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Reg. Tribunale Lecce n. 662 del 01.07.1997
Direttore responsabile: Dario Cillo


 

Sentenza n. 10150/96
(depositata in Cancelleria il 20 novembre 1996)

La Corte Suprema di Cassazione, Sezione I civile, composta dagli Ill.mi Sigg. Magistrati:

Dott. Mario Corda – Presidente,
Dott. Giancarlo Bibolini – Consigliere,
Dott. Antonio Catalano – Consigliere,
Dott. Giuseppe Salmè – Consigliere Relatore,
Dott. Luigi Macioce, Consigliere,

ha pronunciato la seguente sentenza sul ricorso proposto

da

Istituto medico psico-pedagogico e Casa di Riposo "Costante Gris", elettivamente domiciliato in Roma, Via Alessandria 130, presso lo studio dell’avv. Vitaliano Lorenzoni che lo rappresenta e difende per procura a margine del ricorso, unitamente all’avv. Alberto Borella, ricorrente

contro

Amministrazione provinciale di Roma, in persona del legale rappresentante pro tempore, selettivamente domiciliata in Roma, Via Quattro Novembre 119/A, presso l’Avvocatura della Provincia, rappresentata e difesa dagli avv.ti Antonio Fancellu e Anna Pia Marcotullio, per procura in calce al controricorso, controricorrenti

avverso

la sentenza n. 834 della Corte d’appello d Roma del 29 marzo 1994.

Sentita la relazione della causa svolta alla pubblica udienza del 16 gennaio 1996 dal consigliere relatore dott. Giuseppe Salmè;

sentiti i difensori, avv. Loria per il ricorrente, che ha chiesto l’accoglimento del ricorso e l’avv. Fancellu per la resistente, che ha chiesto il rigetto del ricorso;

sentito il p.m., in persona del sost. proc. gen. dott. Giovanni Lo Cascio che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.

 

Svolgimento del processo

Con atto di citazione del 1° settembre 1986 l’Istituto medico psico-pedagogico Costante Gris ha chiesto la condanna della Provincia di Roma al pagamento, ex art. 6 della legge n. 36 del 1904, della somma di L. 153.367.330 per rette di degenza di M.W.S., minorato psichico nato a Roma, a decorrere dal 1971. La Provincia ha eccepito il difetto di giurisdizione e la mancanza di legittimazione passiva. Il Tribunale di Roma, con sentenza 21 novembre 1990, respingendo l’eccezione di giurisdizione, ha rigettato la domanda.

La decisione è stata confermata dalla corte d’appello di Roma la quale ha rilevato che, con la legge 118 del 1971 l’assistenza dagli invalidi civili, categoria nella quale sono compresi i minorati psichici, è stata posta a carico del Ministero della sanità e, con la legge 833 del 1978, è stata trasferita alle USL. L’obbligo del Ministero, ha inoltre osservato la Corte territoriale, non è subordinato al preventivo convenzionamento con gli istituti assistenziali, mentre quello delle USL è condizionato ala rilievo sanitario dell'attività assistenziale. Poiché dagli atti risultava che l’assistito era stato costantemente sottoposto a trattamento sanitario, con la somministrazione di farmaci diretti a controllare le crisi di aggressività, e che doveva escludersi la possibilità remota di recupero sociale, onde la necessità del trattamento sanitario doveva ritenersi permanente, la Corte ha concluso affermando che l’obbligo di pagare la retta gravava sul Ministero della sanità dal 1971 al 1978 e sulla USL competente per territorio, a decorrere dal 1978.

Avverso la sentenza della Corte d’appello di Roma ricorre per cassazione l’Istituto medico psico-pedagogico Costante Gris, sulla base di un unico motivo illustrato con memoria. Resiste con controricorso la Provincia di Roma.

 

Motivi della decisione

Il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione delle leggi n. 118 del 1971 e n. 833 del 1978, dell’art. 72 del r.d. n. 36 del 1904 e omesso esame del d.p.c.m. 8 agosto 1985.

Poiché la sentenza impugnata riconosce che il trattamento sanitario praticato all’assistito di cui si tratta non comporta alcuna possibilità di recupero sociale dell’infermo, sostiene il ricorrente, mancherebbero i presupposti per imputare alla USL l’onere economico della degenza.

Infatti, ai sensi dell’art. 6 del d.p.c.m. 8 agosto 1985, sono attività socio-assistenziali di rilievo sanitario, rientranti nella competenza delle USL, le prestazioni dirette "alla cura e al recupero fisico-psichico dei malati mentali, ai sensi dell’art. 64 della legge 23 dicembre 1978, n. 833, purché le predette prestazioni siano integrate con quelle dei servizi psichiatrici territoriali". Nella specie mancherebbero i requisiti della possibilità di recupero e della integrazione delle prestazioni a favore dell’assistito con quelle dei servizi psichiatrici territoriali. L’attività del ricorrente sarebbe in realtà diretta soltanto alla cura e sorveglianza dell’infermo e per tale motivo esulerebbe dalle competenze delle USL.

Né potrebbe sussistere la competenza del Ministero della sanità per il periodo anteriore al 1978, in quanto non erano state avviate le procedure previste dagli artt. 6 e 7 della legge 118 del 1971, al cui perfezionamento la legge stessa subordina l’assunzione degli oneri economici dell’assistenza psichiatrica da parte del predetto ministero.

Il ricorso non è fondato.

Iniziando l’esame dall’ultimo profilo, relativo alla legittimazione del Ministero della sanità, per il periodo 1971/1978, non ha pregio la tesi secondo la quale l’assunzione degli oneri economici dell’assistenza psichiatrica da parte di detta amministrazione sia subordinata al positivo accertamento delle condizioni di minorazione da parte delle apposite commissioni sanitarie provinciali, ai sensi dell’art. 6 della legge 118/71. Infatti detta legge, dopo aver disciplinato negli artt. da 3 a 5 le modalità di erogazione dell’assistenza sanitaria agli invalidi civili (categoria nella quale pacificamente, ai sensi del 2° comma dell’art. 2, rientrano i soggetti affetti da patologie psichiatriche, che comportino la riduzione permanente della capacità lavorativa non inferiore ad un terzo), al successivo art. 6 dispone che "ai fini dei benefici previsti dalla presente legge" l’accertamento delle condizioni di minorazione deve essere effettuato dalle competenti commissioni provinciali. Tali benefici sono quelli disciplinati dagli artt. 12 e seguenti e cioè le pensioni e gli assegni di inabilità, gli assegni di accompagnamento, le indennità di frequenza ai corsi di addestramento, qualificazione e riqualificazione professionale, i congedi straordinari per cure, il trasporto scolastico, l’esenzione dalle tasse scolastiche e universitarie. La legge non prevede invece alcun accertamento della condizione di invalidità per l’erogazione dell’assistenza in genere di cui all’art. 3. Né tale assistenza è solo quella di natura sanitaria, perché l’ultimo comma della citata disposizione prevede espressamente che l’assistenza sia erogata mediante convenzioni con centri medico-sociali che siano in grado di offrire adeguate prestazioni educative, medico-psicologiche e di servizio sociale.

Quanto alla legittimazione delle USL, per il periodo successivo al 1978, il dato rilevante per la soluzione della controversia non è costituito, come pretenderebbe il ricorrente, dal solo decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 8 agosto 1985, che, tra l’altro non ha valore normativo, avendo (come risulta dalla intestazione e dal preambolo) esclusivamente una funzione (amministrativa) di indirizzo e coordinamento delle attività amministrative regionali e delle Province autonome, in materia sanitaria. Procedendo alla ricognizione sistematica della disciplina legislativa questa Corte ha di recente (sent. 1003/93) rilevato che accanto alle prestazioni sanitarie di cui agli art. 1 e 75, 1° comma della legge 833/78, l’art. 30 della legge 730/83 ha disciplinato anche le attività di tipo socio-assistenziale, che possono essere delegate alle USL (le quali, in relazione a queste prestazioni delegate sono tenute a tenere una apposita contabilità separata) e l’attività di rilievo sanitario commessa con quella socio-assistenziale, che invece, ai sensi dell’art. 51 della legge 833/78, sono a carico direttamente del servizio sanitario nazionale.

L’art. 1 del citato decreto presidenziale 8 agosto 1985, definisce le attività di rilievo sanitario connesse con quelle socio-assistenziali (di cui all’art. 30 della legge 730/83) come "le attività che richiedono personale e tipologie di intervento propri dei servizi socio-assistenziali, purché siano dirette immediatamente e in via prevalente alla tutela della salute del cittadino e si estrinsechino in interventi a sostegno dell’attività sanitaria di prevenzione, cura e/o riabilitazione fisica e psichica del medesimo. In assenza dei quali l’attività sanitaria non può svolgersi o produrre effetti".

Il successivo art. 6 dello stesso decreto, avente ad oggetto l’individuazione dei ricoveri in strutture protette, comunque denominate, rientranti nel concetto di attività socio-assistenziale di rilievo sanitario, non può quindi essere letto in maniera avulsa dall’art. 1, che, integrando direttamente l’art. 30 della legge 730/83 con le nozioni necessarie per una uniforme applicazione, detta la definizione generale di "attività di rilievo sanitario". Per tale ragione le differenze lessicali che si rinvengono in detto art. 6, in mancanza dell’individuazione di precise o plausibili ragioni che le giustifichino, debbono ritenersi prive di una qualche rilevanza, specialmente se da esse possano derivare ingiustificate disparità di trattamento alle varie categorie di soggetti bisognosi, tenendo presente che le prestazioni sanitarie, al pari di quelle di rilievo sanitario sono di oggetto di un diritto soggettivo, a differenza di quelle socio-assistenziali alle quali l’utente ha solo un interesse legittimo (sent.. 1003/93).

Pertanto quando l’art. 6 dispone che i ricoveri si considerano attività di rilievo sanitario se le prestazioni in essi erogati sono dirette, in esclusiva e prevalente: a) in caso di handicappati e disabili, alla riabilitazione o alla rieducazione funzionale; b) in caso di malati mentali, alla cura e al recupero fisico-psichico; c) in caso di tossicodipendenti, alla cura e/o al recupero e d) nel caso di anziani , alla cura degli stati morbosi non curabili a domicilio, non sembra introdurre, attraverso l’uso della congiunzione "e" che unisce i termini "cura" e "recupero" dei malati mentali, invece della congiunzione "o" che unisce gli stessi termini, riferiti ai tossicodipendenti, la distinzione tra malati mentali acuti e malati mentali cronici, al fine di escludere l’attività di cura dei secondi da quelle considerate di rilievo sanitario. Di una tale distinzione, infatti, non c’è traccia nella legge che prende in considerazione l’attività di cura, indipendentemente dal tipo di malattia (acuta o cronica) alla quale è diretta e pertanto se la disposizione dell’atto di indirizzo e coordinamento avesse introdotto tale differenza sarebbe certamente contra legem e come tale disapplicabile dal giudice ordinario. In realtà, riguardo ai malati mentali cronici, come ha già affermato questa Corte (sent. 1003/93) si deve solo accertare se in loro favore, oltre alle prestazioni socio-assistenziali, siano erogate prestazioni sanitarie, ovvero sia prestata soltanto una attività di sorveglianza o di assistenza non sanitaria. Solo in questo secondo caso l’attività si potrà considerare di natura socio-assistenziale, e pertanto estranea al servizio sanitario nazionale.

Poiché, con accertamento di fatto incensurabile in questa sede, la Corte territoriale ha accertato che nella specie al soggetto ricoverato, affetto da malattia psichica cronica, venivano erogate prestazioni sanitarie (somministrazione continua di farmaci diretti a controllare le crisi di aggressività), nessun dubbio può sorgere sulla qualificazione del ricovero di cui si tratta come attività socio-assistenziale di rilievo sanitario di competenza delle USL.

Il ricorso deve essere quindi rigettato con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

la Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali che si liquidano in L. 137.350, oltre a L. 6.000.000 per onorari.

Così deciso in Roma il 16 gennaio 1996, nella Camera di consiglio della prima Sezione civile.


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