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Per scongiurare l’anticipo a cinque anni della scuola elementare cosa si potrebbe fare?

di Claudia Fanti

La prima elementare è una classe che presenta senza dubbio un’ eterogeneità di livelli di partenza, non soltanto per ciò che riguarda gli apprendimenti e la motivazione, bensì per le abilità relazionali, per quelle manuali, per i diversi gradi di autonomia fisica, mentale, psicologica, affettiva…

Non si può certo dire che insegnare ad appassionarsi alla lettura, alla scrittura, alla matematica, all’espressione grafico pittorica, a quella motoria e a tutte le altre realtà del sapere, sia cosa facile e priva di sofferenza!

Non si può nemmeno sostenere che la vita quotidiana a scuola sia priva del dolore che a volte procura il doversi "conoscere" per forza reciprocamente per poi convivere anche con persone che probabilmente non si sarebbero mai volute neppure incontrare!

Eppure, all’età giusta, migliore palestra di conoscenze e accettazione delle diversità io non ne conosco.

Credo ci sia un’età in cui è importante far le cose piano, con una lentezza benefica per lo spirito e per la mente oltre che per il corpo: quella dell’infanzia. L’età in cui il racconto proprio e dell’altra/o devono avere il tempo di dilatarsi per consentire di leccarsi le piccole ferite delle emozioni provate. Gli incontri con l’altra/o devono servire per educare al riso, al pianto, al superamento del pianto per il pianto e del riso per il riso. Devono servire per parlare di sè, per scrivere di sè, più che scrivere per scrivere e parlare per parlare! A 6 anni ciò può essere fatto, prima è molto difficile. L’affettività, principessa della scuola elementare, governa la qualità degli apprendimenti e la condiziona fino al punto di rendere impossibile ciò che sembra semplice.

A cinque anni si può già essere in grado di leggere e scrivere (per la verità, io ho constatato che pochissimi lo sono, ma lasciamo perdere, perché è un’ esperienza sempre individuale, anche se più che ventennale e con classi numerosissime!), ma non si dovrebbe essere spinti dal mondo adulto a un apprendimento forzato di strumentalità volte alla lettura, alla scrittura e al far di conto, quando ci sarebbe bisogno di altre attività "scatenanti"l’espressione del sé, per vie che la scuola dell’infanzia è magicamente in grado di organizzare e concretizzare. E non si dica che lo si potrebbe fare anche togliendo un anno alla scuola dell’infanzia e dandolo alla scuola elementare, perché anche calibrare i tempi dell’ insegnare a leggere, a scrivere e a far di conto è opera ardua se lo si vuol fare per tutte/i e, soprattutto, in modo solido, profondo e stimolante!

Allora per scongiurare l’anticipo a cinque anni della scuola elementare che cosa si potrebbe fare?

Forse raccontare le ministorie scolastiche di una/un bambina/o qualunque potrebbe aiutare.

Allora mi sono venute/i in mente le/i tante/i che ho conosciuto "brave/i" o meno "brave/i" e ho pensato:<<Forse raccontando, qualcuno ascolterà…si porrà delle domande…si farà sfiorare da un ragionevole dubbio?>>.

MINISTORIE

Anna venne a scuola che già "sapeva" leggere e scrivere, contava fino a cento. I genitori avevano su di lei aspettative di risultati eccezionali, perché Anna seguiva i loro discorsi, interveniva nelle conversazioni adulte con perspicacia e pertinenza.

Eppure Anna non accettava che le compagne/i le si avvicinassero troppo, gli scherzi non la facevano sorridere. Anzi le procuravano fastidio e imbarazzo. I suoi disegni erano stereotipati: ogni cosa al punto giusto, ogni colore ben scelto e rispondente alla realtà! Eppure l’uso della "matita" o dei pennelli per "metaforizzare" le era inviso, le causava imbarazzo.

Non parliamo poi di quando avrebbe dovuto partecipare e ascoltare la maestra, le/i compagne/i, mentre si lavorava sulla pronuncia corretta di fonemi all’interno di giochi che coinvolgevano quelle/i che non sapevano scrivere e leggere: a quel punto Anna si chiudeva e, imbronciata, diceva di saper già fare. In realtà ciò che sapeva le stava togliendo la gioia della scoperta entusiasmante delle sfumature di significato, delle differenze fra suoni simili, dell’uso che si può fare della lingua, dei giochi di parole, ecc… di ciò che le/i pari andavano esplorando ogni giorno con maggior soddisfazione.

Anna, poi, non andava in bagno, perché temeva le turche e pensava di esserne "risucchiata" nel buco.

Spesso piangeva, perché sosteneva che le compagne "non la volevano"…

Ora tralascio molti altri indicatori del suo disagio e passo a dire che, attraverso strategie adatte, Anna era,successivamente, profondamente cambiata: non eseguiva soltanto i compiti in modo corretto, ma si era anche tranquillizzata, si sentiva parte di un tutto ed era ricambiata, ma ci sono voluti anni.

Sarebbe stato giusto mandarla a scuola a 5 anni?!

Savio era un bambino con problemi di adenoidi, difficoltà di pronuncia, facile a stancarsi (si addormentava sul banco dopo un’ora dall’inizio delle attività); sveglio nel gioco e abilissimo nella rappresentazione grafica, la quale rivelava creatività e fantasia smisurata. Anzi, pari soltanto alla sua abilità nel raccontare bugie grosse come una casa a cui lui credeva fermamente.

Di lavorare non se ne parlava proprio: guardava tutte/i come se avesse visto degli esseri umani per la prima volta!

L’anticipo a 5 anni per lui cosa avrebbe significato?

Mariolina era vispa, apprendeva subito fonemi, grafemi, scriveva correttamente dopo soli 2 mesi di scuola. Aveva memoria visiva, amava raccontare le storie e ascoltarle. Aiutava i compagni.

Bambina perfetta?!

Verifiche perfette?!

Purtroppo era fragilissima: si vergognava perché era bassa bassa di statura, tanto da non arrivare al tavolo del refettorio. In palestra non riusciva a far le capriole, ad arrampicarsi, correva con le punte dei piedi rivolte all’interno e inciampava. Tutto è stato superato, ma quanto tempo e quante attenzioni ci sono volute?

Sarebbe stato giusto l’anticipo a 5 anni?!

Alex era un vulcano di idee, di stimoli per tutte/i.

Per molto tempo aveva confuso suoni duri e suoni dolci, un grafema con un altro. Delle doppie era meglio non parlarne proprio. La lettura era quella di un ragazzino già dopo soli 2 mesi di prima elementare, ma se qualcuno gli avesse chiesto cosa aveva letto, avrebbe avuto una brutta sorpresa: sembrava non ricordare niente. Se ci si fosse fermati all’apparenza, si sarebbe sbagliato giudizio su di lui e lo si sarebbe etichettato come "lento a comprendere".

L’anticipo a 5 anni sarebbe stato giusto per lui?!

Roberto era il bambino che tutti i genitori avrebbero voluto avere: mostrava curiosità per ogni cosa, sapeva leggere e scrivere perfettamente, contava e risolveva già qualche facile problema. Educato, sincero, ragionevole da far quasi spavento…Non sapeva tenere in mano un paio di forbici; piegare la carta per realizzare origami per lui era un tormento: non riusciva a seguire le più semplici istruzioni, non parliamo poi della plastilina: ogni volta che ne strappava un pezzo…era un urlo e chiedeva come si facesse a riattaccarlo senza neppure provarci!

Per lui sarebbe stato giusto l’anticipo a 5 anni?!

Le storie sarebbero infinite, ma ognuna di esse, ripensandoci, mi porta a essere più convinta dell’inutilità, dannosità, assurdità del costringere bambine e bambini a una crescita forzata, anche perché di crescita non si tratterebbe, bensì di istruzione, di addestramento, di qualcosa che non sarebbe scuola, ma allevamento forzato!

Fo, 3 gennaio 2002

P.S i nomi delle/dei bambine/i sono stati modificati


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