Rapporto Bertagna due
Ovvero: scommettiamo che ….?
di Grazia Perrone
La Commissione Bertagna rilancia. Anzi raddoppia!
Al primo documento interamente redatto dal
Presidente (il prof. Bertagna, appunto) il Gruppo Ristretto di Lavoro
ne aggiunge un altro. Di sintesi … dicono. Se il primo documento era
impostato sul "relativismo positivo" del suo estensore il
secondo – più modestamente – sembra animato da minori pretese e
maggiore umiltà. Anche se non manca un "sano" e "politicamente
corretto" spirito …. imprenditoriale.
Scommessa, infatti, è il termine
più enfatizzato – in quest’ultimo documento - per esplicitare la
"ratio" del progetto riformatore proposto. Nel
paragrafo intitolato "Educazione, istruzione e
formazione" si legge: (…)"il sistema della
formazione deve essere ripensato e riorganizzato superando quella che
oggi è impropriamente definita formazione di primo livello e dando
vita a una formazione che "scommetta" sulle
competenze più rare e meno presenti sul mercato, meno esposte alla
concorrenza internazionale, in modo da mantenere costante, e
possibilmente aumentare, il differenziale positivo di professionalità
della forza lavoro del sistema paese rispetto a quella dei paesi
caratterizzati da un’elevata disponibilità di manodopera (…)"
(cfr. Documento di sintesi Commissione Bertagna pag. 5).
Spirito imprenditoriale, "scommettere"
sul nuovo mercato, "puntare tutto" sulle nuove tecnologie,
sulle "competenze più rare", sulla "glocalizzazione"
e sulla diversificazione del "mercato culturale".
Siamo alla teorizzazione di una sorta di "parcellizzazione
culturale" del corpo docente (o di parte di esso) e – di
conseguenza – alla sua subordinazione, in prospettiva, ai
"capricci" e alle "leggi" del … mercato
globale. Una simile impostazione metodologica spinta alle estreme
conseguenze da una legislazione regionale "concorrente
" (a quella dello Stato) mina alla base il principio
costituzionale della libertà di insegnamento che – per sua,
intrinseca, natura – è soggettiva e non può essere connessa a
variabili oggettive come – ad esempio – l’esigenza di formare
(in un determinato territorio) un certo numero di soggetti con
caratteristiche socio/culturali e professionali ben definite così
come richiesto dal … mercato del lavoro globale.
Tutto questo è in perfetta sintonia con le
esigenze della "nuova classe globale" (la
definizione è di Ralf Dahrendorf) che - pur rappresentando non
più dell’uno del cento della popolazione mondiale - è quella che (…)"fissa
i trend, indica la direzione, esercita l’egemonia culturale (…)"
(cfr. R. Dahrendorf – Dopo la democrazia – Laterza
Editori, 2001, Bari, pag. 19).
Sembra essere questo lo spirito – la
"cornice" ideologica potrei definirla - del progetto di
riforma scolastica proposto dalla Commissione Bertagna. In questo
contesto – pur registrando positivamente alcune, timide, aperture
formulate in chiusura degli Stati Generali dal Ministro Moratti -
permangono immutate le riserve, le critiche e le perplessità
inizialmente formulate … e, di seguito, riportate. (gp)
***
(…)"Nell’orario di cui al comma 1 (orario
di insegnamento per i docenti di scuola elementare - nota di gp) è
compresa l’assistenza educativa svolta nel tempo dedicata alla
mensa". (cfr art. 131, comma 7 Testo Unico n. 297/94)
Può sembrare un paradosso ma la prima conseguenza
del "rapporto Bertagna" (qualora fosse tramutato in testo
legislativo) sarebbe:
a) La scomparsa del tempo pieno nelle
scuole dell’infanzia, elementari e medie e – conseguentemente
– una riduzione dell’organico ed un impoverimento dell’offerta
formativa in una fascia d’età fondamentale per lo sviluppo
socio/culturale del fanciullo, il ritorno (nel primo biennio delle
scuole elementari) all’insegnante unico o "prevalente"
come – in linguaggio burocratico – viene definito;
b) la scomparsa delle mense scolastiche;
c) l’obsolescenza e la decadenza
giuridica del comma 7 dell’art. 131 del Testo Unico (citato in
premessa) che ha imposto l’assistenza educativa alla mensa come
elemento connaturato con gli obblighi della docenza.
Ma procediamo con ordine.
***
Pur senza commentare le dichiarazioni del
presidente della Conferenza delle Regioni (Enzo Ghigo) che lamenta (a
ragione… visto il disposto normativo di cui all’art. 3, punto n
del nuovo articolo 117 della Costituzione Repubblicana
introdotto con legge costituzionale il 18 ottobre 2001) il (…)"tardivo
coinvolgimento delle Regioni nella progettazione e nell’organizzazione
degli Stati Generali" o la presa di distanza dal primo
documento Bertagna degli altri cinque componenti il gruppo ristretto
è possibile formulare una prima critica.
Di metodo.
Il Ministro – Letizia Moratti – nell’affidare
il mandato al gruppo "ristretto" (e culturalmente omogeneo)
presieduto dal prof. Bertagna ha posto dei precisi paletti
metodologici limitando – di fatto – il lavoro e le prerogative
(intellettuali!!) della Commissione. Si può dire che – in un certo
senso – la Moratti abbia "ipotecato" il prodotto finale
con grave pregiudizio di quella prerogativa democratica che è la
libertà di pensiero. Che può – a parer mio - svilupparsi
compiutamente solo in presenza di una pluralità di opzioni
metodologiche e/o scientifiche. Sembra quasi che la Moratti abbia –
per così dire – "capitalizzato" il vissuto esperienziale
del suo predecessore in V.le Trastevere al fine di evitarne gli
errori.
L’On. Berlinguer – infatti – da Ministro
della P.I. si è sempre servito – per formulare le sue opzioni
riformatrici - di commissioni allargate (o "miste") in cui
sono state esplicitate varie strategie e soluzioni possibili.
Clamoroso ed emblematico – sotto questo aspetto – il dissenso
emerso in seno alla Commissione mista MPI/MIUR ad opera del suo
presidente (il prof. Tranfaglia) che – sia pure in minoranza –
chiarì di non condividere il progetto di riforma universitaria
(le lauree "brevi" per alcune tipologie professionali
docenti compresi) caldeggiata dall’Ulivo (e dalla CGIL) e diventata
legge dello Stato con voto "blindato" in Parlamento poco
prima della fine della legislatura.
Ebbene, lo scopo di questa Commissione ristretta e
a … "sovranità (intellettuale) limitata" mi sembra
evidente: ottenere un documento univoco e – fino all’ultimo
momento – "segreto" che, da un lato toglie spazio,
visibilità mass-mediatica e "vis polemica" al
dissenso parlamentare e sociale e dall’altro fornisce un argomento
(documento unitario) immediatamente spendibile in ambito
mediatico. Cosa – quest’ultima - che è riuscita solo in parte a
causa delle divergenze scaturite in seno alla Commissione
"ristretta" e riportate dai media.
Se mi è consentita una similitudine maliziosa la
scelta della Moratti mi sembra molto simile a quella operata da un
certo Collegio docenti di mia conoscenza in cui, a fronte di una
"sovranità" conclamata e virtuale, ci si trova di fronte ad
un gruppo pre-costituito (ed omogeneo ) che "pensa e
decide" per tutti ed in cui il dissenso (per non parlare del
merito) sempre enunciato ma mai rispettato rimane rigorosamente
fuori … dalla porta. E dal verbale.
***
Una prima lettura del testo proposto dal Gruppo
ristretto di Lavoro (Grl) presieduto dal prof. Bertagna presenta
una novità assoluta rispetto al testo proposto dal governo di
centro-sinistra e – in un certo senso – coglierne la
"ratio" significa comprendere la svolta – radicale –
impressa alla riforma scolastica dalla nuova maggioranza. Questa
novità riguarda la definizione del tempo scuola. Dopo lo
straordinario – inizialmente obbligatorio!! – che qualcuno ancora
spaccia per aumento stipendiale il documento Bertagna
propone una riduzione generalizzata a 825 ore annue pari a 25 ore
settimanali per tutti gli ordini e gradi di scuola. Di queste, 660 ore
annuali (20 settimanali) rappresentano la quota obbligatoria nazionale
e 165 (pari a 5 ore settimanali) la quota locale finalizzata, come
precisano gli autori (..)"non tanto come aggiuntiva, bensì
come intensiva (….)". Destinata, insomma – secondo le
intenzioni della Commissione - ad approfondire il curricolo nazionale
in un’ottica "regionale" e non a favorire "glocalismi"*
culturali.
Siamo, dunque, in presenza di una riduzione del
tempo scuola formale che va da un minimo del 21% (delle scuole
elementari) fino ad una punta massima del 40% che riguarda la scuola
superiore e tutti gli istituti che funzionano a tempo pieno.
Alla luce di queste – schematiche -
considerazioni credo di poter affermare che la "ratio"
prevalente nel documento proposto dalla Commissione presieduta dal
prof Bertagna sia il risparmio generalizzato a tutto vantaggio del
"mercato" (e delle scuole private) che non si è ancora
coniugato in "riforma a costo zero" (di berlingueriana
memoria) ma …. poco ci manca. Scopo del mio intervento sarà proprio
quello di dar corpo e fondamento a questa tesi. Per farlo mi servirò
di uno schema comparativo.
* NOTA: Ralf Dahrendorf a proposito di glocalizzazione
scrive: (…)"Noi sappiamo che la globalizzazione è
intrinsecamente una tendenza ambigua, duale, nella quale la gente è
attratta verso il più vasto mondo ma anche verso il conforto del
vicino più prossimo. Essa ha dunque prodotto anche un rafforzamento
della spinta verso il locale, un’aspirazione a portare le
decisioni a quel livello. (…) Una cosa è il comune, la città, la
comunità storicamente unita da elementi e interessi comuni. Altra
cosa è l’invenzione del "locale", la dimensione che
oggi va tanto di moda delle "regioni omogenee". Non c’è
dubbio che questo secondo tipo di localismo non è compatibile
con la democrazia così come l’abbiamo descritta all’inizio
della nostra conversazione. Uno dei grandi temi della nostra epoca
è la ricerca di omogeneità, la voglia di stare tra i propri
simili, tra coloro che ci assomigliano di più da tutti i punti di
vista. Una delle grandi forze della democrazia, invece, è
consistita nel far sì che gente diversa – dal punto di vista
etnico, religioso o politico – potesse vivere insieme e
sottoscrivere valori comuni.(…) Il fenomeno cui oggi assistiamo
non è localismo in senso stretto, ma piuttosto regionalismo, che io
trovo particolarmente indesiderabile perché presenta una sfida più
insidiosa ai valori dell’ordine liberale (…)". (cfr. Ralf
Dahrendorf – opera citata – Laterza Editori, Bari, 2001 pagg.
26/27).
Equità (pag. 16 doc.
Bertagna)
"Don Milani era
solito ricordare che nulla è più ingiusto che fare parti
uguali tra disuguali. Dare di più e meglio a chi ha meno e
peggio è uno dei principi generali cui il Grl ha cercato di
ispirare la proposta di riforma del sistema educativo di
istruzione e di formazione. La giustizia intesa come equità
non si promuove, infatti, con l’uniformità distributiva, ma
con la differenziazione individualizzata degli interventi e
dei servizi".
|
"L’obbedienza
non è più una virtù ma la più subdola delle
tentazioni". Questa frase che Don Milani rivolgeva ai
ragazzi della sua scuola con l’invito ad obbedire solo
alle leggi giuste è stata spesso citata ed …
equivocata. Avulsa dal contesto storico in cui è stata
formulata la frase è stata interpretata come un invito alla
ribellione e alla disobbedienza "tout court".
In realtà Don Milani parlando di disobbedienza – ed
elevandola al rango di "virtù" – si riferiva alla
guerra ed al sacrosanto e umanissimo diritto di dire NO
al servizio militare (obbligatorio, in quel periodo) che –
negli anni ’60 – conobbe un rinnovato impulso grazie anche
alla propaganda pacifista e non violenta di Aldo
Capitini e del suo gruppo. "Quando è l’ora –
rammentava il coraggioso sacerdote – non c’è scuola
più grande che pagare di persona un’obiezione di
coscienza ; cioè violare la legge di cui si ha
coscienza che è cattiva ed accettarne la pena che essa
prevede" (cfr. L. Milani – L’obiezione di
coscienza, Verona, 1965). La frase citata dal "gruppo
Bertagna" ed inserita nel documento è completamente
stravolta nel suo significato più profondo poiché la si
interpreta per affermare il principio della diversità
formativa. Don Milani – al contrario – affermava che
"dare di più (in termini non solo educativi) a chi ha
meno costituisce un beneficio per tutti …. soprattutto i
più ricchi e dotati". Nel rapporto Bertagna è
totalmente assente il problema dell’integrazione dei
soggetti portatori di handicap. Eppure questa scelta educativa
(e culturale) costituisce "il fiore all’occhiello"
della scuola pubblica italiana … oltre a favorire un reale
inserimento sociale a soggetti già penalizzati dalla vita.
Secondo quanto enunciato da Raffaele Iosa su pavonerisorse del
16/12/01 che cita una recente indagine internazionale (…)"
i bambini Down italiani hanno il 30% di quoziente
intellettuale superiore ai colleghi tedeschi e belgi (chiusi
nelle classi speciali) solo perché stanno in mezzo a tutti
gli altri bambini. La socialità è apprendimento
(..)" conclude (giustamente) l’autore del saggio … l’individualità
è segregazione e ignoranza …. aggiungo io!! |
Dallo Stato alla
Repubblica (pag. 11)
(…)"Già ora
formazione e istruzione professionale sono attribuite alle
Regioni, che con la legge 3 acquistano altresì capacità di
legislazione concorrente (sottolineatura
di gp) anche in materia di
istruzione(…)".
Educazione,
istruzione, formazione (pag. 12)
(…)"l’art.
3, punto n del nuovo art. 117 della Costituzione, introdotto
con la legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, mutuando l’espressione
dal Titolo II, art. 33 della Costituzione del 1948, riserva a
legislazione esclusiva dello stato ‘le norme generali dell’istruzione’.
Introduce poi, una distinzione tra "istruzione" e
formazione professionale che è legislazione esclusiva
regionale (…)". |
E’ indubbio che –
al di là delle formule retoriche o propagandistiche –
questa nuova formulazione giuridica risvegliando
"appetiti autonomistici" dilata enormemente il
potere delle Regioni e "attenta" – empiricamente,
almeno – la libertà di insegnamento intaccando i curricoli,
le materie di insegnamento, la scelta e l’adozione dei libri
di testo, il reclutamento dei docenti … per non parlare del
"controllo" politico del corpo docente. Maragliani
docet!! Non vi sono – in estrema sintesi – le necessarie
garanzie culturali e giuridiche per evitare che la "devolution
regionale" - divenuta concorrente allo Stato in
materia di legislazione scolastica - trasformi le scuole in
aziende finalizzate alla customer satisfaction (la
soddisfazione – sempre e comunque – dell’allievo/cliente)
e i "diri-manager" in ottusi burocrati interessati
più alla gestione patrimoniale dell’azienda/scuola che alla
crescita culturale di allievi e docenti. Valga – per tutti
– l’esempio del "buono scuola" lombardo. |
Riduzione tempo scuola
Il documento Bertagna
propone una riduzione generalizzata del tempo scuola a
825 ore annue (25 ore settimanali) così suddivise: 660 ore
annuali (20 ore settimanali) rappresentano la quota
obbligatoria nazionale e 165 ore annue (pari a 5 settimanali)
per quanto attiene la quota locale. Nel rapporto si specifica
che la quota locale (…)"è pensata non tanto come
aggiuntiva rispetto a quella nazionale, bensì come intensiva
(…)". |
Premesso che già
nell’enunciazione della Commissione ristretta traspare la
preoccupazione che la quota locale si trasformi in qualcosa d’altro
(da qui la raccomandazione affinché sia ‘intensiva’
piuttosto che … ‘aggiuntiva’) come non notare la
contraddizione tra quanto enunciato nell’introduzione e
quanto proposto successivamente? La commissione Bertagna
dapprima enuncia che "il sistema di istruzione e di
formazione è al servizio della società e del progresso
economico" subordinando tali obiettivi "prioritariamente
allo sviluppo delle capacità di tutti" e poi propone
una diminuzione secca del tempo scuola. Diminuzione
oraria che, nella scuola elementare, è pari al 21% in meno
e nella secondaria superiore arriva al 40%. Contestualmente si
prevedono da 0 a 300 ore facoltative di non ben
definite attività laboratoriali e altre ancora a pagamento.
E’ evidente che si ribalta il principio della scuola intesa
come luogo di socializzazione/formazione (e di pari
opportunità per tutti) e si privilegia la scuola elitaria
o, meglio, strutturata in senso (gerarchicamente) economicista.
Diversificare l’offerta formativa in un’ottica di
soddisfacimento (a pagamento!) dei bisogni del
cliente/studente. Sembra essere questa – in ultima analisi
– "la ratio" della proposta Bertagna. La legge del
mercato sancirà – in questo contesto – il successo, o
meno, di alcune materie (considerate "minori") su
altre. |
Equità (pag. 17)
"Esistono quindi
tutte le condizioni di opportunità e di merito per
concentrare l’attenzione di tutti sull’importanza sociale
e pedagogica della scuola dell’infanzia e per ribadire il
ruolo istituzionale centrale che essa assume nell’insieme
del sistema educativo di istruzione e di formazione. La
proposta del credito riconosciuto a chi frequenta la scuola
dell’infanzia è ritenuta un contributo in questa direzione
(!?)".
|
La scuola dell’infanzia
è frequentata – in media - dall’87% di bambini e bambine.
Percentuale che sale al 95% se si considera solo l’ultimo
anno. In questo contesto appare in contrasto con l’enunciazione
di (…)"valorizzare ulteriormente il ruolo e la
funzione educativi della scuola dell’infanzia (..)"
il non prevedere l’obbligatorietà della frequenza di
almeno un anno (l’ultimo). La Commissione Bertagna si limita
a proporre il "bonus" di un anno per coloro che
frequenteranno l’intero ciclo triennale della scuola dell’infanzia.
Troppo poco e troppo vago per una valorizzazione professionale
vera del personale docente impegnato in questo
importante segmento della scuola pubblica. Pur non volendo
corredare questa impostazione metodologica di un significato
improprio – quale quello di un implicito
"regalo" alle scuole materne private – non
posso fare a meno di rilevare come il settore "prima
infanzia" sia quello in cui la Chiesa Cattolica è
presente in modo capillare e diffuso su tutto il territorio
nazionale ragion per cui inserire la possibilità di un "bonus"
o "credito" di un anno scolastico senza
favorire – contestualmente – l’obbligo di frequenza per
tutti i bimbi appare contraddittorio e discriminante per
quella fascia (circa il 15% di utenza) che risulterebbe
esclusa dal beneficio del bonus. |
Valutazione e
Servizio nazionale per la Qualità del Sistema Educativo di
Istruzione e di Formazione (pag. 35)
(…)"Le
competenze aggiuntive, acquisite in itinerari di sviluppo
degli apprendimenti scolastici o in attività formative
extrascolastiche, valgono, inoltre, come credito formativo
legale se certificate non solo da enti esterni riconosciuti,
ma anche dalle istituzioni di istruzione e di formazione a cui
si domanda il loro riconoscimento. (sottolineatura di gp).
|
A parte – l’evidente
e già rilevato – "regalo" alle scuole private a
cui viene riconosciuto uno status di parità con il servizio
pubblico (e che Mario Pirani in uno splendido articolo
pubblicato su Repubblica del 18 dicembre definisce … "scuolette"
di arti e … mestieri!!) nulla viene detto nel documento su come
e chi valuterebbe e certificherebbe gli apprendimenti
legati alle 300 ore facoltative. A questa ambiguità va
aggiunto che la discrezionalità – attribuita agli istituti
– di attivare o meno la facoltatività della frequenza
porrà problemi organizzativi, di problematicità nell’assegnare
il budget annuale, di stato giuridico dei docenti che saranno
coinvolti nelle attività facoltative. Se – come pare – i
docenti delle discipline "minori" - nonché
"facoltative" - saranno assunti solo se i corsi
saranno attivati (e solo per la durata del corso) è possibile
ipotizzare due scenari: il primo è che le assunzioni saranno
definite dal "diri-manager" e dal "comitato di
amministrazione" con criteri di assoluta discrezionalità
(che presumiamo "manageriali") il secondo – ancor
più inquietante – è che si introdurrà nelle
scuole/azienda un sistema di flessibilità del personale
docente che si tramuterà – in prospettiva – in una nuova
(e più subdola) forma di precariato. In mancanza di norme
trasparenti, univoche a livello nazionale e condivise a
livello socio/politico non si escludono forme di clientelismo
nell’assunzione e nella gestione di questa opzione
didattica. Rappresenta – in ogni caso – il primo elemento
di rottura sociale all’interno della scuola
pubblica ed il principale pilastro di sperequazione culturale
tra scuola e scuola e – soprattutto – tra Regione e
Regione. |
Maestro prevalente o
unico. Questo concetto è esplicitato nella parte seconda del
documento di sintesi proposto agli Stati Generali il 19
dicembre 2001 dal Gruppo Ristretto di Lavoro presieduto dal
prof. Bertagna (cfr. Raccomandazioni del gruppo di lavoro)
paragrafo 3.5
Team pedagogico
(..)"Invitiamo a
identificare sempre, in ogni gruppo docente di una classe di
scuola primaria, un docente coordinatore che, fatto
salvo il ruolo insostituibile del team pedagogico (!?)
nei compiti di insegnamento, assuma una funzione temporalmente
prevalente nel primo biennio (21 ore di insegnamento frontale
in una classe e 3 ore delle sue ore di servizio dedicate al
coordinamento del team della classe stessa). Proponiamo che l’insegnamento
frontale del docente coordinatore di una classe scenda fino ad
un minimo di 15 ore nel secondo biennio, per cui sarà
affiancato da un altro docente. Proponiamo che in quinta, il
docente coordinatore divida le 25 ore settimanali obbligatorie
d’insegnamento frontale con altri due colleghi(Lingua ,
Matematica e Scienze, Storia-geografia e studi sociali). Il
coordinatore nelle quinte classi inoltre avrà la
responsabilità di assicurare i collegamenti con i docenti
della prima media, di pianificare e organizzare con loro i
programmi d’insegnamento, l’orientamento e la valutazione
degli studenti (…)". |
La legge 148/90
prevede - nel primo biennio della scuola elementare (art. 5,
c. 5) - la figura dell’insegnante prevalente al fine di (…)"consentire
una maggiore presenza temporale di un singolo insegnante in
ognuna delle classi (…)" ma tale dettato giuridico
(mai applicato, in verità), viene contraddetto dall’articolo
3, c. 3.1 della C.M. n. 271 del 10.09.1991 che sancisce la pari
dignità giuridica di tutti e tre gli insegnanti del
modulo e dall’art. 1, c. 8 del D.M. 10 settembre 1991 che
ribadisce la pari dignità culturale e didattica
degli ambiti disciplinari definiti dal Collegio dei docenti. L’ambiguità
normativa è una costante nella giurisprudenza nostrana (e
scolastica in particolare) ma, nella fattispecie, una
regressione così netta pone seri problemi di natura
interpretativa, didattica e organizzativa. Per non parlare
degli organici che risulterebbero drasticamente ridotti. Il
sistema modulare nella scuola elementare – a meno che non
sia stato formulato (come sussurrano i maligni) in funzione di
serbatoio elettorale per assunzioni clientelari – ha
la sua ragion d’essere nella vastità del
curricolo e delle competenze disciplinari richieste dai
programmi dell’85. Impensabile che un simile programma possa
essere svolto – congruamente – da un unico docente…sia
pure nel primo biennio di scolarizzazione obbligatoria. Ancora
più impensabile che tale progetto possa essere attuato in
presenza di una diminuzione (da 27 a 25 nel primo
biennio e da 30 a 25 nel triennio successivo) dell’orario
curriculare obbligatorio. La stessa formulazione (orario
obbligatorio) è ambigua e non chiarisce le modalità di
esplicitazione dell’orario "facoltativo"
né spiega le modalità di attuazione del tempo pieno.
Per non parlare del servizio di mensa scolastica –
attualmente – gestito dai Comuni. Si ritorna, dunque, al
passato anche per quanto attiene le materie? Compito della
scuola primaria – e del suo personale docente - tornerà ad
essere (nel primo biennio, almeno) quello di insegnare a
leggere, scrivere e .. far di conto? E ancora. Che fine
faranno le due ore di programmazione settimanali obbligatorie
nella scuola elementare? Rimarranno obbligatorie? Si va,
dunque, verso una contrazione – ope legis – dell’orario
di servizio nella scuola elementare? Chi – e come –
designerà il "docente coordinatore" del
gruppo classe? Come evitare che si trasformi in una nuova
figura clientelare scelta non per acclarate e
documentate competenze professionali ma in base a simpatie …
"imprenditoriali"? L’esperienza – fallimentare!!
- delle Funzioni Obiettivo non ha insegnato nulla? |
Introduzione (pag. 5)
Il ministro (…) ha
poi chiesto al Grl di procedere a questa ‘complessiva
riflessione’ e ad una ipotesi di un ‘nuovo piano di
attuazione della riforma degli ordinamenti scolastici’
tenendo conto (…) delle seguenti raccomandazioni:
1. ribadire il
principio che il sistema di istruzione e di formazione del
Paese è al servizio della società e del progresso
economico se e solo se è primariamente al servizio della
persona di ciascuno e mira al massimo sviluppo possibile
delle capacità di tutti; in questa prospettiva va
collocato l’obbligo di 12 anni di istruzione e/o
formazione per tutti. (…)
|
Come esplicitato
nello stesso documento Bertagna – tabella 4 – non tutti i
Paesi europei terminano il percorso di studi a 18 anni.
Perché, allora, si continua a parlare di adeguamento alla
maggioranza dei paesi europei? Scartando l’ipotesi
della subordinazione intellettuale della Commissione
ristretta alle "raccomandazioni" ministeriali il
motivo vero non sarà – ancora una volta – il risparmio
(in termini di ore di lezione, di personale docente e
ausiliario, di strutture ecc.?)
|
Bocciatura (anche
alle elementari) e sette in condotta.
|
Se questa opzione è
intesa come impegno a dare serietà, autorevolezza e prestigio
(sociale ed economico) ai docenti e a responsabilizzare
maggiormente (in termini di impegno) gli studenti l’intento
è positivo. Se – invece – si intende dare un
"taglio" al passato ripristinando – magari in
forma codificata – il principio di autorità o di
subordinazione docente/discente allora NO! L’educatore
è tale per l’autorevolezza morale che riesce
a trasmettere e per educazione si intende quel complesso di
operazioni dirette a fornire ad una persona tutte le
informazioni e le norme che lo rendano adatto a vivere secondo
i suggerimenti e le esigenze della comunità in cui quella
persona è inserita. Si tratta – in estrema sintesi – di
una operazione fondata essenzialmente sui rapporti
interpersonali, delicata e difficile, non inquadrabile in uno
schema di prescrizioni, regolamenti e … punizioni. |
(…)"il sistema
della formazione deve essere ripensato e riorganizzato
superando quella che oggi è impropriamente definita
formazione di primo livello e dando vita a una formazione che "scommetta"
sulle competenze più rare e meno presenti sul mercato, meno
esposte alla concorrenza internazionale, in modo da mantenere
costante, e possibilmente aumentare, il differenziale positivo
di professionalità della forza lavoro del sistema paese
rispetto a quella dei paesi caratterizzati da un’elevata
disponibilità di manodopera (…)" (cfr. Documento di
sintesi Commissione Bertagna pag. 5).
|
Siamo alla
teorizzazione di una sorta di "parcellizzazione"
culturale e – di conseguenza – alla subordinazione del
personale docente (o di una parte consistente dello stesso) ai
"capricci" del mercato. E’ evidente che una simile
impostazione metodologica – analizzata in prospettiva –
mina alla base il principio della libertà di
insegnamento che – per sua, intrinseca, natura –
è soggettiva e non può essere connessa a variabili oggettive
come – ad esempio – l’esigenza di formare – in un dato
contesto socio/economico – un certo numero di specialisti
richiesti dal "mercato del lavoro globale". E’ la
subordinazione del corpo docente retrocesso – in ultima
analisi – al rango di "proletariato intellettuale"
alle esigenze della "nuova classe globale"
che – come direbbe R. Dahrendorf già citato (…)"fissa
i trend, indica la direzione, esercita l’egemonia culturale
(…). |
Strutture
scolastiche: esistenza (dieci anni dopo la promulgazione della
L. 104/92) di barriere architettoniche e mancato adeguamento
delle strutture scolastiche alle norme anti-incendio (ai sensi
della L. 626/94 e successive modifiche ed integrazioni).
|
Non vi è alcun
accenno – nel documento Bertagna – all’obsolescenza
delle strutture e degli edifici scolastici. Questa
"omissione" non ha ragioni evidenti a meno che….
A meno che l’ossessivo
richiamo alle strutture di rete in cui istituire i
laboratori (a frequenza facoltativa oppure a pagamento!)
non significhi il "sacrificio" delle vecchie scuole
– che continueranno ad essere dei "contenitori" di
alunni – a vantaggio delle strutture più moderne dotate di
tutti i "comfort". Contenimento della spesa,
razionalizzazione delle strutture. RISPARMIO, insomma. Come
dire … sì alla riforma ma senza dimenticare il …budget!!. |
Un’ultima considerazione per concludere: l’On.
Franceschini (Margherita) ha denunciato in Parlamento che (…) "c’è
aria di intimidazione nelle scuole italiane" (cfr. Mario
Reggio – La Repubblica - 17 dicembre 2001 pag. 23). Ebbene, questa
"strategia intimidatoria" in atto in molte scuole e
che colpisce in primis il "pensiero divergente" (da quello
del "diri-manager" e dello staff che – poco
democraticamente - si sceglie) ha un nome (ed una finalità) ben
delineata e chiara.
E’ un fenomeno terribilmente squallido e violento
che fa fatica ad emergere e ad evidenziarsi ma da cui la scuola non
è esente.
Si chiama MOBBING. |