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Reg. Tribunale Lecce n. 662 del 01.07.1997
Direttore responsabile: Dario Cillo

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LA SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE

SEZIONE I CIVILE

SENTENZA n. 8510/2002

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con decreto n. 284/01, in data 22/2/2001, il Tribunale per i minorenni di Ancona, accogliendo il ricorso proposto da (…). e (…), genitori dei minorenni (…) e (…)., tutti di nazionalità albanese, li autorizzò, in deroga alle disposizioni generali delle leggi sull’immigrazione, a rimanere nel territorio nazionale per tre anni, ai sensi dell’art. 31, terzo comma, D.Lgs. 25/7/1998, n. 286, per gravi motivi connessi allo sviluppo psico- fisico ed alle condizioni di salute dei minori.

Il procuratore della Repubblica presso il suddetto tribunale propose reclamo alla corte d’appello di Ancona avverso tale decreto, chiedendone la revoca, per ritenuta insussistenza dei presupposti legislativi.

Con decreto depositato il 25/6/2001, la corte d’appello accolse il reclamo.

Secondo l’argomentazione della corte anconetana, l’attuazione delle norme in materia di immigrazione è sostanzialmente demandata agli organi della pubblica amministrazione, con le sole eccezioni rappresentate dai commi 3° e 4° dell’art. 31 citato, che prevedendo l’intervento del tribunale per i minorenni, sia per decidere sulla richiesta di espulsione del minorenne, formulata dal questore, sia per autorizzare l’ingresso o la permanenza in Italia del familiare, nel caso particolare contemplato dal terzo comma.

Tali norme, di carattere eccezionale perché derogano alla disciplina generale, secondo la corte del merito troverebbero rigorosa applicazione in situazioni di emergenza e di pericolo attuale per il minore, per gravi motivi, non ravvisabili nel semplice fatto che il minorenne goda in Italia di migliori opportunità di sviluppo psico- fisico, rispetto a quelle del suo paese d’origine, e neppure nella necessità di garantire l’unità del nucleo familiare.

Questa, infatti, non sarebbe direttamente minacciata dall’espulsione, giacchè la normativa in materia d’immigrazione contiene specifiche disposizioni a salvaguardia del corrispondente diritto che, peraltro, non necessariamente deve trovare soddisfazione nel nostro paese.

L’interpretazione estensiva della norma in esame condurrebbe, inoltre, ad invertire la regola generale, per cui il bambino segue normalmente la condizione dei genitori, non viceversa, senza che ciò sia giustificato dal principio del superiore interesse del minore, che non consiste in una norma sovraordinata alle atre, bensì costituisce un semplice criterio interpretativo di esse. Avverso tale decreto, (…) e (…) propongono ricorso per cassazione, fondato su un solo motivo.

La procura generale della Repubblica presso il tribunale per i minorenni di Ancona, intimate, non hanno contraddetto il ricorso.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Il ricorso è ammissibile, ai sensi dell’art. 111 Cost., come già ritenuto implicitamente da questa Corte, che ha giudicato nel merito in casi analoghi (sentenze nn. 3991/2002, 11624/2001).

L’autorizzazione prevista dall’art. 29, 3° comma, della legge 6 marzo 1998, n. 40 (Disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), trasfuso nell’art. 31 del D.lgs. 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la stessa materia), è concessa dal tribunale per i minorenni con la procedura stabilita dagli artt. 737 e ss., c.p.c., resa applicabile dal successivo art. 742/bis.

Il provvedimento è quindi reclamabile con ricorso alla corte d’appello (art.739), non essendo previsto, nel T.U. cit., un distinto regime d’impugnazione, diversamente dai casi di ricorso al pretore avverso il decreto di espulsione o per la convalida dell’assegnazione dello straniero ad un centro di assistenza temporanea, relativamente ai quali, pur essendo prescritte (espressamente) le stesse modalità di procedura degli artt. 737 e ss., c.p.c., è previsto il ricorso per cassazione (T.U. n. 286/1998, artt. 13, co. 8 e 9, sostituito dall’art. 3, D.lgs. 13 aprile 1999, n. 113, 13/bis, introdotto con l’art. 4, D.Lgs. ult. Cit., e 14, co. 4 e 6).

Avverso i provvedimenti camerali della corte d’appello, pronunziati su reclamo contro decreti del tribunale per i minorenni, la giurisprudenza di questa corte ha generalmente escluso l’ammissibilità del ricorso per cassazione ex art. 111 Cost. (cfr. Cass. nn. 2934/1998, 4222/1996, 4354 e 4644/1993, in tema di esercizio della potestà dei genitori e di affidamento della prole; Cass. nn. 9657/1994, 8455/1993, diritto di visita; Cass. nn. 5567/1996, 13157/1995, 7662/1990, per l’adozione internazionale; Cass. n. 6147/1998, ma, contra, n. 4035/1995, nomina o revoca di curatore speciale), pur con qualche più recente precisazione (Cass. n. 1278/1997 e, specialmente, S.U. n. 1/2001).

Le ragioni essenziali di tale esclusione contemplano la natura non contenziosa di detti provvedimenti (considerati unilaterali, perché fondati sulla valutazione e miranti alla tutela del solo interesse del minore); l’inidoneità ad acquisire efficacia ed a produrre, sul piano pratico, effetti irreparabili (perché sempre revocabili e modificabili, ai sensi dell’art. 742 c.p.c.); quindi, la carenza di decisorietà e definitività che li distingue.

La ricorribilità è stata però costantemente ritenuta in altri campi, e, per quanto qui interessa, in tema di revisione dell’assegno di divorzio (fra le molte, Cass. nn. 412/2000, 4623/1999, 6567/1997, 10852/1994), sul presupposto che il decreto della corte d’appello, recante modifiche in ordine all’affidamento ed al mantenimento della prole di genitori divorziati, ha natura decisoria perché suscettibile di giudicato rebus sic stantibus (Cass. n. 6621/1991).

Orbene, nel caso contemplato dall’art. 31, 3°comma, T.U. n. 286/1998, il provvedimento del tribunale per i minorenni che autorizza l’ingresso o la permanenza nel territorio nazionale del familiare del minorenne, ed il decreto pronunziato dalla corte d’appello in sede di reclamo ex art. 739 c.p.c., non si limitano a valutare e considerare l’interesse del minorenne, quindi non assumono un carattere spiccato di unilateralità, perché debbono tenere giusto conto, a fronte del diritto del minore di non essere espulso dal territorio nazionale (per il divieto posto, salvi casi specifici, dall’art. 19, co. 2, lett. a, stesso T.U.), del diritto all’unità familiare che, pur affievolito da diverse limitazioni (in particolare da quelle poste nel 3° comma dell’art. 31), non cessa di rimanere tale e di informare l’intero Titolo IV del T.U., intitolato appunto con l’endiadi: Diritto all’unità familiare e tutela dei minori.

Ora, è corretto, logicamente e giuridicamente, affermare che il diritto all’unità familiare non è vulnerato, in ogni caso di mancata autorizzazione del familiare adulto a restare accanto al figlio minorenne in Italia (perché ha il diritto, art. 19/2/a, di portarlo con se all’estero); ma la questione, se salvaguardare l’unità del nucleo in Italia o altrove, può essere vagliata soltanto nella competente sede di merito, bastando osservare in questa, al solo fine di confutare il carattere di unilateralità del provvedimento, che tale diritto (comunque limitato) effettivamente esiste, perché riconosciuta dal Legislatore (art. 28, T.U.); che la sua titolarità è multipla, in quanto tutti i membri della famiglia ne sono partecipi; e che le limitazioni legali sono meno incisive allorchè il bene dell’unità familiare è considerato dal punto di vista dell’interesse del minore (art. 28, cit., co. 3 e art. 31, co. 3, derogatorio di tutte le altre disposizioni).

Il provvedimento in esame riveste, inoltre, i caratteri di decisorietà e definitività, perché non è revocabile ad nutum, secondo la disposizione generica dell’art. 742 c.p.c., ma soltanto nell’ipotesi specificamente prevista dallo stesso art. 31, 3° comma, ossia quando vengono a cessare i gravi motivi che ne giustificavano il rilascio per attività del familiare incompatibili con le esigenze del minore o con la permanenza in Italia.

Il decreto è quindi suscettibile di passare in giudicato rebus sic stantibus, non altrimenti da quanto ritenuto in ordine ai provvedimenti sull’affidamento ed il mantenimento della prole di genitori divorziati (Cass. n. 6621/1991, Già cit.), modificabili solo qualora sopravvengano giustificati motivi (art. 9, legge 1 dicembre 1970, n. 898, modif. dall’art. 13, legge 6 marzo 1987, n. 74).

Infine, l’irreparabilità delle conseguenze lesive dipendenti dal provvedimento è denotata dal fatto che esso consente l’immediata espulsione del familiare dal territorio nazionale; anche quando, in ipotesi, sussistano gravi motivi pertinenti, tra l’altro, alle condizioni di salute del minore, che potrebbe risentire un trauma non altrimenti evitabile.

Per le ragioni esposte, il ricorso deve ritenersi ammissibile.

Con l’unico motivo i ricorrenti deducono violazione e falsa applicazione del citato art. 31, co. 3, T.U. n. 286/1998, per avere la corte d’appello di Ancona ritenuto che i gravi motivi, cui la legge subordina, nell’ipotesi ivi prevista, l’autorizzazione all’ingresso o alla permanenza del familiare nel territorio nazionale, debbano consistere in una situazione di emergenza che comporti un pericolo attuale per il minore e la connessa necessità della presenza di un familiare per la di lui cura.

Deducono che, essendo la ratio della norma quella di garantire ad ogni costo lo sviluppo psico fisico del bambino, la valutazione dei gravi motivi, richiesti per la concessione dell’autorizzazione al familiare, deve essere fatta dal giudice con esclusivo riferimento all'esigenza di evitare provvedimenti (come l’espulsione dei genitori) che possano influire negativamente su tale sviluppo.

Denunziano, pertanto, l’illegittimità del provvedimento impugnato, con cui la corte d’appello revoca l’autorizzazione alla permanenza dei ricorrenti in Italia, concessa dal tribunale per i minorenni in base al fatto accertato che la figlia minorenne dei medesimi, di nome (…), frequenta, essendo regolarmente iscritta, la scuola elementare, ove è stata ben accolta e si è inserita con profitto, intrecciando stabili amicizie e vivendo in un clima di serenità familiare.

Il tribunale minorile aveva accertato, inoltre, che la piccola era portatrice di una patologia psichica, per cui abbisognava di cure e verifiche semestrali presso la struttura ospedaliera specializzata che l’aveva in carico.

Lamentano, quindi, i ricorrenti che la corte d’appello non abbia adeguatamente considerato tale situazione.

Il ricorso è infondato e non può essere accolto.

La corte anconetana argomenta a partire dal giusto rilievo che il sistema dell’art. 31, co. 3 e 4, prevedendo l’intervento diretto di un giudice (tribunale per i minorenni) in luogo della pubblica amministrazione (questore), costituisce l’unica eccezione in tal senso nell’applicazione delle norme che disciplinano l’immigrazione e la permanenza dei cittadini extracomunitari nel territorio dello Stato.

Un’altra eccezione alla regola generale, parimenti rilevata dalla corte di merito, consiste nel fatto che, mentre di solito è il minore a dovere seguire la condizione dei genitori, tanto se essi siano espulsi (per il diritto di portare il figlio con se, previsto dall’art. 19, co. 2, lett. a) quanto, al contrario, se chiedano il ricongiungimento (art. 29, co. 1, lett. b), nel caso in esame è il figlio minorenne che, per così dire, attrae il familiare adulto: con tutti i rischi connessi all’eventualità che, dei diritti doverosamente riconosciuti all’infanzia in virtù di specifici trattamenti internazionali, come, principalmente, la Convenzione O.N.U. del 20 novembre 1989 sui diritti del fanciullo, ratificata con legge 27 maggio 1991, n. 176, espressamente e ripetutamente richiamata dal T.U. in parola (artt. 26, co. 3, 33, co. 2, novellato dall’art. 5, D.Lgs. 13 aprile 1999, n. 113- 35, co. 3, lett. b), gli adulti profittano strumentalmente per ottenere in modo surrettizio autorizzazioni indebite all’ingresso od alla permanenza nel nostro territorio.

Tale preoccupazione, e la conseguente necessità di un’interpretazione rigorosa di questa normativa eccezionale, sono presenti sia nel decreto impugnato sia nelle precedenti sentenze in argomento di questa corte (nn. 3991/2002, 11624/1001), laddove si sottolinea che le esigenze di tutela del minore straniero (tali da comportare la deroga alle disposizioni dello stesso testo unico, con l’autorizzazione, in particolare, come nei casi di specie, alla permanenza sul territorio italiano dei familiari, pur se nei loro confronti sia stata disposta l’espulsione)siano correlate esclusivamente alla sussistenza di circostanze contingenti ed eccezionali e non possano essere perciò riconosciute in rapporto a situazioni con carattere di normalità e stabilità.

Le quali situazioni sarebbero, peraltro, in netto contrasto con la previsione testuale di un periodo di tempo determinato e, in definitiva, con la stessa revocabilità dell’autorizzazione per ragioni indipendenti dai gravi motivi che la giustificano, dovute piuttosto ad atteggiamenti incompatibili del, familiare autorizzato.

È pienamente condivisibile, dunque, l’assunto per cui l’autorizzazione non può essere concessa in presenza di situazioni di indeterminabile o lunghissima durata, come il compimento dell’intero processo educativo formativo del minore, chiaramente esorbitanti dalla lettera e dalla ratio legis, nonché suscettibili di produrre l’effetto anomalo di eludere la disciplina dell’immigrazione legittimando ingressi o soggiorni illeciti.

D’altra parte, occorre evitare un’interpretazione della norma che pervenga a vanificarne totalmente l’intenzione di corrispondere alle speciali esigenze dell’infanzia, resa evidente da argomenti sistematici come la necessità, accolta dal Legislatore, di porre eccezioni, puntualmente rilevate dalla corte d’appello, alle regole generali, e da argomenti letterali ricavabili, oltre che dall’intestazione, già riportata, del Titolo IV, anche da quella dell’art. 31, Disposizioni a favore dei minori, e dal testo normativo che fornisce, se esattamente interpretato, le indicazioni necessarie per amministrare il potere di concedere l’autorizzazione ivi prevista, in casi e limiti ben determinati, senza eccessivo sacrificio dell’opposto interesse all’esatta osservanza delle norme di carattere più generale.

Proprio perché si tratta di una eccezione alla regola, è necessario infatti che essa sia gestita nel rigoroso rispetto della stretta connessione che deve esistere fra la presenza (ingresso o permanenza eccezionali) del familiare in Italia e le esigenze dello sviluppo psico fisico del fanciullo; in guisa che, se l'attività del familiare è o diviene incompatibile con tali esigenze, l'autorizzazione non è concessa o revocata (ciò significa altresì che la situazione può e deve essere tenuta sotto controllo).

In secondo luogo, non deve trattarsi di esigenze generiche, ma determinate da motivi gravi, corrispondenti ala necessità di non deprivare traumaticamente il fanciullo della fruizione di diritti fondamentali, riconosciuti dalla legge a prescindere dalla sua condizione di straniero (così, per il diritto alla salute menzionato indirettamente dalla norma in esame, l’art. 35, co. 3, lett. b; per il diritto all’istruzione obbligatoria, l’art. 38. Co. 1, e l’art. 45 del D.P.R. 31 agosto 1999, n. 394).

L’importanza di ciascuno dei suddetti parametri, e quindi la gravità dei motivi, variano in funzione dell’età e delle condizioni di salute del fanciullo, secondo il prudente apprezzamento del giudice (non censurabile in sede di legittimità).

L’autorizzazione, dipende, in ogni caso, dall’accertata necessità ed efficacia della presenza del familiare e non può essere concessa che per tempo determinato.

Il decreto impugnato dalla corte d’appello, pur pervenendo, nel caso concreto, ad una conclusione conforme al diritto, adotta peraltro un’interpretazione erronea della legge, laddove sostiene che: la norma dell’art. 31/3 contempla situazioni di emergenza, nelle quali si ponga un pericolo attuale per il minore.

In realtà, espressioni come situazione di emergenza e pericolo attuale non si rinvengono affatto nella norma in esame.

L’interpretazione datane da questa corte, con le sentenze sopra citate, fa bensì riferimento alla nozione di circostanze contingenti ed eccezionali, contrastanti come tali con l’idea di normalità e stabilità.

Ma mentre i concetti di contingenza ed eccezionalità si conformano al dettato normativo (in corrispondenza ai criteri legali di gravità dei motivi, eccezionalità della deroga, temporaneità dell’autorizzazione), questo risulta invece vanificato se limitato, come reputa la corte di merito, alle situazioni di emergenza e di pericolo attuale, le quali potrebbero giustificare, anche a prescindere dalla previsione dell’art.31, comportamenti in deroga, sotto il profilo dello stato di necessità.

Questa corte, facendo uso del potere derivante dall’art. 384, 2° comma, c.p.c., deve quindi correggere, nei sensi suespressi, la motivazione del provvedimento impugnato, quanto all’interpretazione eccessivamente restrittiva della legge, denotata dal concetto sopra riportato di situazione di emergenza con pericolo attuale per il minore.

Peraltro, come premesso, il ricorso non può essere accolto, perché, escluso che il Legislatore abbia inteso garantire lo sviluppo psico fisico del minore straniero ad ogni costo, essendo anzi limitata e circoscritta positivamente tale garanzia, quando la presenza in Italia del familiare sia irregolare, ai casi eccezionali contingenti ammessi dal più volte citato art. 31, la situazione concretamente dedotta in questo giudizio, valutata come normale dalla corte d’appello, il cui apprezzamento di fatto non è censurabile in questa sede, rientra comunque nei corretti parametri interpretativi sopra enucleati , non essendo stata ravvisata la ricorrenza di esigenze eccezionali dei minorenni, tali da giustificare la permanenza dell’intero nucleo (benchè irregolare) in Italia.

Il ricorso deve essere, quindi, rigettato.

Nulla devesi disporre in ordine alle spese, essendo intimato il pubblico ministero.

PQM

La Corte di Cassazione rigetta il ricorso.

Depositata in Cancelleria il 14 giugno 2002.


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