nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 13, primo comma,
della legge 30 marzo 1971, n. 118 (Conversione in legge del decreto
legge 30 gennaio 1971 e nuove norme in favore di mutilati e invalidi
civili), promosso con ordinanza emessa il 1° giugno 2001 dal
Tribunale di Lucca nel procedimento civile vertente tra N. C. e
l'INPS, iscritta al n. 651 del registro ordinanze 2001 e pubblicata
nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 36, prima serie speciale,
dell'anno 2001.
Visti l'atto di costituzione dell'INPS nonché l'atto di intervento
del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell'udienza pubblica del 4 giugno 2002 il Giudice relatore
Fernanda Contri;
uditi l'avvocato Nicola Valente per l'INPS e l'avvocato dello Stato
Sergio Sabelli per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
1. - Nel corso di un giudizio promosso da N. C. contro l'INPS, il
Tribunale di Lucca, con ordinanza del 1° giugno 2001, ha sollevato
questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 2
e 3, secondo comma, 31, primo comma, 32, 34 e 38, terzo comma, della
Costituzione, dell'art. 13, primo comma, della legge 30 marzo 1971, n.
118 (Conversione in legge del decreto legge 30 gennaio 1971 e nuove
norme in favore di mutilati e invalidi civili), nella parte in cui non
prevede il diritto all'assegno per gli studenti maggiorenni invalidi
parziali frequentanti un regolare corso di studi e non iscritti alle
liste del collocamento obbligatorio.
Il giudice a quo premette in fatto che con ricorso del 23 dicembre
1999 N. C. proponeva appello per chiedere la riforma della sentenza
pronunciata dal Pretore di Lucca il 24 aprile 1999, con la quale, in
considerazione della mancata iscrizione nelle liste speciali di
collocamento, era stata respinta la domanda nei riguardi dell'INPS per
il riconoscimento dell'assegno di invalidità nel periodo compreso tra
il 1° gennaio 1997 e il 30 settembre 1997.
Il giudice rimettente osserva che l'art. 13, primo comma, della legge
30 marzo 1971, n. 118 – il quale dispone, al primo comma, che ai
mutilati e agli invalidi civili di età compresa fra il diciottesimo e
il sessantaquattresimo anno nei cui confronti sia accertata una
riduzione della capacità lavorativa, nella misura superiore ai due
terzi, incollocati al lavoro e per il tempo in cui tale condizione
sussiste, è concesso un assegno mensile a carico dello Stato – è
stato interpretato dalla Corte di cassazione, anche a sezioni unite (Cass.,
sez. un., 10 gennaio 1992, n. 203), nel senso che il requisito della
"incollocazione" abbia valenza costitutiva del diritto alla
prestazione assistenziale e per la sua sussistenza non sia sufficiente
il mero stato di disoccupazione essendo invece necessario che
l'invalido si sia iscritto o abbia presentato domanda di iscrizione
nelle liste degli aventi diritto al collocamento obbligatorio e non
abbia conseguito un'occupazione in mansioni compatibili.
Il giudice a quo dubita della legittimità costituzionale della
disposizione, così interpretata, con riferimento all'ipotesi del
soggetto maggiorenne invalido parziale, il quale essendo in età
scolare ed avendo in svolgimento il corso di studio di scuola
secondaria sarebbe obbligato, onde non perdere il beneficio economico,
a ricercare (ed accettare) nel periodo scolastico un'occupazione
lavorativa con tutte le conseguenze pregiudizievoli sul proprio
rendimento di studio e sulle condizioni psico-fisiche, già debilitate
in origine.
La rigida riconducibilità dell'assegno di invalidità al requisito
della iscrizione nelle liste del collocamento obbligatorio sarebbe in
contrasto con i principi fondamentali di uguaglianza sostanziale, di
tutela della persona e di solidarietà sociale sanciti dalla Carta
costituzionale.
In particolare, secondo il giudice rimettente, la norma censurata
sarebbe in contrasto con i valori espressi dagli articoli 2, 3,
secondo comma, 31, primo comma, 32, 34 e 38, terzo comma, della
Costituzione.
La norma censurata non permetterebbe, anzitutto, la piena
realizzazione della personalità del soggetto disabile, ostacolandone
l'accrescimento culturale e professionale che la frequenza scolastica
offre, e costringerebbe il soggetto, al fine di evitare il pregiudizio
economico, ad abbandonare gli studi e le relative prospettive
professionali, con lesione del diritto all'educazione e alla
formazione professionale.
Sarebbe, inoltre, compromessa la finalità dell'inserimento e
dell'integrazione sino ai gradi più elevati, e quindi anche dopo il
compimento della scuola dell'obbligo, che questa Corte, nella sentenza
n. 215 del 1987, ha già affermato essere di fondamentale importanza
al fine di favorire il recupero dei soggetti disabili giacché la
partecipazione al processo educativo costituisce un rilevante fattore
di socializzazione e può contribuire in modo decisivo a stimolare le
potenzialità dello svantaggiato attraverso la progressiva riduzione
dei condizionamenti indotti dalla minorazione.
La norma censurata non risponderebbe, infine, ai compiti che la
Costituzione attribuisce alla Repubblica di agevolare, con misure
economiche e con altre provvidenze, l'assolvimento dei compiti della
famiglia, tra i quali è quello dell'istruzione e dell'educazione dei
figli, e di fornire ausilii per il superamento e l'attenuazione degli
handicaps.
2. - Nel giudizio davanti a questa Corte si è
costituito l'INPS, per chiedere che la questione sollevata sia
dichiarata inammissibile o, in ogni caso, infondata.
Ad avviso dell'INPS, la questione sarebbe stata sollevata solo in via
di mero principio e dovrebbe essere dichiarata inammissibile, in
quanto nel caso concreto mancherebbe l'attualità della situazione
(effettivo svolgimento di un lavoro, iscrizione, o quanto meno
richiesta di iscrizione, alle liste del collocamento obbligatorio) da
cui il Tribunale di Lucca fa discendere le negative conseguenze nei
confronti dello studente maggiorenne invalido parziale.
Inoltre, a giudizio dell'INPS, non sarebbe affatto dimostrata
l'inconciliabilità tra lo studio e il lavoro che eventualmente
potrebbe essere affidato all'iscritto alle liste del collocamento, ben
potendo il lavoro essere attinente al corso di studi prescelto e ben
potendo comunque lo studente-lavoratore invalido far fronte agli
impegni lavorativi frequentando un corso di studi serale.
La ratio della norma censurata sarebbe comunque quella di apprestare
un sostegno economico al maggiorenne invalido parziale che desidera
lavorare, per tutto il tempo in cui questi non riesce ad inserirsi nel
mondo del lavoro, e non già quella di aiutare il soggetto disabile
che si dedichi agli studi. In quest'ultimo caso, il sostegno economico
non potrebbe, dunque, essere assicurato dalle provvidenze previste per
l'ipotesi del mancato svolgimento di un'attività lavorativa proficua,
bensì dalle specifiche provvidenze apprestate dall'ordinamento per
favorire lo studio, tra le quali rientra quella prevista dall'art. 1
della legge 11 ottobre 1990, n. 289, che riconosce agli invalidi
civili minori degli anni diciotto che frequentano scuole di ogni
ordine e grado un'indennità mensile di frequenza di importo pari
all'assegno di cui alla norma censurata.
3. - Nel giudizio è intervenuto il Presidente del Consiglio dei
ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato,
concludendo per l'infondatezza della questione, in quanto il giudice
rimettente avrebbe annesso all'"assegno mensile di
assistenza" di cui all'art. 13 della legge n. 118 del 1971
funzioni proprie di altro istituto, l'"indennità di
frequenza" di cui alla legge 11 ottobre 1990, n. 289.
La difesa erariale, nell'evidenziare la diversità di ratio dei due
istituti, osserva che l'indennità di frequenza avrebbe lo scopo di
consentire ai minori invalidi di ricorrere a trattamenti riabilitativi
o terapeutici e di frequentare scuole di ogni ordine e grado, centri
di formazione e di addestramento professionale. L'"assegno
mensile di assistenza" sarebbe rivolto, invece, ad offrire
un'alternativa, o meglio, un aiuto di carattere economico al disabile
maggiorenne che, pur avendo potenzialità lavorative residue, non
riesce a conseguire un'occupazione compatibile con il proprio stato
invalidante, cioè un inserimento lavorativo mirato, al quale è
preordinata la parallela e complementare normativa sul collocamento di
cui alla legge 12 marzo 1999, n. 68 e relativi provvedimenti di
attuazione. L'applicazione della norma, così come interpretata dalle
sezioni unite della Cassazione, diversamente da quanto rilevato dal
Tribunale rimettente, non comporterebbe, quindi, l'obbligo di
"ricercare (ed accettare)" un'occupazione lavorativa
"qualunque" ma solo l'onere per gli invalidi civili parziali
maggiorenni di iscriversi (o presentare istanza di iscrizione) nelle
speciali liste di collocamento dei disabili.
Gli unici elementi che accomunano i due istituti sarebbero il
requisito reddituale e la misura mensile dell'assegno, non potendo
estendersi l'ambito di applicazione dell'assegno mensile anche alla
tutela della formazione del soggetto inabile. La difesa erariale
segnala, comunque, che l'articolo 24 della legge 8 novembre 2000, n.
328, nel disporre la delega al Governo per il riordino degli
emolumenti derivanti da invalidità civile, prevede una
riclassificazione delle indennità e degli assegni che tenga conto
delle funzione assolte dagli emolumenti come misure di contrasto alla
povertà e come incentivi per la rimozione delle limitazioni
personali, familiari e sociali dei portatori di handicap.
Con specifico riferimento alle argomentazioni svolte dal rimettente in
ordine all'interpretazione della Corte di cassazione sul requisito
della "incollocazione" al lavoro, la difesa erariale osserva
che l'onere dell'iscrizione (o della richiesta di iscrizione) al
collocamento per la concessione della provvidenza risponde alla ratio
della norma censurata, che non si porrebbe in contrasto con i valori
ispiratori dei precetti costituzionali di cui il Tribunale di Lucca
prospetta la violazione.
Considerato in diritto
1. - Il Tribunale di Lucca dubita della legittimità costituzionale
dell'art. 13, primo comma, della legge 30 marzo 1971, n. 118
(Conversione in legge del decreto legge 30 gennaio 1971 e nuove norme
in favore di mutilati e invalidi civili), nella parte in cui non
prevede il diritto all'assegno per gli studenti maggiorenni invalidi
parziali frequentanti un regolare corso di studi e non iscritti alle
liste del collocamento obbligatorio.
La disposizione censurata prevede la concessione di un assegno mensile
ai mutilati ed invalidi civili di età compresa fra il diciottesimo ed
il sessantaquattresimo anno nei cui confronti sia accertata una
riduzione della capacità lavorativa, nella misura superiore ai due
terzi, che siano "incollocati al lavoro".
L'espressione "incollocati al lavoro" è intesa dal giudice
rimettente, in linea con l'orientamento della Cassazione (sez. un., 10
gennaio 1992, n. 203), nel senso che per la fruizione dell'assegno gli
invalidi devono avere quanto meno presentato domanda di iscrizione
nelle liste degli aventi diritto al collocamento obbligatorio e non
avere conseguito un'occupazione in mansioni compatibili.
La disposizione, così interpretata, appare al giudice rimettente in
contrasto con gli artt. 2 e 3, secondo comma, 31, primo comma, 32, 34
e 38, terzo comma, della Costituzione, in quanto "la rigida
riconducibilità della provvidenza in parola al requisito della
iscrizione nelle liste del collocamento obbligatorio" si porrebbe
in contrasto "con i principi fondamentali di uguaglianza
sostanziale, di tutela della persona e di solidarietà sociale sanciti
dalla Carta costituzionale".
Come precisato in narrativa, nel caso di specie il ricorrente -
maggiorenne invalido parziale in età scolare - aveva adito in sede di
appello il Tribunale di Lucca per chiedere la riforma della sentenza
pronunciata dal Pretore di Lucca il 24 aprile 1999, con la quale, in
considerazione della mancata iscrizione nelle liste speciali di
collocamento, era stata respinta la domanda nei riguardi dell'INPS per
il riconoscimento dell'assegno di invalidità nel periodo compreso tra
il 1° gennaio 1997 e il 30 settembre 1997.
La questione è quindi indubbiamente rilevante, posto che la
disposizione impugnata, nella prospettazione del giudice a quo, non
assicura all'invalido la fruizione dell'assegno mensile previsto dalla
norma censurata.
2. - Nel merito, la questione è infondata nei sensi di seguito
specificati.
2.1. - Giova premettere all'esame della specifica questione sollevata
un sia pur sintetico cenno alle linee generali in materia di
provvidenze economiche a favore dei soggetti disabili.
Le persone disabili che frequentano la scuola percepiscono, fino
all'età di diciotto anni e ricorrendo determinate condizioni
reddituali, l'indennità di frequenza (art. 1, comma 3, della legge 11
ottobre 1990, n. 289). La suddetta indennità spetta, peraltro, agli
invalidi minorenni che frequentino anche periodicamente centri
ambulatoriali o centri diurni, pure di tipo semiresidenziale, pubblici
o privati, purché operanti in regime convenzionale, specializzati nel
trattamento terapeutico o nella riabilitazione e nel recupero di
persone portatrici di handicap (art. 1, comma 2, della legge n. 289
del 1990). Al compimento della maggiore età i disabili devono
sottoporsi a una visita medica obbligatoria presso una commissione
medica per accertare la persistenza dell'handicap e misurare
l'eventuale percentuale di invalidità. Ove sia accertata una
riduzione della capacità lavorativa superiore ai due terzi si ha
diritto all'assegno mensile a condizione che la persona sia "incollocata"
al lavoro e sempre che ricorrano determinate condizioni reddituali. Al
compimento del sessantacinquesimo anno di età è prevista
l'automatica trasformazione della provvidenza in parola in pensione
sociale (art. 19 della legge 30 marzo 1971, n. 118).
Agli invalidi di età superiore agli anni 18, nei cui confronti sia
accertata una totale inabilità lavorativa, è concessa una pensione
di inabilità (art. 12 della legge n. 118 del 1971), alla quale si
aggiunge un'indennità di accompagnamento per l'ipotesi in cui
abbisognino di assistenza continua (art. 1 della legge 11 febbraio
1980, n. 18).
2.2. - Il soggetto disabile che frequenta la scuola ha dunque
senz'altro diritto alla relativa indennità fino all'età di diciotto
anni, mentre oltre questo limite è prevista la corresponsione di un
assegno mensile, a condizione che la persona sia "incollocata"
al lavoro. Più precisamente, la corresponsione dell'assegno mensile
è condizionata dalla ricorrenza di tre requisiti: il requisito
sanitario (percentuale di invalidità civile), il requisito economico
(rispetto del limite di reddito) e il requisito dello stato di "incollocazione
al lavoro".
Avuto riguardo al complessivo sistema normativo e non rilevando nel
caso di specie la previsione relativa all'indennità di frequenza, non
invocata dal giudice a quo in quanto riguardante i soli disabili di
età inferiore ai diciotto anni, è senz'altro ipotizzabile rispetto
al sintagma "incollocati al lavoro", contenuto nella
disposizione censurata, una interpretazione diversa da quella
prospettata nell'ordinanza di rimessione che sia conforme a
Costituzione, tenuto conto della particolare condizione del soggetto
che intenda proseguire il corso degli studi.
Del resto la possibilità di enucleare "una accezione
ulteriore" del requisito dello stato di "incollocazione al
lavoro" è stata sostenuta dalla stessa Corte di cassazione, che,
pur ribadendo il proprio orientamento, ha precisato che i soggetti
invalidi di età compresa tra i cinquantacinque e i sessantacinque
anni, i quali non possono essere iscritti negli elenchi di cui
all'art. 1 della legge n. 482 del 1968, devono poter provare il loro
stato di disoccupazione o non occupazione "con gli ordinari mezzi
di prova, comprese le presunzioni" (Cass., sez. lav., 2 gennaio
2001, n. 4).
La "ulteriore accezione" del requisito ben può essere
estesa alla diversa ipotesi dell'invalido che frequenti la scuola per
le ragioni di seguito sviluppate.
La sola iscrizione - o la richiesta di iscrizione - nelle liste di
collocamento per il disabile maggiorenne che frequenti la scuola, se
intesa come condizione imprescindibile per l'erogazione dell'assegno
mensile, costituirebbe un adempimento meramente formale, contrario
allo spirito della legislazione più recente rivolta alla
valorizzazione della capacità lavorativa residua dei disabili
attraverso servizi di sostegno e di collocamento mirato, nel più
ampio quadro della promozione dell'inserimento e della integrazione
lavorativa di questi soggetti (legge 12 marzo 1999, n. 68).
Ndr. La legge 12 marzo 1999, n. 68 reca "Norme per il diritto al
lavoro dei disabili".
Viceversa, l'interpretazione della disposizione censurata che permette
di considerare l'ipotesi della frequenza scolastica come condizione
per la fruizione dell'assegno mensile per l'invalido maggiorenne, in
quanto rivolta a favorire il diritto all'istruzione contro ogni
possibile ostacolo che di fatto impedisca il pieno sviluppo della
persona umana (sentenze n. 215 del 1987; n. 226 del 2001), si rivela
funzionale ad un più proficuo successivo inserimento nella società e
nel mondo del lavoro. La norma, così ricavata, risponde senz'altro
allo scopo prioritario della legislazione in tema di soggetti disabili
rivolta a favorire una effettiva integrazione lavorativa, valorizzando
le abilità residue di soggetti affetti da gravi minorazioni.
3. - Nei confronti dei soggetti disabili presi in considerazione dalla
disposizione censurata, il requisito della incollocazione -
interpretato alla luce dei principi fondamentali di uguaglianza
sostanziale, di tutela della persona e di solidarietà sociale sanciti
dalla Carta costituzionale e invocati dal giudice a quo per sostenere
l'incostituzionalità della norma impugnata - va letto come
comprensivo dell'ipotesi della frequenza scolastica, che pertanto
costituisce condizione per l'erogazione dell'assegno mensile, dovendo
l'invalido provare la ricorrenza dello stato di incollocazione
attraverso il certificato di frequenza scolastica.