Corte costituzionale
Sentenza 14 ottobre
2005, n. 385
[...] nel giudizio di legittimità
costituzionale degli articoli 70 e 72 del decreto legislativo 26 marzo
2001, n. 151 (Testo unico delle disposizioni legislative in materia di
tutela e sostegno della maternità e della paternità, a norma
dell'articolo 15 della legge 8 marzo 2000, n. 53), promosso con
ordinanza del 17 maggio 2004 dal Tribunale di Sondrio nel procedimento
civile vertente tra Giarba Cesare contro Ente di previdenza dei Periti
industriali e dei Periti industriali laureati, iscritta al n. 890 del
registro ordinanze 2004 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della
Repubblica n. 45, prima serie speciale, dell'anno 2004.
Udito nella camera di consiglio del 22 giugno 2005 il Giudice relatore
Fernanda Contri.
RITENUTO IN FATTO
1. - Il Tribunale di Sondrio, in funzione
di Giudice del lavoro, con ordinanza emessa il 17 maggio 2004, ha
sollevato, in riferimento agli artt. 3, 29, secondo comma, 30, primo
comma, e 31 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale
degli artt. 70 e 72 del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151 (Testo
unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno
della maternità e della paternità, a norma dell'articolo 15 della legge
8 marzo 2000, n. 53), nella parte in cui non consentono al padre libero
professionista, affidatario in preadozione di un minore, di beneficiare
- in alternativa alla madre - dell'indennità di maternità durante i
primi tre mesi successivi all'ingresso del bambino nella famiglia.
Il Tribunale premette in fatto di essere stato adîto da un libero
professionista il quale, essendo affidatario di un minore, unitamente
alla moglie, in forza di provvedimento di affidamento preadottivo emesso
dal Tribunale di Milano, aveva chiesto all'Ente di previdenza dei Periti
industriali, cui era iscritto, di beneficiare dell'indennità di
maternità per i primi tre mesi successivi all'ingresso del bambino in
famiglia, in alternativa alla madre, anch'ella libera professionista,
vedendo respinta la propria istanza sul rilievo che il diritto a detta
indennità era previsto dall'art. 70 del d.lgs. n. 151 del 2001 a favore
delle sole libere professioniste.
Il giudice a quo evidenzia preliminarmente le numerose pronunce con cui
questa Corte ha esteso al padre lavoratore l'applicabilità di norme a
protezione della maternità e del minore (in particolare, la sentenza n.
1 del 1987 che ha riconosciuto il diritto all'astensione obbligatoria e
ai riposi giornalieri, la n. 341 del 1991 relativa al diritto
all'astensione nei primi tre mesi dall'ingresso del bambino nella
famiglia per il padre lavoratore affidatario di un minore, la n. 179 del
1993 e la n. 104 del 2003, che hanno rispettivamente esteso in via
generale al padre lavoratore, in alternativa alla madre lavoratrice
consenziente, il diritto ai riposi giornalieri per l'assistenza al
figlio nel primo anno di vita e, in caso di adozione e affidamento, nel
primo anno dall'ingresso del minore in famiglia), sottolineando come
l'evoluzione degli istituti sia stata recepita dal legislatore con il
d.lgs. n. 151 del 2001, che ha coordinato e razionalizzato la disciplina
della tutela della maternità e paternità dei figli naturali, adottivi e
in affidamento.
Il rimettente rileva, in particolare, che l'art. 31 del menzionato
decreto legislativo, che riconosce al padre lavoratore il diritto al
congedo di maternità ex artt. 26, primo comma, e 27 e il congedo di
paternità ex art. 28, è applicabile ai soli lavoratori dipendenti,
mentre analogo diritto non viene riconosciuto ai padri liberi
professionisti: al riguardo, infatti, il combinato disposto degli artt.
70 e 72 fa espresso riferimento alle sole professioniste, non
consentendo, così, un'interpretazione estensiva, tale da ricomprendere
anche i liberi professionisti di sesso maschile.
Secondo il giudice a quo, l'inequivocabile lettera di tali norme pone,
pertanto, seri dubbi di legittimità costituzionale per contrasto con gli
artt. 3, 29, secondo comma, 30, primo comma, e 31 della Costituzione: le
disposizioni censurate, avendo riservato alla sola madre il diritto
all'indennità, si scontrano con il principio di uguaglianza morale e
giuridica dei coniugi, determinando una ingiustificata disparità di
trattamento tra gli stessi in relazione all'interesse del marito a
partecipare alla fase più delicata dell'inserimento del minore in
famiglia.
Il rimettente richiama, a tal proposito, la sentenza n. 341 del 1991,
con cui la Corte ha evidenziato l'importanza del ruolo e della presenza
dell'affidatario che «potrebbe a volte essere in grado, in relazione
alle variabili peculiarità delle situazioni concrete, di meglio seguire
e assistere il minore in questa particolare fase del suo sviluppo» e
conclude affermando che il diritto della madre libera professionista a
percepire l'indennità per i primi tre mesi dall'ingresso del minore in
famiglia non può che essere riconosciuto anche al padre libero
professionista: in caso contrario, verrebbero violati i principî di cui
agli artt. 29, secondo comma (uguaglianza fra i coniugi anche in
relazione ai compiti di cui all'art. 30, primo comma), 31 (tutela della
famiglia e del minore come compito fondamentale dell'ordinamento) e 3
della Costituzione, anche per l'ingiustificata disparità di trattamento
tra liberi professionisti e lavoratori dipendenti che si determinerebbe.
2. - Nel giudizio dinanzi a questa Corte non vi sono stati né
costituzione di parti private né intervento del Presidente del Consiglio
del ministri.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. - Il Tribunale di Sondrio, in funzione
di Giudice del lavoro, dubita, in riferimento agli artt. 3, 29, secondo
comma, 30, primo comma, e 31 della Costituzione, della legittimità
costituzionale degli artt. 70 e 72 del decreto legislativo 26 marzo
2001, n. 151 (Testo unico delle disposizioni legislative in materia di
tutela e sostegno della maternità e della paternità, a norma
dell'articolo 15 della legge 8 marzo 2000, n. 53), nella parte in cui
non consentono al padre libero professionista, affidatario in
preadozione di un minore, di beneficiare - in alternativa alla madre -
dell'indennità di maternità durante i primi tre mesi successivi
all'ingresso del bambino nella famiglia.
Ad avviso del rimettente, le norme impugnate, riservando alla sola madre
il diritto a percepire l'indennità, determinano un'ingiustificata
disparità di trattamento fra i coniugi, in relazione all'interesse del
marito a partecipare in egual misura rispetto alla moglie alla prima e
più delicata fase dell'inserimento del minore in famiglia, nonché una
disparità di trattamento tra liberi professionisti e lavoratori
dipendenti (per i quali il diritto è, viceversa, contemplato), non
giustificata dalle differenze sussistenti fra le due categorie.
2. - La questione è fondata.
3. - Il d.lgs. n. 151 del 2001 rappresenta l'esito di un'evoluzione
legislativa che ha modificato profondamente la disciplina della tutela
della maternità, estendendo al padre lavoratore ed ai genitori adottivi
i diritti in precedenza spettanti alla sola madre, a protezione del
preminente interesse della prole.
In particolare, il riconoscimento in capo ai genitori adottivi o
affidatari dei medesimi diritti già attribuiti ai genitori biologici è
passato attraverso alcune tappe, riconducibili: alla legge 9 dicembre
1977, n. 903 (Parità di trattamento tra uomini e donne in materia di
lavoro), i cui artt. 6 e 7 hanno rispettivamente esteso alla lavoratrice
madre adottiva o affidataria il diritto all'astensione obbligatoria post
partum e all'astensione facoltativa di cui agli artt. 4, lettera c), e 7
della legge 30 dicembre 1971, n. 1204 e al padre lavoratore, anche
adottivo o affidatario, la possibilità di usufruire dell'astensione
facoltativa; alla legge 4 maggio 1983, n. 184 (Diritto del minore ad una
famiglia), che all'art. 80 ha ammesso l'applicabilità degli artt. 6 e 7
summenzionati alle ipotesi di affidamento provvisorio; alla legge 31
dicembre 1998, n. 476 (Ratifica ed esecuzione della Convenzione per la
tutela dei minori e la cooperazione in materia di adozione
internazionale, fatta a L'Aja il 29 maggio 1993. Modifiche alla legge 4
maggio 1983 n. 184, in tema di adozione di minori stranieri), che
all'art. 39-quater ha esteso i diritti di cui ai citati artt. 6 e 7 ai
genitori adottivi e a quelli che hanno un minore in affidamento
preadottivo; alle leggi 29 dicembre 1987, n. 546 (Indennità di maternità
per le lavoratrici autonome) e 11 dicembre 1990, n. 379 (Indennità di
maternità per le libere professioniste), che hanno riconosciuto alle
lavoratrici autonome ed alle libere professioniste l'indennità di
maternità anche in caso di adozione o affidamento preadottivo.
4. - A tale evoluzione ha fornito un contributo sostanziale la
giurisprudenza di questa Corte, chiamata più volte a decidere in merito
alla legittimità costituzionale di norme a tutela della genitorialità.
In particolare debbono essere ricordate le seguenti pronunce di
accoglimento: la sentenza n. 1 del 1987, che ha esteso al padre
lavoratore il diritto all'astensione obbligatoria ed ai riposi
giornalieri, ove l'assistenza della madre sia divenuta impossibile per
decesso o grave infermità; la sentenza n. 332 del 1988, che ha
riconosciuto alle lavoratrici il diritto all'astensione facoltativa per
il primo anno dall'ingresso del bambino in famiglia, nell'ipotesi di
affidamento provvisorio, e il diritto all'astensione obbligatoria nei
primi tre mesi successivi all'ingresso del bambino in famiglia, in caso
di affidamento preadottivo; la sentenza n. 341 del 1991, che ha
riconosciuto al padre lavoratore, in alternativa alla madre lavoratrice,
il diritto all'astensione obbligatoria in caso di affidamento
provvisorio; la sentenza n. 179 del 1993, che ha esteso, in via
generale, al padre lavoratore, in alternativa alla madre lavoratrice
consenziente, il diritto ai riposi giornalieri per l'assistenza al
figlio nel primo anno di vita; infine, la sentenza n. 104 del 2003, che
ha riconosciuto il diritto ai riposi giornalieri, in caso di adozione e
affidamento, entro il primo anno dall'ingresso del minore in famiglia
anziché entro il primo anno di vita del bambino.
5. - Tale evoluzione è espressa dal d.lgs. n. 151 del 2001 che, nel
provvedere alla ricognizione organica della materia, pone su un piano di
parità ed uguaglianza i genitori che svolgono attività lavorativa e
sancisce definitivamente l'equiparazione dei genitori adottivi o
affidatari a quelli biologici.
La tutela offerta dalla normativa in esame non è, peraltro, completa.
Per il caso di adozione o affidamento, l'art. 31 stabilisce che il
congedo di maternità di cui ai precedenti artt. 26, primo comma, e 27,
primo comma, nonché il congedo di paternità di cui all'art. 28 spettano,
a determinate condizioni, anche al padre lavoratore.
Le espressioni "lavoratore" e "lavoratrice" che compaiono in tale norma
devono essere interpretate alla luce del disposto dell'art. 2, comma 1,
lettera e), secondo cui «per "lavoratrice" o "lavoratore", salvo che non
sia altrimenti specificato, si intendono i dipendenti [...] di
amministrazioni pubbliche, di privati datori di lavoro nonché i soci
lavoratori di cooperative»: la lettera della legge è, pertanto,
esplicita nell'escludere che in detta nozione possano essere fatti
rientrare coloro che esercitano una libera professione, con la
conseguenza che agli stessi l'art. 31 non può essere applicato.
Alle madri libere professioniste è dedicato il Capo XII del d.lgs. n.
151 del 2001: in particolare, l'art. 70, primo comma, riconosce «alle
libere professioniste, iscritte ad un ente che gestisce forme
obbligatorie di previdenza [...] un'indennità di maternità [...]», che
l'art. 72, primo comma, estende, poi, all'ipotesi di adozione o
affidamento. Anche in questo caso, la lettera della legge è di chiara
interpretazione e, nel fare esclusivo riferimento alle libere
professioniste, esclude in linea di principio i padri liberi
professionisti dal godimento del detto beneficio.
6. - Pertanto, il d.lgs. n. 151 del 2001 ha testualmente riconosciuto il
diritto all'indennità al padre adottivo o affidatario che sia lavoratore
dipendente, escludendo, viceversa, coloro che esercitino una libera
professione, i quali non hanno, perciò, la facoltà di avvalersi del
congedo, e dell'indennità, in alternativa alla madre.
Tale discriminazione rappresenta un vulnus sia del principio di parità
di trattamento tra le figure genitoriali e fra lavoratori autonomi e
dipendenti, sia del valore della protezione della famiglia e della
tutela del minore.
Come si evince dalla ratio sottesa agli interventi normativi sopra
ricordati nonché dalla lettura delle motivazioni dei precedenti di
questa Corte, gli istituti nati a salvaguardia della maternità, in
particolare i congedi ed i riposi giornalieri, non hanno più, come in
passato, il fine precipuo ed esclusivo di protezione della donna, ma
sono destinati alla difesa del preminente interesse del bambino «che va
tutelato non solo per ciò che attiene ai bisogni più propriamente
fisiologici, ma anche in riferimento alle esigenze di carattere
relazionale ed affettivo che sono collegate allo sviluppo della sua
personalità» (sentenza n. 179 del 1993).
Ciò è tanto più vero nell'ipotesi di affidamento e di adozione, ove
l'astensione dal lavoro non è finalizzata alla tutela della salute della
madre ma mira in via esclusiva ad agevolare il processo di formazione e
crescita del bambino, «creando le condizioni di una più intensa presenza
della coppia, i cui componenti sono entrambi affidatari, e come tali
entrambi protagonisti, nell'esercizio dei loro doveri e diritti, della
buona riuscita del delicato compito» loro attribuito (sentenza n. 341
del 1991).
Pertanto, se il fine precipuo dell'istituto, in caso di adozione e
affidamento, è rappresentato dalla garanzia di una completa assistenza
al bambino nella delicata fase del suo inserimento nella famiglia, il
non riconoscere l'eventuale diritto del padre all'indennità costituisce
un ostacolo alla presenza di entrambe le figure genitoriali. Occorre
garantire un'effettiva parità di trattamento fra i genitori - nel
preminente interesse del minore - che risulterebbe gravemente
compromessa ed incompleta se essi non avessero la possibilità di
accordarsi per un'organizzazione familiare e lavorativa meglio
rispondente alle esigenze di tutela della prole, ammettendo anche il
padre ad usufruire dell'indennità di cui all'art. 70 del d.lgs. n. 151
del 2001 in alternativa alla madre. In caso contrario, nei nuclei
familiari in cui il padre esercita una libera professione verrebbe
negata ai coniugi «la delicata scelta di chi, assentandosi dal lavoro
per assistere il bambino, possa meglio provvedere» alle sue esigenze,
scelta che, secondo la giurisprudenza menzionata di questa Corte, non
può che essere rimessa in via esclusiva all'accordo dei genitori, «in
spirito di leale collaborazione e nell'esclusivo interesse del figlio»
(sentenza n. 179 del 1993).
La violazione del principio di uguaglianza appare ancor più evidente se
si considera che il legislatore ha riconosciuto tale facoltà ai padri
che svolgano un'attività di lavoro dipendente: il non aver esteso
analoga facoltà ai liberi professionisti determina una disparità di
trattamento fra lavoratori che non appare giustificata dalle differenze,
pur sussistenti, fra le diverse figure (differenze che non riguardano,
certo, il diritto a partecipare alla vita familiare in egual misura
rispetto alla madre), e non consente a questa categoria di
padri-lavoratori di godere, alla pari delle altre, di quella protezione
che l'ordinamento assicura in occasione della genitorialità, anche
adottiva.
Appare discriminatoria l'assenza di tutela che si realizza nel momento
in cui, in presenza di una identica situazione e di un medesimo evento,
alcuni soggetti si vedono privati di provvidenze riconosciute, invece,
in capo ad altri che si trovano nelle medesime condizioni.
Nel rispetto dei principî sanciti da questa Corte, rimane comunque
riservato al legislatore il compito di approntare un meccanismo
attuativo che consenta anche al lavoratore padre un'adeguata tutela.
P.Q.M.
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara l'illegittimità costituzionale
degli artt. 70 e 72 del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151 (Testo
unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno
della maternità e della paternità, a norma dell'art. 15 della legge 8
marzo 2000, n. 53), nella parte in cui non prevedono il principio che al
padre spetti di percepire in alternativa alla madre l'indennità di
maternità, attribuita solo a quest'ultima. |