IL PROFILO PROFESSIONALE DOCENTE NELLA SCUOLA DELL'AUTONOMIA
UN CONFRONTO CON ALTRI PAESI EUROPEI
(Materiali del seminario di Impruneta del 14-15/11/98 pubblicati sul numero 18-19 di VS)

a cura di Antonio Valentino

Questo inserto raccoglie i risultati del seminario del 14-15 novembre scorso e alcuni contributi scritti presentati per l’occasione. Il seminario, che si è svolto a Firenze (Impruneta), era organizzato dal Centro nazionale, con la collaborazione del Regionale Toscana e ha visto la partecipazione di oltre 70 persone.

Finalità principale del seminario era sviluppare la cultura sindacale su un tema particolarmente importante, il profilo professionale docente nella scuola dell'autonomia, e definire in proposito coerenti e avanzate linee di politica sindacale, utili soprattutto in questa fase di rinnovo contrattuale.

L'aspetto innovativo dell’iniziativa è stato la presenza di sindacalisti, esperti della questione, provenienti da alcuni paesi europei, allo scopo di rendere possibile un confronto efficace con esperienze di altre realtà più o meno vicine alla nostra .

Al centro della riflessione abbiamo messo i seguenti gruppi di interrogativi.

1. E’ possibile avviare un percorso di carriera professionale che riconosca anche elementi di capacità professionale e quindi introduca la valutazione del lavoro docente? Se sì, chi valuta e che cosa? Quale intreccio tra valutazione esterna e autovalutazione? Quale rapporto tra valutazione delle prestazioni e il passaggio ad altre funzioni dentro la scuola o in altri enti che si interessano di scuola?

2. Quali funzioni, diverse da quella docente, è necessario introdurre ai diversi livelli scolastici? Devono rimanere tutte interne al profilo docente e possono essere quindi "reversibili" (sono cioè legate a progetti e quindi chi le ricopre ha un incarico a tempo determinato), oppure per alcune di esse vanno previsti profili specialistici?

3. Quale equilibrio tra la dimensione collegiale del lavoro docente, che si esprime nell'elaborazione di un progetto di scuola, e l'autonomia professionale? Quale collegialità? Verso un codice deontologico della categoria? Con quali caratteristiche? Libertà di insegnamento tra fondamenti e vincoli.

Il seminario si è articolato in momenti assembleari (relazioni generali e conclusioni) e in lavori di gruppo. Di seguito proponiamo una sintesi di quanto è stato discusso.

Presentazione del seminario

di Gabriella Giorgetti

In un'epoca di grandi trasformazioni sociali ed economiche, il futuro dei sistemi scolastici e formativi è oggetto di discussione in quasi tutti i paesi europei. Inoltre, la creazione del Mercato Unico pone il problema di un raccordo tra le politiche scolastiche dei diversi paesi: la libera circolazione dei lavoratori richiede non solo la confrontabilità dei titoli di studio, ma anche percorsi formativi che siano in grado di fornire gli strumenti culturali e le competenze necessarie per essere "cittadini europei".

Il tema della qualità del sistema scolastico diventa così una priorità, cui è, ovviamente, legato quello della professionalità dei lavoratori della scuola: la formazione dei docenti, la valutazione del loro lavoro, le figure professionali richieste, il rapporto tra autonomia professionale e collegialità sono alcuni degli argomenti più dibattuti, all'ordine del giorno non solo nelle politiche governative, ma anche nel dibattito sindacale.

In Italia, i sistemi scolastico e formativo stanno vivendo una fase d'importanti cambiamenti, basti pensare all'autonomia scolastica, al decentramento alle regioni e agli enti locali d'importanti compiti relativi alle politiche in campo educativo, all'obbligo formativo fino ai 18 anni, spendibile anche in percorsi diversi da quelli scolastici. Tali processi di cambiamento obbligano, di conseguenza, ad un ridisegno del profilo professionale di tutti i lavoratori della scuola, in particolare dei docenti. Una scuola autonoma e più complessa mette in discussione un'organizzazione del lavoro e della didattica rigida, in cui non sono ufficialmente riconosciute funzioni diverse, la diversificazione dei compiti mette in discussione una carriera legata solo all'anzianità, che non riconosce elementi di professionalità, la necessità per la scuola dell'autonomia di definire un progetto d'istituto coerente non solo con gli obiettivi nazionali, ma anche con le esigenze territoriali mette in discussione un'idea distorta di autonomia professionale, intesa come insindacabilità del proprio lavoro.

Il convegno organizzato dalla Cgil Scuola a Impruneta, nel novembre scorso, è stato un primo momento di confronto con rappresentanti sindacali della scuola di alcuni paesi europei sui temi della professionalità docente, per noi oggetto di dibattito e riflessione da molti anni, che costituiscono l'obiettivo centrale del nostro rinnovo contrattuale.

La presenza degli ospiti europei ci ha consentito non solo di conoscere realtà diverse, alcune delle quali culturalmente assai distanti dalla nostra, ma anche di ricavare utili indicazioni dalle analisi delle loro esperienze. E, probabilmente, proprio in questo consiste la differenza più rilevante tra la situazione italiana e quella dei paesi europei: le riflessioni e le critiche nascono da situazioni in cui il tema della qualità della scuola e della valutazione è stato affrontato, sperimentato e sottoposto a verifiche.

Sintesi delle relazioni a cura di Gabriella Giorgetti

 

L’esperienza novergese

di Berit Ostereng (Norvegian Union of Teachers)

1. La prospettiva internazionale

La necessità di una più stretta collaborazione tra i sindacati europei, per cui sono importanti momenti di confronto come questi, deriva dal fatto che relativamente alle politiche scolastiche si sta delineando una convergenza di azione tra la maggior parte delle nazioni, a livello mondiale, spesso in contrapposizione con le idee dei sindacati in merito ad una scuola di qualità, per tutti. La qualità dell'educazione è, di fatto, un argomento all'ordine del giorno nei paesi di tutto il mondo, su cui stanno lavorando anche organismi internazionali come l'OCDE e la IEA, soprattutto attraverso la mappatura dei risultati scolastici degli studenti nelle diverse discipline e delle performance delle singole scuole. A parte l'uso strumentale che molto spesso si fa di tali ricerche, questa metodologia di valutazione e di comparazione degli esiti scolastici non tiene conto di molteplici fattori, quali le condizioni sociali ed economiche, le politiche scolastiche degli stati per cui eventuali esiti negativi servono solo ad addensare sulla singola scuola e sui docenti ogni responsabilità, e questo in tempi che vedono la maggior parte dei paesi intenzionati a ridurre i fondi pubblici per la scuola. Un'attenzione prioritaria nelle politiche sindacali deve perciò essere data alle risorse che i singoli paesi destinano al sistema scolastico e alla formazione del personale.

2. La situazione norvegese

a) La carriera dei docenti

Gli insegnanti norvegesi sono equiparati agli impiegati pubblici, il loro contratto di lavoro è negoziato a livello centrale, ma sono assunti dalle municipalità, che hanno la responsabilità dell'offerta educativa per gli studenti dai 6 ai 16 anni (obbligo scolastico) e gli adulti che, per diversi motivi, non hanno terminato l'educazione di base. Lo stipendio degli insegnanti dipende da due fattori: la durata del periodo di studi (da quattro a sette anni) e l'anzianità. In media la differenza salariale tra inizio e fine carriera è di circa il 25%. Occorrono 28 anni di servizio per arrivare al massimo della carriera; obiettivo dei sindacati norvegesi è l'innalzamento del salario dei docenti appena assunti, ma anche la riduzione degli anni di sviluppo della carriera.

Anche in Norvegia si è aperto un dibattito se, sulla scia di quanto avviene nei paesi anglosassoni, gli insegnanti debbano essere pagati dalle singole municipalità e se occorra aprire contrattazioni locali. I sindacati degli insegnanti sono nettamente contrari a questa ipotesi perché in una situazione di carenza di docenti, come quella norvegese, ciò causerebbe una competizione tra le municipalità per aggiudicarsi gli insegnanti migliori e porterebbe alle retribuzioni individuali. Un'organizzazione sindacale si basa, infatti, sulla difesa di diritti generali e noi lottiamo per diritti uguali per tutti e affinché tutti, i nostri iscritti e tutti i cittadini, accedano alle stesse possibilità, a prescindere dal luogo in cui vivono e lavorano. Inoltre, temiamo che far dipendere le risorse alle scuole unicamente dai fondi locali possa causare una crescente ineguaglianza tra scuola e scuola. Comunque il dibattito su questi temi è molto serrato: alcuni docenti, infatti, sono favorevoli a salari differenziati a livello locale e addirittura individuale

b) L'autonomia professionale

In Norvegia si è raggiunta la piena scolarizzazione anche nell'età dai 16 ai 19 anni (post-obbligo), in quanto è garantito il diritto formativo individuale o nella scuola secondaria superiore o nella formazione professionale. Da poco tempo, inoltre, l'obbligo scolastico non dura più 9, ma 10 anni, per cui gli studenti iniziano la scuola a sei anni invece che a sette. Questo ha dato luogo ad interessanti novità nel sistema scolastico norvegese, in quanto sono stati introdotti elementi di pedagogia prescolare e metodi di lavoro che mettono maggiore enfasi sul gioco in sé e come strumento fondamentale per l'apprendimento. Inoltre, i docenti di quella che prima era la pre-scuola, attraverso un ulteriore percorso di studio, possono insegnare nei primi quattro anni della scuola primaria e ciò ha, indubbiamente, provocato un qualche impatto sulla cultura scolastica tradizionale. Infine, i nuovi curricoli della scuola obbligatoria di dieci anni richiedono un percorso formativo coerente e in continuità, l'organizzazione delle materie in temi e la dedizione di un larga quota del tempo di insegnamento ad attività di progetto. Tutto ciò ha ovviamente un impatto sul ruolo dell'insegnante, su come deve organizzare il proprio lavoro e sulla sua autonomia professionale. Secondo me, e questa è l'opinione anche della mia organizzazione sindacale, l'autonomia dei docenti deve essere vista nell'ambito collegiale, in una condivisione di responsabilità sia per quanto riguarda gli insegnamenti che il contesto in cui la scuola si colloca. Ciò significa che il collegio - dentro la cornice dei singoli curricoli - deve definire obiettivi comuni per quanto riguarda la parte generale. In questo quadro, le difficoltà maggiori le incontrano soprattutto i docenti della scuola secondaria, la cui preparazione universitaria è orientata verso l'insegnamento delle singole discipline. La diffusione di una cultura collegiale è però ostacolata se nella scuola si crea un clima competitivo. Anche per questi motivi il mio sindacato è contrario alle differenziazioni salariali.

Un'ultima considerazione è che l'educazione, come stabilito nella nostra legislazione scolastica, costituisce un forte fattore di uguaglianza, uno strumento per fornire pari opportunità. Ciò significa che occorre rivolgersi agli studenti con metodologie differenti, in rapporto al loro background e alle loro abilità, dando a ciascuno l'attenzione necessaria e il tempo necessario per apprendere. Non ho dubbi che, in caso di conflitto tra gli obiettivi della parte generale del curricolo scolastico e quelli più specifici e disciplinari, i primi devono avere priorità. Tali decisioni fanno parte della nostra natura professionale e della nostra autonomia.

c) La valutazione

Nell'ultimo anno l'intera organizzazione del nostro sistema educativo è stata maggiormente decentralizzata, nel senso che le municipalità e le singole scuole godono di maggiore autonomia e responsabilità decisionale. Per esempio, sono state emanate nuove normative per cui gli standard fissi per le risorse da utilizzare per l'educazione sono stati sostituiti con disposizioni che lasciano alle singole municipalità o ai capi di istituto ogni decisione in materia.

La necessità del governo di sviluppare un sistema di valutazione dipende anche da questo: ci si vuole assicurare che tutte le scuole, in un sistema decentrato, facciano quanto esplicitato nei curricoli, al costo più basso possibile. Invece di aumentare i salari di tutti gli insegnanti, si trova più conveniente introdurre un sistema che ricompensi solo quelli che raggiungono determinati risultati.

Il mio sindacato, all'inizio ha tentato di bloccare questa mania valutativa, ma ci siamo accorti che sarebbe stata una battaglia persa, perché in questo periodo l'idea della valutazione e delle sue possibilità è estremamente popolare. La nostra strategia è stata, allora, quella di definire, prevenendo le mosse del governo, una nostra idea di valutazione fondata sul concetto di capacità autovalutativa delle singole scuole. Volevamo una valutazione che non servisse da mero controllo, ma aiutasse a migliorare la qualità della scuola, che fosse basata sulla cooperazione tra colleghi e abbiamo indicato come dovesse essere fatta, chi bisognava coinvolgere e in che modo dovevano essere utilizzati i risultati. La nostra maggiore preoccupazione era evitare un sistema rigido, costoso, che facesse sprecare tempo e che non godesse della fiducia nei docenti. Abbiamo iniziato questa ricerca per aumentare la consapevolezza del ruolo degli insegnanti, della loro etica professionale e degli aspetti di potere che ogni tipo di valutazione comporta.

Questo processo, iniziato 4-5 anni fa, ha fatto sì che il ministero dell'educazione avviasse un sistema di valutazione più vicino alle nostre idee. Attualmente il ministero raccoglie diversi dati statistici sulle scuole, sulle risorse e sulle modalità di spesa, commissiona ricerche su particolari tematiche, per esempio sulla lettura e sul comportamento degli alunni. La maggior parte di queste informazioni sono reperibili in Internet e sono assai utili per il nostro lavoro sindacale, in quanto dimostrano come la perdita di ogni controllo centrale crei enormi differenze nelle risorse pro-capite destinate all'educazione nelle diverse municipalità.

Un anno fa il ministero dell'educazione ha creato una commissione che preparasse un programma per la valutazione delle scuole da presentare al Parlamento. E' scaturita l'idea di collegare l'autovalutazione interna delle scuole e quelle esterna tramite gli ispettori. Il mio sindacato non si oppone all'idea che ci siano persone esterne alla scuola che ne osservino l'operato, ma vogliamo sapere le finalità di tutto ciò. Se devono essere gli ispettori, occorre che siano competenti, che conoscano la scuola e i curricoli. Mi piace l'idea di un "amico critico", come è stata sviluppata, tra gli altri, dal professore John Mac Beath del Centro Qualità nell'Educazione dell'Università di Strathclyde, in Scozia. Nelle sue tesi è sostenuta l'importanza di una persona esterna che entri nella scuola e ponga questioni cui non avremmo pensato o che non avremmo osata porre a noi stessi. Tale persona deve, però, godere della fiducia dei docenti, altrimenti essi non si comporteranno in modo onesto.

Secondo la mia organizzazione sindacale, occorre che tutte le scuole sviluppino una cultura valutativa attraverso una stretta collaborazione tra docenti e il reciproco mentoring. Però, occorrono anche "agenzie" esterne in grado di fornire aiuto e proposte, di identificare i problemi ed aiutarci a risolverli. Stiamo ancora discutendo sulle caratteristiche e sul funzionamento di tale agenzia e stiamo cercando soluzioni praticabili sia dal punto di vista pedagogico che economico.

Vorrei chiarire un'ultima cosa. Va bene porre l'accento sui compiti dei docenti e delle scuole, ma sono ugualmente importanti il contesto in cui lavoriamo e le risorse che abbiamo a disposizione: la valutazione non deve diventare un pretesto per i politici e per le autorità per sfuggire alle proprie responsabilità. Io credo che dobbiamo creare organizzazioni scolastiche in grado di porsi interrogativi anche critici sulle loro attività e nello stesso tempo di sviluppare una cultura basata sulla fiducia, che è un prerequisito necessario per l'assunzione e la condivisione delle responsabilità. Tutto ciò è completamente differente dall'ideologia alla base dei sistema di ispezione sviluppatosi in Gran Bretagna e ora di moda in tanti paesi.

L’esperienza inglese

di John Bangs (National Union Teachers - Gran Bretagna)

Due questioni spinose: la valutazione e la collegialità

Condivido molte delle questioni sollevate nella relazione precedente. L'esperienza anglosassone, basata su un sistema di valutazione affidato ad agenzie esterne evidenzia quanto prima detto: è di fondamentale importanza che ogni scuola abbia un proprio metodo di valutazione. La capacità di autovalutazione, il possesso di un metodo valutativo corretto sono prioritari rispetto alla stessa valutazione dei risultati. In Gran Bretagna, le modalità di valutazione affidate ad organismi esterni, spesso, non aiutano la crescita professionale e l'innalzamento della qualità dell'offerta formativa; spesso gli ispettori non conoscono la storia della scuola e l'ambiente in cui opera, non sono in grado di costruire relazioni positive con il corpo docente. Occorre, quindi, trovare un giusto equilibrio tra valutazione esterna, che è necessaria, e valutazione interna, affidata ad ogni singola scuola.

Ovviamente, perché ciò avvenga, occorre che siano garantiti a tutti i docenti gli strumenti e le condizioni necessari all'acquisizione delle competenze. Occorre, quindi, intervenire sia sulla formazione in servizio, che deve essere continua e aggiornata, sia sulla preparazione iniziale.

Bisogna, inoltre, definire una strategia nazionale che agisca a livello centrale nella definizione dei curricoli, a livello locale su problemi legati a specificità territoriali, e a livello dei docenti e di tutto il personale scolastico per sviluppare una cultura collegiale della valutazione. Una buona scuola è una scuola che ragiona sulla propria organizzazione e sa sviluppare la cultura del lavoro di gruppo. E', però, necessario che i docenti stessi siano in grado di definire i propri bisogni professionali e che siano coinvolti nella definizione dei curricoli. In Inghilterra è stato creato il General Teaching Council, in cui insegnanti eletti dalla categoria e rappresentanti dei sindacati discutono attorno a questi temi.

Un altro argomento su cui si è aperto il confronto con il governo è relativo al riconoscimento economico dei docenti che, nel nostro paese è collegato alla prestazione: il governo ci sta chiedendo che la valutazione sia affidata ai capi d'istituto . Un 'altra proposta del governo è quella di diminuire il numero degli insegnanti ed aumentare le figure professionali con compiti specifici.

L’esperienza francese

Fréderique Rolet (Snes - Francia)

Le principali trasformazioni del ruolo e della professionalità docente

Sono molteplici i processi che stanno alla base di un inevitabile ripensamento della missione sociale degli insegnanti e di una ridefinizione della loro professionalità. Tra questi la politica di decentramento e l'attuazione della scuola di massa.

Il decentramento è iniziato con la legge del 1982, che ha come punto di riferimento la creazione dei dipartimenti cui è seguita, nel 1995, la riforma dello Stato con l'obiettivo di migliorare la qualità dei servizi pubblici. Si tratta, in pratica, di sostituire le strutture verticali dei servizi pubblici con strutture orizzontali dipartimentali e di dare maggiori poteri ai livelli territoriali. Il dibattito sul decentramento si è esteso, più generale, ai compiti dello Stato, che dovrebbero essere di definizione degli obiettivi generali, delegando ad altri i compiti di gestione. Una tale politica comporta, ovviamente il decentramento della gestione del personale, con cambiamenti a livello contrattuale e con conseguenze anche sulla valutazione del personale.

Per quanto riguarda la scuola, e in particolare la secondaria, il decentramento della gestione del personale, che dovrà trovare applicazione entro il 1999, si accompagna con una riorganizzazione dei provveditorati e territoriale, con l'idea della contrattualizzazione, della rivalutazione della gerarchia e l'indebolimento della pariteticità: l'amministrazione scolastica, che gestisce una determinata area, riceverà i mezzi necessari dai provveditorati che li ripartisce senza alcun confronto o concertazione con le organizzazioni sindacali. Si rischia in questo modo un aumento delle lobby territoriali, pubbliche e private, ed è per questo motivo che lo Snes rimane attestato sull'idea di mantenere un piano di decisione nazionale, al fine di assicurare una visione globale e trasparente e di permettere la continuità e l'uguaglianza degli obiettivi dei servizi pubblici. Anche per quanto riguarda la gestione del personale lo Snes ritiene che debba essere basata su criteri nazionali.

Lo sviluppo della scuola di massa ha, indubbiamente, determinato una crisi del ruolo tradizionale dei docenti, costretti ad interagire con un pubblico eterogeneo. Secondo lo Snes il nucleo centrale dell'attività dell'insegnante deve rimanere l'insegnamento disciplinare con gli alunni. L'istituzione tende invece ad imporre altri compiti, che noi rifiutiamo, quali le supplenze, compiti relativi alla gestione pedagogica o partecipativa. La legge di orientamento del 1989 impone, inoltre, l'obbligo dell'elaborazione del progetto di istituto con l'esplicitazione dell'orientamento pedagogico. Ciò significa per i docenti ripensare la dimensione pedagogica ed implica una gran quantità di lavoro aggiuntivo e su basi del tutto volontarie. Peraltro, soprattutto gli insegnanti più giovani richiedono sempre di più lavoro in équipe ed interdisciplinare, specialmente nelle scuole localizzate in aree a rischio. Si tratta quindi di trovare un equilibrio tra tali esigenze e il lavoro in classe. Lo Snes sta riflettendo su una ridefinizione dell'orario di servizio che includa l'insegnamento curricolare più una quantità forfettaria a disposizione dell'équipe dei docenti per le attività di collaborazione (organizzazione di viaggi, di stages), per lo studio assistito degli alunni, per altri compiti. In pratica chiediamo per i docenti certifiés 15 ore di insegnamento più 3 per altre attività (al posto delle attuali 18) e per i docenti agrégés 14 ore più 1 (al posto delle attuali 15).

Al fine di evitare forme di flessibilità imposte, chiediamo, inoltre, un orario di lavoro di massima, definito su base settimanale; se occorre introdurre flessibilità nell'organizzazione di alcuni insegnamenti, la decisione deve essere lasciata all'équipe e non al capo di istituto.

La valutazione

In Francia per accedere al ruolo sia di certifié sia di agrégé occorre superare una procedura concorsuale. Inoltre, la valutazione dei docenti, cui è legata la carriera, è di due tipi: da parte del capo d'istituto che valuta elementi "oggettivi" connessi a rapporto di lavoro, quali la puntualità, o elementi che costituiscono un valore aggiunto, ad esempio la collaborazione alle attività della scuola, e da parte del corpo ispettivo che redige la nota pedagogica. Il punteggio massimo è pari a 100 punti, di cui 60 per la nota pedagogica e 40 per quella amministrativa.

Il sistema di valutazione degli insegnanti si inserisce nel sistema di valutazione di tutto il pubblico impiego: i funzionari sono valutati dai loro capi servizio. La valutazione è necessaria in quanto garantisce il rispetto dei diritti degli insegnanti ma anche i loro doveri verso l'utenza e lo Stato, nel contesto di un servizio pubblico. Del resto la valutazione è uno strumento che consente di inserirsi all'interno di un contesto professionale e di fare un bilancio periodico con persone di maggiore esperienza. Lo Snes è favorevole al sistema di valutazione in vigore in Francia, occorre, però, data la connessione tra valutazione e carriera, apportare dei miglioramenti, soprattutto per quanto riguarda la nota pedagogica.

Una prima questione è la necessità di garantire le stesse opportunità a tutti. In media le visite ispettive si svolgono ogni 5 - 7 anni, all'incirca 4 o 5 ispezioni durante la carriera di un docente. Il problema è che esistono forti differenze nei tempi, in relazione alle tipologie d'insegnamento e ai provveditorati di appartenenza con conseguenti forti disparità nei tempi di percorrenza della carriera e l'impossibilità per gli ispettori di aiutare i professori in difficoltà, a meno che ci sia una specifica richiesta di intervento da parte del capo di istituto.

Una seconda questione è che la funzione ispettiva è, praticamente, funzionale alla sola carriera, mentre dovrebbe servire anche al miglioramento del sistema formativo e del sistema di formazione dei docenti. Lo Snes propone che gli ispettori prima dell'ispezione, conoscano il contesto in cui si trova la scuola, e che nella stesura della nota pedagogica si tenga conto sia delle conoscenze disciplinari, sia della relazione docente/discenti all'interno della classe.

All'interno della categoria molti insegnanti richiedono maggiore valorizzazione e riconoscimento del proprio lavoro: sarà questo uno dei temi in discussione al prossimo congresso. Lo Snes però si oppone all'avanzamento per merito su decisione del capo di istituto, come richiesto dal Ministero dell'educazione, in quanto può generare favoritismi.

Valutazione delle competenze e carriera professionale

Gruppo coordinato da Fabrizio Dacrema

1. Le carriere professionali come scelta politico-sindacale

L'introduzione, con questo rinnovo contrattuale, di carriere professionali per il personale della scuola deve essere considerata una ineludibile scelta politico-sindacale per sostenere l'impegno degli operatori in coerenza con l'innalzamento della qualità dell'offerta formativa, per superare l'insoddisfazione sempre più presente nella categoria a causa dell'appiattimento della carriera e dell'assenza di possibilità di sviluppo professionale.

La carriera professionale, a differenza del salario accessorio, deve comportare l'acquisizione di una posizione stipendiale stabile, differenziata, connessa a ragioni di merito professionale. Deve essere aperta a tutti e deve poter essere acquisita da una quota non elitaria della categoria.

Per poter essere effettivamente attivata dovrà avere caratteristiche di semplicità, praticabilità, trasparenza, snellezza.

2. La valutazione

Passaggio inevitabile per la realizzazione di carriere professionali è l'attivazione di un processo di valutazione del personale: solo attraverso la valutazione, in quanto attribuzione di valore, è possibile l'apprezzamento differenziato delle qualità professionali degli operatori e la loro conseguente valorizzazione.

Poiché ogni valutazione contiene sempre aspetti di discrezionalità, non sarà mai oggettiva in assoluto, la ricerca del massimo di trasparenza nella valutazione degli operatori significa controllare il più possibile gli aspetti di discrezionalità, renderla comprensibile e comunicabile, in modo che la sua funzione sia proattiva e favorisca il cambiamento.

Individuare che cosa valutare implica distinguere la valutazione di sistema dalla valutazione degli operatori.

Compito della valutazione di sistema è la valutazione dell'efficienza e dell'efficacia del sistema scolastico, prendendo in considerazione i risultati a cui pervengono le singole scuole in termini di esiti formativi in relazione al contesto in cui operano, alle risorse utilizzate, ai processi attivati. A questo fine il costituendo Sistema nazionale di valutazione dovrà elaborare indicatori e standard relativi ai livelli di apprendimento e alla qualità dell'organizzazione didattica e amministrativa. La valutazione esterna e l’autovalutazione delle scuole stesse dovranno trovare un punto di equilibrio per consentire il pieno utilizzo del flusso di informazioni proveniente dall'attività valutativa ai fini della riprogettazione, dell'analisi del fabbisogno operativo degli operatori, della messa in atto di interventi compensativi.

Definire l'oggetto della valutazione degli operatori implica un'ulteriore distinzione tra la professionalità, (il sapere, il saper fare e il saper essere che il docente utilizza nel processo di insegnamento-apprendimento), e gli esiti formativi (i risultati conseguiti in termini di apprendimento). Il legame che unisce la professionalità dei docenti e i risultati di apprendimento degli alunni non è infatti univoco, ma probabilistico, poiché entrano in gioco altre variabili esterne o di contesto: la situazione socio-culturale e familiare, il contesto scolastico e operativo, le stesse caratteristiche soggettive degli alunni. Tuttavia una parte del gruppo ha comunque sostenuto la necessità di tenere conto dei risultati ottenuti dalle scuole ai fini della valutazione della qualità professionale degli operatori, anche per considerare l'impegno degli operatori in rapporto ad un contesto scolastico più o meno favorevole allo sviluppo professionale. Deve essere in ogni caso possibile anche per un docente che opera in una scuola valutata al di sotto degli standard attesi poter richiedere la valutazione delle proprie qualità professionali.

La valutazione della qualità professionale degli operatori deve infatti porsi l'obiettivo prioritario di individuare e certificare le competenze e le capacità professionali e di far emergere le esperienze di qualità.

La definizione del profilo professionale di base degli operatori costituisce il passaggio essenziale per individuare le competenze aggiuntive del profilo professionale arricchito a cui connettere lo sviluppo di carriere professionali. La formazione iniziale e l'aggiornamento dovranno costruire e "manutenere" il profilo professionale di base; le esperienze di qualità di innovazione-sperimentazione e la formazione in servizio dovranno invece costruire le competenze aggiuntive dei profili professionali arricchiti.

3. Fasi della valutazione e nuclei esterni

La valutazione degli operatori deve essere concepita come un processo esso stesso finalizzato a migliorare la qualità delle prestazioni. La prima fase deve quindi essere rappresentata dall'autovalutazione, attraverso la documentazione e la descrizione di tutti gli elementi utili a rappresentare la qualità della propria esperienza professionale. La seconda fase si svolgerà a livello di scuola e dovrà prevedere la descrizione dei comportamenti professionali, svolta dal dirigente scolastico, tenendo conto del parere dell'eventuale organismo di valutazione interna sulla base di una griglia predisposta dal Sistema nazionale di valutazione. La fase finale della valutazione degli operatori dovrà essere realizzata da nuclei di valutazione territoriali per consentire la necessaria comparabilità delle valutazioni, la specializzazione dei valutatori e la loro indipendenza. Compito dei nuclei di valutazione territoriali sarà quindi la certificazione di competenze professionali aggiuntive e/o potenziate rispetto al profilo professionale di base. Tale certificazione di competenze specifiche dovrà quindi essere assunta come punto di riferimento per l'individuazione delle figure di progetto e di sistema connesse ai nuovi modelli organizzativi delle istituzioni scolastiche autonome. Il nucleo esterno di valutazione dovrà essere composto da esperti e potrà anche avvalersi di visite, osservazioni dirette e colloqui nelle scuole. Il campo su cui avviene la valutazione dovrà essere preliminarmente concordato tra il soggetto che chiede la valutazione ed il nucleo di valutazione.

All'interno del gruppo sono poi emersi due orientamenti diversi sull'avvio del processo di valutazione: una parte ha sostenuto che la valutazione della qualità delle prestazioni professionali debba essere richiesta dagli interessati in quanto strettamente finalizzata alla progressione professionale di carriera, un'altra parte del gruppo ha invece sostenuto che tutti i gli operatori siano sottoposti alla valutazione professionale, poiché tale passaggio è ritenuto indispensabile per la verifica e lo sviluppo di tutte le professionalità.

Alcuni interventi hanno sottolineato la necessità che il processo di valutazione della qualità professionale tenga conto dello sviluppo di modelli professionali collettivi, derivanti dall'autonomia scolastica, e individui modalità di riconoscimento dei gruppi docenti e delle scuole.

Si è inoltre posto il problema per questo rinnovo contrattuale di individuare forme transitorie di progressione professionale in attesa che sia attivato a regime il processo di valutazione della qualità delle prestazioni professionali con la connessa costituzione dei nuclei di valutazione territoriali.

Articolazione della professionalità docente, figure e funzioni

Gruppo coordinato da Pino Patroncini

Il gruppo ha preso in esame le diverse alternative che oggi si prospettano in merito alle articolazioni della professionalità docente, agli incarichi connessi con i problemi organizzativi e didattici che si presentano, alle figure professionali e di sistema che ne derivano, tentando di rispondere a domande che grosso modo sono le seguenti:

Figure e/o funzioni?

Aspetti didattici e/o aspetti organizzativi?

Figure locali e/o nazionali?

Figure definitive e/o incarichi a termine?

Prevalenza di organici e/o orari e/o fondi aggiuntivi?

Sedi di decisione: dirigenza scolastica e/o consiglio d'istituto e/o collegio dei docenti?

Sedi di contrattazione: scuola e/o livello nazionale?

Un'esperienza straniera.

Innanzitutto si è inteso riprendere l’importante contributo di Berit Ostereng, la quale ci ha spiegato due cose. La prima non era strettamente attinente al tema del gruppo. Riguardava infatti l'orario di servizio, ma ho ritenuto utile avere un chiarimento in merito, dal momento che quando ci ha parlato delle circa 1700 ore annue di lavoro docente in Norvegia si è notata una certa agitazione in sala. La seconda, più attinente al tema riguardava la descrizione delle figure professionali previste nella scuola norvegese.

L'orario dei docenti norvegesi.

Il monte ore annuo contrattualmente definito per gli insegnanti nel paese scandinavo è di 1717 ore divise su 39 settimane lavorative, che vuol dire un orario medio settimanale (che può anche variare nelle diverse fasi dell'anno) di 44 ore. Se si tiene presente che l'orario medio settimanale di un qualsiasi lavoratore norvegese è di 37 ore, quello degli insegnanti è di sette ore più alto. La rappresentante del sindacato ha giustificato la cosa dicendo che gli insegnanti sono compensati da quattro settimane di ferie in più. Comunque queste 1717 ore costituiscono un orario onnicomprensivo: l'orario frontale con gli studenti varia da 28 ore settimanali nei primi anni della primaria a 24 ore negli ultimi, a 17 ore nella secondaria. Il resto dell'orario è diviso in attività di riunione (ad esempio i consigli), in ore a disposizione della scuola e ore di preparazione personale: di queste 35 ore annue sono dedicate a corsi di aggiornamento (ma il sindacato ne chiede l'incremento), il resto consiste in preparazione individuale, che non si fa a scuola.

Funzioni e figure nella scuola norvegese.

Sulle figure Berit Ostereng ci ha spiegato che nella scuola norvegese, oltre al capo di istituto, esistono dal 1966 solo due figure: il "social teacher" (letteralmente: insegnante sociale) e il "guidance counsellor" (il termine fa pensare ad un orientatore, ma da quanto emerge nella relazione la figura assomiglia più ad un operatore psicopedagogico). Entrambe queste figure sono reperite all'interno del corpo docente della scuola, ma occorrono comunque competenze aggiuntive rispetto a quella docente, anche se non un titolo di studio diverso. Per esempio Ostereng, che è stata "guidance consuelor", ha seguito appositamente dei corsi di psicologia. Dal 1988 a queste si sono aggiunte alcune figure di coordinamento che potremmo definire coordinatore di classe e coordinatore di discipline. Si tratta di figure di scuola, non stabilite a livello nazionale, che possono variare anche di anno in anno (un anno si può decidere di accorpare le discipline in un modo, l’anno dopo in un altro). I coordinatori di classe poi hanno un ruolo molto importante. Va tenuto presente infatti che nella realtà norvegese, per la conformazione de territorio, circa il 60% delle scuole sono formate da piccole unità anche di soli 40 alunni. Vi sono molte pluriclassi e il coordinatore di classe deve preoccuparsi dell'organizzazione della classe in gruppi omogenei a seconda dei diversi aspetti formativi. In tutti casi comunque queste figure godono di benefici sia in termini di orario che economici. I benefici in termini di orario consistono nella riduzione dell'attività frontale di un'ora per classe. I benefici economici sono invece contrattati all'interno di un budget che viene gestito unitamente dal capo d'istituto e dall'autorità municipale.

La discussione nel gruppo

La discussione dentro al gruppo si è soffermata, nel merito, su alcuni temi:

Le figure di scuola.

Le figure di sistema.

Le sedi di decisione.

Funzioni e figure di scuola

La discussione ha privilegiato le figure di scuola o se si preferisce di progetto rispetto alle figure di sistema, intese queste ultime come figure territoriali. E ciò per due motivi:

Tuttavia si è addivenuti alla conclusione che è difficile, se non inopportuno, definire le figure di scuola: ogni scuola dovrebbe avere le proprie in relazione al progetto. Tutt'al più a livello centrale si potrebbe pensare di fornire un catalogo di figure, orientativo e non vincolante. La stessa ipotesi 1 dell'ARAN, che prevedeva due figure fisse "in tutte le scuole del regno", il coordinatore organizzativo e il coordinatore didattico, è apparsa troppo rigida.

E' stata denunciata anche la sottovalutazione di uno degli aspetti dell'autonomia, quello di ricerca, che porta di conseguenza a sottovalutare questa funzione dentro l'articolazione della professionalità docente, mentre si richiederebbero invece figure operanti in tal senso per sviluppare tutto il potenziale culturale presente nelle scuole.

Una soluzione tecnica è stata individuata nel dare ad ogni scuola un budget in risorse umane (posti e ore) ed economiche (soldi). Si sono individuati quindi in merito due nodi:

Le figure di sistema

Sulle figure di sistema, chiarito che il termine si addice soprattutto a figure da collocarsi a livello territoriale e fatte salve le cautele anti-burocratiche più sopra citate, si è convenuto sulla loro necessità soprattutto in relazione ai rapporti con il territorio (orientamento, rapporto scuola-mercato del lavoro, ecc.) e a progetti particolari (esemplare quello sulle tecnologie multimediali sia come funzione di cerniera sia per questioni di efficacia della spesa). Si dovrebbe però trattare di figure che oltre ad assumere un ruolo di coordinamento, di informazione e di "servizio", dovrebbero anche assumere un forte ruolo formativo nei confronti dei docenti, fino a preparare la propria sostituzione.

Le sedi di decisione

La questione delle sedi di decisione, infine, ha costituito un momento cruciale della discussione: la maggioranza dei partecipanti al gruppo, che sono intervenuti sull'argomento, ha preferito individuare tale sede nel collegio dei docenti, ma non è mancato chi ha preferito individuare come sede più confacente alla scuola dell'autonomia il consiglio d'istituto.

Il profilo docente tra collegialita e autonomia professionale

Gruppo coordinato da Antonio Valentino

Gli obiettivi del gruppo

Il gruppo aveva come obiettivi

1. sviluppare riflessioni più aggiornate sul profilo professionale docente, partendo dalla definizione contenuta nell'art. 38 del CCNL 94-97 da rileggere alla luce del dibattito in corso;

2. approfondire l'idea di collegialità nella scuola dell'autonomia e le condizioni per una sua riproposizione aggiornata;

3. raccogliere idee per una prima lista di regole per un codice deontologico degli operatori scolastici.

Il tema relativo al terzo obiettivo è stato solo presentato (da Paolo Raponi), ma non sviluppato.

1. Il profilo professionale degli insegnanti

Le riflessioni hanno riguardato i seguenti due aspetti:

a. Il profilo docente nel CCNL 94-97

E’ indubbiamente un profilo alto, a cui però sono mancate conseguenti politiche rivendicative sul terreno della formazione. Gli elementi più innovativi e importanti sono dati dall'attenzione alle competenze politico-organizzative e di ricerca e la sottolineatura dell'importanza dell'esperienza didattica da intrecciare con l'attività di studio, di ricerca e di sistematizzazione della pratica scolastica. Probabilmente però la definizione dell'art. 38, comma 6, del contratto non riflette più compiutamente il livello di competenze oggi necessarie per una efficace gestione d'aula finalizzata a favorire apprendimenti più che a trasmettere conoscenze. Lo sviluppo vertiginoso dei saperi e delle tecnologie informatiche e multimediali e il moltiplicarsi dei luoghi della formazione spingono a enfatizzare anche aspetti meno sottolineati nel profilo del contratto 94-97.

b. Le integrazioni proponibili

Dovrebbero trovare posto elementi che guardano all'insegnante come "facilitatore", "mediatore", "organizzatore di spazi e modalità dell'apprendimento".

Un secondo elemento riguarda competenze multimediali e informatiche di base.

Un terzo elemento attiene alle competenze relative alla dimensione collegiale del lavoro docente (lavorare in gruppo, costruire e assumere decisioni, ecc.).

2. La collegialità

L’attenzione del gruppo si è soffermata sui punti che seguono.

Sono ancora aspetti trascurati, da riprendere e approfondire:

1. il necessario intreccio delle due dimensioni che, pur rimanendo distinte, sono dentro una stessa cultura;

2. la collegialità come aspetto connotante la professionalità e come dimensione professionale obbligata;

3. la collegialità: cosa presuppone/quali condizioni, i termini della nozione (perché, a cosa mira, cosa non è) e come garantire produttività ed efficacia alla attività collegiale.

Sul punto 1.

La dimensione collegiale del lavoro docente non si esplicita solo nei momenti collegiali previsti; essa è piuttosto espressione di un modo di considerare, pensare e organizzare il lavoro individuale dentro un disegno collegiale; è il sentirsi dentro un progetto comune (del Consiglio di classe, del progetto di scuola) anche quando si lavora per predisporre la propria attività didattica. Implica un salto culturale che è dentro la nozione di scuola dell'autonomia come espressione di un progetto condiviso.

Rispetto al punto 2.

Occorrerebbe partire da una distinzione tra collegialità legata a compiti istituzionali (e quindi obbligatoria, vincolante) - quali: l'elaborazione del piano dell'offerta formativa, il progetto educativo di classe, l’esplicitazione degli obiettivi formativi legati ai saperi disciplinari - e collegialità funzionale sia alla qualità dell'insegnamento dei singoli, sia alla ricerca pedagogico-didattica e allo sviluppo professionale (gruppi di ricerca-azione, gruppi di autoformazione, ecc.), sia alla elaborazione-promozione di iniziative volte ad integrare-arricchire il quadro dell'offerta formativa.

Questo secondo livello di collegialità può essere opportuno che si sviluppi su base volontaria, come aggregazione che sia espressione di scelte individuali. Esso andrebbe opportunamente riconosciuto, favorito e incentivato, perché accresce la professionalità dei singoli e il patrimonio di competenze complessive della scuola.

Rispetto al punto 3.

La collegialità si esprime nella costruzione di proposte, nella definizione di scelte, nell'assunzione di decisioni. Se non si traduce in scelte e decisioni vincolanti genera frustrazione e accentua individualismi.

La collegialità si impara, è cioè il risultato, sul piano professionale, sia di percorsi formativi, sia di condizioni organizzative (lavoro istruttorio, passaggio delle informazioni, costruzione delle decisioni) da considerare esse stesse come occasione di apprendimento. Essa va quindi promossa, supportata e sostenuta con investimenti specifici e con attività intenzionali. Darla per scontata è un grave errore.

Il progetto di istituto (anche nella versione del piano dell'offerta formativa) è la più significativa espressione della collegialità e il documento di riferimento per tutte le scelte successive collegiali e individuali.

Le conclusioni

di Gabriella Giorgetti

Prima di tutto penso sia giusto sottolineare di nuovo l'utilità di questo seminario e del confronto fatto con i sindacati di alcuni paesi europei. Ciò ci consente di uscire da un certo provincialismo tipicamente italiano, che non solo ci impedisce di imparare dalle esperienze altrui, ma anche ci penalizza perché gli aspetti positivi del nostro sistema scolastico, che pure ci sono, non vengono fatti conoscere all'esterno. Il seminario costituisce, quindi, la prima tappa di un rapporto e confronto con i sindacati dei paesi europei a cui occorre dare continuità.

Nel merito degli interventi dei nostri ospiti, vorrei sottolineare alcuni aspetti secondo me estremamente interessanti e su cui dovremmo avviare un'ampia riflessione.

Mi sembra che un primo aspetto sia quello dell'identità professionale, che per i docenti di molti paesi europei, soprattutto del nord, è particolarmente forte, a differenza di quanto avviene in Italia. Ciò dipende da diversi fattori, l'assenza, per esempio, nel nostro paese di un percorso di studi specifico, abilitante alla professione, che costituisce un elemento di identità, in quanto definisce profilo professionale, compiti e funzioni. Mi ha colpito che nel dibattito sia John Bangs che Berit Ostereng dessero per scontata la dimensione collegiale del lavoro docente e nei compiti di ogni docente la valutazione collettiva e reciproca. Indubbiamente molti sindacati europei si caratterizzano più come associazioni professionali, che sindacali in senso stretto. La nostra storia, di categoria appartenente ad un sindacato confederale, è assai diversa, ma sono convinta che debba essere sviluppata la dimensione professionale per il sempre maggiore intreccio che avrà con le questioni sindacali. Ricordo, fra l'altro, che la legge 59/97 richiede la definizione di un codice deontologico per i settori del pubblico impiego; ma finora non se n’è fatto nulla; potrebbe però essere un utile strumento che le stesse organizzazioni sindacali dovrebbero richiedere per definire la nostra identità professionale.

Un secondo tema è quello del raccordo tra autovalutazione e valutazione esterna. Poche settimane fa ho partecipato ad un seminario europeo sugli esiti del progetto europeo sulla valutazione della qualità delle scuole, in cui sono stati coinvolti 101 istituti scolastici, di cui 10 in Italia. Da quel seminario scaturiva con chiarezza l'idea, soprattutto da parte dei paesi in cui è vigore il sistema di valutazione esterno, che ci deve essere un raccordo tra valutazione esterna e cultura dell'autovalutazione. I rischi altrimenti sono: la finalizzazione della valutazione a puro controllo, invece che al miglioramento dell'offerta formativa, e l'appropriazione da parte di agenzie esterne del diritto a valutare, in assenza di una valutazione fatta dalle scuole stesse. Sono del tutto convinta della necessità di un occhio esterno, di un amico critico, e credo che proprio sulla base delle esperienze fatte altrove sia indispensabile che all'interno dell'attuale confronto con l'Aran sui temi della valutazione professionale riusciamo ad inserire il giusto equilibrio tra questi due momenti.

Un’ultima considerazione è relativa all'insistenza con cui i nostri ospiti ci hanno parlato della necessità che la cultura del lavoro in équipe sia generalizzata e che una scuola per funzionare bene debba essere ben organizzata e ben diretta. Sono due aspetti a cui dobbiamo porre grande attenzione. Dobbiamo insistere nella contrattazione sull'aggiornamento che la capacità di lavorare in team diventi uno degli obiettivi prioritari delle scuole e dell'amministrazione, dobbiamo sviluppare una cultura dell'organizzazione uscendo da steccati puramente ideologici in cui spesso ci siamo collocati. Io non credo che un bravissimo docente riesca a dare il meglio di sé in una scuola che non sia in grado di valorizzare le risorse di ciascuno, non credo al mito del docente che in situazioni disperanti fa cose mirabolanti, come appare in molti film soprattutto americani. L'organizzazione non è un elemento neutro e un'organizzazione deve soprattutto a sua volta apprendere, modificarsi in base alle diverse necessità e contesti. E' un aspetto del fare scuola che continuiamo a sottovalutare o di cui fondamentalmente diffidiamo. Anche qui il rischio è che, in assenza di una riflessione, il tutto venga delegato ad altri.

Per concludere, spero che questo seminario possa servire da stimolo per aprire ulteriori approfondimenti e riflessioni sulle tematiche qui affrontate.

 

Contributi alla discussione

 

Funzione doc

di Franco Buccino

"Funzione doc", propongo questo titolo per un dibattito sulla professione docente, anzi per quella che dovrebbe divenire una vera e propria campagna. Doc sta per docente, ma anche per documentazione, e - naturalmente – per doc come marchio di qualità.

La cosa più rilevante che avviene a scuola è il processo di apprendimento, nel quale c’è lo studente e l’insegnante, anzi gli insegnanti. Un’altra cosa importante è il coordinamento degli insegnanti.

In teoria a scuola potremmo fare a meno di tutti e di tutto, ma non degli alunni, degli insegnanti, del collegamento tra gli insegnanti.

A lungo si è dato grande importanza al docente, o meglio a colui che insegnava, a ciò che c’era nel libro di testo, poi finalmente s’è capita l’importanza dello studente, dell’apprendimento. Ma, paradossalmente, la ritrovata centralità dell’alunno ha contribuito a mettere in ombra il ruolo del docente, perché ha ingigantito fino all’inverosimile le funzioni della scuola, chiamata a rispondere a tutte le esigenze dei ragazzi e a tutti i compiti che la società le affida, distraendola a volte dal suo compito primario. (Per la verità a mettere in ombra il ruolo del docente contribuisce anche lo sviluppo degli strumenti tecnologici e multimediali, che sembrano relazionarsi meglio ai ragazzi, interpretare meglio le complessità delle discipline, trovare soluzioni metodologiche più adeguate.)

L’organizzazione stessa della scuola, in linea con l’impegno a cui essa è chiamata, non sembra giovare al riconoscimento della funzione docente; al suo interno in modo sempre più articolato sorgono nuovi ruoli e funzioni: i collaboratori, i coordinatori, i referenti, gli operatori, gli utilizzati su progetti (che a volte prevedono poco spazio "didattico"), i comandati presso gruppi o progetti d’area (che in qualche modo hanno già cambiato mestiere). Anche il contratto di lavoro ha difficoltà ad entrare nel merito dell’attività dell’insegnante, se non per misurarne la quantità; si sposta subito alle attività funzionali all’insegnamento, al loro orario, alla loro eventuale retribuzione; forse supererà lo scoglio delle figure di sistema, ma sulle accelerazioni di carriera potrebbe arenarsi, se ci arriva.

Se non li abbiamo già, avremo a breve "ottimi insegnanti", presenti in consiglio d’istituto e in giunta, collaboratori del capo d’istituto, coordinatori di dipartimenti, di commissioni, referenti per le varie educazioni, responsabili di progetti, operatori "psicopedagogici" a contatto con alunni e famiglie, e che però non vanno in classe, non insegnano! Queste figure spesso lavorano e lavorano bene, ma il problema è: che riconoscimento vogliamo dare all’insegnamento? che valore all’insegnante nella classe, nel laboratorio, nell’aula di informatica, nella visita istruttiva? come valutare la qualità dell’insegnamento?

I livelli di competenza dei docenti finora individuati e studiati - disciplinare, pedagogico, metodologico, relazionale, insieme al più recente, quello gestionale - sono diverse facce dell’unica funzione docente, dell’unico docente che è quello che insegna? oppure questi arricchimenti portano il docente a svolgere altre attività, collegate ma diverse dall’insegnamento, lo portano o lo possono portare a percorrere una strada, "una carriera", che per tanti aspetti è verticale, gerarchica, avendo non a caso al suo apice il capo d’istituto?

E’ venuto il momento di uscire fuori dagli equivoci e dalle ambiguità, soprattutto perché siamo chiamati, dopo il primo vero contratto, al primo vero rinnovo contrattuale, e perché siamo chiamati all’applicazione della prima vera riforma, l’autonomia scolastica.

Tutti riteniamo che a scuola è fondamentale avere buoni insegnanti. Come valorizzarli? Ci sono diversi modi non sempre in antitesi tra loro.

Il primo modo è il riconoscimento della professionalità nelle forme previste dal contratto e dalle successive elaborazioni relativamente ad accelerazioni di carriera.

E’ così importante la professionalità che bisogna anche correre il rischio di suscitare un vespaio e clamorosi dissensi tra i docenti. Si avvia una procedura e poi eventualmente la si corregge.

Si può passare da un concorso per soli titoli ad uno per solo esame; il docente potrebbe confrontarsi con il primo tipo di concorso più volte, con il secondo una sola volta avendo raggiunto una certa anzianità (potrebbe essere l’equivalente del concorso a funzionario o a quadro di altre categorie). Il superamento di questi concorsi deve portare significativi aumenti stipendiali.

Anche i vantaggi economici potrebbero far modificare l’atteggiamento verso questo istituto dell’accelerazione di carriera, un po' come è successo per il fondo d’istituto, prima snobbato e successivamente valorizzato perché erogatore di salario accessorio, strumento per realizzare i programmi e perfino possibile regolatore dei poteri all’interno della scuola. L’applicazione di questo strumento riaccenderebbe -dunque- l’interesse di molti docenti per l’insegnamento, che può tornare ad essere fonte di gratificazione anche economica.

Il secondo modo per valorizzare la funzione docente è quello di dare il giusto risalto a due elementi ad essa intimamente connessi: la sperimentazione e la ricerca. Pur essendo ritenuti in teoria importanti, questi elementi nella pratica non sono mai stati presi in considerazione. Sia nella sperimentazione che nella ricerca il ruolo dei docenti è stato sempre piuttosto passivo, al massimo esecutivo, anche per una sorta di pregiudizio nei loro confronti da parte delle università, di altri enti di ricerca e della stessa amministrazione scolastica che non ha mai veramente investito in tale settore. Ma, se la ricerca entra nelle scuole, un rapporto alla pari tra esse e gli enti porterà necessariamente a coinvolgere i docenti e tra essi i più preparati, i più consapevoli, i più attenti. Ci sarà poco da bluffare o da farsi raccomandare. L’applicazione, o meglio l’apertura di questo nuovo settore, creando in ogni scuola una struttura di ricerca e sperimentazione, riporta l’interesse dei docenti per l’insegnamento, non più di serie B o subalterno all’università, e quindi per un’attività fonte di gratificazione anche professionale.

Di un terzo modo di valorizzare la funzione docente si può cominciare a parlare, considerando l’applicazione dell’autonomia.

Si tratta di dare la possibilità alle scuole di scegliersi una quota di insegnanti. Quante volte a scuola ci siamo dispiaciuti perché, secondo le graduatorie dei soprannumerari, se ne sono andati i docenti più bravi; quante volte abbiamo fatto carte false per tenerli con noi! Una scuola autonoma, nell’ambito della propria dotazione finanziaria, dovrebbe essere in grado di ingaggiare una quota di docenti con un contratto integrativo pluriennale che preveda uno stipendio maggiorato o eventuali gratifiche o indennità di trasferta, di sistemazione. Un contratto del genere dovrebbero avere la possibilità di farlo innanzitutto le scuole delle aree a rischio e questo riporterebbe l’interesse dei docenti per l’insegnamento, fonte di gratificazione anche sociale.

Le scuole come sono adesso sono impotenti di fronte alla demotivazione di tanti docenti, di fronte alla scarsa professionalità di alcuni di essi; ma una volta dotate di autonomia e investite di responsabilità rispetto ai risultati, dovranno necessariamente svolgere un ruolo attivo nel riconoscimento della professionalità dei docenti, perché di tale professionalità non potranno fare a meno. Gli interessi della scuola autonoma e dei docenti che vogliono valorizzare la professionalità coincidono. Se questo è vero, allora è già tracciata la strada dei prossimi rinnovi contrattuali e forse anche dell’applicazione delle riforme.

Le scuole avranno sempre più fondi con i quali far fronte non solo ad attività aggiuntive, collaborazioni e aggiornamento, ma anche a contratti integrativi, incarichi, fino a veri e propri trattamenti retributivi individuali. Gli organici saranno flessibili, si riducono i trasferimenti, torna in auge l’incarico, si dà l’addio alle riconversioni di massa e all’ipergarantismo.

Sul piano professionale entreranno nell’autonomia dei collegi, oltre l’aggiornamento, materie come la sperimentazione e soprattutto la ricerca.

Le relazioni sindacali, in particolare le contrattazioni integrative, troveranno spazio e forma compiuta proprio nei luoghi di lavoro, le singole scuole.

Profilo docente e collegialità

di Sandro Pazzaglia

La libertà d'insegnamento

Il problema non può più essere affrontato limitatamente al rapporto tra orientamenti personali nell'insegnamento disciplinare ed interventi censori tesi a contrastare la libertà individuale, ma va contestualizzato nel quadro dei processi istituzionali e delle nuove acquisizioni pedagogiche.

E' dal ragazzo che è necessario prendere le mosse, dal diritto-dovere d'apprendimento di una persona che entra nella scuola con la sua cultura e sottocultura. Tali bisogni devono essere evidenziati nelle attività del collegio dei docenti, del consiglio di classe e di altri contesti collegiali per essere analizzati e riconsiderati nella definizione dell’offerta formativa. All'interno e sullo sfondo di questa offerta formativa così elaborata si colloca la libertà d'insegnamento del docente, che trae alimento e non condizionamento dalla rilevazione e analisi dei bisogni formativi del ragazzo.

In tale prospettiva anche il tema del pluralismo nella scuola, molto richiamato nel recente dibattito su pubblico-privato, deve essere approfondito e precisato. Non è sufficiente per una formazione che educhi al pluralismo che in una classe siano presenti docenti di diverso indirizzo, se poi questi sono autoritari o completamente disinteressati ad un progetto comune che abbia come obiettivo la rielaborazione da parte dell'allievo di orientamenti e culture differenti.

Da queste considerazioni emerge la fondamentale importanza della dimensione della collegialità nella definizione del profilo professionale del docente, anche nella prospettiva dell'autonomia.

Dimensione della collegialità

Qualche indicazione operativa. Per il collegio docenti vanno previste poche riunioni plenarie per le ratifiche e per le delibere; riunioni più frequenti invece per gruppi disciplinari o su tematiche interdisciplinari o per elaborazione e valutazione di progetti. Ognuno di questi gruppi di lavoro deve avere un responsabile che coordini le varie fasi e soprattutto contribuisca a rendere trasferibili nella operatività della didattica i prodotti dei lavori di gruppo. E' necessario passare dal progetto cartaceo al progetto operativo. Il lavoro dei coordinatore di gruppi non si configurerà, in questa visione, come esercizio di un ruolo separato o addirittura gerarchizzato e di comando rispetto al resto del corpo docente.

Che fare?

Non esiste un problema di revisione sostanziale del profilo professionale docente, così come è definito nel contratto vigente, ma c'è la necessità di individuare gli strumenti per rendere operativi le articolazioni del profilo.

Bisogna prendere atto che non tutta la categoria è disponibile a tale obiettivo. La diffusione di una "pratica" del profilo docente diverso dal tradizionale rapporto spiegazione-studio-verifica produrrà un conflitto con una parte della categoria. C'è un problema difficile di orientamento culturale dei docenti alcuni dei quali sono convinti che progettare deve riguardare solo la parte aggiuntiva delle attività scolastiche, dal momento che la parte sostanziale, non deve essere progettata collegialmente, ma preparata solo individualmente. Questi docenti inoltre percepiscono il collegio docenti non come luogo di progetto, ma come strumento sindacale per la difesa della libertà d'insegnamento, rispetto a "imposizioni" esterne (attività collegiali, progetti, aggiornamenti) che non hanno niente a che fare con la sostanza del loro lavoro.

Quando poniamo la questione dell'articolazione della funzione docente dobbiamo sapere che ci rivolgiamo solo a una parte della categoria.

La parte dei docenti interessata all'articolazione della funzione, caratterizzata cioè da forti momenti di collegialità e cooperazione, deve essere supportata da:

Condividere l’errore

di Chiara Recchia

L’autonomia e la collegialità nel progetto d’istituto

Che il Progetto educativo d’istituto fosse un punto problematico si è capito dopo il ricorso al Tar dello Snals, ma lo ha visto e vissuto chiunque, negli ultimi anni all’interno della scuola, si sia impegnato in questo campo. Si tratta di un processo ancora in corso, in forme diverse fra scuola e scuola, che si è innescato ovunque ormai, e del quale si può dare la seguente interpretazione: ad una fase di sostanziale indifferenza da parte dei più verso i "pionieri–progettisti" (le educazioni, le commissioni, i gruppi di studio, i valutatori, gli indagatori ecc., che erano liberi di innovare purché non toccassero gli altri), si sono succedute le fasi dell’attenzione e del coinvolgimento sempre maggiore da parte dei docenti. Le innovazioni hanno finito per toccare anche i tempi, gli spazi, le idee di chi non condivideva le nuove attività. Ne è seguita, quindi, una fase di conflittualità tra i diversi modi di lavorare a scuola, nella quale sono stati i rapporti di forza a far prevalere gli uni o gli altri, dato che tutte le scelte sono legittimate dalla "libertà di insegnamento". Che il caos sia in agguato, e che le cose non possano continuare così, è impressione diffusa e condivisa nel vissuto scolastico, anche con i crismi della collegialità; è quindi venuto il momento delle regole. Per questo bisogna tornare a parlare del PEI - nel quale devono essere presenti i contenuti e le regole dell’istituto - e della sua inevitabile connessione con il lavoro dei docenti e degli Ata (tempi, retribuzioni, diverse tipologie del lavoro) e quindi con il contratto di lavoro.

Quali passi in avanti sono stati compiuti, nei 4 anni trascorsi dal ricorso dello Snals al Tar, nella comprensione e soluzione del problema? Sicuramente pochi passi sono stati compiuti nelle scuole; c’è molta confusione e spesso le logiche individualistiche prendono la bandiera della collegialità e schiacciano le migliori professionalità e pregiudicano un’organizzazione migliore del servizio scolastico.

Ignorare la problematicità del rapporto fra autonomia e collegialità significa ignorare il binomio autonomia-professionalità dei lavoratori della scuola. In altre parole, non sempre la libertà d’insegnamento serve a coprire la paura del nuovo e l’incapacità di affrontarlo, ma serve anche ad esprimere la specifica professionalità dell’insegnante per un dato compito che si chiede venga riconosciuta e valorizzata anche nel contratto di lavoro.

Si può imporre la collegialità?

Non si può imporre la collegialità, cioè non si può decidere quel che devono fare i singoli se non ai livelli giusti e nelle forme previste dalle regole di funzionamento della scuola. La collegialità è un concetto-valore che implica il concetto-valore dell’autonomia del singolo, e quindi la necessità di garantire entrambi, perché se così non fosse non si tratterebbe di collegialità ma di arbitrio, che può scaturire anche dall’imposizione della volontà dei più sui singoli. E non è solo per una questione di democrazia (e per democrazia s’intende il rispetto delle regole che ci siamo democraticamente date) che l’arbitrio non può avere spazio nell’organizzazione della scuola, ma anche perché esso comporta confusione e spreco, cioè inefficacia e inefficienza.

Qualcuno potrebbe essere attirato dall’apparenza e ritenere che imporre la collegialità (cioè le scelte, i progetti, le persone) sia una scorciatoia per ottenere i risultati voluti. Ci troveremmo di fronte a risultati illusori: gli obiettivi che si vogliono raggiungere passano, a scuola come credo in qualsiasi altro lavoro (ma tanto più nella scuola), attraverso rapporti chiari e condivisi fra le persone. Frapporre decisioni altrui fra allievi e docenti è come affidare i comandi di un’automobile non a chi sta al posto di guida ma a chi fabbrica o vende le automobili. Non è questo il giusto livello. Fra le decisioni collegiali e quelle del singolo docente che deve attuarle ci deve essere uno spazio di flessibilità nel quale devono trovare posto anche le caratteristiche e le aspirazioni degli alunni. Una imposizione della collegialità, che maschera l’autoritarismo, avviene a scapito del nuovo profilo professionale del docente, ovvero della condivisione delle scelte, del lavoro di gruppo, della progettualità e, quindi, della autonomia/libertà d’insegnamento.

Come si può esplicare al meglio il nuovo profilo docente?

I gruppi di progetto presuppongono il nuovo profilo professionale docente, ma questi devono essere coerenti (per finalità, metodi, finanziamenti, collaborazioni esterne e interne, tempi) con le decisioni prese collegialmente negli organi a ciò deputati, ovvero con le scelte presenti nel progetto d’istituto.

E quali sono gli organi? E quali persone negli organi? E chi valuta che i gruppi di progetto siano coerenti? Una risposta a tali questioni la possono dare, insieme con le regole, anche figure professionali garanti del corretto rapporto fra autonomia e collegialità.

Un esempio di quotidianità progettuale scolastica

Quello da cui bisogna difendersi oggi è il proliferare indiscriminato di azioni: esperti in classe, classi con esperti fuori dell’aula, miriadi di progetti nelle stesse classi, improvvisazioni varie, come quelle volute da Tizio (referente di …) e quelle di Sempronio (nume tutelare di …), quella del preside e quella del vicepreside, quelle del collaboratore n°1 e quello n° 2, e via dicendo.

Non c’è limite, se non il tempo scolastico che più in là delle 6, 7, 8 ore a scuola non può andare. C’è, a volte, un accanimento pedagogico sugli alunni, con le migliori intenzioni da parte di tutti, che però dovrebbe attirare l’attenzione allarmata di chi si preoccupa della verifica degli esiti. Quando dico "da parte di tutti", lo dico in senso proprio. Nella mia scuola, ad esempio, oltre agli enti pubblici e privati, vicini e lontani, che finora hanno richiesto spazi (di orario) ed energie (di docenti e di alunni), si sono aggiunte anche le proposte educative dei Vigili Urbani, dei Carabinieri e della Guardia di Finanza (sponsorizzate dal docente Tizio o dalla docente Caia). E’ chiaro che questa è la libertà di tutti contro tutti, dove vince il più forte di turno. Questa conflittualità dei progetti non è la progettualità positiva e costruttiva che attiene al dibattito culturale tipico del pluralismo, e che può essere il presupposto della condivisione e della collegialità. Non è nemmeno la libertà di chi vuole fare il suo lavoro in classe con i propri alunni, senza continuamente chiedersi se questi alunni, con i quali ha incominciato un certo lavoro (di spiegazione, di esercitazione, di discussione, di verifica, di recupero, di approfondimento, ecc.) li troverà in classe quel giorno o se , invece, dovrà accompagnarli a una certa conferenza oppure dovrà loro somministrare questo o quel test. Si capisce bene, allora, come gli spazi della collegialità vengano continuamente occupati, a fini individualistici, da persone e da enti, che esercitano una loro libertà che, se rimane senza vincoli all’interno della scuola, finisce con ledere il rapporto fra autonomia e collegialità e, quindi, anche l’autonomia-libertà della scuola.

La valutazione dei progetti e degli esiti

Che siano gli stessi gruppi di progetto ad autovalutarsi mi sembra inevitabile ma insufficiente, perché non risolve i problemi che si pongono annualmente nelle scuole al momento della programmazione e della ripartizione dei fondi tra le varie attività. Bisogna chiarire in anticipo, e condividere, gli indicatori per la progettazione ai vari livelli della collegialità.

L’autovalutazione, poi, è inevitabile per l’automiglioramento, ma la valutazione degli esiti, a prescindere dalla loro positività o negatività, non può, invece, essere il presupposto per la carriera professionale dei docenti o per il finanziamento dei progetti, giacché la scuola non può essere responsabile degli esiti delle attività, ma solo di aver fatto il possibile per facilitarne gli esiti positivi; e fra il possibile c’è anche imparare dai propri errori. Condividiamo, quindi, collegialmente i rischi e gli errori delle scelte per poterne condividere collegialmente la correzione, e quindi il miglioramento dell’offerta formativa della nostra scuola.



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