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Dalla Bozza alla legge "Delega al Governo per la definizione delle norme generali sull’istruzione e dei livelli essenziali delle prestazioni in materia di istruzione e di formazione professionale" di Mara Pacini
Ci pare il caso di evidenziare il comma 1 dell’art.1 del più recente e definitivo (?) testo: "1. Al fine di favorire la crescita e la valorizzazione della persona umana, nel rispetto dei ritmi dell’età evolutiva, delle differenze e dell’identità di ciascuno e delle scelte educative della famiglia, nel quadro della cooperazione tra scuola e genitori, in coerenza con il principio di autonomia delle istituzioni scolastiche e secondo i principi sanciti dalla Costituzione, il Governo è delegato ad emanare…..uno o più decreti legislativi per la definizione delle norme generali sull’istruzione e dei livelli essenziali delle prestazioni in materia di istruzione e di formazione professionale". Confrontiamo l’art. 2 della Legge 30/2000 con il corrispondente testo nella recente Bozza:
Tra l’art. 2 della Legge 30/2000 e l’art. corrispondente nella Bozza il testo non varia di molto; sono però invertite le posizioni dei punti 2 e 3, e, in quest’ultimo nella bozza di revisione è inserita la precisazione evidenziata in merito ai ‘confini’ dell’età di iscrizione introdotta e retta da quel "possono iscriversi", su cui scivola l’impianto dichiarativo precedente: tutto l’impegno garantito nell’intero articolo perde completamente di ‘consistenza’ agli occhi di chi conosce la scuola dell’infanzia e i bambini che la frequentano. Nel testo della legge Delega, poi, scompare definitivamente "la Repubblica" quale soggetto garante e subentra un’imprecisata forma impersonale ad assicurare (comunque) "la generalizzazione dell’offerta formativa e la possibilità di frequenza della scuola dell’infanzia". L’aggiunta dell’introduzione di "nuove professionalità e modalità organizzative" apre a notevoli aspettative, ma non è sufficiente a tranquillizzare grandi dubbi e perplessità. A chi si fa riferimento per disegnare questi nuovi quadri? Perché nemmeno nel documento Bertagna si paventavano simili trasformazioni e nemmeno agli Stati Generali fu fatto cenno ad una simile soluzione per la contrazione del fatidico anno ‘di troppo’. Semmai si potrebbe rilanciare l’obbligatorietà dell’ultimo anno della scuola dell’infanzia, garantito nell’ambito della irrinunciabile triennalità della struttura. Si spera che si vorrà tenere conto delle molteplici esperienze che la storia della scuola materna ha già attraversato e che possono di per sé fornire indicatori di qualità da perseguire. Vorremmo escludere l’eventuale ripristino di figure tipo le assistenti. Abbiamo bisogno di professionalità specifiche e attente alle trasformazioni che lavorare con i bambini richiede. Ci appare come una inequivocabile contraddizione o come una enorme abbaglio il dichiarare ciò che è asserito (come da evidenziazione) nelle frasi iniziali: come si fa a "favorire la crescita e la valorizzazione della persona umana, nel rispetto dei ritmi dell’età evolutiva, delle differenze e dell’identità di ciascuno" se in una scuola organizzata a sezioni di età eterogenee in uno stesso gruppo potranno stare bambini di età compresa tra i 2 anni e 4 mesi e i 6 anni, e nel caso dei bambini con disabilità o con svantaggi per i quali si prevede una maggiore permanenza alla scuola dell’infanzia, a che dislivello anagrafico si potrà giungere? Con le correnti proporzioni numeriche tra adulti e bambini poi, che non sempre si combinano con modelli organizzativi di funzionale ‘regia educativa’, si verificano già situazioni di grande difficoltà e disagio, di cui risentono principalmente proprio i bambini . La situazione ottimale potrebbe essere quella di costruire un effettivo raccordo con le istituzioni che precedono e la scuola che prosegue; una prima elementare più simile alla scuola dell’infanzia che alla quinta elementare, sarebbe la sfida da accogliere e da declinare, all’interno degli Istituti Comprensivi, per esempio. Vi sono esperienze che hanno funzionato in tal senso e che potrebbero essere esemplari, ma dobbiamo realisticamente riconoscere che tali modelli hanno bisogno di tanti e tali supporti da rischiare di essere considerati utopistici. Ritengo che l’opposizione a questo anticipo sia motivata soprattutto dalla consapevolezza che, comunque, gli investimenti in materia di infanzia sono sempre insufficienti e deboli rispetto alle effettive necessità. La qualificazione delle scuole per l’infanzia non è certo un percorso compiuto, ma si è avviato da tempo una progressiva estensione e un perfezionamento degli aspetti che ne definiscono la qualità; temiamo una battuta d’arresto e l’inserimento di ulteriori ostacoli, piuttosto che una fluidificazione dei passaggi necessari al miglioramento più volte indicato e precisato. |
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