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Cerini, il merito e la scuola italiana di Stefano Stefanel Un interessante intervento di
Giancarlo Cerini intitolato: “E
se a “scattare” fosse il merito?”
pubblicato su
www.edscuola.it il
21 agosto 2010 ha tentato di riaprire il discorso sulla possibile
premialità della retribuzione dei docenti (e sarebbe il caso che
iniziasse almeno quella dei dirigenti). Cerini tratta alla stregua di
“proposte” sia quella della Aprea (che è una vera e propria proposta)
sia quella di Brunetta, che invece è una legge dello Stato. La “proposta
Aprea” vuole introdurre tre rigide fasce di livello retributivo per i
docenti basate sul merito e non sull’anzianità. La “legge Brunetta”
introduce una sorta di “campionato della performance” in quanto
stabilisce tre fasce di retribuzione dei fondi incentivanti per i
pubblici dipendenti: il 25% dei dipendenti si divide il 50% del fondo,
il 50% dei dipendenti si divide il 50% del fondo, il 25% dei dipendenti
non prende niente. Rozze e brutali entrambe, le due opzioni dell’attuale
maggioranza al Governo cercano di entrare nel problema della
retribuzione dei docenti senza la speranza di poter cambiare le cose, ma
solo cercando di dare qualche colpo ben assestato e introdurre nella
scuola quella competitività che non piace a lavoratori che si sentono sì
discriminati, ma anche protetti, dall’appiattimento attuale. Cerini
argomenta in modo molto interessante, ma rimane troppo interno al
sistema di cui fa parte e introduce palliativi che non modificano gli
atteggiamenti, ma si limitano a certificare una sorta di collegialità
inamovibile. Poiché è proprio la collegialità che ostacola la premialità
selettiva diventa difficile non prefigurare un ennesimo immobilismo,
laddove tutti sono per premiare il merito, ma intanto che discutono il
“come”, i meritevoli vanno tutti in pensione. Se vogliamo premiare i risultati
quei risultati dobbiamo prenderli sul serio, come fanno tutti coloro che
li premiano. Il merito non coincide con l’impegno, il lavoro aggiuntivo,
gli esperimenti: il merito, per sua natura, coincide nelle professioni
ad alta specializzazione con i risultati. E la professione docente (così
come quella dirigente) è un’alta specializzazione. Per premiare il
merito bisogna slegare la scuola dall’attuale rigidità e portarla verso
la vera progettualità, quella invano pretesa dal
Regolamento per l’autonomia.
Credo Cerini sappia bene come la progettazione in molte scuole sia
diventata una sorta di piccolo mercatino delle ore e che l’efficacia dei
progetti non la valuta nessuno, mentre tutti quelli che si autovalutano
si danno voti altissimi. Cerini inoltre sa che il Fis premia la
flessibilità, cioè uno dei compiti istituzionali dell’autonomia
scolastica, previsti dalle delega 57/97 non come un indirizzo, ma come
un compito elettivo. Inoltre Cerini sa che i contratti limitano la mente
delle persone, perché scambiano il progetto con il dovere. Un docente dovrebbe lavorare 45 settimane l’anno (52
meno 7 di ferie) per le ore previste dal proprio profilo (25 per la
scuola dell’infanzia, 22 + 2 per la scuola primaria, 18 per la scuola
secondaria) a cui poi deve aggiungere 80 ore funzionali e il tempo per
scrutini ed esami. Facendo una rapida media e perametrandoci sulle
scuole dell’infanzia (che non hanno scrutini ed esami) andiamo a circa
1200 ore l’anno. Pensiamo ad un modello in cui ogni ordine di scuola
deve fare il tempo annuale previsto e ogni docente il suo tempo
contrattuale. Poi libertà di progetto: a questo punto i fondi aggiuntivi
andrebbero destinati a progettazioni curricolari o extracurricolari
valutati e non pagate “a ore”, ma a risultato. Le scuole potrebbero fare
riunioni, progetti., compresenze, ecc., ma la funzionalità del monte ore
andrebbe gestito a livello di istituto e non di contratto. Attuando la
flessibilità su cui è nata lì’autonomia. Così si retribuirebbe veramente
il merito, senza bisogno di inventarsi complicate retribuzioni che
premiano senza creare differenze. In questo modo una parte dei fondi
aggiuntivi potrebbe andare all’Innovazione e alla Ricerca, certificata
da Report e Formazione. La scuola italiana non può più permettersi la
distinzione tra ore funzionali e ore di insegnamento, tra ore
settimanali, orari e altre scemenze. Deve migliorare la sua
progettualità e dunque la sua incisività e imparare a usare le risorse.
Con la gestione che propongo anche i dirigenti scolastici dovrebbero
mostrare cosa sono capaci di fare, come impegnano il personale, se fanno
trentadue inutili collegi docenti, se accettano che si progettino
stupidaggini e le retribuiscono, se autorizzano corsi di recupero perché
così i doventi arrotondano, ma non si preoccupano dell’efficacia di quei
corsi. Tutte cose risapute, che non si possono affrontare in modo
ordinario. Bisogna “liberare” il monte ore e pagare i risultati dei
progetti, solo così si affronta l’emergenza e il cambiamento. Il resto
sono aggiustamenti contabili. |
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