Dichiarazioni Programmatiche del Presidente del
Consiglio dei Ministri On. Prof. Romano Prodi al Senato Signor
Presidente del Senato,
onorevoli senatrici e onorevoli senatori,
l’inizio del cammino del governo che oggi si presenta a Voi per chiedere
la fiducia, ha coinciso con il termine di un settennato presidenziale e
l’elezione di un nuovo Presidente della Repubblica.
Sono certo di interpretare i Vostri sentimenti, e quelli di tutti gli
italiani, se avverto innanzi tutto il bisogno di rivolgere un pensiero
di gratitudine al Presidente Ciampi, per il modo esemplare con cui ha
interpretato il Suo ruolo di garante di tutti;
per la sensibilità e misura con cui in ogni circostanza ha saputo farsi
interprete del comune sentire degli italiani;
per la passione con cui ha alimentato il sentimento dell’unità
nazionale;
per la forza con cui in ogni occasione ci ha ricordato come l’Italia sia
parte viva dell’Unione Europea.
Grazie, Presidente Ciampi. Le italiane e gli italiani Le sono e Le
saranno sempre legati da affetto e gratitudine.
Allo stesso tempo, voglio rivolgere un saluto deferente e un caldo
augurio al nuovo Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano.
Al momento della Sua elezione tutti, anche chi non ha ritenuto di
votarlo, hanno sentito il dovere e il piacere di testimoniarGli la stima
e il rispetto che ha saputo meritare lungo un percorso personale e
politico sempre ispirato ad autonomia di giudizio, grande equilibrio,
attaccamento alle istituzioni repubblicane, passione e fiducia nella
democrazia e nella libertà, senso dello Stato.
A Lei, Presidente Napolitano, gli italiani guardano con grande attesa
certi che saprà rappresentare l’Italia ovunque con la dignità e lo stile
ben noti a chi la conosce, e che tutti impareranno ben presto ad
apprezzare.
Se mi è consentita infine una notazione personale, è per me motivo di
grande orgoglio che il Presidente Ciampi e il Presidente Napolitano
siano stati entrambi valorosi ministri del mio primo governo. Mi lega al
primo il ricordo dell’azione svolta insieme affinché l’Italia fosse nel
gruppo di testa dei paesi dell’euro. Mi lega al secondo anche il ricordo
dell’azione svolta nelle istituzioni europee perseguendo, in ruoli
diversi, la stessa idea di Europa.
Signor Presidente del Senato,
onorevoli senatrici e onorevoli senatori,
il governo che oggi si presenta a voi per chiedere la vostra fiducia, è
quello che gli elettori italiani hanno voluto con il loro voto il 9 e 10
aprile scorsi, al termine di una campagna elettorale che noi tutti
avremmo voluto migliore per la qualità del dibattito e che da tutti è
stata combattuta con passione, anche se a tratti, con qualche asprezza
verbale di troppo.
Tuttavia si è trattato pur sempre di una normale campagna elettorale, di
una competizione che ogni paese democratico maturo, come il nostro, vive
periodicamente.
Dico questo perché, facendo leva anche sulla esiguità del vantaggio che
ha consegnato la vittoria alla coalizione da me guidata, si vuole dare
talvolta una lettura drammatizzante della situazione scaturita dalle
urne. Taluni coltivano l’immagine di una comunità nazionale lacerata,
spaccata, irrimediabilmente divisa.
Non è così. Consentitemi di dire che chi si attardasse in questa lettura
non renderebbe un servizio al Paese, e neppure ai propri elettori.
L’Italia è sicuramente un paese con tante diversità, e con distinzioni
anche forti, che tendono a esprimersi all’interno di una
contrapposizione bipolare che i cittadini hanno fatta propria, e di cui
accettano le implicazioni con ammirevole maturità. Maturità di cui è
prova anche l’altissima partecipazione al voto.
Ma distinzione non è eguale a divisione, se la politica non la rende
intenzionalmente tale, se la politica non sceglie di viverla e
propagandarla come tale.
Sicuramente non è e non sarà questa la scelta del governo e della
maggioranza che lo sostiene, espressa dagli elettori che hanno
dimostrato di apprezzare il nostro programma e la nostra proposta di
governo.
E noi realizzeremo il nostro programma, con l’obiettivo di coinvolgere
anche chi non ci ha dato il suo consenso, non certo con l’intento di
punire chi l’ha negato.
Non ci sono nemici, né in quest’aula, né fuori. Ci sono solo, qui e
fuori, italiani che amano l’Italia come l’amiamo noi, ma che
legittimamente coltivano priorità e auspicano scelte diverse dalle
nostre.
Non c’è un paese da pacificare. C’è, invece, un paese da mobilitare in
tutte le sue componenti, con un costruttivo spirito di concordia.
Non può e non deve esservi spazio per comportamenti ispirati ad una
volontà di rivincita, ad un esasperato desiderio di marcare ad ogni
costo le differenze, alla voglia di segnare vistosamente un nuovo
inizio, quasi che un cambio di maggioranza e di governo all’interno di
una fisiologica e salutare alternanza tipica di una solida democrazia,
dovesse significare una frattura nella storia del Paese.
Noi ricercheremo la concordia, il che non significa annullamento delle
diversità, nè tantomeno il perseguimento di intese non limpide che
stravolgerebbero il significato del voto.
Noi la ricercheremo per lo spirito con cui intendiamo operare. E
vorremmo che lo stesso spirito animasse l’opposizione.
Noi siamo qui, di fronte a Voi, non solo per chiedere la Vostra fiducia,
ma per dirvi che noi sentiamo il bisogno e il dovere di guardare al
Parlamento come alla sede naturale del confronto democratico fra
maggioranza e opposizione, tutte e due a pari titolo rappresentative di
parti importanti del nostro popolo.
All’opposizione e ai suoi leader non faremo mai mancare il rispetto che
la democrazia esige.
A loro chiedo la disponibilità ad una attenta considerazione di quello
che verremo proponendo, misurandolo sulla rispondenza agli interessi
generali del paese.
Lo chiedo perché io credo che a nessuno di noi sfugga la serietà della
situazione internazionale e interna in cui ci troviamo ad operare.
Lo chiedo perché sono profondamente convinto che o usciamo dalle
difficoltà e andiamo avanti tutti insieme, o andiamo irrimediabilmente
indietro tutti insieme.
Signor Presidente del senato,
onorevoli senatrici e onorevoli senatori,
il mondo in cui viviamo è ancora carico di rischi, di tensioni e di
paure: le varie forme di terrorismo, le guerre e le povertà. Tante, e
purtroppo crescenti, sono le ragioni di forte preoccupazione, e troppo
spesso di serio allarme. E fra queste segnalo anche il rischio della
ripresa della proliferazione nucleare.
Occorre un forte e costante impegno nella lotta al terrorismo
internazionale, che minaccia l’insieme delle società del mondo
contemporaneo.
Nei confronti del terrorismo affermiamo la nostra ripulsa morale e
politica.
Siamo fermamente convinti che la lotta al terrorismo vada condotta con
strumenti politici, di intelligence, e di contrasto delle organizzazioni
terroristiche e che vada condotta senza comprimere mai né le nostre
libertà né i nostri diritti, nè tantomeno indulgendo alle suggestioni di
fondamentalismi di segno opposto, che predicano crociate e, annullando
ogni distinzione, propugnano scontri di civiltà.
E’ in primo luogo sul piano politico, sociale ed economico che dobbiamo
battere il disegno del terrorismo, prosciugando il serbatoio degli
adepti.
Nella politica globale per la lotta al terrorismo noi saremo partecipi
convinti, con i nostri valori e le nostre risorse, anche militari, ogni
qual volta esse siano legittimamente mobilitate dalle organizzazioni
internazionali a cui apparteniamo.
In ogni evenienza risponderemo con prudenza, con equilibrio e, quando
necessario, con fermezza.
Saremo guidati da scelte precise nella nostra politica estera:
Scegliamo l’Europa ed il processo di integrazione europea come ambito
essenziale della politica italiana.
Scegliamo di mettere la vocazione di pace del popolo italiano e
l’articolo 11 della Costituzione al centro delle decisioni in materia di
sicurezza.
Scegliamo il multilateralismo, inteso come condivisione delle decisioni
e costruzione di regole comuni.
Scegliamo una politica preventiva di pace che persegua attivamente
l’obiettivo di equità e giustizia sul piano internazionale, favorendo la
prevenzione dei conflitti e il prosciugamento dei bacini dell’odio.
Scegliamo la legalità come chiave per affrontare i conflitti e per la
costruzione di un ordine internazionale fondato sul diritto.
Scegliamo di mettere al centro dell’azione dell’Italia la promozione
della democrazia, dei diritti umani, politici, sociali ed economici, a
cominciare dai diritti delle donne.
E’ per questi valori e questa visione del mondo che, così come in alcuni
casi abbiamo ritenuta legittima e doverosa la partecipazione militare
dell’Italia a importanti missioni di pace, delle quali andiamo
orgogliosi, non abbiamo invece condiviso la guerra in Iraq e la
partecipazione dell’Italia.
Consideriamo la guerra in Iraq e l’occupazione del Paese un grave
errore. Essa non ha risolto, anzi ha complicato, il problema della
sicurezza. Il terrorismo ha trovato in Iraq una nuova base e nuovi
pretesti per azioni terroristiche interne ed esterne ai conflitti
iracheni. Quella guerra, come ha ammesso recentemente l’ambasciatore
americano a Bagdad, ha scoperchiato un vaso di Pandora che rischia di
far deflagrare l’intera regione.
E’ perciò intenzione del governo proporre al Parlamento il rientro dei
nostri soldati, anche se siamo orgogliosi della prova di abilità
professionale, di coraggio e di umanità che essi hanno dato e stanno
dando.
Abbiamo purtroppo dovuto piangere numerosi caduti. Noi tutti siamo
vicini alle loro famiglie, noi tutti siamo riconoscenti per il
sacrificio che i loro cari hanno fatto.
Il rientro del contingente italiano avverrà nei tempi tecnici necessari,
definendone anche in consultazione con tutte le parti interessate le
modalità affinché le condizioni di sicurezza siano garantite.
Ho già accennato che l’Europa e il processo di integrazione europea
rappresentano l’ambito essenziale della politica italiana. L’Europa è la
carta sulla quale l’Italia, uscita distrutta dalla guerra, ha scommesso
il proprio avvenire. Fino a quando ha fatto questa scommessa ha vinto.
Ma anche l’Europa conosce una fase di crisi, che noi non sottovalutiamo.
E l’Europa ha bisogno di noi. Ha bisogno di un’Italia che si rimetta nel
solco della sua grande tradizione.
Dobbiamo dare subito un nuovo slancio al processo di integrazione,
attraverso iniziative ed azioni concrete che diano risposte tangibili
alle attese di centinaia di milioni di europei.
Penso alla necessità di dotare l’unione monetaria di un vero governo
economico e sociale, allo sviluppo di una nuova politica comune
dell’energia, al sostegno alla ricerca e all’innovazione tecnologica,
all’immigrazione, alla sicurezza, al ruolo dell’Europa nel mondo e, in
particolare, in tutta la regione a noi vicina, a Est e a Sud.
Si tratta di azioni che possiamo attuare subito, con una più forte
volontà politica e sfruttando pienamente i trattati in vigore. Sapendo
però che buone e nuove politiche necessitano di buone e nuove
istituzioni.
Per questo dobbiamo rilanciare il processo costituzionale, perché la
nostra Europa ha un forte bisogno di una nuova Costituzione. Il mio
Governo lavorerà con determinazione, assieme agli altri governi
impegnati in tal senso e alle istituzioni europee, per trovare una
soluzione all’altezza delle sfide che l’Europa deve affrontare.
Una soluzione che va trovata prima delle elezioni europee del 2009, per
permettere a tutti i cittadini di far sentire la propria voce.
Il Governo è impegnato a fare tutto quanto è in suo potere affinché
l’Europa diventi un soggetto forte e unito nello scenario
internazionale.
Anche per consolidare e arricchire, su un piano di mutuo rispetto e di
reciproca dignità, la storica alleanza con gli Stati Uniti d’America:
finalità cui mi sono sempre ispirato nella mia azione anche a livello
europeo, tanta è l’importanza che attribuisco alla saldezza di questo
legame.
E infine per contribuire a rafforzare l’autorità delle Nazioni Unite e
la stabilità dell’ordine mondiale.
E’ nostra convinzione che interesse nazionale e interesse europeo siano
una cosa sola. E’ nostra convinzione che l’Italia conti, anche nei
rapporti con il grande alleato, solo se conta in Europa. E noi
lavoreremo per ricollocare l’Italia tra i paesi guida dell’Europa.
L’Italia non guarderà solo all’Europa. Il Governo si farà parte attiva
per rilanciare una politica per il mediterraneo che avrà come obiettivo
di fondo la costruzione di una grande area, in cui pace e prosperità
possano affermarsi. Lo faremo attraverso una azione politica mirata e
supportata dall’intensificarsi degli scambi commerciali e culturali.
Penso alla banca del Mediterraneo, penso ad università comuni fra paesi
della sponda nord e della sponda sud.
Anche il più lontano continente latino americano, che però ci è più
vicino per la considerevole quantità di nostri concittadini che la
vivono, ha bisogno di rinsaldare il legame con il nostro paese. È quello
che faremo cercando di cogliere le grandi trasformazioni che stanno
caratterizzando tutti i paesi di quell’area.
Infine la nostra responsabilità verso i paesi poveri dovrà concentrarsi
prevalentemente sul continente africano in questi anni troppo spesso
dimenticato L’Africa è sulle nostre spalle, sulle spalle dell’Italia e
dell’Europa.
Complessivamente accompagneremo la politica estera del Governo con un
grande sforzo per affermare la cultura italiana nel mondo, una cultura
di pace e di grandi tradizioni e valori universali e indivisibili.
Lo strumento che utilizzeremo e valorizzeremo per questo scopo è la
capillare rete consolare ed il rapporto con le regioni.
Signor Presidente del Senato,
onorevoli senatrici e onorevoli senatori,
il mondo del XXI secolo non è solo però un mondo carico di rischi e di
paure. E’ anche un mondo carico di straordinarie opportunità, nel quale
un terzo dell’umanità si è svegliato, è uscito dall’isolamento e ha
trovato la strada di un formidabile sviluppo economico. Nel quale, tra
la Cina e l’India, oltre due miliardi di persone stanno scoprendo e
provando che la povertà e la miseria non sono una maledizione eterna.
Un mondo che sta imparando a conoscere il valore della tutela
dell’ambiente. Un mondo al quale i progressi della scienza, della
medicina, delle biotecnologie schiudono nuovi orizzonti e nuove speranze
di vita.
E, tra rischi e opportunità, l’Italia vive un momento di grande
difficoltà e incertezza.
La nostra gente sembra più occupata a difendere il benessere residuo che
a costruire per sé e per la collettività nuove occasioni di sviluppo e
di crescita, mentre si allarga l’area delle vecchie e nuove povertà.
I nostri giovani sembrano costretti a una vita segnata dalla
provvisorietà, dall’incertezza sul proprio futuro professionale e di
vita.
Il nostro sistema produttivo sta perdendo colpi, si stanno erodendo le
nostre quote di mercato nel commercio mondiale. Scivoliamo indietro in
tutti gli indicatori più importanti.
Le ragioni per cui questo avviene sono profonde. Il mondo è cambiato,
sono cambiati i modi di produrre, e sono cambiati i fattori
indispensabili per accrescere la competitività del sistema Italia.
Oggi vince chi riesce a restare sulle frontiere della innovazione. Una
innovazione fatta di ricerca, di scuola, di università, di mercati
aperti all’ingresso di nuovi protagonisti, e che trova la propria
condizione di successo in una grande capacità organizzativa.
Anche le infrastrutture rappresentano un fattore critico di successo per
la competitività del Paese. Proseguiremo nell’azione che già in
precedenza i governi di centrosinistra avevano avviato, completando cioè
gli assi Nord-Sud ed Est-Ovest che interconnettono l’Italia alla grande
rete infrastrutturale europea.
Effettueremo, compatibilmente con le risorse disponibili investimenti
infrastrutturali mirati, in una logica di sistema integrato, piuttosto
che di singole grandi opere.
E in questa grande partita globale, noi rischiamo di restare ai margini.
Ma restare ai margini non significa star fermi, che già sarebbe grave.
Significa andare indietro, inesorabilmente.
Io non uso a cuor leggero la parola declino. Ma neppure posso ignorare
che negli ultimi anni tutti gli indicatori sono peggiorati, a cominciare
da un tasso di produttività ormai prossimo allo zero.
Oggi è necessario dare spazio all’azione di governo per affrontare i
problemi e cogliere le opportunità che ci si presentano.
È allora, anziché rinfacciarsi responsabilità, mi preme che tra la
maggioranza e l’opposizione si convenga sulle criticità che
caratterizzano oggi il tessuto economico e sociale del Paese. Solo
partendo da tale condivisione potremo, ciascuno facendo la propria
parte, far ripartire la nostra Italia, per rimetterla in corsa nella
sfida mondiale, per vincere la scommessa del futuro.
Siamo tutti chiamati a un impegno straordinario: dobbiamo far ripartire
l’Italia se vogliamo dare risposte adeguate ai tanti problemi che
affliggono la nostra società. E dobbiamo farlo con assoluta urgenza.
Anche perché lo stesso, imprescindibile e duraturo risanamento delle
finanze pubbliche non è possibile se non torniamo a crescere
stabilmente.
Cogliamo oggi segni incoraggianti di una ripresa congiunturale. Ma è un
fatto che, a causa di problemi strutturali che si sono accumulati nel
tempo, siamo in grado solo di approfittare parzialmente di un ciclo
espansivo dell’economia mondiale, mentre siamo tra i paesi più
vulnerabili e penalizzati quando l’espansione si arresta. E quindi è
assolutamente necessario che usiamo al meglio il tempo che abbiamo
davanti, attivando politiche che, da un lato consentano di beneficiare
interamente degli effetti positivi della congiuntura, dall’altro
comincino a rimuovere quei limiti strutturali che agiscono da freno.
Il nostro Paese ha bisogno di una forte scossa, così come il nostro
sistema produttivo. Il governo ritiene di avere politiche appropriate a
questo fine.
Ma occorre prima di tutto una forte scossa sul piano etico.
C’è una crisi etica che investe la nostra società. E quanto è accaduto
nel mondo del calcio, uno dei beni collettivi a cui gli italiani tengono
di più, ci dimostra, purtroppo, che si è abbondantemente superato il
livello di guardia. Ne è una conferma clamorosa un livello di evasione
fiscale che non ha eguali nel mondo sviluppato, e che il mio governo
combatterà con la massima decisione e determinazione non solo per
recuperare ciò che è dovuto alla collettività ma anche per ragioni di
equità e giustizia.
Noi intendiamo ripristinare anche in questo campo la cultura della
legalità e della responsabilità civica.
Nella nostra società purtroppo si è prodotto un clima di tolleranza ed
assuefazione a comportamenti eticamente riprovevoli, se non addirittura
illegali, a conflitti di interesse clamorosi, ad arricchimenti
improvvisi e sfacciati, addirittura premiati da norme fiscali, allo
svuotamento e aggiramento di ogni regola, alla prevaricazione del più
forte.
Si è prodotto un clima di generale irresponsabilità, di perdita del
senso dello Stato e del confine tra pubblico e privato, di intrecci fra
controllori e controllati.
Tutto questo è assolutamente preoccupante: dobbiamo dare un segnale
forte di discontinuità. Altrimenti non riusciremo a rimotivare una
società che in larga misura è vittima di questi comportamenti.
Un problema di regole, perchè crediamo che la politica sia innanzitutto
determinazione di regole. Per proteggere i più deboli, per far prevalere
il merito, per impedire che vincano solo e sempre i più furbi.
E nella sfera delle regole considero essenziale che si ponga mano a una
normativa che disciplini i conflitti di interesse in linea con quanto
esiste nelle altre democrazie avanzate, una normativa scevra da intenti
punitivi ma ben più rigorosa di quella in vigore.
Occorrono regole ma anche regolatori. E’ perciò intenzione del governo
che oggi si presenta a Voi di ridisegnare il sistema delle autorità che
operano nel campo economico e finanziario, passando da una suddivisione
delle competenze basato su settori o su soggetti sottoposti a controllo
o vigilanza, a un’altra fondata invece sugli obiettivi e le finalità del
controllo stesso.
Noi pensiamo a un sistema più snello e più razionale sulla base di
quattro autorità, trasformando in agenzie le autorità che sono
attualmente incaricate di vigilare sui lavori pubblici e
sull’informatizzazione della pubblica amministrazione.
Per quanto riguarda la vigilanza sul pluralismo dell’informazione, punto
centrale in una moderna democrazia sono possibili due scelte. O
attribuire questa responsabilità all’Antritrust, considerando che anche
il pluralismo dell’informazione possa essere tutelato con i normali
strumenti attraverso i quali si garantiscono la libera concorrenza e
l’apertura dei mercati. Oppure istituire una autorità ad hoc, in
considerazione della natura particolare di quel bene pubblico che è
rappresentato da una libera informazione. Su questo il governo maturerà
la sua scelta e si confronterà con il Parlamento.
Ma per rimotivare la società e dare un segnale forte di cambiamento di
clima sul piano etico, non sono sufficienti regole o regolatori. E’ mia
convinzione che occorrano anche degli esempi.
E io credo che un esempio debba venire innanzi tutto dal mondo delle
istituzioni e della politica.
Penso che dovremo compiere un grande sforzo determinato sensibilmente, e
in modo non estemporaneo, le spese per il funzionamento delle
istituzioni, di tutte le istituzioni a qualsiasi livello, le spese per
il funzionamento dei partiti e per le campagne elettorali.
E, per quanto mi compete, è mia intenzione ridurre di almeno la metà le
scorte per il personale politico e di governo. La cui proliferazione
delle scorte era infatti al di là di ogni necessità reale e sottrae
risorse finanziarie e umane che dovrebbero essere destinate alla tutela
della sicurezza dei cittadini. Terremo conto ovviamente di particolari
situazioni di rischio. Ma in linea di principio le scorte e le
automobili di rappresentanza non possono essere uno status symbol ma una
risposta a reali necessità.
Più in generale vorrei dire che il cosiddetto Palazzo dovrebbe avvertire
l’esigenza di una salutare autolimitazione, rinunciando a invadere ogni
ambito a cominciare da quello dell’informazione e della comunicazione,
evitando commistioni e ingerenze nella sfera economica incompatibili con
una moderna economia di mercato.
Noi abbiamo come compito primario quello di ribadire l’importanza delle
regole, e soprattutto il loro rispetto.
Credetemi, avremo tutti da guadagnare da un ritorno alla sobrietà della
politica e del potere.
Quando rifletto su questi temi il mio pensiero va innanzi tutto alla
necessità di offrire un esempio ai giovani. È infatti ai giovani che
dobbiamo soprattutto pensare.
La nostra società e la nostra economia stentano anche perché non
valorizziamo e impegniamo pienamente le grandi risorse dei giovani e
delle donne. Ma, pensando ai giovani, mi chiedo come sia possibile
appellarci alla loro freschezza, alle loro energie, alle loro capacità,
alla loro voglia di fare, se la loro vita avviene in un contesto che
demotiva e scoraggia, perché premia la furbizia invece del merito, la
disinvoltura sul piano etico invece del rispetto delle regole. E come è
possibile vederli partecipi e creativi se essi arrivano su un mercato
del lavoro che li condanna in misura crescente a una condizione di
permanente provvisorietà.
L’Italia non ha scommesso sui giovani: eppure solo scommettendo su di
loro – come il nostro governo intende fare – potrà riprendere il cammino
dello sviluppo. I nostri giovani hanno oggi meno speranze di quante ne
avessimo noi alla loro età. Eppure potrebbero avere davanti a loro
orizzonti sempre più ampi. Eppure, nei pochi casi in cui vengono date
loro delle occasioni, esprimono al meglio tutte le loro qualità.
Certo, la società ed il mondo del lavoro hanno oggi bisogno di
flessibilità. Ma la flessibilità, interpretata come precarizzazione, non
ha aumentato la capacità competitiva del sistema ma lo ha impoverito. In
realtà, la società italiana ha bisogno di meno precarietà ai livelli
medio-bassi di impiego, mentre necessita di una cospicua iniezione di
competizione agli altri livelli, ma soprattutto a quelli medio-alti.
Una competizione che premi il talento individuale e la capacità di
lavoro, la creatività e la capacità di leadership. In una parola: il
merito. Una competizione orientata anche a ricostruire la mobilità
sociale perché in questi anni la mobilità sociale in Italia si è
arrestata.
Una società senza mobilità, in cui i figli ereditano la stessa
professione dei padri, non è una società che cresce. Una società retta
da gerarchie sociali consolidate che demotiva le energie nuove, perpetua
disuguaglianze inaccettabili. E’ quello che avviene oggi in Italia,
diventata una delle società meno mobili d’Europa e del mondo. Una
società che nega il futuro ai suoi giovani, nega il futuro a se stessa.
Noi qui intendiamo agire con una gamma di interventi. Intendiamo
sottoporre a revisione la legge 30 per attuare una politica del lavoro
capace di armonizzare flessibilità e stabilità riducendo fortemente
l’area della inaccettabile precarietà. Lo si farà all’interno di una
analisi complessiva della normativa che regola il mercato del lavoro,
cercando di giungere, attraverso la strumento della concertazione con le
parti sociali, alla definizione di un nuovo quadro organico. E, attuando
una riduzione dell’eccessivo carico contributivo sul lavoro dipendente,
su cui tornerò più avanti, attenueremo anche di molto la convenienza dei
contratti atipici.
Agiremo poi per aprire spazi significativi ai giovani nell’università e
nella ricerca perché l’Italia ha bisogno di giovani che insegnino e
facciano ricerca con stabilità e libertà.
In Italia le donne partecipano al mercato del lavoro in misura molto
minore rispetto agli altri paesi industrializzati, sono penalizzate nei
salari e nelle carriere e poco rappresentate nelle istituzioni e nelle
sedi decisionali, nonostante il loro livello di scolarità sia in linea
con le medie europee.
Ebbene, questa discriminazione priva il Paese di una grande ricchezza. I
punti chiave da risolvere sono l’accesso al mercato del lavoro, la
permanenza nel mondo del lavoro dopo la maternità, e le prospettive di
carriera e di realizzazione professionale, una loro più estesa
partecipazione alle decisioni politiche e istituzionali.
Affrontare in maniera decisa il rapporto tra impegno familiare e lavoro,
garantire alle donne e alle imprese una rete di servizi e normative per
sostenere la conciliabilità delle funzioni familiari e lavorative,
significa rimuovere forse il principale ostacolo alla natalità. E non ho
bisogno di ricordarvi quanto basso sia il tasso di natalità nel nostro
Paese, come la denatalità sia divenuto un fenomeno allarmante, con il
risultato che siamo anche il paese più vecchio d’Europa.
La famiglia ha bisogno di sicurezza, e quindi va sostenuta nella sua
vita quotidiana con un respiro di lungo periodo. E’ finora mancata,
invece, una politica efficace e ad ampio raggio. E’ questo il modo non
strumentale con cui la politica riconosce e sostiene una idea forte di
famiglia.
Il mio governo intende perciò mettere la famiglia, così come è definita
nella nostra Costituzione, al centro della propria azione nella sfera
sociale. Ed è per questo notivo che anche nella costituzione del Governo
abbiamo voluto dare uno spazio così largo ai problemi delle famiglie e
della lotta contro la disparità e le discriminazioni.
Vogliamo un fisco amico della famiglia, vogliamo una società amica della
famiglia. Noi sosteniamo il diritto di ogni persona a costruire il
proprio percorso di vita, e il ruolo delle famiglie come il luogo di
esercizio delle solidarietà intergenerazionali, della cura e degli
affetti.
Riconoscendo il valore sociale della maternità e della paternità,
intendiamo dotare ogni bambino di un reddito che aiuti la famiglia fino
al raggiungimento della maggiore età, e che tenga presente le esigenze
delle famiglie numerose.
Ed è una politica che varrà per tutti non solo per i lavoratori
dipendenti ma anche per i lavoratori autonomi e per coloro che non hanno
una occupazione.
A causa della precarietà del lavoro, le giovani coppie devono differire
la scelta di farsi una loro famiglia, il sogno di farsi una casa perché
il sistema bancario non concede mutui proprio per la precarietà
dell’occupazione. Agiremo perciò per ridurre l’area del precariato e per
istituire un fondo di garanzie per i mutui alle giovani coppie.
Per noi tuttavia i sostegni economici non si sostituiscono ai servizi.
Porremo perciò a noi stessi e agli enti locali l’obiettivo di
raddoppiare nell’arco della legislatura il numero degli asili nido, per
andare incontro a una domanda oggi largamente insoddisfatta.
Ma ciò vale per tutti gli ambiti dei servizi alla persona. E’ questo il
modo di garantire i diritti di cittadinanza a tutti, in particolare alle
persone in maggiore difficoltà, spesso non autosufficienti: agli
anziani, ai disabili, ai malati, a tutti coloro che vivono con disagio
il loro inserimento nella società.
Intendiamo per esempio attuare un programma di sviluppo della assistenza
sociale e sanitaria integrata, facendo affluire in un fondo nazionale
per la non-autosufficienza tutte le risorse già oggi impegnate nel
settore, predisponendo un percorso di graduale incremento delle risorse
pubbliche, ma facendo anche leva sulla grande risorsa del terzo settore.
Sono, tutti questi, impegni congiunti con le regioni. Ma a noi spetta
regolare il sistema dei livelli assistenziali di prestazioni, per
garantire i diritti dei cittadini in qualsiasi parte del paese essi
abitino.
Anche l’immigrazione è una risorsa umana non pienamente utilizzata.
Interi settori dell’economia italiana sarebbero già paralizzati senza il
contributo di lavoratori stranieri. I timori degli italiani per la
competizione sul lavoro e per l’accesso ai servizi sociali non possono
essere ignorati, e noi non li ignoriamo, ma possono essere superati con
una immigrazione ordinata e controllata numericamente, che non leda i
diritti di nessuno.
Sistemi assurdi di accesso e il mancato governo di questo fenomeno
favoriscono la clandestinità e impediscono la stabilizzazione e
l’inserimento degli immigrati nella società.
La legge in vigore si è dimostrata insieme demagogica e inefficace.
La nostra politica sull’immigrazione non si baserà né
sull’emarginazione, né tantomeno sulla criminalizzazione.
Il nostro operato si baserà piuttosto su accoglienza, convivenza e
garanzia.
E, insieme, sui doveri.
Il tetto numerico va mantenuto perché il processo va governato. Ma
dobbiamo rivedere la politica delle quote, per una immigrazione di
qualità che accolga senza creare clandestinità.
Insieme alla selezione dei flussi (favorendo anche immigrazione di
livello elevato), occorre incoraggiare e favorire la piena integrazione,
fino alla cittadinanza. Chi vive e lavora nel nostro Paese deve sapere
che, se lo vuole, anche per lui ci sarà un posto di cittadino, nel
completo rispetto dei diritti e dei doveri.
L’acquisizione della cittadinanza italiana deve poter essere un
traguardo certo, dopo un congruo numero di anni di permanenza, perché la
cittadinanza è anche il più efficace strumento di integrazione di cui la
democrazia dispone.
Ed è anche un potente fattore di sicurezza. Chi sceglierà di investire
il proprio futuro e quello dei propri figli nel nostro Paese, chi saprà
che qui avrà ogni possibilità di integrarsi e realizzare le sue
aspirazioni.
Chi identificherà la sua convenienza nel successo della sua nuova
patria, sarà sicuramente un cittadino fedele alle nostre istituzioni,
rispettoso dei nostri ordinamenti, impegnato a tutelare la comune
convivenza come condizione per realizzare il proprio percorso di vita e
garantire un futuro ai figli.
Signor Presidente del Senato,
onorevoli senatrici e onorevoli senatori,
La coesione sociale è un elemento fondante della qualità civile di una
società, un patrimonio che è stato faticosamente costruito e che in anni
recenti è stato in parte consumato. Noi dobbiamo ricostruirlo, ma in
un’ottica nuova.
L’insieme dei servizi sociali, la sanità, la scuola, la previdenza, la
stessa distribuzione dei redditi non sono, in quest’ottica, solo il
risultato di politiche di redistribuzione, ma parte integrante di un
progetto di sviluppo civile, sociale ed economico del paese. Su un altro
piano, è fattore di coesione anche l’attenzione a diritti o condizioni
nuove che meritano di essere comprese e giustamente tutelate.
Per noi la coesione sociale è un fattore di sviluppo. Non possiamo
pensare di competere riducendo il livello delle tutele e dei servizi
sociali né aumentando gli squilibri dei redditi. Al contrario, dobbiamo
valorizzare fattori di equilibrio e coesione della nostra società, per
favorirne la crescita.
I due settori più importanti sono la sanità e la scuola.
La sanità non è solo un costo: è un grande settore che occupa centinaia
di migliaia di persone qualificate, che produce tecnologia e
innovazione. Finchè continueremo a considerarla un costo, l’ottica
dominante resterà quella dei tagli.
Se invece la percepiremo come un settore importante della nostra
società, fermo restando l’impegno ad un razionale ed efficiente impiego
delle risorse, potremo dedicare la nostra attenzione allo sviluppo e
alla valorizzazione delle competenze e delle grandi potenzialità.
Il nostro impegno prioritario è comunque di garantire ai cittadini gli
stessi standard di prestazioni, ovunque risiedano.
Per il futuro dell’Italia e per il suo sviluppo l’istruzione rappresenta
l’elemento chiave. Non si torna a crescere senza investire mezzi ed
energie intellettuali nella ricerca, nella innovazione, e nella scuola.
Dobbiamo investire in conoscenza diffusa, in qualità ed efficacia dei
percorsi formativi, cominciando dalle scuole per l’infanzia fino ai
livelli più alti, restituendo valore e dignità ai percorsi formativi
tecnici, e creando centri di eccellenza.
Siamo consapevoli che la scuola è una macchina complessa che ha bisogno
di un progetto condiviso e di lungo periodo per dispiegare l’efficacia
della sua azione educativa. Dopo dieci anni di riforme e controriforme,
è giunto il momento di mettere ordine, fare il punto, cambiare ciò che
palesemente non funziona o ciò che appare sbagliato, e dare stabilità.
Valorizzando appieno l’autonomia degli istituti e il ruolo degli
insegnanti.
Sbagliata appare la liquidazione della formazione tecnico-professionale.
Abbiamo invece bisogno di valorizzarla ed estenderla attraverso percorsi
universitari brevi, attraverso istituzioni che diventino le scuole
tecniche del XXI secolo.
Ho già notato che si stanno intensificando in queste settimane segnali
di uscita dalla stagnazione. Ebbene, la ripresa economica sta
evidenziando una mancanza di operai e tecnici specializzati in molti dei
settori industriali che caratterizzano il sistema produttivo italiano.
Solo la formazione e specializzazione professionale possono riportare
equilibrio tra domanda e offerta di lavoro limitando i nuovi flussi
migratori.
I nostri giovani devono ereditare e accrescere la cultura industriale
del Paese. Il sistema scolastico e formativo è lo strumento che deve
portare a questo obiettivo riavvicinandosi al mondo della produzione. E’
necessario ricostituire quel binomio scuola tecnica-impresa che è stato
alla base della crescita industriale del paese.
Dobbiamo poi concentrarci sulla ricerca, perché la competitività
economica del Paese richiede un grande salto in avanti in tutti i
settori della ricerca e della innovazione tecnologica. Con appena l’1,1
per cento del Pil destinato a ricerca e sviluppo l’Italia è agli ultimi
posti in Europa e nell’Osce. Così si va solo indietro.
E allora occorre un forte impegno nelle politiche per la ricerca, con
interventi mirati su specifici programmi nelle aree di netta priorità,
con il credito di imposta automatico sulle spese di ricerca, con il
riconoscimento di agevolazioni per le assunzioni di ricercatori, con una
politica attiva di trasferimento tecnologico.
Faremo delle università italiane un polo di attrazione per la formazione
dei giovani e dei ricercatori, cui occorre garantire stabilità e libertà
di ricerca. Stimoleremo decisamente le lauree in discipline
scientifico-tecnologiche, anche in relazione alla creazione o al
rilancio di distretti tecnologici collegati con le università, gli enti
di ricerca e le realtà produttive del Paese.
Come dicevo, abbiamo risorse umane, energie, intelligenze, competenze da
mobilitare in uno spirito di coesione perché il nostro Paese torni a
crescere. Ma dobbiamo misurarci con la realtà dei nostri conti pubblici.
I conti pubblici sono sintesi delle politiche di un Paese. Molti anni di
bassa crescita, di forte dinamica della spesa pubblica hanno prodotto
due conseguenze che ora debbono essere immediatamente affrontate: si è
esaurito l’avanzo primario costituitosi negli anni Novanta e, per la
prima volta dopo il 1995, il rapporto tra debito pubblico e Prodotto
interno lordo nel 2005 ha ripreso a salire.
Certo, la correzione è indispensabile per assolvere ai nostri impegni
europei, secondo linee concordate anche dal precedente governo.
Certo, essa è necessaria per stroncare al più presto incipienti segni di
sfiducia dei mercati internazionali, ormai detentori di oltre la metà
dei titoli emessi da emittenti pubblici italiani, e inquietanti
riferimenti a paesi insolventi.
Ma più ancora che per questi motivi, la correzione è indispensabile
perché la ripresa in atto, invece di essere resa effimera dal rapido
scontrarsi con un vincolo finanziario, si possa distendere in un
processo di crescita duratura.
Non vi è più spazio per correzioni affidate a manovre straordinarie; non
vi sono possibili miracoli di ingegneria finanziaria. Sarà invece
giocoforza intervenire sulle tendenze dei grandi capitoli della spesa
pubblica centrale e periferica, stabilire un serio equilibrio tra potere
di spesa e responsabilità della copertura, modificare la composizione
della spesa e dell’entrata per rafforzare la capacità dei bilanci
pubblici di promuovere la crescita.
Questo sforzo andrà compiuto a inizio legislatura, guardando avanti,
sapendo che la fiducia di chi investe e consuma in Italia, sia esso
italiano o straniero, può nascere solo da un condizione di finanza sana.
In ogni parte e regione dell’economia nazionale, pubblica o privata, vi
sono settori, imprese, uffici, reparti dinamici e ben governati, dunque
generatori di ricchezza, e altri che invece di produrre ricchezza la
consumano.
La finanza pubblica e quella privata debbono rafforzare o riacquistare
la capacità di distinguere, e di indirizzare il risparmio verso le
destinazioni che promuovono la crescita.
La stessa riduzione della differenza tra quanto il lavoratore riceve e
quanto esso costa all’impresa, il cosiddetto cuneo fiscale di cui
parlerò fra un attimo, dovrà essere selettiva e sarà articolata secondo
questi principi.
Una cosa è chiara: non possiamo adottare una politica dei due tempi,
prima il risanamento e poi la crescita, perché lo stato delle cose non
ce lo consente. Le risorse aggiuntive di cui abbiamo bisogno per
rilanciare il paese non possono che essere generate dalla crescita
economica e dalla riduzione entro limiti fisiologici di quel male
patologico che si chiama evasione fiscale. Entrambe queste fonti devono
essere riattivate, e questo processo non darà risultati nel brevissimo
termine.
Nell’immediato dobbiamo di necessità cominciare a lavorare con le
risorse che abbiamo, cercando di allocarle meglio e farle rendere di
più.
Noi intendiamo dunque ridurre sensibilmente, in una misura
quantificabile in cinque punti nel primo anno di legislatura,
l’eccessivo carico contributivo sul lavoro dipendente. Una riduzione
che, andando a beneficio sia delle imprese che dei lavoratori, sarà
capace di agganciarci con maggiore slancio alla ripresa europea, di
avviare un nuovo ciclo di investimenti, e di stimolare una ripresa dei
consumi. Una riduzione che, attenuando di molto la convenienza dei
contratti atipici, contribuirà come ho già avuto modo di notare a
contrarre l’area del precariato.
La crescita del Paese non può non essere guidata dal nostro sistema
produttivo.
Siamo e dobbiamo restare un grande paese industriale, e quindi dobbiamo
tornare a fare politica industriale. Lo faremo concentrandosi su quattro
elementi:
primo, il trasferimento tecnologico per aumentare il tasso di
innovazione;
secondo, la crescita dimensionale dell’impresa con interventi fiscali e
normativi che favoriscano fusioni e acquisizioni e il consolidamento
delle filiere che ora sono in crisi:
terzo, l’internazionalizzazione, con sostegni concreti alle imprese che
esportano e che affrontano nuovi mercati;
quarto, la nascita e lo sviluppo di imprese in nuovi settori, anche con
grandi progetti di ricerca cofinanziati dal settore pubblico.
E’ urgente entrare al più presto nei settori da cui siamo quasi
totalmente fuori: le scienze della vita, la nanotecnologia, le nuove
tecnologie di comunicazione e tutta l’innovazione in campo energetico,
in cui la partita è ancora aperta.
A supportare la crescente economia contribuiranno anche le politiche per
il mercato e le liberalizzazioni.
Dobbiamo garantire a famiglie ed imprese servizi di qualità e
competitività, liberando così importanti riserve da destinare alla
crescita.
A questo rinnovato sforzo dell’Italia è necessario che concorrano tutte
le aree del territorio nazionale, ciascuna secondo le proprie
specificità e le proprie vocazioni territoriali e produttive. Ciascuna
sviluppando al meglio le proprie potenzialità. Come è necessario
concorrano tutti i diversi settori e apparati del Paese, dalla Pubblica
Amministrazione agli enti locali, dall’articolato sistema dei servizi
alle attività terziarie, alle grandi reti di comunicazione.
Il Governo avrà perciò il compito di ristabilire un equilibrio
istituzionale tra Stato, Regioni, Città Metropolitane, Province, Comuni
e Comunità Montane, per affrontare unitariamente le sfide del riordino
istituzionale e del rilancio economico.
Sarà anche compito del Governo coordinare e distribuire con oculatezza
le risorse a disposizione nei prossimi anni. Sarà suo compito,
soprattutto, ricondurre a strategie integrate le azioni di tutti gli
attori, dagli operatori economici alle amministrazioni, dai governi
territoriali alle forze sociali. Per mettere in asse le vocazioni, le
specificità e le differenze che caratterizzano le grandi aree
territoriali del Paese.
E’ giunto infatti il momento di formulare una grande strategia nazionale
in cui le differenze tra Nord e Sud siano ricondotte ad unità
massimizzando le opportunità di ciascuna.
E’ in questo quadro che il Governo sente come un dovere nazionale
assicurare al Nord la possibilità di crescere e svilupparsi
nell’interesse dell’intera collettività. Il Nord è certamente la parte
più avanzata del Paese, quella che ha maggiori risorse.
A questa area abbiamo molto da chiedere, e molto da dare.
Al Nord chiediamo di contribuire, come solo può fare, a rimettere in
corsa la nostra economia per riportare l’Italia nel gruppo dei Paesi più
forti e più dinamici. E’ quello che il Nord ha già fatto per due volte
nella storia italiana, prima con il processo di industrializzazione e
poi con la grande politica dei distretti industriali.
Oggi il Paese ha di nuovo bisogno di un Nord forte e vitale che ne
traini la riscossa, tornando a impegnarsi con il dinamismo e l’ottimismo
di cui ha già dato altre volte prova con successo.
Al Nord sappiamo però di dover dare molto, affinché possa riuscirvi.
Ha bisogno di un sistema-Paese che lo sostenga. Ha bisogno di regole
chiare e semplici, di infrastrutture moderne ed efficienti, di ricerca,
di formazione.
Vogliamo, e opereremo in questo senso, che questa parte dell’Italia e i
tanti cittadini che vi vivono e vi operano, sentano lo Stato non come un
avversario ma come un sostegno. L’avversario non è lo Stato, semmai è la
competizione globale con le sue sfide e i suoi rischi.
E nella competizione globale non si sta senza avere alle spalle uno
Stato che faccia della sua efficienza un elemento di diminuzione dei
costi, e della sua capacità di assicurare le infrastrutture necessarie
un elemento essenziale della capacità di competere.
Questa è la sfida, ed è una sfida che il Nord sente con particolare
intensità.
Al Nord dobbiamo una risposta, e la dobbiamo in tempi rapidi.
L’altra grande area strategica del nostro Paese, tradizionalmente
considerata come area debole, e che tuttavia può offrire grandi
opportunità, è il Mezzogiorno.
Al Mezzogiorno e alla sua popolazione dobbiamo molto. E lo dobbiamo non
solo per ragioni di equità e di giustizia sociale, non solo perché è
giusto che abbia le risorse e le opportunità necessarie per poter
partecipare a pieno titolo allo sviluppo del Paese. Ma perché, nella
competizione globale in cui siamo immersi, il Mezzogiorno è una grande
risorsa e una grande opportunità per l’Italia.
Al Mezzogiorno occorre un nuovo progetto condiviso e fatto proprio da
tutta la nazione che sappia cogliere la straordinaria opportunità
derivante dalla sua collocazione geografica, che fa di questa area una
grande piattaforma di interconnessione tra l’Europa e l’Asia. Grazie
alla sua posizione, infatti, il Mezzogiorno può e deve diventare lo
snodo commerciale e di trasformazione per i prodotti che provengono
dall’Asia e che sono destinati all’Europa.
Occorrono grandi investimenti infrastrutturali nei porti, nelle strade,
nelle reti ferroviarie. Occorre creare adeguate autostrade del mare che
consentano di smistare per questa via le merci destinate alle diverse
parti del continente, muovendo dai porti del Mezzogiorno a quelli del
Nord Italia a quelli dell’Europa. E occorrono professionalità e
strutture di servizio adeguati alle dimensioni di un progetto che può
avere prospettive grandiose.
Come ho già detto, solo una grande capacità organizzativa può farci
realizzare ciò. La stessa capacità organizzativa da cui dipende il
rilancio di un altro importante settore di attività del Mezzogiorno: il
turismo è tutte le attività legate alla valorizzazione del consistente
patrimonio artistico e culturale.
Certo, il Mezzogiorno ha bisogno di risorse e le nostre risorse sono
limitate. Ma non può essere concepito come un peso per il resto del
Paese. Non è così, esso presenta una grande opportunità che sta a noi
cogliere dentro un grande progetto di sviluppo integrato dell’Italia. Il
governo sarà fortemente impegnato su questo terreno e ricercherà la
collaborazione di tutte le forze sociali e produttive, e degli enti
locali.
Come sarà impegnato a intensificare la lotta alla criminalità, e
specialmente alla criminalità organizzata. Fino a che così tanta parte
del territorio italiano sarà attanagliato dal cancro della malavita
organizzata è pressoché impossibile attrarre investimenti stranieri
nella misura che sarebbe necessario.
Dunque, lotta senza quartiere alla criminalità organizzata, sapendo che
non si tratta solo di difendere la legalità e la maestà della legge, che
pure sono valori assoluti in uno Stato di diritto, né solo di rispondere
alla domanda angosciosa che mi sono sentito rivolgere dai giovani di
Locri: “Fra un mese, vi ricorderete ancora di noi?”. Ma sapendo anche
che, in assenza di una continua, assidua, determinata azione di
contrasto non saremo in grado di sostenere e sviluppare la nostra
economia e accrescere la nostra capacità di attrarre investimenti.
La tutela della sicurezza è peraltro un valore essenziale per tutti i
cittadini, e lo è tanto più oggi di fronte a nuovi pericoli e minacce
che spaventano e preoccupano. Anche sul fronte della sicurezza, imporre
il rispetto reale della legalità è un valore assoluto. Non lasceremo
nulla di intentato per difendere il dominio della legge in ogni parte
del Paese.
Alle donne e agli uomini delle forze di polizia, come ai carabinieri che
con essi garantiscono la nostra sicurezza, chiederemo sforzi
straordinari. Essi hanno saputo conseguire successi, anche nella lotta
al terrorismo, per cui li ringraziamo. Noi cercheremo di sostenerli con
ogni mezzo possibile, consapevoli che da loro, dalla loro
professionalità e dedizione, dipende non solo la nostra tranquillità ma
anche la nostra capacità di crescita.
In questi anni sono state compiute scelte, in un settore fondamentale
del nostro ordinamento quale quello della magistratura ordinaria, che
hanno creato un clima di tensione, talvolta di forte tensione. Mi
riferisco in particolare a riforme pensate e attuate troppo spesso con
uno spirito punitivo e comunque con atteggiamenti non adeguatamente
collaborativi.
Noi vogliamo ridare serenità ai giudici italiani. Vogliamo che essi
possano operare con imparzialità e professionalità, circondati dal
rispetto e sempre tutelati nella loro indipendenza.
Ma noi siamo consapevoli, come tutti gli italiani, che la nostra
giustizia è troppo lenta, che troppo spesso non è assicurato con
l’efficienza e la tempestività che la società moderna richiede il
servizio che essa deve assicurare, per garantire quel valore
fondamentale che è il riconoscimento delle ragioni di chi ha ragione, e
la condanna di chi ha torto.
E sappiamo pure molto bene che la lentezza della giustizia è anche un
freno alla competitività stessa del Paese.
Per questo, mentre opereremo per ridare serenità e tranquillità ai
nostri magistrati e per tutelarne e garantirne l’indipendenza,
chiederemo ad essi di compiere ogni sforzo per migliorare
sostanzialmente l’efficienza della macchina giudiziaria. Per questo,
mentre faremo tutto il possibile affinché vengano soddisfatte le giuste
richieste di maggiori mezzi e migliori strutture, chiederemo tempi più
rapidi, processi più veloci e , in definitiva, una giustizia più giusta
proprio perchè più rapida.
Sarà compito del Ministro della Giustizia seguire con attenzione questo
aspetto essenziale e di riferirne periodicamente al Governo e, se il
Parlamento vorrà, al Parlamento. Con l’obiettivo molto ambizioso, certo
me ne rendo conto, di dimezzare nei cinque anni il numero di cause
pendenti.
Il Governo intende proporre al Parlamento di studiare un provvedimento
diretto ad alleggerire l’attuale insostenibile situazione delle carceri.
E lo dovremo studiare con la profondità e la drammaticità che l’attuale
situazione ci impone. Già da anni, anche dalle sedi più elevate, questo
tema è proposto alla nostra attenzione. Oggi, all’inizio di una nuova
legislatura è nostro obbligo offrire una risposta.
Così come dobbiamo offrire una risposta al rinnovamento delle
istituzioni che il nostro paese si attende.
Non la risposta sbagliata e dirompente di riforme della costituzione a
cui la maggioranza si opporrà compatta nel prossimo referendum, ma una
risposta di aggiornamento della nostra costituzione e di riforma della
legge elettorale attraverso la ricerca di una costruttiva e larga
collaborazione fra tutte le forze politiche del Paese.
Ho richiamato in questo mio intervento il trattato costituzionale
dell’UE e poi la nostra costituzione. Entrambi valgono come attestazione
della nostra identità condivisa e della nostra civiltà, si fondano sui
valori universali e indivisibili della dignità della persona umana,
della libertà, dell’uguaglianza, della solidarietà e della pace.
Memorie e sintesi di valori umani e spirituali profondi, di storie e
ispirazioni ideali diverse di cui è ben viva la traccia dell’umanesimo e
la radice cristiana. Di questi valori, di questa nostra identità noi
andiamo orgogliosi e intendiamo viverli nella forma del dialogo
dell’accoglienza e del riconoscimento delle altre ispirazioni, secondo
quello che noi riteniamo essere il moderno progetto di una cittadinanza
democratica. Un progetto avverso a tutte le forme di discriminazione, di
violenza, di odio. Un progetto che la nostra carta costituzionale affida
al moderno principio di laicità dello Stato. Tale concetto implica non
indifferenza dello stato dinanzi alle religioni, ma garanzia dello stato
per la salvaguardia della libertà di religione in regime di pluralismo
confessionale e culturale.
Con la principale di queste confessioni, la chiesa cattolica, lo stato
italiano ha elaborato negli anni un proficuo processo di collaborazione
ben definito da quell’insuperato riconoscimento del rapporto tra stato e
chiesa “ciascuno nel proprio ordine indipendenti e sovrani”, e perciò
steso capaci di “reciproca collaborazione per la promozione dell’uomo e
il bene del Paese”.
In questo spirito quattro anni or sono abbiamo tutti salutato nell’aula
della Camera quell’infaticabile Profeta della pace che è stato papa
Giovanni Paolo II. Oggi con lo stesso spirito vorrei fare giungere gli
stessi sentimenti al suo successore papa Benedetto XVI.
Nello stesso momento e con lo stesso spirito saluto anche tutte le altre
Chiese.
Le chiese evangeliche, le ortodosse, le comunità ebraiche a cui va la
mia e nostra solidarietà per i recenti tristi atti di intolleranza di
cui sono state fatte oggetto, e le comunità mussulmane e tutte le altre
comunità religiose del nostro paese.
In un comune senso di cittadinanza democratica a tutti offro e a tutti
chiedo collaborazione per far crescere il bene comune come bene di
tutti.
Signor Presidente del Senato,
onorevoli senatrici e onorevoli senatori,
nel preparare il discorso con cui vi ho presentato il Governo che ho
l’onore di presiedere, ho fatto la scelta di non sottoporvi un arido
elenco di provvedimenti ma di esporvi piuttosto le grandi linee della
azione che ci accingiamo a svolgere, il nostro approccio ai problemi che
abbiamo di fronte, se volete – se la parola non è eccessiva- la nostra
strategia.
Io spero innanzi tutto di essere riuscito a comunicarvi il senso di
urgenza che avvertiamo e con cui ci accingiamo a operare.
La nostra società ha in sé le energie e le competenze per far ripartire
l’ Italia. La nostra società ha le risorse potenziali che contano nel
mondo d’oggi: lavoratori straordinari e imprenditori, piccoli e medi,
che sono il nostro biglietto da visita nel mondo.
I nostri successi sono stati il frutto di ingredienti semplici:
imprenditori coraggiosi, apertura alla concorrenza e ai mercati
internazionali, grande attenzione alle risorse umane e ai lavoratori,
legame con il territorio e le sue tradizioni produttive, scommessa sulla
innovazione.
Questa è la ricetta che dobbiamo promuovere e sostenere, per rilanciare
le nostre poche grandi imprese e per far diventare grandi quelle di
media dimensione. E’ una sfida che ancora possiamo vincere. Ma i tempi
si sono fatti molto stretti. Non dobbiamo ingannare noi stessi,
illuderci che in qualche modo possiamo farcela senza un lavoro duro,
serio, continuo, giorno dopo giorno.
E’ così che noi ci accingiamo a operare, con l’impegno di governare per
la durata della legislatura perché solo stabilità e continuità possono
portarci a centrare gli obbiettivi che ci poniamo.
Noi riteniamo di avervi presentato un programma serio, un progetto
all’altezza dei problemi che abbiamo di fronte. Non c’è in noi nessuna
presunzione di autosufficienza intellettuale. Non ci sarà alcuna
proposta, da qualsiasi parte provenga, che non verrà esaminata con
attenzione.
Pur nella distinzione dei ruoli, c’è spazio per il costruttivo apporto
di tutti. Perché tutti qui dentro, ne ho la certezza, abbiamo a cuore il
futuro dei nostri concittadini e della nostra Italia. Perché tutti qui
dentro, ne sono sicuro, vogliamo che l’Italia torni a vincere.
Noi lavoreremo perché un nuovo dinamismo percorra tutto il Paese e uno
spirito di coesione sostenga il suo cammino. Come sugli antichi sentieri
dell’Europa, il cammino di Santiago e la via Francigena, l’Italia non
solo guarda alla meta ma vive la bellezza del percorso, del dialogo,
dell’incontro che lo arricchisce.
Noi ci siamo messi a servizio del suo cammino con tutte le nostre forze.
Ed è su questi propositi e su questo programma, onorevoli senatrici e
onorevoli senatori, che chiedo a nome del Governo la vostra fiducia.
Grazie della vostra attenzione. |