LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONI UNITE CIVILI
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
(…)
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
(…)
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto notificato il 27/10/1988, A. P., in proprio e quale
genitore della figlia minore A., conveniva davanti al Tribunale
di Napoli il ministero della pubblica istruzione per sentirlo
condannare al risarcimento dei danni conseguenti alle lesioni
riportate, il 17/11/1983, dalla figlia, all’epoca alunna della
prima classe presso la scuola media statale R. Viviani di
Castellamare di Stabia, la quale, durante una lezione di
educazione fisica svoltasi per inclemenza meteorologica in
classe, era scivolata a terra ed aveva riportato la frattura di
due denti incisivi, mentre saltava tra i banchi, rincorrendosi
con altri compagni.
Il Ministero resisteva e, a ciò autorizzato, chiamava in
causa la S.p.a. Riunione Adriatica di Sicurtà, per essere
manlevato.
La S.p.a. R.A.S. si costituiva e contestava la ricostruzione
dei fatti allegata dall’attore, eccependo la natura
accidentale dell’evento.
Il tribunale, con sentenza del 18/3/1995, rigettava la
domanda, ravvisando la natura fortuita del fatto dannoso, e
compensava le spese.
La Corte d’appello di Napoli, con sentenza del 28/10/1997,
rigettava l’appello proposto dal P., al quale aveva resistito
solo la S.p.a. R.A.S.
Considerava la Corte: che la presunzione di responsabilità a
carico dei precettori di cui all’art.
2048, comma 2, c.c., [1] si applica ai soli casi in cui
l’allievo sottoposto a vigilanza abbia cagionato a terzi un
danno ingiusto, e non anche allorquando il danno sia stato
dall’allievo procurato a se stesso; che la dedotta
responsabilità dell’insegnante, e per essa del Ministero
della pubblica istruzione, in quanto riconducibile alla
disciplina dell’art. 2043 c.c. [2]
, avrebbe dovuto essere provata dall’attore in tutti i suoi
elementi costitutivi, e segnatamente con riferimento alla
sussistenza di una condotta colposa, commissiva o omissiva,
ascrivibile all’insegnante, mentre le risultanze istruttorie
non consentivano di ritenere raggiunta tale prova ed indicevano
a ritenere che l’allieva era scivolata mentre si recava dal
suo banco verso la lavagna e che pertanto nessun elemento di
colpa era ravvisabile a carico dell’insegnante, che comunque
non avrebbe potuto evitare l’evento.
Avverso la sentenza il P. ha proposto ricorso per cassazione,
affidato a tre motivi.
Hanno resistito, con distinti controricorsi, il Ministero
della pubblica istruzione e la S.p.a. R.A.S.
La terza sezione della Corte di cassazione, alla quale era
stato assegnato il ricorso, con ordinanza del 4/4/2000, rilevato
che il secondo motivo del ricorso reca censura
all’interpretazione restrittiva data dalla corte d’appello
all’art. 2048, comma 2, e considerato che nella giurisprudenza
della Corte sulla portata della citata disposizione si è
formato un contrasto, atteso che una pronuncia (sent. n.
5268/95) ha ritenuto che la particolare presunzione di
responsabilità, a carico dei precettori, posta dall’art.
2048, comma2, sarebbe operante solo nel caso di danni arrecati
dall’alunno a terzi, mentre altre pronunce, che il Collegio
remittente dichiara di non condividere, hanno sostenuto che
debba essere estesa anche al caso in cui l’alunno resti
danneggiato da atti compiuti da lui medesimo (sentenza n.
260/1972; n. 8390/1995; n. 7454/1997; n. 6213/1998), ha rimesso
gli atti al Primo Presidente per l’eventuale assegnazione alle
Sezioni Unite, ai fini della risoluzione del contrasto.
Il ricorso è stato assegnato alle Sezioni Unite.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo, denunciando violazione e falsa
applicazione degli artt. 324 e 329 c.p.c., concernenti la
formazione del giudicato interno e l’acquiescenza parziale
alla sentenza, nonché omessa e/o insufficiente motivazione su
un punto decisivo della controversia, assume il ricorrente che
la Corte territoriale avrebbe violato il giudicato interno.
Sostiene che il tribunale, accogliendo la tesi dell’attore,
aveva affermato che l’obbligo della vigilanza di cui
all’art. 2048, comma 2, c.c. è posto anche per evitare che
glia alunni provochino danni, oltre che a terzi, anche a se
stessi, e che, non avendo la S.p.a. R.A.S. proposto su tale capo
della sentenza appello incidentale, sul punto si è formato il
giudicato, restando preclusa per la corte d’appello una
diversa lettura della norma.
Il motivo non è fondato.
Il tribunale, pur riconoscendo che la domanda, avente ad
oggetto un’ipotesi di danno autocagionatosi dall’alunno, era
riconducibile nel paradigma dell’art. 2048, comma 2, ha poi
rigettato la domanda, in quanto ha ritenuto che il danno era
dovuto a caso fortuito.
L’appello proposto dall’attore soccombente, recante
adesione alla interpretazione estensiva della norma e volto a
contestare, in tale ambito, il ritenuto raggiungimento della
prova liberatoria, ha quindi sottoposto nella sua integrità la
domanda risarcitoria, fondata sull’art. 2048, comma 2, alla
corte d’appello.
Consegue che la corte territoriale, in virtù del principio
secondo cui spetta al giudice di appello l’individuazione
delle norme giuridiche da applicare al rapporto sostanziale
dedotto in giudizio, ha correttamente proceduto al vaglio della
rispondenza della fattispecie dedotta in giudizio al paradigma
delineato dall’art. 2048, comma 2, norma invocata a sostegno
della pretesa, ed ha ritenuto detta norma inapplicabile, secondo
un’interpretazione difforme da quella fatta propria dal primo
giudice, affermando che la fattispecie doveva essere ricondotta
nell’ambito di applicazione dell’art. 2043 c.c., individuata
quale norma regolatrice del caso concreto.
Con il secondo motivo, denunciando violazione e falsa
applicazione degli artt. 2048, comma 2, e 2043 c.c., nonché
omessa, insufficiente e/o contraddittoria motivazione su punto
decisivo, io ricorrente sostiene che erroneamente la corte
d‘appello ha ritenuto, ponendosi in contrasto con la
prevalente giurisprudenza della S.C., secondo la quale la
presunzione di colpa posta dall’art. 2048, comma 2, a carico
del precettore deve trovare applicazione non solo nel caso di
danni arrecati dall’alunno a terzi, ma anche qualora il danno
sia arrecato dall’alunno a se stesso, che la detta presunzione
non opera nel caso di danno che l’allievo abbia cagionato e se
stesso, e che in tale ipotesi trova applicazione la disciplina
dettata dall’art. 2043.
In subordine assume che la corte territoriale, avendo
ritenuto la fattispecie soggetta alla disciplina dettata
dall’art. 2043 c.c., erroneamente ha poi escluso la
sussistenza della responsabilità, poiché nella specie le
risultanze processuali consentivano invece di ritenere provata
la colpa dell’insegnante per avere omesso di esercitare la
dovuta vigilanza sugli alunni.
La censura principale attiene all’individuazione
dell’ambito di applicazione dell’art. 2048.
La citata disposizione, la cui rubrica reca responsabilità
dei genitori, dei tutori, dei precettori e dei maestri d’arte,
prevede che: il padre e la madre, o il tutore, sono responsabili
del danno cagionato dal fatto illecito dei figli minori non
emancipati o delle persone soggette alla tutela, che abitano con
essi.
I precettori e coloro che insegnano un mestiere o un’arte
sono responsabili del danno cagionato dal fatto illecito dei
loro allievi e apprendisti nel tempo in cui sono sotto la loro
vigilanza.
Le persone indicate dai commi precedenti sono liberate dalla
responsabilità soltanto se provano di non aver potuto impedire
il fatto.
La censura, che colpisce l’interpretazione restrittiva del
comma 2, accolta dalla corte d’appello, nel senso che la
presunzione di responsabilità dei precettori sarebbe operante
solo nel caso di danno cagionato dal fatto illecito
dell’allievo a terzi e non anche nel caso (oggetto della
controversia in esame) in cui l’allievo abbia cagionato il
danno a se stesso, pone una questione sulla quale sussiste
contrasto nella giurisprudenza di questa Suprema Corte.
Il contrasto si pone nei termini che seguono.
L’orientamento contrario alla configurabilità della
presunzione di responsabilità a carico dei precettori per i
danni che l’allievo abbia procurato a se stesso è seguito da
tre sentenze.
L’indirizzo risale alla sentenza n. 2485/1958.
Nella fattispecie un alunno della prima elementare
dell’Istituto Scuola Svizzera di Napoli, mentre tentava di
estrarre il pennino da un’asticciola, restava colpito dal
pennino all’occhio destro, con compromissione della capacità
visiva.
Afferma la sentenza che correttamente la corte d’appello
aveva ritenuto inapplicabile l’art. 2048, comma 2, in quanto
il particolare titolo di responsabilità contemplato dall’art.
2048 trova luogo soltanto allorquando il fatto illecito
dell’incapace cagioni danno ad un terzo, non anche se le
conseguenze lesive ricadono sull’incapace stesso.
Ad eguale conclusione perviene la sentenza n. 5268/1995.
Si trattava del caso di una bambina di cinque anni, che,
mentre si trovava nel giardino di una scuola materna comunale,
si era procurata lesioni rimanendo incastrata sotto il
seggiolino di un’altalena a barre fisse.
La sentenza richiama il precedente del 1958 ed afferma che
l’ambito di operatività della norma in esame è limitato al
caso in cui il minore, capace di intendere a di volere, cagioni
ad altri un danno ingiusto, non, invece, all’ipotesi in cui il
minore procuri a se una lesione; e tale conclusione è
avvalorata dalla circostanza che lo stesso testo legislativo
prevede la prova liberatoria da opporre al terzo danneggiato e
non, invece, al minore che si sia autocagionato un pregiudizio.
È ascrivibile all’indirizzo in esame anche la sentenza n.
2110/74, concernente il caso di un convittore del Seminario
Vescovile di Pozzuoli, il quale, per andare a riprendere il
pallone caduto nel giardino finitimo, era stato costretto a
scava1care un cancello, essendosi impigliato con la sottana in
una delle lance di ferro della cancellata, aveva. perduto
l'equilibrio ed era precipitato a terra riportando la frattura
del braccio sinistro.
La sentenza, nel respingere la censura rivolta alla sentenza
della corte territoriale di aver ritenuto inapplicabile l'art.
2048, comma 2, e di aver ravvisato una ipotesi di
responsabilità contrattuale soggetta alla prescrizione
decennale, così argomenta: "Il S.C. rileva l'insussistenza
della denunciata violazione dell'art. 2048, che prevede, tra
l.'altro, la responsabilità dei precettori per il danno
cagionato a terzi dal fatto illecito dei loro allievi, laddove,
nel caso in esame, ricorre l'ipotesi di un danno risentito dallo
stesso minore, a causa dell'inottemperanza, da parte dei
dirigenti del seminario, al dovere di vigilanza sulla condotta
degli allievi; se a tale obbligo si fosse adempiuto, non sarebbe
stato possibile al minore di eseguire la spericolata scalata ad
un cancelli, con la conseguente caduta."
6. Il contrapposto orientamento, favorevole ad una
interpretazione estensiva della presunzione di responsabilità
sancita dall'art. 2048, comma 2, è accolto da quattro sentenze.
6.1 In tal senso sembra esprimersi, per la prima volta, la
sentenza delle Sezioni unite n. 260/1972, nella quale si afferma
che; "L'obbligo della vigilanza è
specificamente imposto ai maestri dall'art.350 del regolamento
generale sui servizi dell'istruzione elementare approvato con
r.d. 26.4.1928 n. 1297, norma ad ambito molto esteso, e la
vigilanza stessa è diretta ad impedire non soltanto che gli
alunni compiano atti dannosi a terzi (loro coetanei o meno), ma
che restino danneggiati da atti compiuti da essi medesimi (ad
esempio: giochi pericolosi), da loro coetanei, da altre persone
ovvero ancora da fatti non umani"
Va tuttavia rilevato che la fattispecie all'esame della corte
riguardava il caso di uno scolaro di sette anni della seconda
elementare di una scuola pubblica, il quale, dopo essere uscito
dall'aula con il permesso della maestra per recarsi al gabinetto
sito in un cortile esterno, era stato colpito ad un occhio da un
sasso lanciatogli da altro scolaro coetaneo. Non si trattava
quindi di una ipotesi di danno procurato a se stesso
dall'allievo, ma di danno cagionato all'allievo dal fatto
illecito di un altro allievo, sicché la suenunciata
affermazione non riguardava la materia del contendere1
E' utile precisare, inoltre, che la questione
all'esame del S.C. concerneva non già l'estensione o
meno della presunzione di responsabilità di cui all'art. 2048,
comma2, anche al caso dell'autodanneggiamento, ma il diverso
problema della applicabilità della detta norma agli insegnanti
della scuola elementare pubblica, poichè il ricorrente
Ministero sosteneva che detti insegnanti, avendo so1tanto il
compito di istruire e non anche quello di educare gli allievi,
non potevano essere qualificati come "precettori"
tenuti all'obbligo della vigilanza. Tesi. che la sentenza
disattende, rilevando che nella scuola all'obbligo di
insegnamento si accompagna. quello di impartire gli opportuni
principi educativi, e ponendo in risalto che l'obbligo di
vigilanza per gli insegnanti elementari è espressamente imposto
dal citato art. 350
del regolamento del 1928.
6.2. La successiva sentenza n. 8390/95 ritiene espressamente
configurabile la presunzione di responsabilità dell'insegnante
ai sensi dell'art. 2048, comma2, anche in caso di danno che
l'allievo abbia cagionato a se stesso.
Il caso riguardava le lesioni (trauma cranico) riportate da
una alunna della scuola elementare statale
a seguito di un urto con un compagno, rimasto ignoto.
La corte d'appello, rilevato che l'istruttoria svoltanon
aveva consentito di accertare se fosse stata l'alunna ad urtare
contro un compagno, ovvero se l'urto le fosse stato inferto da
altro alunno, aveva ritenuto inapplicabile l'art. 2046, comma 2,
affermando che sarebbe stato necessario dimostrare che il danno
era stato cagionato dal fatto illecito di altro alunno, dato che
la norma non contempla la responsabilità dei maestri per il
danno che l'allievo si è procurato da sé medesimo.
La S.C. ha ritenuto errato in diritto tale principio ed ha
cassato la sentenza affermando il diverso principio secondo cui,
quando si tratta di allievo minore, la presunzione di colpa
"può riguardare anche il danno che lo stesso allievo ha
procurato a sé stesso con la sua condotta, in quanto l'obbligo
di vigilanza dell'insegnante è posto anche a tutela dei minori
a lui affidati, ferma restando sempre la dimostrazione di non
aver potuto impedire il fatto".
Principio che, precisa la sentenza (nella quale non risultano
peraltro menzionati i precedenti contrari n. 2465/56, n. 2110/74
e n. 5266/95), è stato gia enunciato dalla sentenza n.
260/1972, sopra riportata.
6.3. Le sole sentenze n. 260[72 e n. 6390/95 sono richiamate
dalle sezioni unite, nella sentenza n 8390/95, per affermare che
"la Corte di cassazione ha più volte deciso con
riferimento all'ipotesi di responsabilità sancita dall'art.
2248, che la colpa può riguardare il danno procurato
dall'allievo a sé stesso con la sua condotta, perché l'obbligo
di vigilanza dell'insegnante è imposto anche a tutela
degli allievi a lui affidati".
Va tuttavia rilevato che le S.U. non erano state chiamate a
pronunciarsi, in sede di componimento di contrasto (della cui
esistenza non fanno menzione), sulla portata della disposizione,
bensì a decidere su una questione di giurisdizione, e che il
richiamo ai suindicati precedenti è argomentativo della tesi
(estensiva) accolta dalla sentenza circa 1' individuazione
dell'ambito dì applicazione dell'art.
61 della legge 11.7.1980 n. 312 [3] (disposizione che
prevede, nel comma 1, che: "La responsabilità
patrimoniale del personale direttivo, docente, educativo e non
docente della scuola materna, elementare, secondaria ed
artistica dello Stato e delle istituzioni educative statali per
danni arreca ti direttamente all 'Amministrazione in connessione
a comportamenti degli alunni è limitata ai soli casi di dolo o
colpa grave nell'esercizio della vigilanza sugli alunni
stessi"; e stabilisce inoltre, nel comma 2, che: "La
limitazione di cui al comma precedente si applica anchealla
responsabilità del predetto personale verso l'Amministrazione
che risarcisca il terzo dei danni subiti per il comportamento
degli alunni sottoposti alla vigilanza. Salvo rivalsa nei casi
di dolo o colpa grave, l'Amministrazione si surroga al personale
medesimo nelle responsabilità civili derivanti da azioni
giudiziarie promosse da terzi.).
Nella specie veniva in particolare in considerazione la
disciplina di cui all'art. 61, comma 2, seconda parte,
concernente la "surroga" dell'Amministrazione, in
relazione ad una controversia avente ad oggetto l'azione di
risarcimento danni promossa dal padre di uno studente di un
Istituto tecnico statale, che aveva riportato lesioni
nell'eseguire un esercizio ginnico (salto acrobatico), sia
contro l'insegnante di educazione fisica che contro il
Ministero.
Stabilito che la giurisdizione spettava al giudice ordinario,
e non alla Corte dei conti (questione che aveva determinato
l'assegnazione del ricorso alle Sezioni unite), la sentenza
(vigendo all'epoca un orientamento delle Sezioni unite che non
dava piena applicazione all'art. 142 disp. att. c.p.c. ha
esaminato anche 1'ulteriore motivo del ricorso proposto
dall'insegnante di educazione fisica, volto a sostenere il suo
difetto dì legittimazione passiva, in virtù del citato art 6,
comma 2, seconda parte. E tale motivo ha accolto.
Ha premesso la sentenza che all'art. 61 nel suo complesso va
attribuita la funzione di norma volta a limitare la
responsabilità troppo gravosa del personale scolastico statale,
conseguente alla ritenuta applicabilità a tale personale, per
costante giurisprudenza, della presunzione di responsabilità di
cui all'art. 2048, comma 2, ed ha affermato che, in virtù della
limitazione ai casi di dolo e colpa grave della responsabilità
degli insegnanti, disposta dall'art. 61, comma 2, prima parte,
è stata eliminata la presunzione sancita dall'art. 2048, comma
2, ponendosi a carico del danneggiato l'onere della prova
dell'elemento soggettivo della condotta illecita.
Ha conclusivamente statuito la sentenza, pronunciando sulla
questione processuale oggetto del motivo, che con l'art. 61,
comma 2, seconda parte, è stata soppressa la legittimazione
passiva degli insegnanti, stabilendosi che, nei confronti dei
terzi danneggiati, debba rispondere
in via diretta, soltanto l'Amministrazione, con conseguente
esclusione della legittimazione passiva dell'insegnante
(principio già enunciato dalla sent. n. 2463/95).. Ed ha
altresì precisato che tale esclusione deve ritenersi operante,
ondeevitare una disparità ingiustificata di trattamento in
relazione ad eventi dannosi imputabili alla violazione di un
identico obbligo di vigilanza, anche nel caso (ricorrente nella
specie) di azioni di responsabilità promosse per danni subiti
dagli alunni a causa di atti da loro stessi compiuti.
Le conclusioni alle quali è pervenuta la sentenza in esame
in punto di legittimazione passiva nelle suindicate controversie
sono pienamente condivise da queste Sezioni unite (anche se per
ragioni diverse, che saranno più avanti enunciate), ma, ai fini
della composizione del contrasto nell'amito di applicazione
dell'art.2048, comma 2, giova ribadire che la sentenza non
aggiunge nulla sul piano argomentativo alle decisioni n. 260/72
e n 8390/95 in essa citate.
6.4. Si inserisce nel filone che privilegia l'interpretazione
estensiva anche la sentenza n
6331/98.
Il caso riguardava un alunno di una scuola elementare statale
che, durante la ricreazione pomeridiana, era stato
"sgambettato", in assenza dell'insegnante, da un
compagno ed era caduto riportando la rottura dei denti incisivi
superiori (non si trattava, quindi, di un danno autoprocuratosi
dall'alunno).
La sentenza ritiene applicabile. l'art. 2048, comma 2, con le
conseguenti agevolazioni sul piano probatorio, ravvisando la
fonte della responsabilità nell'obbligo di sorveglianza,
funzionale alla conservazione della disciplina nella popolazione
scolastica e, in tale ambito, all'impedimento di atti causativi
di danno (sent. n. 894/77), ed afferma, sulla scorta dei
precedenti costituiti dalle sentenze n. 260/72 e n. 8390/95, che
il menzionato obbligo mira ad impedire non soltanto che
l'allievo compia atti dannosi a terzi, siano o meno coetanei ed
estranei all'ambito scolastico, ma che resti danneggiato da atti
compiuti da esso medesimo.
E' utile rilevare che la sentenza afferma anche che, in
virtù dell'art. 61, comma 2, seconda parte, della legge 132 del
1980, la legittimazione passiva spetta esclusivamente
all'Amministrazione (come già statuito dalle S.U. con la
sentenza n. 7454/97).
7. Ad avviso di queste Sezioni unite merita adesione
l'orientamento contrario alla configurabilità della presunzione
di responsabilità posta dall'art. 2048, comma 2, a carico dei
precettori per i danni che l'allievo abbia procurato a se
stesso.
7.1. Va anzitutto rilevato che si tratta in effetti
dell'indirizzo prevalente, in forza di un principio
esplicitamente enunciato dalle tre sentenze n. 2465/58,
n.2110 e n.5268/95.
Per converso, appare in definitiva minoritaria l'opposta tesi
favorevole all'estensione dell'ambito di applicazione della
presunzione anche al caso di danno autoprocuratosi dall'allievo,
poiché la sentenza n. 260/72, alla quale si sono
successivamente riferite, dichiarando dì prestarvi adesione
quale autorevole precedente, le sentenze n. 8390 e n. 7454,
aveva esaminato, come si e avuto modo di notare (sub n.6.1)
non gia la questione dell'estensione o meno della presunzione
responsabilità di cui all'art. 2048, comma 2, anche al
caso dell'autodanneggiamento, ma il diverso problema della
applicabilità della detta norma agli insegnanti della scuola
elementare pubblica, e per di più è stata resa con riferimento
ad una fattispecie nella quale il danno era stato arrecato da un
alunno ad altro alunno, e non può essere considerata quindi
come prima espressione dell'orientamento estensivo. Mentre la
sentenza n. 6331/98, come gia rilevato (sub n.
6.4.), non concerne una ipotesi di autodanneggiamento, sicché
in essa l'enunciazione del principio costituisce un obiter
dictum
7.2. Ma, a parte tale considerazione, a sostegno
dell'indirizzo restrittivo militano vari argomenti, non
contrastati dalle sentenze che sono giunte a diverse
conclusioni.
7.2.1. E' utile tenere conto della disciplina dettata dal
precedente art. 2047, concernente il "Danno cagionato
dall'incapace" (disposizione che prevede, nel comma 1,
che: "In caso di dano cagionato da persona incapace di
intendere o di volere il risarcimento è dovuto da chi è
tenuto alla sorveglianza dell'incapace, salvo che provi di non
aver potuto impedire il fatto."; e stabilisce nel comma
2, che: "Nel caso in cui il danneggiato non abbia potuto
ottenere il risarcimento da chi è tenuto alla
sorveglianza, il giudice, in considerazione delle condizioni
economiche delle parti, può condannare l'autore del danno ad
una equa indennità.") .
La norma pone, nel comma 1, una presunzione di
responsabilità a carico del sorvegliante per i danni cagionati
dal soggetto sottoposto alla sorveglianza suscettiva dì essere
superata soltanto dalla prova "di non aver potuto
impedire il fatto", del tutto analoga a quella sancita
dall'art. 2048.
La giurisprudenza, nell'unica occasione in cui ha avuto modo
di pronunciarsi su di essa, ha affermato (con la sentenza n.
2012/67) che la detta presunzione è stabilita nei confronti di
coloro che sono tenuti alla sorveglianza degli incapaci, i quali
cagionino
danni, e non trova, quindi, app1ica~ione nell'ipotesi inversa
di incapaci i quali siano i soggetti passivi dell'evento di
dannoso.
Ora, per pacifica giurisprudenza, le norme dettate dagli artt.
2047 e 2049 si differenziano soltanto in relazione all'esistenza
o meno della capacità di intendere o di volere del minore. Si
afferma infatti che la responsabilità del sorvegliante per il
danno cagionato dal fatto illecito del minore trova fondamento,
a seconda che il minore sia o meno capace di intendere o di
volere al momento del fatto, rispettivamente dall'arte 2048, in
relazione ad una presunzione iuris tantum di difetto di
educazione o di vigilanza, ovvero nell'art 2047, in relazione ad
una presunzione iuris tantum di difetto di sorveglianza e
di vigilanza: le due indicate ipotesi di responsabilità
presunta, pertanto sono alternative e non concorrenti tra loro,
in dipendenza dell'accertamento, in concreto dell'esistenza di
quella capacità (sent. n. 2606/97).
Può quindi affermarsi che anche la sentenza n. 2012/67 va
annoverata tra quelle che limitano la presunzione di
responsabilità del soggetto tenuto alla vigilanza al solo caso
del danno arrecato dal soggetto sottoposto alla vigilanza ad un
terzo. L'indirizzo riceve pertanto ulteriore conforto.
7.2.2 Va altresì rilevato, sul piano dell'interpretazione
letterale
che l'art. 2049, comma 2, si riferisce espressamente
al danno cagionato dal fatto illecito dell'allievo,
presupponendo quindi un fatto obbiettivamente antigiuridico
(così la sentenza n.2485/58), lesivo di un terzo.
Ed allora, poichè non può ritenersi fatto illecito,
obbiettivamente antigiuridico, la condotta dell'allievo che
procuri danno, non già ad un terzo, ma a sè stesso (come e
avvenuto nei casi considerati dalle sentenze n. 2485/58, n.
2110/74 e n. 5268/95), questa ipotesi deve restare fuori
dall'area dell'art. 2048, comma 2.
7.2.3. L'indirizzo restrittivo trova inoltre sostegno nella
autorevole opinione espressa in dottrina, alla quale il Collegio
aderisce, secondo cui, nella ricostruzione della disciplina
della responsabilità aquiliana, l'art. 2048 è concepito come
norma di "propagazione" della responsabilità, in
quanto, presumendo una culpa in educando o in
vigilando chiama a rispondere genitori, tutori,
precettori e maestri d'arte per il fatto illecito cagionato dal
minore a terzi. la responsabilità civile nasce come
responsabilità del minore verso i terzi e si estende ai
genitori, tutori, precettori e maestri d'arte.
E giova osservare che nel senso che la norma in esame
sia dettata a protezione dei terzi, esposti al rischio dì un
danno conseguente all'agire dei minori, è orientata la
prevalente dottrina.
7.2.4. In conclusione, componendo il contrasto, deve
escludersi che sia invocabile la presunzione di responsabilità
posta dall'art. 2048, comma 2, nei confronti dei precettori, al
fine di ottenere il risarcimento dei danni che l'allievo abbia
procurato a sé stesso.
Il contrario assunto postula infatti una radicale alterazione
della struttura della norma, che delinea una ipotesi di
responsabilità per fatto altrui, in quanto il precettore
risponde verso il terzo danneggiato per il fatto illecito
compiuto dall'allievo in danno del terzo, per non averlo
impedito in ragione di una presunzione di culpa in vigilando,
laddove nel caso di autolesione il precettore sarebbe
ritenuto direttamente responsabile verso l'alunno per un fatto
illecito proprio, consistente nel non aver impedito, violando
l'obbligo di vigilanza, che venisse compiuta la condotta
autolesiva.
7.2.5. Per completezza d'esame (la questione non ha infatti
formato oggetto del presente giudizio nelle fasi di merito) è
utile precisare che, nel caso di danno arrecato dall'allievo a
sé stesso, appare più corretto ricondurre la
responsabilità dell'istituto scolastico e dell'insegnante non
gia nell'ambito della responsabilità extracontrattuale, con
conseguente onere per il danneggiato di fornire la prova di
tutti gli elementi costitutivi del fatto illecito di cui
all'art. 2043 c.c., bensì nell'ambito della responsabilità
contrattuale, con conseguente applicazione del regime probatorio
desumibile dall'art. 1218 c.c.
Quanto all'istituto scolastico, l'accoglimento della domanda
di iscrizione e la conseguente ammissione dell'allievo determina
infatti l'instaurazione di un vincolo negoziale, in virtù del
quale, nell'ambito delle obbligazioni assunte dall'istituto,
deve ritenersi sicuramente inclusa quella di vigilare anche
sulla sicurezza e l'incolumità dell'allievo nel tempo in cui
fruisce della prestazione scolastica in tutte le sue
espressioni, anche al fine di evitare che l'allievo procuri
danno a sé stesso (in tal senso, espressamente, v sent.
n.2485/58 e n. 2110/74, entrambe relative ad istituti privati,
ma il principio è da ritenere operante anche in relazione alla
scuola pubblica).
Quanto al precettore dipendente dall'istituto scolastico,
osta alla configurabilità di una responsabilità
extracontrattuale il rilievo che tra precettore ed allievo si
instaura pur sempre, per contratto sociale, un rapporto
giuridico, nell'ambito del quale il precettore assume, nel
quadro del complessivo obbligo di istruire ed educare, anche uno
specifico obbligo di protezione e di vigilanza, onde evitare che
l'allievo si procuri da solo un danno alla persona.
Circa l'onere probatorio, nelle controversie
instaurate per il risarcimento del danno da autolesione nei
confronti dell'istituto scolastico e dell'insegnante, l'attore
dovrà quindi soltanto provare che il danno si è verificato nel
corso dello svolgimento del rapporto mentre sarà onere dei
convenuti dimostrare che l'evento dannoso è stato determinato
da causa a loro non imputabile.
7.2.6. Ulteriore precisazione merita di essere fornita, a
miglior chiarimento delle considerazioni svolte in relazione
alla sentenza n. 7454/97 (sub n. 6.3.), per quanto
concerne gli insegnanti di scuole statali, in riferimento all'
applicazione della disciplina speciale dettata dall'art. 61
della legge n. 312 del 1980.
Non rileva, a fini in esame, il comma 1, concernente la
responsabilità patrimoniale dell'insegnante (e degli altri
soggetti ivi indicati) per i danni che gli alunni abbiano
arrecato direttamente all'Amministrazione (danneggiando
strutture, materiale o arredi).
Va invece preso in esame il comma 2, prima parte, per
rilevare che tale norma prevede la limitazione della
responsabilità del personale ai soli casi di dolo o colpa grave
"verso l'Amministrazione che risarcisca il terzo dei
danni subiti per comportamento degli alunni sottoposti alla
vigilanza", e va quindi intesa, con stretta aderenza
alla lettera della norma, nel senso che il limite è fissato
"verso l'Amministrazione" e non verso i
terzi. Si tratta, quindi, di un limite destinato ad operare
nell'ambito dell'eventuale giudizio dì rivalsa che
l'Amministrazione intraprenda contro l'insegnante davanti alla
Corte dei conti, dopo aver subito una condanna a favore del
terzo danneggiato.
Non può pertanto condividersi la tesi secondo cui la norma
ora richiamata, ponendo la menzionata limitazione, avrebbe
escluso l'applicabilità della presunzione di responsabilità ex
art. 2048, comma 2, anche nelle controversie di risarcimento
danni per culpa in vigilando promosse da terzi nei
confronti degli insegnanti statali (così la sent.
n.7454/97), ed addirittura anche nei confronti
dell'Amministrazione (così la sent. n 2463/95)
Per quanto concerne l'Amministrazione, è sufficiente notare
che il citato art. 61 era ispirato da
Esigenze di tutela verso il personale scolastico, e non già
verso 1'Amministrazione, per cui eccede manifestamente le
finalità della norma volgerla a tutela di quest'ultima,
esentandola, senza plausibile ragione, dalla presunzione di cui
all'art. 2048, comma 2 (nei
limiti in cui è operante), nei giudizi di responsabilità
connessa all'attività di vigilanza sugli alunni promossi da
terzi danneggiati, così determinando un ingiustificato
aggravio, sul piano probatorio, della posizione processuale del
danneggiato.
Quanto agli insegnanti, la sottrazione degli insegnanti
statali alle conseguenze, ritenute troppo gravose della
affermata applicabilità nei loro confronti (per costante
giurisprudenza) della presunzione di cui all'art. 2048, comma 2
(nei limiti in cui è operante), nei giudizi di danno per culpa
in vigilando, è realizzata con la legge n. 312 del 1980 non
già sul piano sostanziale, incidendo sull'operatività
dell'art. 2048, comma 2, nei detti giudizi, perché una siffatta
volontà non emerge dal tenore dell'art. 61, comma 2, prima
parte, che riguarda solo il giudizio di rivalsa tra
Amministrazione ed insegnante, bensì esclusivamente sul piano
processuale stabilendo, nel comma 2, seconda parte, che "salvo
rivalsa nei casi di dolo o colpa grave, l'Amministrazione si
surroga al personale medesimo nelle responsabi1ità
civili derivanti da azioni giudiziarie promosse da terzi".
Quest'ultima norma, secondo la concorde opinione della
dottrina e della giurisprudenza (sent. n. 2463/95; n. 7454/97;
n. 6331/98), esclude infatti in radice la possibilità che gli
insegnanti statali siano direttamente convenuti da terzi nelle
azioni di risarcimento danni da culpa in vigilando (in
tal senso si è pronunciata anche la Corte costituzionale, con
la sentenza n. 64/92, che ha escluso che tale privilegio
processuale sia in contrasto con l'art. 26 Cost.).
La tutela opera quindi sul piano strettamente processuale,
mediante l'esonero dell'insegnante statale dal peso del
processo, nel quale unico legittimato passivo è il Ministero
della pubblica istruzione. E poiché la norma in esame non pone
distinzioni circa il titolo, contrattuale o extracontrattuale
(nei sensi precisati sub n. 7.2.5.), dell'azione
risarcitoria vanno condivise (anche se con le diverse
argomentazioni suesposte) le conclusioni alle quali è pervenuta
la sentenza n. 7454/95, ribadendo che la legittimazione passiva
dell'insegnante è esclusa non solo nel caso di azione per danni
arrecati da un alunno ad altro alunno (nella quale sia invocata,
nell'ambito di una azione di responsabilità extracontrattuale,
la presunzione di cui all'art. 2048, comma 2), ma anche
all'ipotesi di danni arrecati dall'allievo a sé stesso (ipotesi
da far valere, per quanto sopra osservato, secondo i
principi della responsabilità contrattuale ex art. 1219).
In entrambi i casi, qualora l'Amministrazione sia condannata
a risarcire il danno al terzo (ed è tale rispetto al successivo
rapporto di rivalsa tra Amministrazione ed insegnante anche
l'alunno che sì sia autodanneggiato), l'insegnante sarà
successivamente obbligato in via di riva1sa soltanto nel caso in
cui sia dimostrata la sussistenza del dolo o della colpa grave
Il diverso titolo di imputazione della responsabilità posto
a fondamento dell'azione risarcitoria contro l'Amministrazione
rileverà, ovviamente, sull' incidenza e la portata dell'onere
probatorio, operando, nei confronti dell'Amministrazione, unico
soggetto passivamente 1egittimato, la presunzione di
responsabilità di cui all'art. 2048, comma 2, solo nell'ambito
e nei limiti sopra precisati.
8. In conclusione, poiché la sentenza della corte
territoriale è conforme all'indirizzo che queste Sezioni unite
hanno accolto componendo il contrasto (sub n. 7.2.4.), il
secondo motivo, nella parte in cui è volto a sostenere
l'applicabilità della presunzione di cui all'art. 2048, comma
2, risulta infondato.
9. E del pari infondata è la censura rivolta con il medesimo
motivo, in via subordinata, alla valutazione delle
risultanze istruttorie, ed in particolare della prova
testimoniale, compiuta dalla corte d'appello al fine di ritenere
non soddisfatto l'onere probatorio gravante sull' attore.
10. La corte d'appello, coerentemente all'individuazione
dell'incidenza dell'onere probatorio secondo il paradigma
dell'art. 2043 (individuazione che nel giudizio in esame resta
ferma, poiché il ricorrente ha affidato, senza esito positivo,
la sua doglianza sul punto esclusivamente alla tesi
dell'operatività della presunzione ai sensi dell'art. 2046,
comma 2, anche nel caso di autodanneggiamento), ha rilevato che
gravava sull'attore 1' onere di provare la sussistenza di una
condotta colposa, commissiva o omissiva, ascrivibile alla
docente.
Ed avendo ritenuto, con incensurabile apprezzamento, che la
dichiarazione, conforme all'assunto dell'attore, resa dall'unica
teste, compagna di scuola dell'infortunata, era poco credibile,
in considerazione della poca affidabilità del ricordo di fatti
risalenti nel tempo (circa otto anni ~rima della deposizione) e,
per di più, percepiti quando la teste era poco più che una
bambina, ha conseguentemente concluso che, venuta meno l'unica
prova offerta dall'attore, la domanda doveva essere rigettata.
11. Con il terzo motivo è denunciata violazione e falsa
applicazione dell'art. 2735 c.c., concernente la confessione
giudiziale e dell'art. 116 c.p.c., concernente la valutazione
delle prove, nonché omessa, insufficiente e/o contraddittoria
motivazione su punti decisivi.
Sostiene il ricorrente che erroneamente la corte d'appello ha
attribuito valore di confessione alla denuncia di sinistro
inoltrata alla R.A.S. dal preside della scuola media e
sottoscritta dal padre dell' alunna.
12. Il motivo è inammissibile.
La censura non riguarda un punto decisivo. Come già
rilevato, la ravvisata inattendibilità dell'unica prova
testimoniale raccolta è di per sé sufficiente a sorreggere il
rigetto della domanda, per totale carenza di prova. Risulta
quindi non determinante, nell'economia della decisione,
l'ulteriore riferimento alla denuncia di sinistro a suo tempo
inoltrata alla R.A.S. dal preside della scuola media, e
sottoscritta anche dal padre dell'alunna, nella quale si
riferiva che l'alunna, mentre si recava dal suo banco verso la
lavagna, era scivolata riportando lesioni.
13. In conclusione il ricorso è rigettato.
14. Sussistono giusti motivi per compensare tra le parti le
spese del giudizio di cassazione.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e compensa le spese.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio delle Sezioni
unite civili della Corte di cassazione, il giorno 8.2.2002.
(Firme)
Depositata in Segreteria
oggi, li 27 giugno 2002