. Così, in questo modo,
pensiamo di cambiare l'Italia, perché questa è la missione che gli elettori ci
hanno assegnato, per l'Italia del 2010, per l'Italia del nuovo millennio.
Ho già affermato molte volte che il nostro non è un progetto ideologico.
BONAVITA. È un comizio. (Proteste dai Gruppi FI, AN, LNP e CCD-CDU:BF. Commenti
dai Gruppi DS-U, Mar-DL-U e Verdi-U. Richiami del Presidente).
BERLUSCONI, presidente del Consiglio dei ministri. È un piano di Governo, non
è un comizio, e lo realizzeremo, spero anche con il vostro consenso. (Vivi,
prolungati applausi dai Gruppi FI, AN, LNP e CCD-CDU:BF. I senatori dei Gruppi
FI, AN, LNP e CCD-CDU:BF si levano in piedi. Commenti dai Gruppi DS-U, Mar-DL-U
e Verdi-U).
Questo nostro progetto è semplicemente ciò che è indispensabile e urgente
fare per il bene dell'Italia e di tutti gli italiani se vogliamo far crescere il
nostro benessere, la nostra sicurezza, la nostra libertà.
È, certo, una grande sfida; un compito tanto esaltante quanto difficile, ma
dobbiamo provarci. Sento che l'Italia che ho in mente, di cui abbiamo parlato
agli italiani nel corso della campagna elettorale, è quella che gli italiani
vogliono. Per questo ci hanno dato fiducia, affidandoci la responsabilità di
governare. E l'Italia che vogliamo è un Paese nel quale nessuno debba sentirsi
un cittadino minore; un Paese dove nessuno debba sentirsi abbandonato nella
malattia e nella povertà (Applausi dal Gruppo FI); un Paese dove tutti possano
vivere lo Stato e le sue istituzioni come la propria casa e non come un nemico
in agguato; un Paese dove tutti abbiano la possibilità di istruirsi, di
lavorare, di realizzarsi, di dare il meglio di sé; un Paese libero, prospero e
giusto dove per tutti sia possibile tenere aperta la porta alla speranza. Questo
è l'impegno che ho preso, che abbiamo preso, e tutti insieme lavoreremo per
mantenerlo. Sentiamo tutta la responsabilità di questo compito e – siatene
certi – non deluderemo chi ci ha dato fiducia. Mi auguro di cuore che tutti
gli italiani, nessuno escluso, possano sentirsi protagonisti di questo grande
progetto per cambiare l'Italia. (Vivissimi, prolungati applausi dai Gruppi FI,
AN, CCD-CDU:BF e LNP. Molte congratulazioni. I senatori dei Gruppi FI, AN,
CCD-CDU:BF e LNP si levano in piedi. I senatori Malabarba, Malentacchi e Tommaso
Sodano espongono nuovamente cartelli contro il vertice dei G8).