Come raddoppiare lo stipendio agli insegnanti
di Claudio Cremaschi
In tempi non lontani echeggiava un ritornello che diceva "…e noi faremo come la Russia"; ora è molto più di moda allargare le frontiere in altre direzioni ("facciamo come in Europa"), prendendo dagli altri solo ciò che fa comodo (gli stipendi europei) e sorvolando elegantemente su altri parametri (il rapporto docenti – alunni degli altri paesi europei). E così, dopo il tormentone del concorsone e della carriera dei docenti, ora siamo al polverone sugli "stipendi da fame". I sindacati mostrano i muscoli con minacciose promesse di scioperi generali se il Ministro anziché 400 miliardi non recupererà i 700 miliardi promessi, ma non dicono che stanno discutendo per un aumento mensile pro capite di circa 50.000 lire anziché di 30mila; lasciano invece credere che si stanno battendo per i famosi "stipendi europei". Nessuno però dice come si fa a trovare realmente i soldi per pagare dignitosamente i docenti, naturalmente facendo in modo che gli investimenti producano un miglioramento del servizio scolastico pubblico.
Abbiamo formulato nei mesi scorsi alcune proposte sulla carriera dei docenti, che ci sembra comincino timidamente ad essere recepite dal Ministero, dalla Commissione per il riordino dei cicli, da qualche sindacato. Ora proviamo a fare i conti, dicendo con la massima chiarezza qual è l’unico modo possibile per aumentare gli stipendi, anche se la proposta farà gridare molti allo scandalo, in particolare coloro che pensano (anche se non osano dirlo) che la scuola come altri servizi pubblici ha come scopo principale di garantire uno stipendio a quanta più gente possibile.
I dati di fatto
Dove sta il trucco? Come mai negli altri paesi, senza spendere per la scuola molto di più, gli stipendi sono nettamente più alti? Basta prendere in esame qualche altra tabella e si scopre facilmente che il rapporto alunni/docenti in Italia è nettamente più basso che altrove; il trucco è tutto qui. Per anni la politica del gonfiamento degli organici, dell’abbassamento del numero alunni per classe, contrabbandato per aumento del miglioramento della qualità della scuola, ha nascosto una politica assistenziale di assorbimento della manodopera "intellettuale" (e non solo: pensiamo ai bidelli) che ha condotto a guasti evidenti. Le categorie - anche pubbliche, come i medici, che hanno voluto difendere prestigio sociale e livelli salariali hanno fatto una politica opposta: numero chiuso, concorsi selettivi. Persino nella scuola, se oggi i Dirigenti scolastici possono sperare in un significativo aumento dei loro stipendi, non sarà per magnanimi atti di riconoscimento del loro lavoro, né per investimenti straordinari, ma sostanzialmente perché la razionalizzazione delle scuole ha fatto sparire tra il 20 e il 30% delle presidenze, e liberato risorse che possono essere ridistribuite.
Allora la soluzione è semplice, persino banale, ma occorre enunciarla chiaramente; si possono aumentare significativamente gli stipendi dei docenti a condizione di diminuirne altrettanto drasticamente il numero. Non esiste nessuna altra strada praticabile. Occorre studiarne le forme di attuazione, evitando ovviamente di ridurre la qualità del servizio. Ma è del tutto evidente che se in Italia c’è un insegnante ogni 10 alunni, e in Europa il rapporto è di 1 a 16, basta adeguarsi a questo rapporto per poter aumentare gli stipendi mediamente del 60%.
Per non ragionare solo in astratto applichiamo l’idea a un caso concreto.
L’Istituto tecnico XY (il nome non lo facciamo, ma i dati sono reali e controllabili) nell’a.s. 1998/99 era frequentato da 1273 studenti, suddivisi su 57 classi, I docenti in servizio 152, ma essendoci 16 tra part-time e spezzoni, ne contiamo solo 144. La media di alunni per classe è di 22,3. Il rapporto alunni per docenti è 8,84: cioè meno di 9 studenti per ogni docente A scanso equivoci precisiamo che non è un dato eccezionale, perché in altre scuole, specie di minori dimensioni e su più plessi, la media degli alunni per classe è ancora più bassa.
Nell’Istituto gli alunni hanno un orario (teorico) di 36 ore settimanali. Nella pratica, per riduzioni dovute a motivi di trasporto, ma soprattutto all’insensatezza di un orario così pesante, ne fanno 30 o poco più (36 ore di 50’). Gli insegnanti sono però pagati per la loro cattedra di 18 ore, come se fossero intere.
Ora, proviamo a fare un semplice ragionamento, del tutto ipotetico:
Nel caso che stiamo prendendo in esame avremmo nell’IT XY 51 classi con un orario di 30 ore ciascuna: in totale 1530 ore, che a 18 ore cattedra, richiede l’impiego di 85 insegnanti; siccome siamo realisti, e vogliamo far funzionare la scuola, contiamo pure 90 insegnanti, pensando alla necessità di avere docenti esonerati dall’insegnamento per svolgere altre vitali funzioni.
Il monte stipendi ora destinato a 144 docenti, diviso su 90, consentirebbe un aumento di stipendio del 60%. Per capirci, l’attuale stipendio medio netto di 2 milioni quattrocentomila si avvicinerebbe così ai 4 milioni netti mensili. Senza cambiare praticamente nulla della situazione attuale nel rapporto di lavoro e nella quantità e qualità dell’insegnamento.
Si potrebbe obiettare che in altre scuole, specie dell’obbligo il rapporto è diverso e la cosa non è possibile, per lo meno su dimensioni così macroscopiche.
In realtà con qualche ulteriore piccolo sforzo di fantasia, potremmo scoprire che si possono in modo quasi indolore realizzare altri notevoli risparmi, con liberazioni di risorse aggiuntive da distribuire sui docenti. facciamo alcuni esempi:
1 Basterebbe escludere la compatibilità tra insegnamento a tempo pieno e libera professione; tutti i docenti dovrebbero optare (come hanno fatto i medici) mantenendo la possibilità, per chi esercita la libera professione, di stipulare con le scuole contratti annuali o triennali, eventualmente rinnovabili, per un numero ridotto di ore (così, tra l’altro, si libererebbero molte cattedre per nuove assunzioni).
2. Un’idea un po’ più audace: se accettassimo che gli insegnanti siano pagati in base alle ore effettive e che possano scegliere anche di superare le 18 ore, diciamo fino ad arrivare ad un orario medio di insegnamento di 20 ore settimanali (o meglio ancora a un orario su base annua tra le 700 e le 800 ore contro le attuali 600 teoriche 500 effettive), l’idea di raddoppiare lo stipendio medio sarebbe un’ipotesi del tutto concreta.
3. Ma forse non occorrerebbe neppure tanto. Per contratto i docenti sono tenuti ad insegnare per 18 ore la settimana, ma non sta scritto che questo compito debba esaurirsi in 33 settimane l’anno. Anzi, poiché il contratto prevede anche per i docenti 6 settimane di ferie, e dato che un anno ne contiene 52, basterebbe distribuire l’insegnamento di 18 ore settimanali su 46 settimane (ma siamo buoni, facciamo pure 40) per liberare un altro 10% di risorse. A tutto vantaggio di chi optasse per l’insegnamento a tempo pieno. Magari conservando a tutti coloro che non vogliono accettare un rapporto di lavoro full-time di mantenere una posizione a orario settimanale o annuale ridotto: ma ovviamente con la corrispondente riduzione di stipendio.
4. E non parliamo del personale ATA, che potrebbe essere tranquillamente dimezzato, lasciando un budget alle scuole per specifiche necessità da risolversi secondo le esigenze (appalti delle pulizie, contratti a termine, ecc).
E la qualità della scuola?
Se qualcuno crede davvero che la qualità della scuola sia garantita da qualche alunno in meno e da qualche insegnante in più, è inutile discutere. Se invece si pensa che la scuola deve essere una tale risorsa del paese da attirare le intelligenze e le capacità migliori, allora bisogna poter proporre un lavoro serio e impegnativo con un riconoscimento economico serio.
E i posti di lavoro?
Verrebbe spontaneo rispondere con un’altra domanda: la scuola ha la funzione di garantire lo stipendio al personale o la formazione dei futuri cittadini?
Ma affrontiamo comunque il problema. Poiché un passo come quello qui descritto richiede comunque alcuni anni per essere realizzato, c’è una grande occasione da non perdere. Nei prossimi quattro-cinque anni alcune centinaia di migliaia di insegnanti andranno in pensione (le leve delle immissioni in ruolo degli anni settanta). Ecco allora che se i sindacati facessero veramente l’interesse della categoria, contratterebbero un piano di progressivo innalzamento del rapporto docenti/alunni ottenendo la garanzia che tutti i risparmi così realizzati vengano reimpiegati nello stipendio degli insegnanti (non per tutti però: per chi accetta il tempo pieno e per realizzare una reale progressione economica e professionale). Gli altri investimenti, che pure il governo dovrebbe assicurare, potrebbero allora essere destinati alle strutture e alla formazione dei docenti.