GLI EQUIVOCI DEL CINEMA
di Alessandro Tempi
Adesso che non è più molto di moda, essendo stato inevitabilmente e fatalmente spodestato da nuove istanze tecnologiche - quelle legate alla telematica ed alla multimedialità - , il rapporto fra Cinema e Scuola sembra il reperto di una società antidiluviana, da consegnare all’archivio del "Come eravamo" pre-televisivo, magari alla voce "il mondo prima del home video. E’ il momento giusto se non per trarne delle conclusioni, almeno per tentare un bilancio.
Il tema è stato sicuramente un leit motiv della cultura pedagogica degli scorsi decenni, su cui ha insistito fino a pochi anni fa una bibliografia sterminata. In pratica non c’è stato pedagogista, formatore, aggiornatore o funzionario ministeriale che non si sia prodotto in qualche saggio teorico dedicato alle innumerevoli pieghe dell’argomento : insegnare col cinema, insegnare cinema, fare cinema a scuola, educare al cinema, cinema e didattica, didattica e cinema, la didattica del cinema, la didattica nel cinema, il cinema nella didattica e, a coronamento di tutto, la vera questione di fondo, quella sulla valenza didattica del cinema.
In questo mare magnum di interventi conviene tuttavia distinguere, a tutt’oggi, alcune correnti dominanti:
la corrente sussidiaria, che ha sospinto tutti quegli interventi tesi a persuadere l'insegnante non solo della liceità, ma soprattutto della necessità "epocale" di aggiornare il proprio insegnamento aprendolo alle opportunità inedite che i media nel loro complesso offrono alla didattica, vale a dire al modo in cui ed agli strumenti con cui gli insegnanti insegnano la loro materia ;
la corrente tecnica, relativa a quelli tesi ad aprire la gamma curricolare tradizionale alla conoscenza teorica e non di rado all’uso creativo dei nuovi media ;
la corrente linguistica, ove infine hanno navigato quelli che, seguendo l'ipotesi semiologica, miravano ad esaltare le specificità linguistiche della comunicazione cinematografica, al fine di costruire un modello decodificativo-interpretativo suscettibile di essere utilizzato anche per l'analisi dei testi letterari (e non).
Bisogna dire che se la corrente linguistica ha spopolato soprattutto in ambito universitario e nelle occasioni convegnistiche e di aggiornamento più ambiziose, non ha di certo sfondato all’interno della Scuola, forse a causa di un corpo insegnante poco attrezzato o disorientato davanti alla complessità dell’impostazione semiologica della materia. Nella Scuola ha invece sicuramente spadroneggiato, e pour cause, la corrente sussidiaria, in quanto assegna al Cinema una funzione di incremento, di ausilio all’attività giornaliera dell’insegnante, che poi è quella di spiegare la materia. Forse perché è esattamente quello che la maggior parte degli insegnanti chiedeva o pensava di dover chiedere al cinema (così come oggi lo si chiede alla mitica multimedialità): di spiegare al posto suo. Ecco perché siamo così interessati alla loro valenza didattica. Perché così ci riposiamo.
E questo è il primo equivoco.
Il secondo equivoco consiste nel pensare che si possa imparare che cos’è il cinema facendolo, così come si pensa di imparare che cos’è la chimica semplicemente eseguendo un esperimento di laboratorio. La corrente tecnica, che ha a lungo vagheggiato il sogno-mito di un cinema bambino, innocente, ingenuo ed incontaminato, ha confidato nel fatto che bastasse conoscere i vari tipi di inquadrature o predisporre di un canovaccio narrativo - magari elaborato dai ragazzi - per esprimersi in termini cinematografici. In realtà, non si impara che cos’è una cosa solo usandola. Forse si impara ad usarla, ma non a capire che cos’è. E’ ovvio infatti che l'essenza di una cosa non sta nel suo funzionamento - l'ontologia, in filosofia, ci parla appunto di questo.
Il terzo equivoco, infine, riguarda gli universi cinematografici di coloro che sono stati investititi dalla tematizzazione del rapporto fra Scuola e Cinema. Molti di essi, sul versante degli insegnanti, pensando al cinema avevano sicuramente in mente i grandi capolavori del cinema dai Lumiére fino ad oggi, i quali assicuravano la legittimità dell’equazione cinema=arte e quindi giustificavano l'attenzione che da educatori gli rivolgevano e la funzione culturale che gli assegnavano. Ma sull’altro versante, a ben vedere, il cinema, per gli adolescenti svagati ed erranti cresciuti nell’epoca della neotelevisione, è una cosa ben diversa. Se per i loro insegnanti la parola ridestava e continua a ridestare suggestioni in qualche modo "colte" o comunque ratificate da una cultura critica - Hitchcock, Ford, Pasolini, la Nouvelle Vague o "Blade Runner" - , per i nostri ragazzi di oggi cinema fa rima con effetti speciali, con la demenzialità filotelevisiva, con la pinup di turno, con le videocassette. Essi arrivavano al cinema dai libri, dai romanzi e fors’anche, qualcuno, dagli studi universitari e dalle riviste specializzate. I ragazzi di oggi ci arrivano dai trailers e dai backstage che ormai passano quotidianamente in televisione, dai servizi giornalistici che di tutto trattano ad eccezione dell’esprimere un giudizio critico sul film, insomma da tutta quell’informazione euforica, ridondante e pleonastica che parla di cinema senza dire niente.
E allora la domanda è : come si poteva pensare di parlare di cinema o perfino di usare il cinema, se non si intendeva la stessa cosa di coloro ai quali ci si rivolgeva ? Per gli adolescenti neotelevisivi degli anni Ottanta - ed ancor di più per quelli mediatizzati di oggi - , il cinema era e continua ad essere solo un modo di passare il tempo e svagarsi, mentre per i loro insegnanti era - ed è ancora, forse - anche un modo per riflettere. Ci può essere un punto di incontro?
E questo è, infine, il quarto equivoco.
Perché sicuramente anche gli insegnanti di oggi sono stati adolescenti, anche se in anni "non sospetti". Sicuramente saranno andati al cinema con aspettative diverse da quelle dei loro attuali studenti, ma altrettanto sicuramente non con intenzioni diverse.
Tempo fa, ad una lezione di aggiornamento, un insegnante, ricordando la sua passata esperienza di adolescente al cinema, ne tracciò un bilancio personale estremamente illuminante. Disse : "Da ragazzo andavo al cinema perché al buio si poteva fumare oppure baciare senza imbarazzi la propria ragazza. Poi hanno vietato il fumo in sala e poi forse sono cresciuto, perché ho capito che quel buio non serviva a nascondermi per fare "cose proibite", ma a farmi provare un’esperienza. Serviva insomma a creare un’atmosfera adatta in cui mi si potesse raccontare una storia. Era come leggere un libro, ma in molto meno tempo e con effetti migliori. Dev’essere stato allora che ho capito che cos’era il cinema per me."
Il punto, mi sembra, è proprio qui: capire che cosa sia il cinema. Non come funziona e se funziona come sussidio didattico Ma questo, sembra, nessuno ha avuto la bontà di spiegarlo. Né agli insegnanti, che se lo sono dovuto scoprire - o hanno avuto la fortuna di scoprirselo - da soli, né ai loro studenti di oggi, ai quali si continuano a proiettare film senza che essi intendano la stessa cosa che i loro insegnanti intendono.