LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Gustavo ZAGREBELSKY Presidente
- Valerio ONIDA Giudice
- Carlo MEZZANOTTE "
- Fernanda CONTRI "
- Guido NEPPI MODONA"
- Annibale MARINI "
- Franco BILE "
- Giovanni Maria FLICK "
- Francesco AMIRANTE "
- Ugo DE SIERVO "
- Romano VACCARELLA"
- Paolo MADDALENA"
- Alfio FINOCCHIARO "
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 80, comma 20,
della legge 23 dicembre 2000, n. 388 (Disposizioni per la formazione
del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria
2001), promosso con ordinanza del 14 gennaio 2003 dal Tribunale di
Palermo nel procedimento civile vertente tra B.G. e F.A., iscritta
al n. 302 del registro ordinanze 2003 e pubblicata nella Gazzetta
Ufficiale della Repubblica n. 22, prima serie speciale, dell’anno
2003.
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei
ministri;
udito nella camera di consiglio del 26 novembre 2003 il Giudice
relatore Romano Vaccarella.
Ritenuto in fatto
1.– Il Tribunale di Palermo, nel corso di un processo di opposizione
all’esecuzione di un provvedimento di rilascio per finita locazione,
in cui il conduttore-opponente aveva dedotto di versare nelle
condizioni, previste dall’art. 80, comma 20, della legge 23 dicembre
2000, n. 388 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e
pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2001) al fine di
ottenere la sospensione dell’esecuzione medesima (nella specie, per
avere nel nucleo familiare un ultrasessantacinquenne, non disponendo
di altra abitazione o di redditi sufficienti ad accedere alla
locazione di altro immobile), con ordinanza pronunziata il 14
gennaio 2003, ha sollevato, in riferimento all’art. 3 della
Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 80,
comma 20, della legge n. 388 del 2000.
Il giudice rimettente riferisce che, promossa l’opposizione
all’esecuzione con ricorso depositato il 24 gennaio 2002 – e cioè
nella vigenza del decreto-legge 27 dicembre 2001, n. 450, convertito
con modificazioni dall’art. 1 della legge 27 febbraio 2002, n. 14,
che aveva prorogato fino al 30 giugno 2002 il termine di sospensione
previsto dalla norma impugnata – con ordinanza del 3 giugno 2002 è
stata revocata la sospensione, concessa in via d’urgenza ai sensi
dell’art. 625, secondo comma, cod. proc. civ., per la carenza del
requisito personale, richiesto dal citato art. 80, comma 20, in uno
a quello reddituale, consistente nella presenza nel nucleo familiare
del conduttore di persona ultrasessantacinquenne o handicappata
grave e che, nel vigore della successiva proroga del termine di
sospensione – disposta fino al 30 giugno 2003 dall’art. 1 del
decreto-legge 20 giugno 2002, n. 122, convertito, con modificazioni,
dall’art. 1 della legge 1° agosto 2002, n. 185 – con istanza
depositata il 16 settembre 2002 l’opponente ha chiesto, e poi
ottenuto in via cautelare, la revoca dell'ordinanza del 3 giugno
2002, avendo prodotto un nuovo certificato di stato di famiglia e di
residenza dal quale risulta inclusa nel proprio nucleo familiare una
persona ultrasessantacinquenne. Sull’istanza della
locatrice-opposta, diretta alla revoca della nuova ordinanza di
sospensione, è stata rimessa alla Corte la questione in esame.
Il giudice rimettente osserva che l’art. 1 del decreto-legge n. 450
del 2001, vigente al momento della instaurazione del giudizio a quo,
nel disporre l’ulteriore proroga del termine di sospensione delle
procedure di rilascio, non precisava le modalità processuali con cui
i soggetti in possesso dei requisiti previsti dall’art. 80, comma
20, della legge n. 388 del 2000 potessero ottenere il riconoscimento
di detto beneficio, ragion per cui il Tribunale di Palermo, come del
resto molti altri, aveva ritenuto necessaria l’instaurazione, come
nel caso di specie, di un giudizio di opposizione all’esecuzione.
Solo il successivo decreto-legge n. 122 del 2002 aveva introdotto un
apposito procedimento semplificato, ad iniziativa del locatore,
senza peraltro dettare alcuna norma transitoria per i giudizi di
opposizione già pendenti; sicché il processo in corso, ad opinione
del rimettente, doveva essere istruito e definito coerentemente con
il rito e le forme imposte dall’atto introduttivo.
Il Tribunale osserva, quanto alla rilevanza della questione, che
essa concerne una norma di cui va fatta applicazione in sede di
definizione della controversia concernente l’operatività della
sospensione ex lege dell’esecuzione.
In punto di non manifesta infondatezza, il giudice rimettente
considera poi come – in assenza di qualsivoglia norma di
coordinamento tra la legge n. 388 del 2000 (e successive proroghe) e
la legge 9 dicembre 1998, n. 431 (Disciplina delle locazioni e del
rilascio degli immobili adibiti ad uso abitativo), dettanti peraltro
discipline fondate su diversi presupposti (la prima non tiene alcun
conto, a differenza della seconda, delle condizioni del locatore) –
entrambe possono ritenersi contemporaneamente e parallelamente
operanti. Ciò posto, e valutata l’impossibilità di applicare al caso
concreto l’art. 6, comma 5, della legge n. 431 del 1998, stante il
suo carattere di eccezionalità, il giudice a quo ritiene
irragionevole il diverso trattamento previsto dal legislatore del
2000: l’art. 80, comma 20, infatti, prevede come requisito
concorrente con quello reddituale, alternativamente, la presenza nel
nucleo familiare del conduttore di un soggetto
ultrasessantacinquenne o affetto da grave handicap, ma non prevede –
a differenza dell’art. 6, comma 5 – che il soggetto il quale versi
in tali condizioni faccia parte del nucleo familiare e sia
convivente con il conduttore da almeno sei mesi.
Osserva ancora il Tribunale che dagli atti del giudizio a quo
risulta che il soggetto ultrasessantacinquenne, la cui presenza nel
nucleo familiare del conduttore legittimerebbe l’accoglimento del
ricorso, è entrato a comporre detto nucleo solo in data successiva
sia alla proposizione della domanda che alla prima pronunzia
cautelare sulla stessa; circostanza che, ad avviso del rimettente,
non influirebbe sulla decisione dell’opposizione ex art. 615 cod.
proc. civ., avente ad oggetto l’accertamento dei requisiti indicati
dal citato art. 80, comma 20, tra i quali non figura,
irragionevolmente, quello temporale (con grave rischio di
strumentalizzazioni e distorsioni).
Considera infine il giudice a quo come neppure la temporaneità della
norma denunciata possa costituire ostacolo alla rilevanza della
questione, viste le numerose proroghe di cui essa è già stata
oggetto e quelle possibili per il futuro.
2.– E’ intervenuto, rappresentato dell’Avvocatura generale dello
Stato, il Presidente del Consiglio dei ministri il quale ha
eccepito, in primo luogo, l’inammissibilità della questione per
l’inapplicabilità nel giudizio a quo della invocata sospensione
dell’esecuzione per rilascio di immobili adibiti ad uso abitativo:
tale sospensione, prevista dal più volte citato art. 80, comma 20, è
stata prorogata dall’art. 1 del decreto-legge n. 122 del 2002, il
quale fa riferimento alla precedente proroga disposta dall’art. 1,
comma 1, del decreto-legge n. 450 del 2001, la quale, a sua volta,
faceva riferimento alle procedure "iniziate nei confronti degli
inquilini in possesso dei requisiti indicati al comma 20
dell’articolo 80 della legge 23 dicembre 2000, n. 388"; sicché di
tali proroghe potrebbero beneficiare soltanto gli inquilini nei cui
confronti fossero state iniziate procedure di sfratto alla data di
entrata in vigore della legge n. 388 del 2000.
Ad avviso della difesa erariale intervenuta, la questione sollevata
sarebbe comunque manifestamente infondata nel merito per la
disomogeneità delle situazioni comparate, posto che l’art. 80, comma
20, della legge n. 388 del 2000, nel disporre provvidenze pubbliche
in favore di inquilini bisognosi assoggettati a procedure esecutive
di sfratto, prevede, in via moratoria, la sospensione ex lege di
queste ultime al ricorrere di determinati presupposti, mentre l’art.
6, comma 5, della legge n. 431 del 1998 è norma a regime che,
ricorrendo taluni requisiti (tra i quali, peraltro, non v’è quello
di avere nel nucleo familiare soggetto ultrasessantacinquenne
diverso dal conduttore), dispone il differimento, fino ad un termine
massimo di diciotto mesi, delle esecuzioni di cui al comma 1 del
medesimo articolo.
Considerato in diritto
1.– Il Tribunale di Palermo dubita della legittimità costituzionale,
in relazione all’art. 3 della Costituzione, dell’art. 80, comma 20,
della legge 23 dicembre 2000, n. 388 (Disposizioni per la formazione
del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria
2001), in quanto creerebbe una irragionevole disparità di
trattamento, ai fini della sospensione delle procedure di sfratto,
tra gli inquilini ai quali tale norma fa riferimento e quelli che
debbono valersi del disposto dell’art. 6, comma 5, della legge 9
dicembre 1998, n. 431 (Disciplina delle locazioni e del rilascio
degli immobili adibiti ad uso abitativo), ed in quanto, inoltre, la
norma impugnata sarebbe di per sé "del tutto irragionevole" per la
mancata previsione di un riferimento temporale quanto al possesso
dei requisiti richiesti all’inquilino per poter usufruire della
sospensione stessa.
2.– Preliminarmente deve respingersi l’eccezione di inammissibilità
proposta dall’Avvocatura erariale, ad avviso della quale la norma
impugnata non potrebbe applicarsi al caso di specie; sicché la
questione di legittimità costituzionale sarebbe irrilevante.
Tale tesi si fonda sul rilievo che – poiché il periodo di
sospensione (originariamente di 180 giorni dall’entrata in vigore
della legge n. 388 del 2000) è stato prorogato (dapprima fino al 31
dicembre 2001: decreto-legge 2 luglio 2001, n. 247; quindi fino al
30 giugno 2002: decreto-legge 27 dicembre 2001, n. 450; poi fino al
30 giugno 2003: decreto-legge 20 giugno 2002, n. 122; da ultimo fino
al 30 giugno 2004: decreto-legge 24 giugno 2003, n. 147) con
formulazione che fa riferimento alla "sospensione delle procedure
esecutive …, già disposta ai sensi dell’articolo 80, comma 22 … ,
iniziate nei confronti degli inquilini in possesso dei requisiti
indicati al comma 20 …" – tali proroghe riguarderebbero soltanto le
procedure già iniziate alla data di entrata in vigore della legge n.
388 del 2000 e, come tali, "investite" dalla sospensione da quella
legge introdotta.
Tale interpretazione, pur se possibile in base alle parole
sopratrascritte della norma, è improponibile in quanto – anche a
prescindere dalla sua dubbia conformità a Costituzione (art. 3) –
essa trascura di considerare che la lettera dei vari decreti-legge
di proroga va coordinata con il disposto dell’art. 80 della legge n.
388 del 2000, il quale prevede una sospensione delle procedure
esecutive di sfratto coordinata al reperimento, da parte dei Comuni,
di immobili da destinare agli inquilini che versino nelle
particolari condizioni di bisogno ivi indicate. Essendo indubbio che
l’art. 80 citato non è norma che esaurisca la sua efficacia allo
scadere dei 180 giorni dalla sua entrata in vigore – e cioè a quella
che la norma stessa definisce, significativamente, la sua "prima
applicazione" – ma, al contrario, una norma che mira ad avviare un
meccanismo permanente di reperimento da parte dei Comuni di immobili
da destinare a persone bisognose soggette a sfratti, è altrettanto
indubbio che i successivi provvedimenti di proroga investono la
norma di base in tutta la sua portata "permanente", e non già
limitata alla sua prima (e, secondo la tesi dell’Avvocatura, unica)
applicazione.
In conclusione, un’interpretazione sistematicamente corretta del
combinato disposto dell’art. 80 citato e dei successivi
provvedimenti di proroga comporta che il richiamo operato da tali
successivi provvedimenti all’art. 80 mira esclusivamente ad
individuare i requisiti soggettivi che, del tutto a prescindere dal
momento in cui è iniziata o potrebbe iniziare la procedura esecutiva
di sfratto, debbono possedere gli inquilini beneficiari della
proroga.
3.– La questione di legittimità costituzionale posta dal rimettente
assumendo quale tertium comparationis l’art. 6, comma 5, della legge
n. 431 del 1998 è infondata, non potendo tale norma essere adottata
quale termine di confronto con la norma impugnata.
Di ciò, invero, sembra aver consapevolezza lo stesso rimettente
allorquando rileva che l’art. 6, comma 5, citato non consente,
attesa la sua eccezionalità, una applicazione analogica del
requisito temporale in esso previsto; e la circostanza che, ad
avviso del rimettente, sia "altrettanto eccezionale" la norma
impugnata conferma, con l’impraticabilità del ricorso all’analogia,
l’impossibilità di operare un confronto tra le due norme indicate.
In effetti – a prescindere dalla correttezza della loro
qualificazione come "eccezionali" – le due norme (art. 6, comma 5,
della legge n. 431 del 1998 e art. 80, commi 20-22, della legge n.
388 del 2000) hanno in comune esclusivamente la generica finalità di
procrastinare – nei Comuni ad alta tensione abitativa – il momento
di effettiva attuazione del rilascio forzato dell’immobile locato in
vista della piena entrata a regime del sistema tendenzialmente
"liberalizzato" introdotto dalla legge n. 431 del 1998 (sentenza n.
310 del 2003), ma divergono radicalmente sotto altri e ben più
pregnanti profili.
In primo luogo, i requisiti soggettivi dei beneficiari delle due
norme sono profondamente diversi: non soltanto perché l’art. 6,
comma 5, ha come destinatari inquilini nei cui confronti, attesa la
prevedibile temporaneità del loro interesse ad occupare l’immobile
locato (assegnatario di alloggio di edilizia residenziale pubblica o
di ente previdenziale o assicurativo; prenotatario di alloggio
cooperativo in costruzione; acquirente di alloggio in costruzione;
proprietario di alloggio che abbia iniziato azione di rilascio), la
procedura esecutiva appare inopportuna per lo sproporzionato disagio
che essa creerebbe all’inquilino rispetto al vantaggio che ne
conseguirebbe il locatore, ma anche perché, laddove ha come
destinatari inquilini bisognosi di particolare protezione, li
individua secondo criteri divergenti da quelli utilizzati dall’art.
80, comma 20, della legge n. 388 del 2000: in particolare, la prima
norma considera disgiuntivamente le condizioni personali (età di 65
anni del conduttore, cinque o più figli a carico, presenza nel
nucleo familiare e convivenza da almeno sei mesi di un portatore di
handicap o di un malato terminale) e quelle reddituali ("tipizzate"
nell’iscrizione nelle liste di mobilità o nella percezione di un
trattamento di disoccupazione o di integrazione salariale), laddove
la seconda norma esige sia le une (esistenza nel nucleo familiare di
ultrasessantacinquenni o handicappati gravi) sia le altre
(genericamente individuate nel non disporre di altra abitazione o di
redditi sufficienti ad accedere all’affitto di una nuova casa).
In secondo luogo, è del tutto evidente – e tale da dar conto anche
delle segnalate differenze circa i requisiti soggettivi – il
meccanismo radicalmente diverso al quale le due norme danno vita:
l’art. 6, comma 5, mira ad attenuare gli effetti, nei Comuni ad alta
tensione abitativa, dell’entrata a regime del sistema
"liberalizzato", e pertanto prevede la possibilità per il giudice
dell’esecuzione di accordare agli inquilini "normali", per una sola
volta ed a loro domanda, un termine di grazia non superiore a sei
mesi con decreto avverso il quale è proponibile opposizione
(camerale) e la possibilità di accordare agli inquilini "protetti"
il differimento dell’esecuzione fino a diciotto mesi; l’art. 80,
commi 20-22, invece, prevede una sospensione ex lege dell’esecuzione
(al fine di consentire ai Comuni il reperimento di immobili da
destinare agli sfrattati bisognosi) per il tempo dalla legge stessa
(via via) indicato.
La prima norma si ispira al sistema della graduazione, con
conseguente previsione di un potere discrezionale del giudice
dell’esecuzione quanto alla fissazione del momento del rilascio
entro un termine determinato nel massimo dalla legge, laddove la
seconda norma – prevedendo la sospensione automatica delle procedure
per il tempo fissato dalla legge – risponde alla logica propria del
(nominalmente) cessato regime c.d. vincolistico: sicché di quest’ultima
norma (e non certamente della prima) questa Corte ha dovuto
sottolineare, a fronte delle numerose proroghe che si sono succedute
e che si sono sopra ricordate, che "la procedura esecutiva … non può
essere paralizzata indefinitamente con una serie di pure e semplici
proroghe, oltre un ragionevole limite di tollerabilità [in quanto]
il legislatore … non può indefinitamente limitarsi … a trasferire
l’onere relativo [alla protezione di categorie di soggetti
bisognosi] in via esclusiva a carico del privato locatore" (sentenza
n. 310 del 2003, che affronta un profilo di illegittimità
costituzionale in questa sede non dedotto).
Non è casuale, può aggiungersi, ma ulteriore conferma della profonda
diversità delle due norme, che il decreto-legge n. 122 del 2002, nel
disporre la terza proroga del termine di sospensione introdotto
dalla legge n. 388 del 2000, abbia avvertito l’esigenza di creare un
procedimento ad hoc – sostanzialmente inverso rispetto a quello di
cui all’art. 6, commi 3 e 4, della legge n. 431 del 1998 – secondo
il quale è il locatore a dover adire il giudice dell’esecuzione per
contestare la sussistenza dei presupposti della sospensione dedotti
dall’inquilino in sede di accesso dell’ufficiale giudiziario
(deduzione di fronte alla quale l’ufficiale giudiziario deve
arrestare la sua attività).
In conclusione, la generica comune funzione di procrastinare il
compimento dell’esecuzione forzata non è tale, a fronte delle
radicali difformità quanto a presupposti e struttura che si sono
indicate, da consentire di utilizzare l’art. 6, comma 5, della legge
n. 431 del 1998, quale tertium comparationis nel sindacato di
legittimità costituzionale, ex art. 3 della Costituzione, del
censurato art. 80, comma 20, della legge n. 388 del 2000; sicché la
relativa questione deve ritenersi infondata.
4.– Infondata è anche la questione sollevata con riguardo alla
intrinseca irrazionalità della norma denunciata per la mancata
previsione di ogni riferimento al momento in cui deve sussistere il
possesso dei requisiti richiesti per usufruire della sospensione ex
lege della procedura esecutiva di sfratto.
Osserva questa Corte che la censura sarebbe fondata qualora davvero
la norma consentisse esclusivamente la lettura che ne offre il
giudice rimettente, ma deve escludersi che essa sia l’unica
consentita dal suo tenore letterale, e sottolinearsi, per contro,
che è ben possibile una sua interpretazione conforme al canone di
ragionevolezza di cui all’art. 3 della Costituzione.
L’art. 80, comma 20, della legge n. 388 del 2000, infatti, individua
i beneficiari della sospensione negli "inquilini" nel cui "nucleo
familiare" vi siano ultrasessantacinquenni o handicappati gravi.
E’ del tutto evidente che la locuzione "nucleo familiare" non
allude, qui, ad un concetto tecnico e ben definito (come fa, ad
esempio, ai fini dell’individuazione dei beneficiari degli assegni
familiari, l’art. 38 del d.P.R. n. 818 del 1957): ai fini del
soddisfacimento dell’esigenza di godere di un’abitazione il
legislatore ricorre – senza pretendere di interferire nella
complessità e varietà dei rapporti interpersonali, con l’operare tra
di essi selezioni che suonerebbero come ingerenze in sfere
strettamente personali – ad una nozione empirica di nucleo
familiare, in tal modo alludendo ad un rapporto dotato di un grado
di stabilità e continuità tale da consentire di definirlo, a
prescindere da (meramente eventuali) relazioni di coniugio,
parentela o affinità, come afferente ad un "nucleo familiare".
Peraltro, la norma de qua richiede che l’ultrasessantacinquenne o
l’handicappato grave sia inserito nel nucleo familiare
dell’"inquilino", e cioè di soggetto che occupa l’immobile in
questione in forza del titolo costituito dal contratto di locazione;
laddove colui che occupa l’immobile dopo lo spirare del termine di
durata della locazione è un "occupante senza titolo", tenuto a
corrispondere al proprietario non già il canone, bensì una indennità
(appunto) di occupazione.
E’ evidente, allora, che l’esigenza di un minimo di stabilità e
continuità della relazione interpersonale sottesa all’atecnica
locuzione "nucleo familiare" è soddisfatta dalla norma esigendo che
l’inserimento nel nucleo familiare del soggetto (ultrasessantacinquenne
o handicappato grave) in relazione al quale è concesso il beneficio
della sospensione ex lege deve risalire quanto meno al momento in
cui sussisteva ed era efficace il contratto di locazione, e con esso
la qualità di "inquilino". Così come è evidente che siffatto
requisito è verificabile dal giudice dell’esecuzione con rapidità e
semplicità del tutto compatibili con il carattere sommario
dell’accertamento demandatogli dalla legge in caso di contestazione
da parte del locatore.
Non a caso, d’altra parte, la giurisprudenza dominante intende il
requisito reddituale come riferito al complesso dei componenti il
"nucleo familiare", ed adotta quale utile parametro di riferimento,
al fine di stabilire se il reddito "familiare" sia sufficiente per
accedere all’affitto di una nuova abitazione, i limiti di reddito
stabiliti (dalle singole normative regionali e delle Province
autonome) per conseguire l’assegnazione di un alloggio di edilizia
residenziale pubblica (cfr. circolare del Ministero dei Lavori
pubblici del 23 febbraio 2001): tale giurisprudenza, infatti, da un
lato presuppone che "nucleo familiare" possa definirsi solo quello
connotato da un minimo di stabilità e continuità e, dall’altro lato,
conferma che il requisito reddituale (del nucleo familiare) per
godere della sospensione dello sfratto deve sussistere al momento
(cessazione della locazione) determinante per quello ("speculare")
dell’inserimento nelle graduatorie dei potenziali assegnatari di
alloggi di edilizia residenziale pubblica.
Interpretata nel senso per cui l’inserimento nel nucleo familiare
dell’ultrasessantacinquenne o dell’handicappato grave deve risalire
ad epoca anteriore alla cessazione del rapporto di locazione la
norma denunciata si sottrae ad ogni censura di irrazionalità per la
(pretesa) assenza, in essa, di un riferimento temporale quanto al
possesso dei requisiti richiesti per beneficiare della sospensione
ex lege della procedura di sfratto.
Per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione
di legittimità costituzionale dell’art. 80, comma 20, della legge 23
dicembre 2000, n. 388 (Disposizioni per la formazione del bilancio
annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2001),
sollevata, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, dal
Tribunale di Palermo, con l’ordinanza in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo
della Consulta, il 9 febbraio 2004.
Gustavo ZAGREBELSKY, Presidente
Romano VACCARELLA, Redattore
Depositata in Cancelleria il 12 febbraio 2004.