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TRIBUNALE DI MONZA Sezione IV Civile R.G. 344/00 - Sent. 2994/04 Pres. Rel. Dott. Leopoldo LITT A MODIGNANI
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con la sentenza parziale, emessa da questo Tribunale in data 1.6.11.2000 ai sensi dell'art. 4/IX della Legge 898/1970 (Sent. n. 3729/00, depositata il 19.12.00), è stato pronunciato lo scioglimento del matrimonio civile contratto dal FR e NF, con rimessione della causa sul ruolo per la decisione definitiva in ordine ai provvedimenti consequenziali. Come già rilevato in precedenti provvedimenti emessi ne! corso del giudizio, la vertenza non attiene a questioni di natura economica, essendo pacifico che entrambi gli ex coniugi godono di adeguati redditi lavorativi e non essendo stata da loro proposta alcuna domanda, né in tema di assegno divorzile, né riguardo a rapporti patrimoniali reciproci. La controversia, dunque, riguarda esclusivamente i rapporti delle parti con il figlio minore N, nato il 7.1.1992, il quale venne affidato al padre fin dall'epoca della separazione (vedi ricorso per separazione consensuale del 15.2.95 e verbale presidenziale del 20.3.05 doc. 1 e 2 in fasc.ric.) Pur avendo i coniugi concordato in quella sede un adeguato regime di frequentazioni tra il bambino e la madre, secondo le condizioni che ebbero regolare attuazione per alcuni mesi, si è verifìcato che, a partire dall'ottobre dello stesso anno 1995, non vi siano più state apprezzabili relazioni tra N - il quale allora aveva soltanto tre anni, e la sig.ra F. Tale anomala situazione si è protratta fino all'epoca attuale, nonostante le iniziative giudiziarie proposte dall'odierna resistente per recuperare il rapporto con il figlio, che ormai si avvia la compiere il dodicesimo anno di età, e a dispetto dei molteplici interventi disposti dal Tribunale, prima nell'ambito del procedimento ex art.. 710 CPC (fase. n. 3260/97 VOL, qui allegato) e poi ancora nel corso del presente giudizio. Va ricordato in proposito che questo Collegio, con ordinanza del 5.4.00 emessa a chiusura procedimento per le modifica delle condizioni della separazione, aveva dovuto prendere atto dal fallimento degli interventi svolti dal Servizio Sociale di L e del Servizio Spazio Neutro di Milano, con un'attività articolata nell'arco di un triennio; con detta ordinanza il Tribunale non aveva mancato di sottolineare le responsabilità del genitore affidatario e le sofferenze patite da N. Successivamente, con ordinanza dal 27.12.01, lo stesso Tribunale chiamato una prima volta alla decisione sulle domande precisate dalle parti nell'udienza del 9.7.01 - rimetteva la causa in istruttoria per consentire l'intervento di due consulenti d'ufficio, disponendo nel contempo la revoca dell'affidamento del minore al padre, con subentro come Ente Affidatario dal Comune di S. Le relazioni delle CTU, dott. Marina Rognoni e dott. Luisa Meroni - nel corso di una complessa attività di diagnosi del conflitto familiare e di supporto al percorso di riavvicinamento tra madre e figlio sono state depositate il 25.9.02 e 1.7.03. Dopo il deposito di osservazioni di parte in ordine alle conclusioni dei periti, il G.I. ha dato ingresso alla fase della decisione, ai sensi dell'art. 190 CPC, con discussione orale dalla causa davanti ai Collegio ex art. 275 comma II. MOTIVAZIONE Nelle due ordinanze collegiali del 5.4.00 e del 27.12.01, poco sopra menzionate, sono contenuti ampi riferimenti alle vicende che hanno segnato il lungo conflitto personale tra i coniugi R e F, conflitto che ha avuto come protagonista principale il figlio minore N; negli stessi provvedimenti sono posti in rilievo i momenti salienti dell'attività dei Servizi e operatori vari, chiamati dal Tribunale a supporto dell'accertamento giudiziale e a sostegno dagli stessi componenti del nucleo familiare de quo. II Collegio, chiamato oggi alla decisione definitiva della controversia - decisione che, tuttavia, non può tradursi nella soluzione del conflitto personale, di cui permangono le conseguenze laceranti - deve rielaborare e puntualizzare le proprie precedenti valutazioni sui fatti rilevanti per il giudizio e in particolare sui comportamenti delle parti, alla luce delle più recenti osservazioni proposte dalle consulenti d'ufficio e tenuto conto egli argomenti sviluppati dalle opposte difese negli scritti conclusionali. Il dato più rilevante, che emerge dalle conclusioni della perizia Rognoni/Meroni e che conferma precedenti valutazioni di altri operatori specializzati (vedi ad es. rel. della psicologa dott. Carmela Gambarato dell'ASL in data 19.11.97), è un giudizio di sostanziale inadeguatezza di entrambe le figure genitoriali nell'affrontare i gravi problemi derivati a N dalle vicende della separazione. “Nonostante il percorso effettuato con entrambe le professionista incaricate.. nessuno si è dimostrato in grado di affidarsi ad un progetto terapeutico, che in realtà non è mai stato accettato e condiviso, e nel quale nessuno ha mai veramente creduto. La madre ha continuato a dimostrarsi poco affidabile oscillante tra momenti di intensa depressione, abulia e scoramento, e momenti di euforia ed entusiasmo poco motivati sul parametro di realtà. ... è stata per un lungo tempo latitante (ha effettivamente avuto un importante problema di salute)... una volta offertole uno spazio di rielaborazione e sostegno dopo la difficilissima prova dell'aver incontrato N, si è mostrata estremamente incostante nel presentarsi agli appuntamenti oltre che discontinua negli impegni assunti. II padre ha mantenuto una posizione di totale diffidenza, quando non di aperta svalutazione, e ha incentivato un atteggiamento ostile, talvolta decisamente boicottante nei confronti del progetto d'intervento. N si è mantenuto in una posizione rigidamente difensiva, non si è neppure permesso di percepire il contesto di aiuto e di sostegno, perché terrorizzato dall’idea che qualcuno potesse avvicinarsi ad una struttura difensiva cosi rigida e massiva... La percezione della realtà, soprattutto di quella emotiva, da parte di questo bambino è così parziale e circoscritta, e il suo atteggiamento manifesto appare casi rispondente alle aspettativa del padre, che è verosimile parlare di una strutturazione di personalità di “Falso Sé". ...in considerazione di quanto sopra esposto, appare evidente che c’è stato intorno a N un fallimento ambientale: entrambi i genitori aI di là delle singole strutturazioni patologiche a livello di personalità (sig.ra F: Disturbo Narcisistico di Personalità..; sig. R Disturbo di Personalità), non sono stati in grado di esercitare una funzione protettiva, contenitiva e rassicurante nei confronti del figlio. La madre non è stata in grado di farlo perché non ha saputo offrire al bambino costanza affettiva ed interessamento autentico ai bisogni da lui espressi, il padre perché ha fatto di tutto per impedire una reale ripresa dei rapporti tra madre e figlio, e, convinto della totale inadeguatezza dell'ex moglie, ha sempre agito come se per il figlio fosse meglio non averla proprio una madre di questo genere. " Si tratta di notazioni ampiamente condivisibili, le quali non fanno che confermare - con il suffragio dei dati raccolti in un'opera di osservazione più approfondita, scandita da una serie di incontri dai periti con i genitori e con il minore - quanto era già emerso nelle precedenti fasi giudiziali ed era stato riassunto nei provvedimenti parziali del Tribunale. Il "fallimento ambientale” dichiarato dalle ctu, era già stato percepito - infatti - dagli operatori del Servizio Sociale di S (vedi la relazione finale del 21.03.01) e aveva condotto il Tribunale a sostituire il sig. R nella funzione di genitore affidatario di N, con lo stesso Ente Pubblico. E' chiaro, dunque, che l'odierna decisione non potrà che riproporre, circa le modalità di affidamento del minore, la situazione già in atto, secondo le indicazioni dei periti d'ufficio: "Lasciare N affidato ad un Ente Tutore, in considerazione delle gravi carenze genitoriali dimostrate da entrambi. Non prevedere aI momento attuale altre occasioni d'incontro di N con la madre a meno che non partano da un'esplicita richiesta del bambino. Non prescrivere ai componenti del nucleo familiare un intervento terapeutico coatto, in considerazione della scarsissima recettività dimostrata nei diversi contesti d'intervento strutturati nel passato e in tempi recenti, e in considerazione della fortissima resistenza al cambiamento dimostrata da tutti. " Non dissimile, del resto, era stata la conclusione della citata relazione del Servizio Sociale del marzo 2001: “... non si ritiene di dare prescrizioni perché si ritiene che solo alla luce di una reale motivazione da parte degli interessati si possa avere un'efficacia terapeutica... Solo attraverso un presa di coscienza da parte dagli interessati si ritiene che possa accadere qualcosa in senso trasformativo. In tal senso appare indicato lasciar trascorrere un tempo relativamente lungo, mantenendo un controllo a distanza." Il Collegio conferma dunque l’affido di N al Servizio Sociale, con collocamento del minore presso il padre, secondo le prescrizioni che saranno appresso dettagliate nel dispositivo. Va per contro scartata una diversa soluzione, che preveda l’allontanamento di N dall'attuale contesto familiare - come proposto dalla difesa dalla sig.ra F - sia per la considerazione che non si è registrata alcuna indicazione dei consulenti in tal senso, sia perché un collocamento eterofamiliare darebbe innesco a nuove sofferenze per il minore, sconvolgendo la situazione di compenso psicologico ed emotivo che il ragazzo sta vivendo nell'ambiente paterno, senza la garanzia di un risultato positivo apprezzabile. Venendo agli altri temi introdotti dalle opposte difese nella rispettive conclusioni, e dibattuti con puntiglio nella discussione finale, il Tribunale osserva quanto segue. E' indubbio che la misura dell'assegno stabilito in via provvisoria a carico della sig.ra F, a titolo di contributo al mantenimento per N sia divenuta inadeguata ai bisogni attuali del figlio, considerato il maggiore impegno agli studi e tenuto conto delle aspirazioni di un ragazzo di quell'età nei rapporti con i coetanei, nella attività culturali, sportive e ricreativa in genere. Appare quindi giusto prevedere - anche per valorizzare la funzione della madre nel sostegno materiale allo sviluppo psicofisico del figlio - l'erogazione di un assegno mensile, di importo pari ad Euro 200,00, oltre al concorso per il 50% alle spese straordinarie sanitarie (non coperte dal SSN) e scolastiche occorrenti per N, rimarcandosi che la stessa madre dovrà essere tenuta costantemente informata di ogni aspetto rilevante nella vita del minore e dovrà partecipare alle più importanti decisioni riguardanti il ragazzo (cure mediche, indirizzo di studi, soggiorni all'estero e altro); di ciò si dovrà rendere garante il Servizio Sociale affidatario, favorendo gli opportuni contatti della sig.ra F con le istituzioni scolastiche. La resistente, da parte sua, ha avanzato una richiesta risarcimento del danno biologico e morale, lamentando la privazione di ogni possibilità di rapporto con il figlio per fatto imputabile al sig, FR, in ragione della condotta rigidamente ostativa che il ricorrente avrebbe tenuto al fine di impedire la ripresa delle normali relazioni di N con la madre. La difesa del ricorrente ha contestato la stessa ammissibilità della domanda, in quanto proposta tardivamente, e comunque ne ha chiesto il rigetto per totale mancanza dei presupposti giuridici. L'eccezione preliminare d'inammissibilità deve essere disattesa, per il rilievo che già nella comparsa di costituzione datata 24.03.04 e depositata nell'udienza presidenziale, la difesa resistente, oltre a ribadire le conclusioni precedentemente rassegnate nel procedimento ex art 710 CPC (pag. 2), proponeva espressamente, come "ulteriore domanda" la determinazione di "un risarcimento danni alla madre per il danno psicofisico dalla stessa subito e che ci si riserva di documentare anche sottoponendosi a CTU, a causa della privazione del rapporto con il proprio figlio." (vedi pag. 3 atto citato). La medesima domanda è stata poi riproposta puntualmente, sia all'atto della prima precisazione delle conclusioni (foglio allegato a verbale del 9.7.01), sia in occasione della definitiva spedizione della causa a sentenza (udienza di p.c. del 19.02.04), ove la richiesta risarcitoria era articolata sotto il duplice profilo del danno biologico e morale", la cui concreta determinazione è stata rimessa alla valutazione equitativa del Tribunale. La domanda così formulata corrisponde ai tradizionali canoni di definizione del danno non patrimoniale, ove la tutela risarcitoria del danno biologico - derivante da una lesione dell'integrità psicofisica di un soggetto - veniva data sulla scorta di un collegamento tra l'art. 2043 C.C. e l'art. 32 Cost., mentre il danno morale soggettivo - inteso come, sofferenza immediatamente connessa con la commissione di un illecito - era riconosciuto solo nei ristretto limite delineato dall'art. 2059 CC, cioè in presenza di un fatto qualificabile come reato. Se si dovesse rimanere nei binari così tracciati dalla giurisprudenza fino ad epoca recente, il Tribunale non potrebbe che rilevare, quanto al profilo del danno biologico, che nel presente giudizio è mancata qualsiasi allegazione documentale circa l'esistenza per la sig.ra F di una patologia clinicamente definibile, tale da potersi valutare come lesione, temporanea o permanente, della sua integrità psicofisica, e attribuibile sotto il profilo eziologico alla condotta antigiuridica ascritta dalla resistente all’ex marjto. Non è neppure stata richiesta, e tal fine, una CTU medico legale, in difetto della quale il Collegio deve ritenere del tutto insussistente - per mancanza di dimostrazione e anche di concreta enunciazione - il dedotto danno biologico. Quanto al danno morale, la domanda dovrebbe invece essere accolta solo sulla basa dell'accertamento, in astratto, della responsabilità del sig. R per il reato di cui all'art. 388 CP, ossia della mancata esecuzione, dolosa del provvedimento dell'autorità giudiziaria riguardante l’esercizio del diritto di visita al minore del coniuge non affidatario. Più di recente, tuttavia, la giurisprudenza ha elaborato una più ampia definizione del danno non patrimoniale, giungendo a superare, attraverso l'enunciazione di importanti principi in tema di tutele dei diritti della persona costituzionalmente garantiti, i limiti posti dalle precedenti interpretazioni. Questo Collegio ritiene, allora, che la definizione della presente controversia, sul punto della pretesa risarcitoria avanzata dalla sig.ra F, debba essere ancorata ai suddetti principi, che la Corte di Cassazione, Sez. III Civ. ha meglio delineato con la pronuncia n. 8827 del 7- 31 maggio 2003: "In tema di risarcimento del danno, ogniqualvolta si verifichi la lesione di un interesse costituzionalmente protetto, il pregiudizio consequenziale integrante il danno morale soggettivo (patema d'animo) è risarcibile anche se il fatto non sia configurabile come reato. Il riconoscimento dei diritti della famiglia, di cui all'art. 29 della Costituzione, va inteso nel più ampio senso di modalità di realizzazione della vita stessa dell'individuo alla stregua dei valori e dei sentimenti che il rapporto genitoriale ispira generando bisogni e doveri, ma anche dando luogo a gratificazioni, supporti, affrancazioni e significati. Allorché un fatto lesivo abbia profondamente alterato quel complessivo assetto provocando una determinante riduzione, se non un annullamento delle positività che - dal rapporto parentale derivano il danno non patrimoniaIe consistente nello sconvolgimento delle abitudini di vita... deve trovare ristoro nella tutela apprestata dall’art. 2059 del CC in caso di lesioni di un interesse costituzionalmente protetto." Anche se il caso specifico trattato dalla Corte e a!tre jpotesi considerate nella motivazione della medesima sentenza, riguardavano il tema del danno derivante dall'uccisione o dalla grave menomazione fisica di un congiunto, va sottolineato che i principi enunciati in quella decisione si attagliano perfettamente anche all’odierno giudizio, giacché l’interesse qui fatto valere dalla sig.ra F coincide con “quello della intangibilità degli; affetti e della reciproca solidarietà in ambito familiare, all'inviolabilità della libera e piena esplicazione delle attività realizzatrici della persona umana nell'ambito di quella peculiare formazione sociale costituita dalla famiglia, la cui tutela è ricollegabile agli art. 2, 29 e 30 della Costituzione." Nel caso in esame, appare indubbio che la compromissione sofferta dalla sig.ra F nella sfera dei propri rapporti con iI figlio minore, attraverso l'interruzione di ogni apprezzabile relazione negli ultimi dieci anni, integri la lesione di un diritto personale costituzionalmente garantito, e rappresenti quindi un fatto costitutivo del diritto al risarcimento dei danni non patrimoniali sotto l'aspetto sia del danno morale soggettivo (patema d'animo), sia dell'ulteriore pregiudizio derivante dalla privazione delIe positività derivanti dal rapporto parentale. Detto danno potrà così trovare congruo risarcimento anche indipendentemente dall'accertamento in via puramente astratta ed incidentale, di una responsabilità penale (e quindi del riconoscimento di una volontà dolosa del sig. R di eludere i provvedimenti che regolavano i rapporti tra il figlio e la madre non affidataria), sulla semplice verifica del connotato colposo delle condotta, idoneo a sostenere l’imputabilità dall'evento lesivo secondo i criteri di cui all'art. 2043 CC La difesa del sig. R contesta anche nel merito la fondatezza della pretesa di controparte, negando che il ricorrente sia stato in qualche modo responsabile di avere impedito lo svolgimento delle relazioni tra madre e figlio; nello scritto conclusionale ed in sede di discussione sono stati svolti argomenti critici in ordine alle motivazioni dell'ordinanza collegiale del 27.12.01, con lo scopo di confutare il giudizio negativo espresso dal Tribunale nei confronti del genitore affidatario e di porre in luce, per converso, le grave carenze personali della sig.ra F. Si è così sostenuta la valenza positiva dell'opera educativa svolta dal R, il quale avrebbe fatto quanto possibile per assecondare i tentativi di ripresa dei rapporti, occupandosi un prima persona per l'accompagnamento del bambino e prestando tutta la collaborazione richiesta dagli operatori. Tali argomenti devono essere qui definitivamante disattesi, ritenendo il Collegio di riaffermare la complessiva validità delle osservazioni contenute nell'ordinanza del 27.12.01, dovendo solo darsi atto che - essendo quel provvedimento incentrato sulla valutazione dell'idoneità del R a mantenere il ruolo di genitore affidatario - non erano stati posti allora in dovuto risalto gli indubbi limiti già riconoscibili nella personalità della F ed era stato obbiettivamente trascurato il dato fondamentale, assunto poi nelle osservazioni conclusive delta CTU Rognoni e Meroni, circa la responsabilità di entrambe le figure genitoriali nella determinazione di quel “fallimento ambientale" che ancora oggi impedisce la ricostruzione di un rapporto di N con la madre. E' errato - dunque - ritenere che il R sia l'esclusivo responsabile della prolungata interruzione delle relazione madre-figlio (ma questo invero non è mai stato affermato da! Tribunale), ed è probabilmente eccessivo imputare al ricorrente una dolosa volontà di distruzione detta figura materna agli occhi del bambino. Non è però assolutamente accettabile la tesi della difesa ricorrente che vorrebbe individuare nel comportamento della F la causa prevalente, se non esclusiva, dell'atteggiamento di ostilità e di rifiuto manifestato da N verso la madre stessa, mentre il padre sarebbe stato tutt'al più vittima di un proprio intimo senso di sfiducia circa le effettive capacità di accoglienza della ex moglie, attraverso il quale sarebbe stato "inconsciamente" trasmesso un messaggio di sfiducia recepito dal bambino. I fatti esposti nelle osservazioni dei diversi operatori, che si sono succeduti nella gestione dei rapporti tra le parti, convergono in modo univoco nel rilievo che il sig. R non ha mai dato un reale contributo positivo all'evoluzione della relazione di N con la madre, esplicitando, sia con comportamenti di rigida chiusura emotiva, sia con aperte dichiarazioni, anche alla presenza del bambino, la sua radicale sfiducia sull'utilità degli interventi di mediazione in atto. Già nella relazione della dott. Gambarato in data 10.11.97 si rilevava, infatti: "Sin dall'inizio del processo si è presentata la difficoltà di stabilire e mantenere una condizione di reale collaborazione da parte del padre, affinché si ponessero le migliori condizioni alla libera e spontanea espressione del bambino. ... N sapeva di venire a pronunciarsi circa la propria volontà di rivedere la madre. Questo è quanto esplicitato direttamente dal padre in presenza della psicologa al bambino. L'avvio pertanto è risultato difficile, data la grande responsabilità decisionale di cui N si sentiva investito.." ...”il Sig. R esplicita l’intenzione di eliminare definitivamente la madre, sig. F dalla mente e dalla vita affettiva di N. Ritiene infatti che i riferimenti del bambino ad una figura materna siano in relazione a persona diversa dalla madre.” Nella successiva relazione dell'anno 1998 si leggeva inoltre: “Oggi la figura della madre agli occhi del bambino è fortemente danneggiata.. E' necessario che il padre, verso cui N ha una forte dipendenza, cambi la sua intima convinzione negativa verso la sig.ra F e trasmetta al figlio un messaggio positivo nel riguardi della madre, altrimenti ogni rapporto anche imposto sarà negativo per il figlio” Ebbene, nei cinque anni successivi il giudizio degli operatori e dei CTU nei confronti del sig. R non si è sostanzialmente modificato, né vi è traccia di un mutamento di atteggiamento da parte del padre. AI contrario, in alcune decisive circostanze - quando ancora pareva possibile la rinascita di una relazione affettiva tra N e la madre, tra la fine dell'anno 1998 e l'inizio dal 1999 - l'intervento del sig. R, e di altre figure femminili appartenenti ai suo ambito familiare (come la madre e la compagna dell'odierno ricorrente), ha prodotto risultati semplicemente distruttivi. Per brevità di esposizione, il Collegio rimanda alla lettura delle relazioni del Servizio Spazio Neutro di Milano, già ampiamente richiamate nell'ordinanza del 27.12.01. Da tali relazioni il Tribunale trae e conferma il proprio convincimento circa l’esistenza di un rigido condizionamento del minore nell'approccio con la madre, determinato, oltre che da dinamiche psicologiche interne del bambino che pure gli psicologi hanno rilevato, dall'atteggiamento di aperta sfiducia, se non proprio di avversione, del sig. R, e delle persone a lui vicine, rispetto agli interventi degli operatori. Il Collegio deve poi riaffermare che l’interruzione dai rapporti tra madre e figlio, avvenuta negli ultimi mesi del 1995, non conseguì ad una libera scelta di abbandono della sig.ra F, la quale ritenne invero di sospendere per un certo tempo le visite di fronte a gravi manifestazioni di ostilità da parte del bambino (vedi dich. davanti al Giudice Tutelare in data 16.11.96), non mancando però di rivolgersi tempestivamente all'autorità giudiziarie, sia con un atto di querela, sia con ricorso al Tribunale per i Minori e al Giudice Tutelare (cfr. doc. in atti). In conclusione, se nella valutazione delle responsabilità si devono assumere tanto le omissioni e le mancanze da parte del padre, quanto i limiti della personalità, le discontinuità e le carenze emotive della madre, ciò non può certo condurre ad un giudizio di assoluzione del sig. R, al più alla considerazione del concorso delle diverse condotte nella causazione dell'evento pregiudizievole) al fine della graduazione del risarcimento secondo la regola fissata dall'art. 1227, richiamato dall'art. 2056 CC. Non si può neppure affermare, sotto tale ultimo profilo, che le due condotte abbiano avuto un effetto equivalente nella determinazione del persistente rifiuto di N nei confronti della madre. Se da un Iato, infatti, va considerato che la sig.ra F oggi stia scontando i limiti delle propria risorse emotive e motivazionali, nonché i disagi psicologici indotti da una separazione che fu il frutto di una sua decisione, appare chiaro, dall'altro Iato, che tali limiti e disagi non possono porsi - sotto il profilo dell'efficacia causale mancanze a le resistenze ascrivibili al R se non altro perché, essendo egli il soggetto della famiglia più forte psicologicamente e più influente sul comportamento del figlio, sarebbe stato oltremodo decisiva la sua positiva partecipazione al recupero della funzione genitoriale materna. In conclusione, il Tribunale ritiene che il sig. R, nella sua veste di genitore affidatario, sia venuto meno al fondamentale dovere, morale a giuridico, di non ostacolare, ma anzi di favorire la partecipazione dell'altro genitore alla crescita e alla vita affettiva del figlio, e che tale condotta antigiuridica abbia provocato un grave pregiudizio al diritto personale delle sig.ra F alla piena realizzazione del rapporto parentale con N, senza contare il danno che ne risulta inferto al medesimo minore per la perdita dell'insostituibile relazione affettiva con la madre. L'annullamento delle funzione genitoriale materna, oggi ancora in atto, porta al riconoscimento ai un grave danno morale ed esistenziale per la titolare del diritto, per il cui risarcimento a carico del R il Tribunale, pur tenendo conto del concorso di responsabilità della stessa parte lesa, ritiene congruo l'importo di Euro 50.000, avuto riguardo ai parametri oggi utilizzati nel distretto di Milano per la liquidazione dei danni per la perdita o le gravi lesioni del congiunti. Nel decidere la controversia alla stregua delle motivazioni sopra esposte il Tribunale, considerato l'esito della principale questione trattata, pone a carico del ricorrente le spese dei giudizio, come liquidate nel seguente dispositivo. PQM Il Tribunale, definitivamente pronunciando nel contraddittorio delle parti, ogni diversa istanza disattesa, così provvede; 1 - conferma l’affidamento del figlio minore N al Comune di S, con collocazione del minore stesso presso la casa patema e con obbligo di mantenimento e carico del sig. R. 2 - conferma la sospensione dei rapporti di N con la madre, per le condizioni ostative rappresentate nella relazione peritale, disponendo che l'Ente affidatario ponga in atto ogni opportuno intervento a sostegno della madre stessa, oltre che del minore e del padre, al fine di garantire comunque una partecipazione della sig.ra F al processo di crescita del figlio, esperendo altresì, quando l’evoluzione delle dinamiche personali lo consentirà, ulteriori tentativi per il ripristino di normali relazioni tra i componenti del nucleo. 3 - pone a carico della Sig.ra F, a titolo di concorso al mantenimento di N, l'assegno mensile di Euro 200,00 - importo così elevato con decorrenza dal corrente mese di luglio 2004 con rivalutazione annua secondo gli indici ISTAT dal 1.07.2005. 4 - condanna il sig. FR, a titolo di risarcimento del danno non patrimoniale derivante alla sig.ra F per la privazione del diritto ad un rapporto genitoriale con il figlio, al pagamento in favore della resistente della somma di Euro 50.000.00, con gli interessi legali dalla pubblicazione delle presente sentenza al saldo effettivo. 5 - condanna lo stesso ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate in favore della resistente in complessivi Euro 8.360,00 (di cui 260 per esborsi, 2.100 per diritti e 6.000 per onorari), oltre al rimborso spese generali, CPA, IVA e successive. Sentenza provvisoriamente esecutiva. Così deciso in Monza, nelle Camera di Consiglio del 08 luglio 2004 Il Presidente Dott. Leopoldo Litta Modignani |
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