|
|
COMPETENZE DISCIPLINARI PER L’ASSE STORICO-SOCIALE Premessa generale per un affronto della didattica
impostata secondo i criteri di Enrico Galavotti La questione delle competenze, in ambito scolastico disciplinare, può essere affrontata da qualunque punto di vista, sulla base di qualunque modulo, ristretto o allargato che sia. Basti pensare p.es. che tutte le discipline che si insegnano nelle scuole hanno in comune il semplice fatto d’essere nate, cioè di aver avuto una determinata origine storica. Tale nascita, che purtroppo i docenti danno sempre per acquisita oppure considerano irrilevante, costituisce il significato remoto del contenuto di ogni disciplina. Chi insegna italiano pretende che lo studente parla e scriva correttamente, ma che cosa voglia dire “correttamente” nell’arco dei secoli della nostra lingua, propriamente parlando non lo sa. La correttezza è relativa all’uso della lingua nella società contemporanea. Quando facciamo “storia della lingua” diciamo che l’italiano è geneticamente legato al fiorentino, ma oggi chi potrebbe sostenere una cosa del genere? Persino quando mettiamo a confronto la prima e l’ultima versione dei Promessi sposi e leggiamo che nella prima i bravi dicono a don Abbondio non che il matrimonio “non s’ha da fare” ma semplicemente che “non si deve fare”, ci chiediamo se davvero era così importante per il Manzoni spendere trent’anni della propria vita per riscrivere il testo in fiorentino. Questo per dire che lo studente dovrebbe essere messo in grado di capire che quello che studia è molto diverso da quello che p.es. studiava il suo antenato medievale, in quanto le basi storiche delle attuali discipline (soprattutto quelle di tipo scientifico) dipendono più che altro dall’epoca moderna. Anche quando si studia la storia, qualunque manuale (a ragione o a torto è un altro discorso) considera la civiltà moderna e contemporanea come un punto d’arrivo per qualunque altra civiltà. Questa base meta-cognitiva, che va al di là di quello che materialmente trasmettono, i docenti l’hanno in maniera approssimativa, oppure, se anche l’hanno in maniera approfondita, non la trasmettono, semplicemente perché non viene loro richiesto o perché il manuale non la prevede. I docenti hanno indubbiamente ereditato l’esigenza, tutta moderna, di separare i contenuti del sapere, poiché ritengono che questo sia il modo migliore per approfondirlo, ma in tale maniera hanno trascurato i criteri per poterlo tenere unito. La conseguenza è stata che allo studente viene offerto un sapere parcellizzato, i cui contenuti disciplinari appaiono slegati tra loro. Ora, finché si continua a lavorare sulle sole conoscenze (e al massimo sulle abilità), ognuna delle quali risulta essere sempre più approfondita e specializzata (a secondo del grado di istruzione), è impossibile trovare un punto di sintesi che le colleghi tra loro. Ecco perché dobbiamo chiederci se invece è possibile trovarlo lavorando “per competenze”, che non possono ovviamente escludere le conoscenze e le abilità, ma debbono poterle ridurre a un denominatore comune, spendibile nella maggior parte dei contesti in cui uno studente, da adulto, si troverà a vivere. Qual è infatti la differenza fondamentale tra “conoscenza” e “competenza”? La differenza sta appunto nel fatto che, in una determinata situazione di bisogno, chi ha “competenze adeguate” è in grado di cavarsela anche senza una conoscenza specifica che permetta di risolvere il problema. Bisogna cioè che lo studente acquisisca un metodo che gli permetta di avvalersi, nei momenti di necessità, della capacità di saper applicare qualunque contenuto (anche quelli che in quel momento non sa!) a seconda della situazione incontrata. Questo presuppone che lo studente non sia tenuto a sapere tutto ma a sapere come sapere tutto quel che gli serve. Oggi l’approfondimento delle scienze è diventato così vasto e complesso che è impensabile riuscire a memorizzare tutti i loro contenuti. E non è neppure auspicabile (specie in un mercato del lavoro in cui bisogna sapersi riciclare) che il destino di una persona debba ruotare attorno a poche priorità cognitive da approfondirsi al massimo. In una società così complessa come la nostra bisogna acquisire quelle competenze fondamentali per poter affrontare con relativa sicurezza i problemi della vita. Questo per dire che se uno studente, dopo cinque anni di aritmetica alle elementari, tre di matematica alle medie e altri cinque alle superiori, non è in grado, nel momento in cui acquista qualcosa, di fare un calcolo sulla convenienza, o non è in grado, quando apre un conto corrente, di leggere gli estratti della banca o non è in grado di confrontare le proposte d’investimento finanziario che gli può fare un’assicurazione, è uno studente che ha perso il suo tempo. Come l’ha perso quello che dopo aver fatto cinque anni di inglese alle elementari, tre alle medie e altri cinque alle superiori, quando va a Londra sa dire soltanto what’s your name o how old are you. Si deve quindi dimostrare competenza quanto meno a due livelli: Quindi nel primo caso si deve sapere cos’è che tiene unita la conoscenza acquisita; nel secondo invece si deve sapere come tenerla unita anche quando il sapere acquisito è minimo o irrilevante rispetto ai problemi che s’incontrano. Lo spot di Claudio Bisio dedicato alle Pagine Gialle può offrire, banalmente, un’indicazione di cosa voglia dire “competenza”: lui in quel momento non sa ma sa chi può aiutarlo. Uno studente che fa grafica dovrà certo essere un bravo disegnatore, ma deve prima di tutto sapere che qualunque oggetto prenda in mano ha una storia ben precisa, qualunque disegno faccia ha un significato che può andare al di là del disegno in sé e che può trovare mille applicazioni, molte di più di quante lui stesso possa immaginare mentre lo fa. Quante cose buttiamo via senza sapere che possono essere riciclate in qualunque maniera, persino artistica? Insomma “competenza” vuol dire tenersi pronti, in qualunque momento, ad applicare con efficacia ciò che si sa e anche ciò che non si sa, perché quel che più importa è sapere come sapere, imparare continuamente ad imparare. Facciamo un esempio meno banale di quello dello spot. A scuola uno studente ha imparato in geografia come ci si orienta in un luogo isolato, senza punti di riferimento precisi. Simulando una situazione in cui deve dimostrare le conoscenze acquisite, lo studente, per un motivo o per un altro, si trova a non ricordare nulla di quanto appreso. Ha soltanto un cellulare in tasca e non vuole fare una brutta figura telefonando a qualcuno che lo venga a prendere. Dunque che fa? È semplice: si collega al web, entra in Google Maps o in Google Earth, dà le coordinate dell’ultimo luogo che gli era familiare e da lì, con l’occhio del satellite, comincia a muoversi nelle direzioni che gli paiono più probabili. Se ancora non trova nulla chiede informazioni al motore di ricerca su come ci si può ritrovare quando ci si è perduti. Ma questa cosa è semplice per chi il cellulare lo sa usare. A scuola invece il cellulare è vietato perché si pensa che lo studente ne possa fare soltanto un uso improprio. INTRODUZIONE GENERALE AL CONCETTO DI COMPETENZA Dovendo spiegare ai nostri alunni che cosa vuol dire “programmare per competenze”, è meglio scegliere una modalità che li faccia entrare subito in argomento, proprio per indurli a ripensare il modo tradizionale di approccio didattico alla disciplina (impartire conoscenze, chiedere abilità) e per far capire loro che le competenze non sono in fondo una cosa così astrusa o aggiuntiva al resto. Si può partire da un esempio molto semplice, preso dalla realtà. Supponiamo di vedere, di fronte all’ingresso di una scuola media, due alunni giocare nel giardino antistante aperto al pubblico. Si stanno tirando un piccolo sasso a turno, cercando ovviamente di prenderlo. Quali possono e anzi devono essere le conoscenze e le abilità di quei due alunni per poter giocare proprio lì. Ecco alcune delle possibili risposte: CONOSCENZE 1. Devono sapere se quello è un luogo adatto per fare quel gioco. ABILITA’ 1. Devono cercare di prendere il sasso quando l’altro lo tira. Dove sono le competenze in tutto questo? Non ci sono. Infatti il docente in genere si accontenta di questo. Il suo ruolo tradizionale lo induce ad affermare alcune delle seguenti prescrizioni: 1. a questo tipo di gioco qui non si può giocare perché è troppo
pericoloso; Quale potrebbe essere invece un ruolo innovativo dell’insegnante in rapporto a una didattica basata anche sulle competenze? Un ruolo innovativo deve essere impostato sulle domande, non sulle risposte. 1. Dato un certo contesto di spazio e tempo, cosa è possibile fare? Il ruolo dell’insegnante non è dunque quello di dire che cosa si deve fare, ma quello di porre le domande giuste per far ragionare i propri allievi, per indurli a prendere decisioni consapevoli e per agire in maniera responsabile, nella convinzione che il risultato finale, qualunque esso sia, dipenderà dal loro comportamento. Detto questo, quali sono le competenze da acquisire? COMPETENZE La competenza è una sola: i ragazzi devono essere messi in grado di capire quando in un determinato contesto spazio-temporale esistono le condizioni fondamentali per potersi divertire senza mettere a repentaglio la sicurezza propria e altrui. Che si può riscrivere in questa maniera: i ragazzi devono essere messi in grado di capire se quello che stanno facendo, in una determinata condizione, rientra nella categoria del “gioco” o se invece non rischia di essere un’occasione per ottenere un risultato opposto. Una competenza del genere – è facile intuirlo - non è detto che debba essere acquisita alla fine di un percorso didattico (un modulo o una unità didattica), può anche essere pensata come punto di partenza, cercando di trovare, in virtù di essa, le necessarie conoscenze e abilità. ESEMPIO DI COMPETENZA RELATIVO A UNA RECITAZIONE TEATRALE A SCUOLA Supponiamo che il docente voglia far fare ai propri ragazzi una piccola recitazione su un brano dell’antologia. Quali possono essere i suoi criteri valutativi? 1. CONOSCENZE. Gli alunni devono aver letto il brano da recitare. Può venir istintivo mettere il “saper recitare” nelle abilità, ma non è così. L’abilità è un di meno della competenza. Previo addestramento o formazione, tutti sanno recitare, ma non tutti sanno recitare allo stesso modo. Saper recitare bene è una competenza. Generalmente infatti non tutti vi riescono, e la differenza si vede anche di fronte a un testo che nessuno ha mai letto. Il fatto di saper recitare bene prescinde sia dalla conoscenza del testo che dall’abilità della memoria, anche se un buon attore si avvarrà di entrambe le cose. Questo per un docente significa che se vuol far fare ai ragazzi una breve recita, deve anzitutto far capire loro quale dev’essere il giusto modo di recitare. Il docente non deve meravigliarsi che questo modo di recitare venga fuori, una volta acquisito, a prescindere dalla conoscenza della trama di un soggetto teatrale e dagli accorgimenti tecnici che occorrono per recitarla (che non riguardano solo la memoria, ma anche il tono della voce, le pause, la postura del corpo, i suoi movimenti, la scenografia, le luci, l’acustica, i costumi…). Quindi prima di tutto il docente deve predisporre lo studente a capire, con una serie di domande, quale può essere la recitazione più giusta in relazione a determinati soggetti da rappresentare. Non deve dare per scontato che gli alunni sappiano già cosa rispondere. Se si ha intenzione di far recitare i propri allievi e si parte dalla lettura del copione, si è già fuori strada. Bisogna invece porre loro una serie di domande relative ad alcune situazioni contestuali tipiche (p.es. una dichiarazione d’amore, un’azione di convincimento sulla validità di un’idea, una partecipazione al dolore o alla gioia altrui, ecc.) ed esaminare con loro quali possono essere le migliori forme recitative. Non si diventa dei bravi attori solo perché si è appassionati di Pirandello e si conoscono a memoria le sue commedie. Se invece non si vuol fare una rappresentazione teatrale, ma si vogliono comunque verificare le competenze dell’alunno in merito al teatro come forma espressiva, occorre procedere in maniera trasversale, mettendo lo studente di fronte a brani di varia natura (privi del titolo e del nome dell’autore), chiedendogli p.es. di identificare il genere letterario che esprimono (tragedie, drammi, commedie…), il periodo in cui possono essere stati scritti, la situazione storica cui fanno riferimento, ecc. Anche il fatto di saper riscrivere le battute degli attori in chiave moderna, senza far perdere loro il significato originario voluto dall’autore, può essere valutato come una competenza; si può valutare persino quella di saper utilizzare un testo come fonte d’ispirazione per realizzare un testo differente, che non vuole restare fedele all’originale. Anche il fatto di proporre una determinata scenografia per comunicare con maggiore efficacia al pubblico il contenuto di un brano teatrale, è una forma di competenza (addirittura la competenza, in tal caso, potrebbe emergere senza neppure aver letto il brano, ma semplicemente conoscendone a grandi linee il suo contenuto). È evidente che il docente dovrà continuare a dare una valutazione sulla conoscenza e sulle abilità, ma queste dovranno risultare meno rilevanti rispetto alla competenza dimostrata, proprio perché non si parte da un qualcosa di “già dato”, ma lo si deve costruire insieme. IN SINTESI E PER PUNTI
FORMULAZIONE DI POSSIBILI COMPETENZE DISCIPLINARI PER L’ASSE STORICO-SOCIALE
ESEMPLIFICAZIONI 1. Trovare degli esempi per la competenza storico-materiale è banale. Se allo studente chiedo in quale periodo storico il suo antenato più antico può aver studiato su un libro stampato, facilmente mi risponderà, senza ricordare l’esatto momento, “dopo Gutenberg”. Però da questa risposta si possono fare altre mille domande: p.es. “sei proprio sicuro che prima di Gutenberg nessun tuo antico antenato abbia potuto studiare su un libro?”. E quello mi dovrà per forza rispondere che bisogna fare differenza tra libro scritto a mano e a caratteri di stampa. Allora gli potresti dire, provocandolo: “Quindi secondo te il tuo antico antenato, leggendo argomenti di storia, non aveva il piacere di osservare foto a colori?”. E a quello, magari ricordandosi di un’uscita fatta alla biblioteca Malatestiana, non potrà non venire in mente che i manoscritti a forma di libro contenevano immagini fatte a mano dai miniaturisti. T’assicuro che su un argomento del genere le domande sono praticamente illimitate, perché puoi sempre di più scendere nel particolare senza fare neppure una domanda di tipo nozionistico. Il problema sta semmai nel fatto che i docenti di storia hanno scarsa dimestichezza con la “cultura materiale”, essendo i manuali impostati di più sulla storia degli eventi politici ed economici (i manuali di storia fanno persino fatica ad associare i loro argomenti con quelli di letteratura o di arte o di religione). 2. Anche la competenza icono-storica è piuttosto banale, benché meno della precedente. Facciamo un esempio con una immagine (senza didascalia) presa dal manuale di storia medievale.
3. Per la competenza geo-storica basta prendere una mappa qualunque, senza alcuna legenda, dal manuale di storia medievale:
Le domande potrebbero essere queste: 4. La competenza sinottico/trasversale è già più complessa e qui il singolo manuale aiuta poco. Prendiamo sempre la storia medievale e facciamo un confronto sul piano economico tra feudalesimo e capitalismo. Allo studente potremmo dire: io ti scrivo la colonna dell’epoca moderna, tu quella del Medioevo (che stiamo facendo quest’anno). Oppure gli si propone la colonna sullo schiavismo greco-romano e lui deve fare quella del Medioevo. Dipende che classe sta facendo. Possono esserci d’aiuto le discipline scientifiche, tecniche, economiche… Qui l’esempio è quello dell’economia, ma bisogna ripetere la tabella con il piano politico, culturale, tecnico-scientifico.
5. La competenza traspositiva è quella tipica del Manzoni o di Shakespeare. Il concetto stesso di “romanzo storico” le si addice. Ma anche le tragedie dell’Adelchi, del Conte di Carmagnola; persino l’ode del Cinque Maggio è una meravigliosa sintesi storica espressa in forma poetica. I ragazzi possono essere invogliati a essere creativi chiedendo loro p.es. di scrivere un tema in cui immaginano d’essere in una trincea a combattere il nemico, o in una crociata. Oppure possono rappresentare in forma teatrale un evento significativo, cosa che si è sempre fatta nelle scuole, ma in maniera extracurricolare. 6. La competenza operativa serve per capire che di qualunque cosa si faccia qualcuno in qualunque momento potrebbe chiederci di sintetizzarla in forma tale da essere presentata in maniera comprensibile e accattivante a un pubblico che va convinto della validità di una determinata cosa (un’idea o un oggetto). Essa quindi presume competenze linguistiche e comunicative, di ricerca di materiali adeguati, di assemblaggio delle singole parti e di padronanza degli strumenti con cui presentare la sintesi al pubblico (che può essere semplicemente la propria classe). Per far questo occorre creatività ma anche rispetto di regole collaudate. 7. La competenza riepilogativa è quella che si fa a fine anno. È il cosiddetto “bilancio didattico”. Serve per verificare se il lavoro è stato appreso in maniera settoriale o globale. Lo studente deve avere una visione d’insieme di tutto quanto ha fatto. Rientra più nelle conoscenze che nelle competenze, ma serve per esercitare la memoria, per saper distinguere le cose primarie da quelle secondarie, per sviluppare il senso della collaborazione tra compagni, le associazioni di idee ecc. Si può approfittare anche per saggiare competenze inter o multidisciplinari. Può essere fatta anche con più insegnanti insieme. 8. La competenza metacognitiva è la più difficile in assoluto, ma anche la più stimolante. Il manuale non è un dogma ma solo uno strumento. Per capirne i limiti non abbiamo bisogno di aspettare la fine dell’anno scolastico. In corso d’opera sugli eventi fondamentali si possono fare ricerche su altre fonti per verificare ch’esso non abbia lacune ingiustificate, gravi imprecisioni, difetti ideologici ecc. Questa competenza potremmo risparmiarcela se avessimo dei manuali impostati più sulle domande che sulle risposte: piste di ricerca che attendono un vero lavoro da storico e non da studente che ripete a memoria contenuti predigeriti. 9. La competenza relativizzante è quella che permette di sentirsi parte del “villaggio globale”, cittadini del mondo, cosmopoliti, internazionali e universali. Tenendo conto dell’ingresso massiccio degli stranieri nelle nostre scuole, è importante approfittare di questo momento per allargare gli orizzonti conoscitivi, per confrontare le interpretazioni su fatti comuni (p. es. i lavori agricoli, artigianali, commerciali e industriali, i calendari, i linguaggi, le forme espressive e comunicative, le forme del calcolo matematico, i miti e le leggende, ma anche le crociate, il colonialismo, l’imperialismo). Questa competenza è difficile a causa della scarsità dei materiali a disposizione, ma anche a causa del fatto che ogni civiltà tende a considerarsi migliore delle altre. LA COMPETENZA SUL PIANO FILOSOFICO Dobbiamo liberarci dell'illusione connessa a quella forma di sapere detta di tipo "illuministico", quella cioè che presume di poter risolvere tanto più i problemi quanto più è grande la conoscenza degli elementi che li hanno generati. Oggi bisogna mettere in discussione almeno due cose: la necessità di avere una conoscenza enciclopedica per poter risolvere problemi complessi (anche perché questa conoscenza deve continuamente aumentare, in quanto i problemi diventano sempre più complessi); l’impossibilità di poter semplificare i problemi complessi, ovvero l’inevitabilità che i problemi diventino col tempo sempre più complicati. La conoscenza enciclopedica o illuministica non solo non ci aiuta a risolvere i problemi complessi, ma anche quando vi riesce, i problemi diventano ancora più complessi. È un giro vizioso, peraltro stressante per la fatica dell’acquisizione del sapere e frustrante per i modesti risultati ottenuti. Perché dunque è meglio la competenza che la conoscenza? Semplicemente perché la competenza si avvale di una conoscenza di base che permette di risolvere con sicurezza problemi concreti, la cui complessità è stata semplificata. Una programmazione per competenza rivendica un sapere utile, spendibile, pratico, efficiente e rifiuta un sapere astratto, puramente teorico, sganciato dalla realtà, la cui applicazione viene rimandata in ambiti extrascolastici. La competenza richiede uno stretto rapporto col territorio, con la realtà di riferimento degli studi scolastici. La scuola va posta al servizio del territorio, deve dialogare con le istanze delle realtà locali. L’approfondimento di un qualunque contenuto didattico va rapportato a un’esigenza reale. Le competenze sono le conoscenze e le abilità messe a frutto in maniera intelligente, in risposta a una richiesta d’impegno, di misurazione delle proprie capacità. Facciamo un esempio. Nel mondo primitivo il giovane imparava a cacciare osservando l’adulto (conoscenza), poi adoperando l’arco o una trappola (abilità). La sua competenza quando veniva fuori? Quando p.es. preferiva catturare un animale invece che un altro; quando decideva di non catturare più per un certo tempo un determinato animale, temendone l’estinzione; quando capiva se era meglio catturare con facilità un giovane animale o con difficoltà un animale adulto, un maschio o una femmina, un animale ferito o uno sano, un piccolo animale abituato a nascondersi o uno grande abituato agli spazi aperti. La competenza mette in gioco la responsabilità personale, una certa capacità decisionale (basata sul discernimento della soluzione migliore tra varie alternative), la necessità di guardare un determinato problema da varie angolazioni (il sapere va tenuto unito) e anche l’esigenza di lavorare in squadra, distribuendo le mansioni, coordinando i lavori, ragionando insieme, periodicamente, sui risultati raggiunti. Sotto questo aspetto la competenza può essere valutata, esattamente come la conoscenza e l’abilità. Invece la capacità, essendo inerente a potenzialità, inclinazioni, attitudini, predisposizioni innate che può avere un alunno, sarebbe meglio non valutarla in sede di profitto, anche se può essere utile tenerne conto in determinate situazioni (p.es. quando si tratta di coordinare i lavori altrui o di rappresentare la volontà di una maggioranza o di scegliere qualcuno per una particolare mansione). Si noti però che questa concezione didattica della competenza non ha molto a che vedere con quella che si è sviluppata in ambito industriale. L’origine degli studi sulle competenze risale alla fine degli anni Sessanta in settori di studio quali la sociologia del lavoro, della psicologia del lavoro ed è legato al problema della gestione del personale all’interno delle imprese. Dagli anni Sessanta ad oggi questi studi sono serviti soltanto per differenziare i salari, pagando di più il personale lavorativo migliore, fino al punto di licenziare quello con meno capacità, soprattutto in occasione di crisi produttive o di eccessiva competitività sui mercati. Cioè le aziende, mentre danno per scontato, oggi come allora, l’aumento della complessità, finiscono col premiare soltanto chi sa stare al passo con questa necessità. La competenza viene richiesta per aumentare il profitto, per sfruttare meglio il lavoro e per discriminare tra loro i lavoratori. Peraltro nell’odierna scuola statale, di ogni ordine e grado, le competenze difficilmente potrebbero essere accertate per premiare i migliori. Infatti, quando verranno esercitate (il prossimo anno) in classi dove gli alunni hanno livelli di preparazione del tutto indifferenziati (come quelle attuali, specie nei Tecnici e nei Professionali), il rischio sarà quello di registrare competenze solo di livello base o intermedio. Già oggi, quando si chiede a un docente di distinguere le conoscenze e le abilità tra i livelli base, intermedio e avanzato, non potendo egli avere di fronte a sé un livello sufficientemente omogeneo di apprendimento, in quanto gli studenti, nel loro corso di studi, non hanno potuto essere valorizzati nelle loro effettive capacità, è sempre indotto a fare una media statistica in cui le prestazioni per un livello avanzato vengono inevitabilmente ridimensionate. Insomma le competenze dovrebbero anzitutto essere usate nel momento della formazione dei livelli di apprendimento, proprio per decidere a quale livello (che deve restare provvisorio) si deve attribuire la frequenza scolastica di un alunno. Questa cosa è al momento impensabile nella scuola italiana, che è finalizzata non per esaltare le eccellenze, ma per stabilire un criterio medio di apprendimento in cui i livelli modesti possono facilmente raggiungere la sufficienza. E si noti anche un’altra cosa: rivedere l’utilità del sapere enciclopedico può implicare scelte dolorose per quei docenti che non vogliono rinunciare alla tradizionale didattica basata su conoscenze e abilità. P.es. può comportare l’abolizione degli attuali libri di testo, che non predispongono a una ricerca ma solo a una memorizzazione dei loro contenuti (le nozioni e le abilità sono conseguenti alla definizione delle competenze da acquisire); può comportare la fine del sapere parcellizzato e una sua ricomposizione unitaria (il che inevitabilmente porterà a trovare delle chiavi interpretative in grado di soddisfare le esigenze di ogni disciplina); può comportare la scelta di argomenti fondanti una disciplina, tralasciandone altri di minore importanza; può comportare un affronto interdisciplinare di argomenti decisi in maniera collegiale; può comportare una programmazione del consiglio di classe per assi culturali e disciplinari (di almeno un paio d’ore settimanali); può comportare persino un’abolizione dello stesso concetto di “asse culturale”, in quanto, se il sapere è unitario e pure il suo affronto didattico, non si capisce perché la programmazione su specifici argomenti debba essere divisa per “assi”. Fonti
Foto di Paolo Mulazzani |
La pagina
- Educazione&Scuola©