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Corte Suprema di Cassazione, Sezione Prima Civile, sentenza n. 3154/2003 (Presidente: R. De Musis; Relatore: A. Spirito)
Nel respingere l'opposizione proposta da A. S. avverso il provvedimento prefettizio di espulsione del 18 ottobre 2001, il Tribunale di Lamezia Terme, premesso di aver "richiamato il verbale di audizione dello straniero sentito in data 20.10.2001 presso il Centro di permanenza temporanea e assistenza di Lamezia Terme ... ", ha spiegato: che l'appartenenza ad una delle categorie indicate dall' art. 1 della legge n. 1423 del 27 dicembre 1956 (appartenenza che, ai sensi dell'art. 13, secondo comma, lett. C del D.Lgs. n. 286 del 25 luglio 1998 costituisce presupposto dell'espulsione prevista dal Prefetto) non va accertata dall'A.G., bensì dalla stessa P.A., costituendo tale accertamento il presupposto dell'esercizio dei poteri ad essa attribuiti; che tale autonoma valutazione è palesemente fondata sulla condanna penale irrogata e scontata dall'interessato; che, anche se l'espulsione fosse stata fondata sul presupposto di cui alla lettera B del secondo comma dell'art. 13 del citato D.Lgs. (l'essersi trattenuto lo straniero nel territorio dello Stato senza aver richiesto il permesso di soggiorno nel termine prescritto, salvo che il ritardo sia dipeso da forza maggiore, ovvero quando il permesso di soggiorno è stato revocato o annullato, ovvero è scaduto da più di sessanta giorni e non ne è stato chiesto il rinnovo), circostanza comunque esclusa, sarebbero inidonee ai fini probatori le dichiarazioni non provenienti da soggetti che per la loro qualità siano in condizioni di garantire l'obiettività del dichiarato (con particolare riguardo alla determinazione della data di arrivo in Italia ed alla situazione familiare). Avverso il provvedimento del Tribunale di Lamezia Terme l'A. S. propone ora ricorso per cassazione, svolto in cinque motivi. Si difende con controricorso l'Avvocatura Generale dello Stato per la Prefettura di Catanzaro.
Con il quarto motivo viene censurata l'omessa motivazione in ordine alla richiesta di riduzione da cinque a tre anni del periodo di divieto di rientro in Italia.
Il motivo è fondato e va accolto. Il comma nono dell'art. 13 del D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, stabilisce (nel testo precedente alle modifiche apportate dalla legge 30 luglio 2002, n. 189, applicabile alla fattispecie nella qualità di disposizione normativa processuale) che il giudice accoglie o rigetta il ricorso proposto contro il provvedimento prefettizio d'espulsione, decidendo con unico provvedimento adottato, in ogni caso, entro dieci giorni dalla data di deposito del ricorso, "sentito l'interessato, nei modi di cui agli articoli 737 e seguenti del codice di procedura civile". Questa S.C. ha ripetutamente affermato la necessità
che sia sentito l'interessato (tra le varie, cfr. Cass. 16 luglio 2002,
n. 10303; 5 dicembre 2001, n. 15413; 9 novembre 2001, n. 13865; 17
novembre 2000, n. 14902), desumibile sia dalla trascritta disposizione
normativa, sia (dato il carattere indubbiamente contenzioso del
procedimento) dallo stesso principio del contraddittorio che impone
(art. 4 del D. Lgs. 13 aprile 1999, n. 113, che introduce l'art. 13 bis
nel D. Lgs. n. 286 del 1998) la notifica, a cura della cancelleria, del
ricorso e del decreto di fissazione dell'udienza in camera di consiglio
all'autorità emittente. Decreto che, peraltro, va comunicato allo
straniero per ragioni di coerenza con il modello procedimentale
richiamato (gli artt. 737 e segg. c.p.c. impongono l'audizione degli
interessati), nonché per fatto che l'art. 3, comma primo, del D.P.R. 31
agosto 1999, n. 394, dispone che "le comunicazioni dei provvedimenti
dell'autorità giudiziaria relative ai procedimenti giurisdizionali
previsti dal testo unico e dal presente regolamento sono effettuate con
avviso di cancelleria al difensore nominato dallo straniero o a quello
incaricato di ufficio". P.Q.M. Depositata in Cancelleria il 4 marzo 2003 |
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