C'è sempre un'altra
prospettiva
“Sono salito sulla cattedra per
ricordare a me stesso che dobbiamo sempre guardare le cose da
angolazioni diverse. E il mondo appare diverso da quassù! Non vi ho
convinti? Venite a vedere voi stessi. Coraggio! E' proprio quando
credete di sapere qualcosa che dovete guardarla da un'altra
prospettiva!”.
Quanta intelligente sapienza, è in queste parole che pronuncia Robin
Williams nel film “L'attimo fuggente”.
Quanta verità scientifica, pedagogica e didattica.
Quanta educazione umana e sociale alla diversità, alla pluralità dei
punti di vista e al loro riconoscimento e accoglienza.
In questo principio c'è tutta la bellezza e la fatica dell'insegnare
oggi, e dell'apprendere direi anche.
Bellezza
Bellezza perché l'apprendimento è gioia di scoprire il mondo, le sue
regole, i principi su cui si regge, le sue complessità, criticità. E
scoprirlo insieme, docente e discenti, apre una prospettiva nuova in cui
il riconoscimento reciproco non è solo fondato sull'autorità del
comando, della consegna, del compito assegnato, ma sulla persuasione,
suggerimento, proposta, per suscitare interessi e motivazioni profonde,
affinché le acquisizioni siano per sempre, per tutta la vita.
Fatica
Fatica perché è difficile, logorante, mettere tutti, nessuno
escluso!, in una rete di dialogo e di ascolto che rispetti tutti gli
allievi/persone, le loro diversità nel capire, elaborare, formalizzare,
comunicare; rispetti le loro storie passate e presenti, il caleidoscopio
dei loro propri punti di vista, delle loro modalità apprenditive,
espressive, comunicative, comportamentali.
Prima era più facile
Certo era molto più facile quando si pensava che l'insegnamento
esaurisse in sé ogni aspetto della relazione didattica. La lezione era
tutto, l'apprendimento era affare più o meno privato dell'allievo,
contava il prodotto nell'indifferenza quasi totale del processo. Chi era
bravo di suo, anche per condizioni ambientali favorevoli, andava avanti;
chi aveva difficoltà o era considerato uno scansafatiche, oppure, si
diceva, non era portato per gli studi, quindi gli si “consigliava”
vivamente un lavoro manuale. Il voto era uno strumento sanzionatorio e
di selezione, doveva premiare o ratificare la sconfitta e il fallimento,
per sempre.
Da qui bocciature o abbandoni, evasioni, o, come si dice oggi, la
dispersione (una volta si diceva “selezione di classe” 1). Tutti
meccanismi e processi discriminatori basati sull'assioma che per
studiare bisogna “essere portati”, altrimenti, al lavoro manuale!
Si è messa di mezzo la scienza..e la storia
Peccato, o meno male, che il pensiero scientifico moderno affermi,
al contrario, che tutti, nessuno escluso, purché messi nelle “dovute
condizioni”, sono capaci di apprendere. Fra le dovute condizioni c'è la
necessità che l'allievo sia conosciuto profondamente, sia seguito anche
personalmente, sia destinatario di strategie individualizzate mirate a
favorire, promuovere la sua crescita intellettuale, affettiva, sociale,
comportamentale. Perché, ebbene sì, anche lui ce la può fare, ha risorse
di intelligenza e capacità spendibili ai fini del successo scolastico,
se gli ambienti di apprendimento sono motivanti, gratificanti,
interessanti. Perché il suo successo ora sarà una risorsa per la società
domani. A condizione che la società oggi voglia investire su queste
risorse umane per il futuro.
Maestro unico vs team
Per svolgere un'azione didattica così intesa è da preferire il
maestro unico o il team di insegnanti specializzati che hanno maggiori
possibilità di seguire più da vicino i processi di crescita degli alunni
singolarmente presi? La responsabilità pedagogica e didattica di una
sola persona, oppure una responsabilità condivisa tra più insegnati che
osservano, valutano, intervengono sulla persona/alunno con più
competenze disciplinari specializzate, si confrontano collegialmente,
mediano i propri come gli altrui giudizi?
Il diritto costituzionale allo studio
La cosa che i genitori dicono più di frequente agli insegnanti è che il
loro figlio/a è particolare, quindi, ha bisogno di attenzioni
particolari e di essere seguito in modo particolare.
Hanno ragione i genitori a chiedere alla scuola una maggiore efficacia
didattica e una buona ed inclusiva pedagogia a misura dell'alunno. Hanno
torto quando rispondono ai sondaggi dicendo che basta una sola
insegnante, cadendo in palese contraddizione, dal momento che un
insegnamento e un apprendimento personalizzato non potrà essere meglio
garantito al suo/a figliolo/a da un maestro che dovrà affrontare in
solitudine 25/30 bambini.
Il diritto allo studio è un diritto costituzionale delle persone
singolarmente prese. La scuola non è un'agenzia erogatrice di servizi,
che non si occupa e preoccupa di mettere tutti in condizioni di fruirla.
La differenza tra la scuola della Costituzione e le altre “agenzie” sta
proprio qui. Il decondizionamento sociale costa
Il decondizionamento sociale, psicologico, culturale è premessa
necessaria dell'apprendimento, altrimenti la scuola diviene l'orribile
Minosse di dantesca memoria 2). Solo che le differenti condizioni
sociali, psicologiche, culturali non sono “colpe” e l'insegnante sa che
il suo compito è quello di lottare fino allo stremo per far meritare
all'allievo il successo scolastico, non regalarglielo, come blaterano i
terribili censori che occupano la scena mediatica, scagliando il je
accusé contro la scuola moderna e brandendo il voto di condotta come
arma letale.
Per poter operare districandosi nella fitta ed intricata rete dei
condizionamenti, che devono essere rilevati, analizzati, capiti, per
trovare/provare soluzioni metodologiche e didattiche specifiche per
quello/a allievo/a, gli insegnanti devono essere messi nelle condizioni
più favorevoli per svolgere al meglio la loro professione, che
oggettivamente è diventata più difficile, complessa, più carica di
responsabilità, più necessitante di studio continuo, aggiornamento,
specializzazione, più carica anche di tensione emotiva, più bisognosa di
riconoscimento economico, sociale.
La gogna mediatica. Ripetere una notizia falsa tante volte
finché non sembri vera
Ma la professione docente è deprivata di riconoscimento economico e
sociale, perché quotidianamente crocifissa ed umiliata dalla gogna
mediatica cui la sottopongono una classe dirigente autoritaria e
populista, con tutto lo svolazzo osannante e baciapile che le fa da
claque osannante le mirabolanti gesta del prode condottiero, dei suoi
magnifici cavalieri di ventura e damigelle di compagnia. Si vuol tornare
a quei tempi glorificati da opinionisti e accademici narcisi come quelli
che imperversano su quotidiani prestigiosi? Poveretti, data l'età,
rimpiangono la propria fanciullezza e non si chiedono se può fare
altrettanto la folla dei meno fortunati che sono andati a consumare la
vita nei campi, nelle fabbriche, all'estero da emigranti, e magari ci
hanno rimesso la pelle in qualche miniera. E non si chiedono quante
intelligenze si sono perse per strada a causa di un sistema scolastico
basato sul principio della discriminazione e della esclusione. Se così
fosse stato, forse oggi avremmo, tra quegli “scarti di selezione”,
opinionisti e intellettuali più bravi, meno autocentrati e
spocchiosamente arroganti, come quello, ad esempio, che costruisce le
proprie alte e dotte argomentazioni favorevoli al maestro unico dicendo
in molte trasmissioni televisive: se sono uscito io dal maestro unico,
allora vuol dire che funzionerebbe bene anche oggi. Roba da proporlo
come candidato al Premio Pulitzer!
C'è sempre un'altra prospettiva
La discussione sul maestro unico, finora, è stata impostata dal
governo a partire dalle ragioni di spesa, dal bilancio, dal bisogno di
tagli. La indifferente ed oggettiva prospettiva economica viene assunta
ad assioma e poi, per catene di deduzioni, si arriva alla inderogabile
esigenza di tagliare gli insegnanti nella scuola elementare (e non
solo!). Pena il fallimento del Paese (questo sì è terrorismo e cattiva
informazione!). Secondo una logica, più che altro una politica, che fa
acqua da tutte le parti.
E se si partisse, invece, da una diversa prospettiva, prima di arrivare
al tema dei tagli? Trattandosi di scuola, non di un'”agenzia” qualsiasi,
trattandosi di alunne/i persone, non di “utenti”, trattandosi di
insegnanti, non di impiegati ad un qualsiasi sportello, trattandosi
delle famiglie, non di clienti qualsiasi di un supermercato,
bisognerebbe partire da qui.
La scuola qui ed ora, prima di tutto
Partiamo dai bisogni delle bambine/i, dei ragazzi/e, degli
adolescenti. Partiamo dai loro bisogni formativi, da ciò che sono,
fanno, sanno. Partiamo dalle strutture delle loro conoscenze,
esperienze, partiamo dalle pulsioni interne che sono alla base dei loro
comportamenti, partiamo di loro vissuti relazionali. Che sono qui ed
ora, persone concrete, non proiezioni di un ego adulto, nostalgico di
una fanciullezza mitizzata che si propone (o impone?) come modello per i
ragazzi/e di oggi.
La reductio ad unum, il medioevo che avanza
” Un voto, un libro e un maestro ”, come afferma
Tremonti noto pedagogista, risponde ai bisogni degli adulti, alle loro
difficoltà di capire, allo smarrimento e disorientamento che accusano
davanti alla complessità, alle contraddizioni del mondo attuale. Agli
adulti manca il punto di riferimento genitoriale. Ecco perché il bisogno
di sicurezza, il sentirsi bambini che chiedono al papà protezione,
autorità, gerarchia, disciplina (sappiamo tutti poi chi è questo papà).
I bambini non c'entrano niente con tutto ciò. La difficoltà di
confrontarsi con diverse verità, non può essere superata lasciandone UNA
ed eliminando le altre.
La fatica e la difficoltà di capire le varie peculiarità caratteriali,
comportamentali, comunicative delle diverse persone, per entrare in
relazione con esse, non si possono superare limitando i contatti ad UNA
sola persona.
La fatica e la difficoltà di capire le diverse verità contenute nei vari
libri, non si possono superare riducendo tutto lo scibile che serve al
bambino di oggi ad UN solo libro.
La fatica e la difficoltà di capire cosa c'è dietro le valutazioni, non
può essere superata dalla reductio ad UNUM del voto e pertanto, anziché
promuovere presso le famiglie la cultura della valutazione, si banalizza
e mortifica la scuola facendole… dare i numeri, buttando a mare decenni
e decenni di avanzato, pregevole e utile lavoro dei docenti e del mondo
scientifico, i quali, insieme, hanno dato vita a ricerche,
pubblicazioni, sperimentazioni, aggiornamenti, formazione, in larga
parte oggi riscontrabili nella pratica didattica di moltissimi docenti.
Ma da noi la reductio ad unum proposta/imposta va oltre la scuola, i
governanti l'assumono come principio ordinatore della società e dello
Stato, è il medioevo che avanza.
L'altra prospettiva
Se è vero che c'è un'emergenza educativa nel nostro Paese, se è vero
che la scuola è un disastro totale, mi chiedo: perché non partiamo da
una seria analisi di questa istituzione, per capire nel profondo il suo
malessere e le cause che lo determinano? Perché tranciare giudizi
superficiali, liquidatori e strumentali che danno al Paese un'immagine
distorta e falsa di essa, basandosi su indagini internazionali
iperuraniche che non dicono niente, o su numeri che non interpretano la
realtà nel profondo?3)
Nella storia del nostro Paese, davanti a fenomeni sociali
particolarmente gravi sono state nominate dal Parlamento apposite
Commissioni d'inchiesta, che in taluni casi, come l'Antimafia, hanno
prodotto risultati notevoli non solo sul piano della conoscenza dei
fenomeni, ma anche della proposta di misure risolutive degli stessi.
Considerato che i vari ministeri dell'Istruzione (qualche volta
pubblica, altre no) non hanno mai messo in piedi qualcosa di credibile
su questo terreno, il Parlamento potrebbe nominarne una appositamente,
darle poteri e strumenti per metterla in condizione di entrare nel corpo
vivo delle situazioni, darle un tempo per poi riferire.
Allora e solo allora sarebbe chiaro cosa funziona e cosa no, le zone di
luce da generalizzare e i coni d'ombra su cui intervenire, le
ristrettezze e le carenze da risolvere con investimenti adeguati e gli
sprechi da ridurre con un'opera di razionalizzazione e bonifica. Questa
strada sarebbe seria e percorribile, premessa necessaria per costruire
una vera politica scolastica, se non ci fosse, al contrario, la volontà
politica di fare cassa, ora, subito e a qualsiasi costo.
Il teorema che cerca di sostenere questa operazione è surreale: i tagli
massicci di personale e risorse non so quanto possano funzionare in
un'azienda, nella scuola certamente non potranno mai essere automatica
causa di miglioramento dell'offerta formativa. I tagli massicci infatti
colpiscono in modo indiscriminato tutto e tutti, bambino e acqua sporca,
come si suol dire. Non sono riduzioni qualitative, mirate a sanare i
punti critici e incentivare quelli di forza, sono solo numeriche,
statistiche, economiche. Esse sì sono senz'anima 4), non la scuola
italiana, almeno per chi la frequenta, la studia, ci lavora, dà l'anima
e la conosce nella realtà, non nell'immagine caricaturale e distorta,
come uno spot, raccontata dai media e dai santoni tuttologi e
ossequianti che li popolano.
L'emergenza
Forse, nel nostro Paese, la madre di tutte le emergenze sul piano della
cultura e della democrazia sta diventando sempre più quella comunicativa
e dei media, che fra l'altro, influenza, e non poco, quella educativa.
Ma questo tema è un tabù inviolabile, perché non si tocca l'istrumentum
regni.
27 settembre 2008
Cosimo De Nitto
1) L'espressione,
secondo me, è giustamente superata dal fatto che, oggi, “gli scarti
di produzione” non sono più e solo i figli dei poveri, ci sono anche
i deprivati dal punto di vista affettivo, psicologico, culturale che
tagliano trasversalmente tutta la società. Resta sempre, però, che
un modo per cavarsela a chi appartiene ai ceti medio-alti è sempre
dato dalla propria condizione. Per tutti gli altri…l'inferno della
vita.
2)Stavvi Minòs orribilmente, e ringhia:
essamina le colpe ne l'intrata;
giudica e manda secondo ch'avvinghia.
(Canto V dell'Inferno)
3) E' preoccupante
come siano usati e strumentalizzati casi singoli, episodi sporadici,
statistiche avulse dal contesto per colpire emotivamente l'opinione
pubblica ed indirizzarla verso un giudizio di scatafascio
intollerabile, di odio per gli insegnanti, fannulloni e
incompetenti. Tutto buono a far campagna che prepara l'opinione
pubblica al consenso verso tagli generalizzati ed indiscriminati,
dopo aver isolato i docenti ed averli additati come causa del
dissesto economico dello Stato.
4)“Scuola senz'anima”
articolo di Giuseppe De Rita sul Corriere della Sera del 10
settembre 2008
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