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Competenze spendibili e istruzione secondaria
di STEFANO STEFANEL
In Italia esiste un problema di competenze della popolazione e
questo problema è diventato una vera emergenza nazionale. Tra le
competenze quelle più pericolosamente in fase calante sono quelle
linguistiche e l’assenza, tra i giovani, di competenze linguistiche li
taglierà inevitabilmente fuori dai settori lavorativi più interessanti e
remunerativi. Le competenze linguistiche cui mi riferisco non sono solo
quelle relative all’italiano, ma anche quelle relative alle lingue
comunitarie, ai linguaggi specialistici anche non verbali, ai codici
complessi decifrabili solo linguisticamente. Se non abbiamo competenze
non siamo competitivi, se non abbiamo competenze linguistiche la nostra
competitività è fortemente limitata.
Una parte consistente della classe docente italiana respinge il
concetto di “competitività” del “Sistema Italia” nel momento in cui lo
si rapporta alla scuola. Secondo questa parte di docenti, ripeto,
fortemente maggioritaria, la scuola italiana non deve essere
“competitiva”. Già da sola questa distinzione dimostra come la
competenza linguistica in Italia si sia fermata ad un certo punto anche
a livelli piuttosto alti, perché si può essere anche d’accordo che le
scuole non debbano essere “competitive tra loro”, ma non si può
concedere a nessuno che la competizione globale non ci riguardi e che
dunque dalle nostre scuole non debbano uscire alunni competenti e
competitivi.
Su questi argomenti mi sono espresso pubblicamente qualche tempo
fa (Ricerca
e sviluppo. L’Europa e la scuola italiana,
27 luglio e
Sono nato pronto,
29 luglio sempre su
www.educationduepuntozero.it, e
Cercasi tecnici disperatamente,
su
www.edscuola.it
del 26 luglio 2010). Sullo stesso argomento segnalo l’interessante
articolo di Maurizio Tiriticco (Un
curricolo per la competenza linguistica,
www.edscuola.it,
7 agosto 2010) e la risposta che l’amico Pasquale D’Avolio ha voluto
darmi attraverso
www.scuolaoggi.org
(Tecnici,
licei e…Gentile. Risposta a Stefanel,
11 agosto 2010).
Ho
ricevuto molti commenti privatamente ai miei interventi via e-mail o
facebook e tutti vertevano su due concetti di fondo:
-
l’attuale governo non ha nessun progetto di riforma e vuol solo tagliare
le spese per l’istruzione pubblica per favorire quella privata;
-
è necessario avere più ore e non meno rispetto alle attuali per
realizzare gli obiettivi di un curricolo fatto come si deve.
°°°°°
Sono
friulano, vivo e lavoro in Friuli Venezia Giulia e dunque potrei anche
dire: “Ma perché non fate come noi?”, visti gli esiti delle
rilevazioni Ocse-Pisa e Invalsi degli ultimi tempi, che sono state
commentate con inusuale risalto sui mezzi di informazione di massa. Non
lo faccio in primo luogo perché credo che anche il Friuli Venezia Giulia
possa migliorarsi e molto, ma, soprattutto, perché per commentare le
rilevazioni nazionali e internazionali bisogna perlomeno avere davanti
interlocutori che le prendano sul serio. Le scuole italiane prendono sul
serio le rilevazioni nazionali o internazionali? Le scuole italiane
pensano di essere uno dei punti più deboli del “Sistema Italia” o
pensano che l’Italia non funziona e invece la scuola sì? L’elusione di
queste domande rende fragile il dibattito, anche perché la competenza
linguistica serve a leggere la letteratura, ma anche la realtà e non è
detto che la stessa competenza allenata a scuola possa essere utilizzata
per tutte e due le cose. Per cui magari siamo all’avanguardia nella
conoscenza e competenza adolescenziale di Ariosto, Boccacio, Pirandello,
Verga e D’Annunzio, ma magari un po’ meno all’avanguardia sull’utilizzo
veicolare della lingua italiana per comprendere un report dell’Istat,
dell’Invalsi, dell’Ocse-Pisa. Serve conoscere Verga per capire cosa dice
l’Ocse-Pisa? Forse sì, non lo. Certo è che se si considera la lettura
dei report internazionali inutile bisogna continuare con dosi massicce
di Pirandello e D’Annunzio somministrate agli adolescenti. Sono anch’io
convinto che troppa Lady Gaga non aiuti, ma sono anche convinto che la
letteratura italiana non sia proprio questo grande e fondamentale
strumento per penetrare la lingua italiana e il mondo che ci circonda.
Se nei Licei è ovvio che la si studi, non vedo perché negli Istituti
tecnici e professionali non possa cedere il passo ad un italiano più
operativo ed essenziale. Mi sposterei per mia natura verso le
competenze, lasciando l’accumulo di conoscenze al desiderio di sapere di
ognuno. E’ un’idea che mi porto dietro da quasi quarant'anni, balenatami
in testa dunque nel 1970 e mai più abbandonata.
°°°°°
Una volta
si parlava di Weltanschauung, termine tedesco che unisce Welt
(Mondo), con an-schauen (guardare dal di fuori, guardare da
un punto di vista). La parola tedesca si può tradurre sia con “visione
del mondo”, sia con “ideologia”, anche se in questo momento storico in
Italia la parola ideologia non è che voglia dire molto. L’insegnante di
una classe, il consiglio di classe, il collegio docenti, un istituto
intero sono davvero capaci di leggere il mondo partendo dalla propria
esperienza didattica e professionale, cioè dalla propria
Weltanschauung? Se la risposta è sì non è comprensibile come il
sistema scolastico venga accusato di non funzionare, visto che tutti i
soggetti che ho citato poco sopra si autorappresentano sempre come
positivi. Se la risposta è invece “no” allora bisogna modificare in
fretta il meccanismo di certificazione e sviluppo delle nostre
competenze per far sì che queste portino a una maggiore competitività
dei nostri ragazzi.
Credo che
in questo momento in Italia sia difficilissimo ragionare sulla scuola
perché si scambia la quantità con la qualità. La logica dell’attuale
Governo è quella dei tagli e si dà per scontato che dietro ai tagli non
ci sia una politica scolastica ben precisa. Chi si lamenta dei tagli e
del loro esito negativo sulla scuola non accetta però di soffermarsi a
spiegare perché la scuola senza tagli degli ultimi vent’anni abbia dato
esiti così disastrosi. Anche se credo che una fetta fortemente
maggioritaria di docenti ancora oggi direbbe che la scuola funziona,
basta lasciarla fare da sola. D’altronde non si sente sempre parlare di
“riforme necessarie, ma non queste”, di “decisioni prese sulla pelle dei
lavoratori, che non sono stati nemmeno ascoltati”? In realtà i docenti
hanno sempre e solo detto “no” a qualsiasi cambiamento non estensivo,
col risultato che le scuole più deboli e con maggiore dispersione
(Istituti tecnici e professionali) erano anche quelle col tempo scuola
più lungo, soluzione sconsigliata da tutti i pedagogisti e da tutti gli
analisti internazionali. Anche qui però bisogna fare un’altra domanda: i
pedagogisti e gli analisti internazionali ci capiscono qualcosa o
nessuno può sapere più di quanto sanno i nostri docenti?
°°°°°
Un
ulteriore ragionamento porta a distinguere tra competenze linguistiche
di base e competenze linguistiche evolute. Chi ascolta qualche dibattito
alla televisione sa bene cosa ci si può fare con una competenza
linguistica evoluta, ma sa anche che l’italiano quando parla tende a
perdersi in periodi sospesi o a sviluppare una consequenzialità
incompleta. Davvero si pensa che non sarebbe utile che a scuola si
imparasse a parlare bene, chiaramente e in modo conciso?
L’argomentazione è importante sui due fronti distinti del contenuto e
della forma, ma nel cicaleccio prevale la confusione. Quando poi ci
spostiamo sul settore tecnico e professionale spesso ci troviamo davanti
ad una comunicazione allarmante nella sua pochezza e imprecisione.
Massimo specialismo e massima banalità molto spesso si confondono
all’interno di stereotipi scientifici che spesso nascondono ignoranze
profonde.
Nella
società le competenze si acquisiscono anche per prassi e per esperienza,
non solo per teoria. Perché la scuola non può fare questo? Perché i
quindicenni italiani devono essere schiacciati tra Lady Gaga e Gabriele
D’Annunzio? Non può esistere un principio di realtà intermedio anche per
i meno bravi e meritevoli, per quelli insomma che vogliono una vita
dignitosa e che hanno qualcosa da spendere, ma non quello che altri più
dotati possono spendere? Credo si debba semplificare tutto e comprendere
che dietro la logica dei tagli c’è un’idea di scuola più snella che
potrebbe anche funzionare. Soprattutto se dall’altra parte ci si arrocca
su saperi obsoleti tramandati attraverso conoscenze stantie. |
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