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Cercasi tecnici disperatamente di STEFANO STEFANEL
L’anno scolastico appena terminato ha ribadito che il maggior tasso di
dispersione del sistema scolastico italiano si concentra negli Istituti
Tecnici e Professionali. Sorprende che quelle Scuole spesso ritengano
che l’alto tasso di “bocciature” sia un sinonimo di qualità, ma ognuno
si autovaluta come vuole. Una delle cause di questa dispersione endemica
è nota a tutti: la mentalità “gentiliana” che voleva l’umanesimo come
punto più alto della cultura nazionale ha lasciato un solco profondo e
indelebile nella scuola e nella società italiana e così i migliori
alunni sono spinti da tutta la società verso i Licei. Non ci sarebbe
niente di male in questo se la qualità complessiva del sistema tecnico e
professionale italiano potesse reggere a questa assenza di studenti di
alta qualità e fosse quindi in grado di licenziare comunque soggetti con
forte competenze spendibili nel mercato del lavoro. Non sto sostenendo
che negli Istituti Tecnici e Professionali non ci siano ottimi alunni,
sto sostenendo che il sistema scolastico italiano tende ad orientare i
migliori alunni verso i Licei. Il direttore del Corriere della Sera
Ferruccio De Bortoli ha fatto un Istituto Tecnico, ma pare più essere
un’eccezione che una regola.
Ci sono poi anche delle cause strutturali molto banali, come la
preparazione indubbiamente migliore al fine dell’accesso all’Università
che i Licei danno, anche se i Licei possono far raggiungere risultati
migliori ai propri studenti soprattutto perché hanno gli studenti
migliori. Resta evidente che al di là di quelle che sono le cause e di
quelli che sono i meccanismi di sistema su cui il Miur interverrà,
esiste un problema degli Istituti Tecnici e Professionali, che non mi
pare in alcun modo possa essere demandato ad un dibattito interno a quel
segmento scolastico. Mi pare di poter dire che gli Istituti Tecnici e
Professionali non amano interrogarsi sulla propria profonda e necessaria
modifica, ma cerchino di perpetrare quanto già fatto da loro negli
ultimi anni.
MA L’EUROPA
La strategia EU 2020 ci può forse aiutare a capire a che punto si trova
la formazione tecnica e professionale italiana.
I progressi registrati verso la realizzazione di questi obiettivi
saranno valutati sulla base di cinque traguardi principali
rappresentativi a livello di UE, che gli Stati membri saranno invitati a
tradurre in obiettivi nazionali definiti in funzione delle situazioni di
partenza:
1.
il 75% delle persone di età compresa tra 20 e 64 anni deve avere un
lavoro;
2.
il 3% del PIL dell'UE deve essere investito in Ricerca & Sviluppo;
3.
i traguardi "20/20/20" in materia di clima/energia devono essere
raggiunti;
4.
il tasso di abbandono scolastico deve essere inferiore al 10% e almeno
il 40% dei giovani deve avere una laurea o un diploma; .
5.
20 milioni di persone in meno devono essere a rischio di povertà.
Se leggiamo quello che dice l’Unione Europea ci appaiono subito alcune “materie”
che compaiono negli obiettivi europei e non nella nostra scuola tecnica
o professionale. Ne cito alcune al solo fine di sollecitare l’attenzione
sulla distanza tra l’organizzazione della scuola italiana a classi di
concorso nate negli anni settanta e nuovo mondo globalizzato.
Ambiente, ecosostenibilità e sviluppo.
Le conoscenze in questi settori non sono di per sé specialistiche, ma
sono attualmente scollegate a tutte le modalità didattiche tecniche e
professionali presenti in Italia, dove quanto ha a che fare con ambiente
e sviluppo è di tipo solo progettuale. Questi però sono settori
emergenti e che creeranno occupazione e sono legati a centri di
conoscenza non italiani. La questione qui è molto delicata, perché non
si tratta di studiare cose attinenti all’ambiente, all’ecologia e allo
sviluppo sostenibile, ma proprio di disattivare materie obsolete ed
introdurne altre fresche. Questo è un settore che va velocissimo, ma la
scuola italiana invece rimane ferma a descrizioni tecniche del passato e
sottomette la sua formazione tecnica alle competenze certificate dal
Ministero per l’insegnamento.
Gestione algoritmica dei flussi informativi.
La progettazione e la programmazione di tutta la multimedialità passa
attraverso il padroneggiamento del linguaggio algoritmico, mentre tutta
la matematica insegnata in Italia sostiene la preminenza delle
equazioni, della trigonometria, della geometria analitica. Ho chiesto
qualche tempo fa ad un docente di materie scientifiche dell’Università
il perché in Italia si insegnano le equazioni e nel resto del mondo gli
algoritmi. La sua risposta è stata lapidaria:
“In questo momento lo studente
italiano a differenza di quello cinese, coreano o indiano non è in grado
di dedicare tutto il tempo necessario agli algoritmi. E’ già tanto se si
riescono ad insegnare equazioni, integrali, derivate, ecc. Gli algoritmi
richiedono applicazione, tempi lunghi, dedizione maniacale”.
Lettura delle altre società.
Il distacco profondo tra l’Italia e il resto del mondo nella formazione
tecnica e professionale è più ampio che altrove. Gli studenti dei
tecnici e dei professionali devono imparare a leggere il mondo, non a
leggere Verga, Pirandello o Dante. Qui si tratta di scelte strategiche:
i nostri studenti degli istituti tecnici e professionali leggono male la
nostra letteratura, mentre non sanno da parte cominciare a leggere
società diverse dalla nostra. Anche in questo caso non si tratta di
“riformare” l’italiano o la storia, ma proprio di introdurre nuove
materie. Non più studio della letteratura, ma “lettura” del mondo
attraverso la multimedialità, la conoscenza delle lingue, la
comprensione di modelli di sviluppo e dei cambiamenti storico sociali.
Si tratta di introdurre la materia più sconosciuta nella scuola
italiana: la conoscenza della realtà qui e oggi.
RICERCA E SVILUPPO
Dice l’Europa: “il 3% del PIL
dell'UE deve essere investito in Ricerca & Sviluppo”. Questo è un
parametro Europeo, non italiano e dunque basta che finlandesi, svedesi e
tedeschi lo applichino e poi si fa media. Mi sembra che in questo
momento l’Italia investa
qualcosa come l’1% e dunque un salto dall’1 al 3 pare impossibile. Tra
l’altro gran parte della ricerca italiana è in mano a ricercatori non
più giovani o a ricercatori precari. Poiché il modo con cui l’Italia si
occupa di Ricerca & Sviluppo è folle, dovrebbe essere semplice
cambiarlo. Non è così anche perché chi ha bisogno di più ricerca e di
più sviluppo (gli Istituti Tecnici e Professionali) non le chiede, ma
anzi chiede che tutto rimanga uguale. Può darsi che
Nel momento della loro massima espansione Microsoft, Google e
Yahoo dedicavano il 10% del loro bilancio annuale alla Ricerca. Io credo
che nelle nostre scuole quel 10% dovrebbe essere raddoppiato, perché non
possiamo più continuare a fornire conoscenze obsolete a ragazzi svegli.
Chissà che l’Europa non ci salvi ancora e che qualcuno non prenda sul
serio quei parametri. Oggi più della speranza non possiamo avere. |
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