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ALUNNI STRANIERI: SCUOLA COMUNE O CLASSI SEPARATE ?
di Maria Cristina Paoletti
Sommario : -1) la problematica;- 2) La mozione Froner e il Piano nazionale; -3) La mozione Cota; - 4) la normativa di riferimento; - 5) L’esecuzione della mozione Cota: un percorso in salita.
-1) La problematica - Il 14 ottobre la Camera dei deputati ha approvato, con parere favorevole del Governo, una mozione (primo firmatario Roberto Cota, esponente della Lega Nord), in materia di accesso degli studenti stranieri alla scuola dell’obbligo che prevede classi separate per gli studenti stranieri che non abbiano superato test e prove di valutazione relative al loro grado di alfabetizzazione linguistica. La mozione ha innescato una discussione dai toni molto accesi nell’ambito di un clima già incandescente a causa dei provvedimenti su scuola e università già approvati o in corso di approvazione da parte della maggioranza, senza tenere conto della protesta dilagante nel paese e senza alcun reale confronto con le organizzazioni sindacali rappresentative del settore della conoscenza e con le forze politiche dell’opposizione. Sarebbe opportuno, a mio avviso, dinanzi ad una manifestazione di volontà espressa da un ramo del Parlamento che impegna il governo a rivedere le modalità di accesso degli studenti stranieri alle scuola di ogni ordine e grado, andare oltre le accuse rivolte alla maggioranza di xenofobia, di razzismo, di voler creare luoghi di segregazione culturale o razziale e riflettere sulle fasi alterne che hanno portato all’approvazione delle direttiva parlamentare di matrice leghista. Sarebbe opportuno cominciare anche ad ipotizzare gli strumenti normativi attraverso i quali il governo potrebbe dare attuazione alle misure richieste nella mozione al fine di porre in essere azioni di contrasto anche sul piano strettamente giuridico.
- 2) La mozione Froner e il Piano nazionale - La mozione Cota aveva avuto un suo precedente nella passata legislatura nella mozione Gibelli, riguardante la riorganizzazione del sistema scolastico in relazione al fenomeno dell’immigrazione, presentata alla Camera dalla Lega Nord ma respinta dall’assemblea che invece aveva votato a favore, nella seduta del 4 luglio del 2007, della mozione Froner.
Quest’ultima raccoglieva le istanze di nove mozioni di altrettanti gruppi parlamentari e aveva impegnato il Governo Prodi, tra altre misure, a favorire iniziative da parte delle istituzioni scolastiche autonome finalizzate alla strutturazione di corsi ed attività di facilitazione all’apprendimento dell’italiano come lingua seconda (ossia con metodi, tempi, obiettivi diversi rispetto all’insegnamento di una lingua straniera o dell’italiano come lingua madre) sulla base delle effettive esigenze degli alunni rilevate in sede di valutazione di ingresso. Per dare attuazione a tale impegno era stato quindi predisposto dal Governo un Piano nazionale di insegnamento-apprendimento dell’italiano, sul presupposto che capire ed essere capiti era la condizione base del processo di integrazione, per studiare con successo, per partecipare e sentirsi parte della comunità scolastica e del mondo fuori. Il Piano muoveva da dati di contesto, ossia dal carattere ormai strutturale della presenza degli alunni non italiani nel nostro sistema scolastico, dalla disomogeneità della presenza della popolazione straniera nelle diverse aree del paese e dal conseguente fenomeno della concentrazione degli alunni non italiani nelle scuole del centro e del nord (su 100 alunni stranieri 90 frequentavano le scuole del Centro–Nord e solo 10 le scuole del Mezzogiorno). Di fronte alla complessità di tale situazione, ai timori delle famiglie, anche se spesso ingiustificati, di uno scadimento della qualità della scuola, al disagio di una parte dei docenti non ancora pronti professionalmente ad affrontare le nuove sfide, il sistema scolastico aveva cercato di rispondere in termini di un investimento in risorse umane e finanziarie e con un suo modello, “la via italiana per la scuola interculturale e l’integrazione degli alunni stranieri”. Tale modello era stato definito in un documento dell’Osservatorio nazionale per l’integrazione degli alunni stranieri e l’educazione interculturale, istituito presso il Ministero della Pubblica Istruzione nel dicembre del 2006. Una delle azioni principali previste dal documento e dalla circolare ministeriale n.24 del 1 marzo 2006 “ Linee guida per l’accoglienza e l’integrazione degli alunni stranieri” era proprio l’insegnamento dell’italiano come lingua seconda. In continuità con tali documenti, il Piano nazionale si presentava come un piano integrato nel senso che impegnava il sistema scolastico e gli Enti locali ad interventi mirati, a consolidare buone pratiche e modelli organizzativi dimostratisi efficaci, a creare e potenziare reti di collaborazione tra istituzioni. Il Piano si ispirava ad alcuni criteri generali: doveva essere un progetto pilota che utilizzava i docenti già formati, da sperimentare in alcune regioni, da valutare, migliorare e poi portare a sistema. E per quel che qui più rileva, doveva essere un intervento integrato, che non istituiva classi separate ma si poneva l’obiettivo di accompagnare l’inserimento scolastico degli alunni di cittadinanza non italiana in una classe ordinaria, impegnando solo una parte del monte-ore scolastico. L’insegnamento dell’italiano era definito “in transizione” perché doveva avere una durata limitata e differenziata da caso a caso, consentendo agli alunni stranieri in tempi più o meno brevi di seguire i contenuti del curricolo della classe di inserimento potendo contare su ulteriori forme, protratte nel tempo, di facilitazione linguistica e di supporto didattico. L’azione non era rivolta agli alunni stranieri in generale, poiché ormai molti alunni di nazionalità non italiana erano nati o arrivati in Italia molto piccoli ( Il 71% nelle scuole dell’infanzia e circa il 40% nella scuola primaria). Questi ultimi dovevano essere destinatari di un’educazione interculturale destinata a tutta la classe insieme ai loro compagni autoctoni. L’intervento specifico di insegnamento dell’taliano era invece indirizzato agli alunni stranieri neoarrivati (ossia i bambini e i ragazzi giunti nel nostro paese e inseriti nella scuola italiana da meno di due anni) che non fossero assolutamente in grado di capire ed esprimersi in lingua italiana o comunque con competenze linguistiche minime. La loro presenza era stimabile intorno al 15-20% del totale degli alunni stranieri e risultavano inseriti in particolare nelle scuole secondarie di primo e di secondo grado.
- 3) La mozione Cota - La mozione De Torre (già sottosegretaria al MPI nella scorsa legislatura) presentata dal PD in alternativa alla mozione Cota e respinta dall’assemblea della Camera, chiedeva l’impegno del Governo a dare immediata attuazione proprio a quel Piano nazionale utilizzando i 5 milioni di euro con il quale era stato finanziato. La mozione leghista invece, muove dall’assunto che l’elevata presenza di alunni stranieri nelle classi determinerebbe, a causa del diverso grado di alfabetizzazione linguistica, un ostacolo allo studio per gli studenti stessi e una penalizzante riduzione dell’offerta didattica per gli alunni italiani dovuta alle specifiche esigenze di apprendimento degli studenti stranieri. Essa chiede, pertanto, al Governo di rivedere il sistema di accesso di questi ultimi alle scuole di ogni ordine e grado attraverso le seguenti misure:
· subordinare l’ingresso nelle classi ordinarie al superamento di test e specifiche prove di valutazione; · istituire classi di inserimento, separate, per gli studenti che non superano tali prove, propedeutiche all’ingresso nelle classi permanenti , nelle quali gli alunni stranieri seguano corsi di apprendimento della lingua italiana e un curricolo formativo essenziale che preveda tra l’altro l’educazione al rispetto delle tradizioni territoriali e regionali, della diversità morale e di cultura religiosa del paese accogliente; · vietare in ogni caso ingressi nelle classi ordinarie oltre il 31 dicembre di ciascun anno e prevedere inoltre una distribuzione degli studenti stranieri proporzionata al numero complessivo degli alunni per classe.
Al di là dell’inefficacia sotto il profilo metodologico-didattico di un apprendimento linguistico in una classe separata, composta da studenti di diverse nazionalità con backgrounds linguistici e culturali differenti, senza interazione comunicativa con coetanei italofoni ma con il solo docente di italiano, il contenuto della mozione si pone in aperto contrasto con la normativa di rango primario, attuativa di principi costituzionali e di dichiarazioni e convenzioni internazionali cui il nostro Paese ha aderito, in tema di accoglienza, inserimento ed integrazione degli alunni stranieri.
- 4) La normativa di riferimento - La normativa nazionale cui è necessario fare riferimento è costituita essenzialmente dall’art. 38 del Decreto legislativo n.286 del 1998, il Testo Unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero. Quest’ultimo riunisce e coordina le disposizioni vigenti in materia con la legge sull’immigrazione n. 40 del 1998 (la cd legge Turco-Napolitano) che all’art. 36, in un quadro di educazione interculturale, sottolinea il diritto all’istruzione del minore straniero e il valore formativo delle differenze linguistiche e culturali. Questi ed altri principi sono poi garantiti dall’art. 45 del Regolamento di attuazione del Testo unico ossia dal D.P.R. n. 394 del 1999. L’art. 38 del D.L.vo n.286/98, Istruzione degli stranieri ed Educazione interculturale, non modificato dalla successiva legge n.189 del 2002 ( la cd legge Bossi-Fini) stabilisce ai primi tra commi che:
1. I minori stranieri presenti sul territorio sono soggetti all'obbligo scolastico; ad essi si applicano tutte le disposizioni vigenti in materia di diritto all'istruzione, di accesso ai servizi educativi, di partecipazione alla vita della comunità scolastica. 2. L'effettività del diritto allo studio è garantita dallo Stato, dalle Regioni e dagli enti locali anche mediante l'attivazione di appositi corsi ed iniziative per l'apprendimento della lingua italiana. 3. La comunità scolastica accoglie le differenze linguistiche e culturali come valore da porre a fondamento del rispetto reciproco, dello scambio tra le culture e della tolleranza; a tale fine promuove e favorisce iniziative volte alla accoglienza, alla tutela della cultura e della lingua d'origine e alla realizzazione di attività interculturali comuni.
Il comma 7 del medesimo articolo stabilisce che, con un regolamento adottato ai sensi del comma 1 dell'articolo 17 della legge 23 agosto 1988, n. 400, sono dettate le disposizioni di attuazione relative, tra l’altro:
· alle modalità di realizzazione di specifici progetti nazionali e locali con particolare riferimento all’attivazione di corsi intensivi di lingua italiana; · ai criteri per l’adattamento dei programmi di insegnamento; · ai criteri per il riconoscimento dei titoli di studio e degli studi effettuati nei paesi di provenienza ai fini dell’inserimento scolastico; · ai criteri per l’iscrizione e l’inserimento nelle classi degli stranieri provenienti dall’estero, per la ripartizione degli alunni stranieri nelle classi e per l’attivazione di specifiche attività di sostegno linguistico.
Il c.1 dell’art. 45 del Regolamento di attuazione, D.P.R. n.394 /1999, stabilisce che i minori stranieri presenti sul territorio nazionale hanno diritto all’istruzione nelle forme e nei modi previsti per i cittadini italiani. L’iscrizione dei minori stranieri nelle scuole italiane di ogni ordine e grado avviene nei modi e nelle condizioni previsti per i minori italiani. Si prescrive inoltre che l’iscrizione può essere richiesta in qualunque periodo dell’anno scolastico. Il c. 2 stabilisce che gli alunni stranieri soggetti all’obbligo di istruzione sono iscritti alla classe corrispondente all’età anagrafica, salvo che i collegi dei docenti deliberino modalità di assegnazione dell’alunno alla classe inferiore o superiore, tenendo conto di alcuni criteri quali l’ordinamento scolastico del Paese di provenienza, l’accertamento delle competenze possedute, il corso di studi seguito, il titolo di studio conseguito. Infine, per quel che qui interessa, il c. 4 fa rinvio ai collegi dei docenti ai fini dell‘ adattamento dei programmi di insegnamento in relazione al livello di competenza dei singoli alunni stranieri e prevede la possibilità per le singole scuole di adottare specifici interventi individualizzati o per gruppi di alunni per facilitare l’apprendimento della lingua italiana, il cui consolidamento può essere realizzato anche mediante l’attivazione di corsi intensivi. Come è possibile osservare dalla normativa sopra riportata e come evidenziato dal documento sulla “via italiana per la scuola interculturale”, la politica scolastica italiana, a differenza di altri paesi, ha scelto l’inserimento degli alunni stranieri nella “scuola comune”, all’interno delle classi ordinarie, evitando luoghi di apprendimento separato, in continuità con precedenti scelte della scuola italiana per l’accoglienza e l’integrazione di varie forme di diversità (in particolare dei diversamente abili con la legge n.517 del 1977). Scelte che sottolineano il valore della socializzazione tra pari e del confronto quotidiano con la diversità e che costituiscono un’applicazione concreta del principio universalista del riconoscimento dei diritti dei minori. L’Italia ha infatti dato attuazione ai principi costituzionali relativi all’uguaglianza sostanziale (art.3 della Cost. ) e al carattere inclusivo della scuola, aperta a tutti e di tutti nella stessa scuola e nelle stesse classi (art. 34 della Cost.) e dato la sua adesione, ratificata con legge n.176 nel 1991, alla Convenzione internazionale dei diritti dell’infanzia del 1989. Ciò ha comportato il riconoscimento del diritto all’istruzione di ogni minore, considerato portatore di diritti come individuo in sé, indipendentemente dalla cittadinanza italiana, così come del diritto di tutti alle pari opportunità in materia di accesso e di successo scolastico. Di più, il riferimento alle pari opportunità è alla base di politiche selettive, di azioni specifiche, a favore dei minori stranieri, aventi l’obiettivo di ridurre i rischi di esclusione e di avanzare sul terreno dell’effettività delle condizioni di parità. Ai sensi del c.1 dell’art.38 del Testo Unico, ai minori stranieri si applicano dunque tutte le disposizioni vigenti in materia di diritto all’istruzione e di partecipazione alla vita della comunità scolastica, al pari dei minori italiani e pertanto non possono essere considerate in alcun modo legittime pratiche discriminatorie ancorché eufemisticamente definite, nella mozione, politiche di “discriminazione transitoria positiva”. I test di ingresso per valutare il livello di competenza linguistica in italiano e nelle varie discipline oggetto di studio sono largamente praticati dalle scuole ma al solo fine di proporre al Dirigente scolastico, da parte di un gruppo di docenti preposto all’accoglienza, la classe “ordinaria” in cui inserire lo studente straniero e di indicare iniziative di facilitazione linguistica o di supporto nella lingua dello studio. Se un’eventuale fase di breve periodo di alfabetizzazione strumentale in intergruppo e/o in interclasse che preceda l’assegnazione definitiva alla classe (Circolare ministeriale n.110 del 14 dicembre 2007 relativa alle iscrizioni per l’a.s. 2008-09) non si pone in contrasto con principi costituzionali e con la normativa di rango primario e secondario cui si è fatto sopra riferimento, lo stesso non si può dire per quanto riguarda la previsione del superamento di test per l’inserimento degli alunni stranieri nelle classi ordinarie e la conseguente istituzione di classi separate per coloro che tali test non fossero in grado di superare. E’ da ritenersi illegittima anche la previsione del divieto assoluto di inserimento degli alunni stranieri nelle classi ordinarie oltre il 31 dicembre di ogni anno scolastico, in luogo dell’obbligo vigente per le istituzioni scolastiche di accoglierli anche in corso d’anno. Si tratterebbe di una norma, che oltre a menomare gravemente il diritto allo studio del minore straniero, offrendogli al più la sola opportunità di frequentare una classe di inserimento, lo esporrebbe al rischio di abbandono scolastico favorendo la violazione dell’obbligo di istruzione invece che garantirne l’assolvimento. Il carattere discriminatorio della previsione appare ancor più evidente se si ipotizza il caso di un minore straniero già in possesso di abilità linguistico-espressive in italiano e di competenze disciplinari adeguate alla frequenza di una classe comune in un qualsivoglia ordine e grado di scuola.
- 5) L’esecuzione della mozione Cota: un percorso in salita - D’altro canto, la mozione Cota, quale atto unicamerale di esercizio dell’attività di direzione politica, vincola il Governo a dare esecuzione a tale direttiva parlamentare. Anche a voler negare il carattere incostituzionale delle istanze della mozione cui il governo dovrebbe dare attuazione non è ipotizzabile che esso possa limitarsi ad emanare un decreto ministeriale allo scopo di modificare le norme relative all’inserimento degli alunni stranieri previste dal Regolamento attuativo del Testo unico sull’immigrazione, ossia del D.P.R. n. 394/1999. Quest’ultimo è un regolamento emanato (ai sensi del c. 1 dell’art. 17 della l. 400 del 1988 ) dal Governo, non da un Ministro. A norma del c. 3 dello stesso articolo di legge, con decreto ministeriale possono essere adottati regolamenti nelle materie di competenza del ministro quando la legge espressamente conferisca tale potere e comunque i regolamenti ministeriali non possono dettare norme contrarie a quelle dei regolamenti emanati dal Governo. Una modifica del D.P.R. n. 394/1999 potrebbe essere effettuata solo da una fonte di pari grado. E’ inoltre da ritenersi illegittimo che un regolamento governativo di attuazione di un decreto legislativo recante norme di principio, quale fonte di efficacia subordinata a quella della legge formale o di atti di eguale forza, (decreti legge e decreti legislativi), possa essere modificato da una fonte che, seppure di pari grado, con tali norme di principio risulti in contrasto. Riassumendo, il governo è vincolato a dare attuazione alla mozione Cota ma non potrà farlo con un decreto del ministro Gelmini. Potrà modificare il D.P.R. n. 394/1999 solo con un altro D.P.R. . Tuttavia, è evidente che recepire in un regolamento governativo attuativo il contenuto della mozione leghista significa tradire le norme e i principi di cui al D. L.vo n. 286/1998, con l’abnorme conseguenza di un regolamento le cui norme non solo non attuano ma sono in contrasto con l’atto (avente forza di legge) sovraordinato.
Per dare esecuzione alle richieste della mozione relative al superamento dei test cui subordinare l’ingresso nelle classi ordinarie, all’istituzione di classi separate propedeutiche all’inserimento nelle classi permanenti, nonché al divieto di inserimento oltre il 31 dicembre, si renderebbe quindi necessario o un disegno di legge o un decreto legge, strumenti giuridici che per loro natura non sono idonei a garantire l’esecuzione di una direttiva parlamentare da parte del governo poiché l’approvazione (del disegno) e la conversione (del decreto legge) spettano alle Camere. Quanto alla richiesta di una distribuzione degli alunni stranieri nelle classi, proporzionata al numero complessivo degli alunni per classe, è opportuno ricordare che il c. 7 del D.L.vo n. 286/98 rinvia al Regolamento attuativo per l’indicazione dei criteri di ripartizione. Il D.P.R n. 394/99 a sua volta rinvia ai collegi dei docenti per la formulazione di proposte allo stesso fine, stabilendo, opportunamente, che va comunque evitata la costituzione di classi in cui la presenza di alunni stranieri risulti preponderante. Le linee guida per l’accoglienza e l’integrazione degli alunni stranieri, contenute nella citata c.m. n.24 /2006, ritengono positiva la scelta prevalente della scuole di favorire l’eterogeneità delle cittadinanze nella composizione delle classi piuttosto che formare classi omogenee per provenienza territoriale o religiosa degli stranieri. Rispetto al fenomeno della concentrazione degli studenti stranieri in determinate aree del paese la c.m. suggerisce di realizzare un’equilibrata distribuzione delle iscrizioni nelle scuole del territorio attraverso intese tra scuole e reti di scuole in collaborazione con gli Enti locali. E’ di tutta evidenza che la scuola non è in grado di fornire da sola una risposta al fenomeno della concentrazione/segregazione degli alunni stranieri in determinati contesti territoriali (spesso caratterizzati da problemi di disagio sociale) e in determinati indirizzi e tipologie di scuola (soprattutto negli istituti professionali e tecnici nella scuola secondaria superiore). Occorrerebbero politiche sociali e abitative adeguate e le risorse finanziarie per realizzarle, politiche che si collocano in controtendenza rispetto alle scelte economico-finanziarie dell’attuale maggioranza. Tornando alla richiesta di determinazione a livello centrale di una percentuale massima di alunni stranieri per classe, l’introduzione di parametri rigidi, non derogabili dalle singole scuole autonome, non è a mio avviso condivisibile, poiché priva quest’ultime della flessibilità necessaria a dare risposte adeguate alle diverse situazioni territoriali. Tuttavia essa potrebbe ritenersi una via legittimamente percorribile da parte del Governo tramite una modifica del Regolamento attuativo con fonte normativa di pari grado ma a condizione che la percentuale massima degli stranieri sia pari a quella degli alunni di cittadinanza italiana. Soltanto una previsione paritaria, infatti, impedirebbe da una parte la formazione di classi ghetto formate esclusivamente o quasi da alunni stranieri e dall’altra non consentirebbe la costituzione di classi in cui gli alunni di cittadinanza non italiana sarebbero destinati ad essere sempre e comunque una minoranza di “diversi”. Ancora una volta una modificazione del regolamento attuativo non potrebbe discostarsi dal rispetto dei principi del D.L.vo n. 286/1998 che, tra l’altro, al citato comma 3 dell’art. 38 sottolinea le differenze linguistiche e culturali come valore da porre a fondamento del rispetto reciproco e dello scambio tra culture. Valgono, in sostanza, anche per quest’ultimo aspetto, i rilievi relativi agli ostacoli giuridici che si frappongono alla attuazione delle altre istanze della mozione Cota. Stabilire una quota molto ridotta (ad esempio del 10 o 20%) di alunni stranieri, al di là della enunciazione formale di “voler favorire la piena integrazione”, sarebbe una norma discriminatoria, che tenderebbe a mantenere gli alunni di cittadinanza non italiana in una misura in ogni caso sottodimensionata rispetto a quella degli studenti autoctoni, anche nelle situazioni ormai frequenti di “seconde generazioni”, di bambini nati o arrivati nel nostro paese in tenera età e già scolarizzati in Italia, di “nuovi cittadini” anche se privi della cittadinanza, che spesso parlano l’italiano con le stesse inflessioni dei loro coetanei di cittadinanza italiana. In luogo della promozione del dialogo, del confronto tra culture ed anche della reciproca trasformazione, di una concezione dinamica della cultura che evita di separare gli individui in mondi tra loro impermeabili, si tenderebbe a rafforzare gli elementi identitari di una “maggioranza” autoctona rispetto a quelli di una “minoranza” straniera. Non sarebbe una buona scelta. Il fallimento dei modelli basati sull’integrazione come assimilazione o sulla separatezza multiculturale dovrebbe pur insegnare qualcosa.
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