DALLE “INDICAZIONI” AI
CURRICOLI. Da dove partire
Una proposta operativa per i docenti
di
Pasquale D’Avolio
PREMESSA
L’articolo è stato
scritto tra la fine di marzo e le ultime elezioni. Non ritengo sia da
considerare “sorpassato”, visto che chiunque prenderà il posto di
Fioroni, non potrà sconvolgere quanto avviato in questi ….. 7 anni!
Continuo a pensare che tutto sommato il rinnovamento iniziato con
Berlinguer/De Mauro e proseguito da Moratti/Fioroni abbia più elementi
di “continuità” che di “discontinuità”. Ottimista? Non tanto, realista
forse!
1)
CURRICOLO E CURRICOLI
Di curricolo in Italia
si sa si parla da almeno 30 anni e forse più. Ho fra le mani un prezioso
volumetto pubblicato nel 1970 a cura di C. Scurati” Un nuovo curricolo
nella Scuola elementare” (La Scuola-Brescia), dove si cercava di
introdurre nella scuola italiana, almeno nelle elementari,
l’insegnamento curricolare.
Di acqua ne è passata
sotto i ponti e di esempi di didattica curricolare ne abbiamo avute in
questi anni sia a livello teorico che pratico. Sempre nelle scuole
elementari e successivamente nelle medie (nelle superiori il termine è
ancora oggi semisconosciuto) migliaia di docenti hanno cercato e a volte
ci sono riusciti a costruire dei curricoli disciplinari o
interdisciplinari di discreto valore. Ma in genere, quando non si sono
indicati elenchi di obiettivi di apprendimento “statici”, organizzati in
maniera trasversale e/o verticale, si è trattato di esempi di “moduli
didattici” isolati rispetto a un “percorso curricolare” che abbracciasse
almeno un segmento della scuola di base o almeno di un intero anno
Ma, ahimé ancora oggi, a
distanza di alcuni mesi dalla emanazione dei due documenti ministeriali
dell’aprile 2007, ci si chiede in fondo quale è il significato che si
intende attribuire a tale termine, visto l’uso plurimo che di esso se ne
fa: ad esempio si parla di “curricolo di scuola”, di “curricolo di
classe” e infine di curricolo disciplinare o pluridisciplinare. Non è da
meravigliarsi se tra i temi indicati dai gruppi regionali come nodi
“problematici” sia spesso citato proprio il significato di “curricolo”
(Rapporto di attività a cura della Direzione Generale per gli
ordinamenti scolastici del gennaio scorso)
Primo aspetto da
considerare: se il curricolo sostituisce i Programmi, di emanazione
ministeriale e quindi con valore nazionale, ha senso parlare di
“curricolo nazionale”? Si direbbe di no. Eppure l’espressione ritorna in
tanti documenti e saggi anche recenti. Evidentemente qui per curricolo
si intende il “piano di studio” (vale a dire in sostanza il
quadro-orario) che almeno nella quota nazionale deve essere uguale su
tutto il territorio in rapporto ai vari gradi e ordini di scuola. Ma non
è certamente questo il significato che le Nuove Indicazioni vogliono
attribuire al curricolo. Il testo delle Indicazioni è abbastanza
chiaro in proposito.
“La scuola predispone il
Curricolo, all'interno del Piano dell'offerta formativa, nel
rispetto delle
finalità, dei traguardi di competenza e degli obiettivi di apprendimento
posti dalle Indicazioni”.
Spetterebbe alle Scuole
quindi predisporre un proprio “curricolo”.
Ma cos’è un “curricolo
di scuola”? Ancora una volta ritorna il problema: si tratta di un “piano
di studi” a livello di singola istituzione, dove ogni scuola decide come
utilizzare la quota locale o altro? A parere del sottoscritto il
“curricolo di scuola”, oltre a indicare appunto il suo “piano di studi”
si identificherebbe con quello che una volta si chiamava il Progetto di
istituto o PEI, da distinguere dal POF, anche se tra i due documenti non
può che esserci consonanza, ma non può essere inteso ancora come
curricolo nell’accezione delle Indicazioni. Il POF dovrebbe
contenere in sé, oltre ad altri elementi che non sto qui ad elencare,
il PEI. Il curricolo di scuola è dunque qualcosa che attiene alla sfera
pedagogico-didattica: finalità e obiettivi di carattere educativo,
comprendendo in ciò le mete che ci propone di indicare agli alunni in un
contesto specifico, le modalità, gli strumenti e quant’altro la scuola
riesce a mettere in campo per formare un soggetto responsabile a attivo
sul piano intellettuale ed emotivo.
Ma anche parlare di “curricolo di scuola” comporta come
conseguenza che esso dovrà essere uguale per tutti coloro che insegnano
in quella scuola, a meno che non lo si voglia declinare tra le varie
sedi (negli istituti su più sedi) o tra i vari indirizzi (in una Scuola
superiore). Tuttavia il curricolo di scuola dovrà essere qualcosa di
omogeneo, diverso certo da scuola a scuola, ma uguale per tutti i
docenti di quella scuola. E se c’è qualcosa che contrasta con il
concetto di “curricolo” è proprio l’omogeneità.
Le cose diventano meno
difficili quando si passa al curricolo di classe. Si può immaginare un
curricolo di classe senza tener conto delle specificità dei singoli
alunni, con i quali si deve stipulare un vero e proprio “contratto
formativo” come recita il DPCM del 95, la famosa “Carta dei servizi”? Si
arriverà così al curricolo individuale o personalizzato? Ritorniamo ai
Piani di studio personalizzati di Bertagna, giudicati una delle due
grandi novità positive (insieme ai laboratori) che qualche anno fa il
prof. Frabboni (sì proprio il Franco Frabboni della Commissione Ceruti
e di quasi tutte le Commissioni precedenti) indicava tra le “stelle” del
progetto morattiano? (v. “Scuola e didattica” ottobre 2004). In parte sì
e in parte no, come dirò successivamente
2)
LA PROGETTAZIONE DISCIPLINARE TRA UA E CURRICOLO
Credo comunque che
quando si pensa al curricolo il pensiero vada innanzitutto al curricolo
disciplinare o interdisciplinare, pluridisciplinare o transdisciplinare
e in special modo al curricolo “verticale” che è comunque sempre
riferito alle discipline più che agli alunni..
La domanda che in genere
si pongono gli insegnanti è proprio questa: tocca a me costruire il
curricolo per la mia disciplina, per la mia classe e possibilmente per i
singoli alunni? Con quali strumenti, visto che nessuno mi ha spiegato
cosa è un curricolo?
Credo che occorre
cominciare con il dissipare le paure e le preoccupazioni affermando una
cosa forse provocatoria ma vera: i curricoli non “esistono” come
qualcosa di “reale”, in quanto la loro caratteristica è proprio quella
di non essere “cose”, “sostanze”, visibili o trascrivibili, ma “modi” o
“relazioni” per riprendere la nota terminologia “lockiana” (mi si
perdonino questi riferimenti filosofici). Infatti se accettiamo quello
che tutta la letteratura ci dice sul curricolo, ci troviamo sempre di
fronte a dei NON: non sono le Indicazioni, non sono gli obiettivi, non
sono le finalità, non sono i contenuti. E allora “cosa” sono? Al massimo
possiamo dire che sono dei “percorsi”, ma se sono dei percorsi,
significa che all’inizio sono dei “modi” (sempre in senso lockiano) di
organizzare l’insegnamento in vista degli gli obiettivi di apprendimento
relativi a determinate “competenze”; questi sì reali, e verificabili. Ma
il “percorso” è una via, una situazione di apprendimento, vale a dire un
insieme di “tecniche” di “strumenti” e anche di contenuti, che possono
valere in una situazione e non in un’altra. Certo i “percorsi” possono
essere descritti, ma poiché sono riferiti tipici di un certo
“territorio” essi valgono per quel territorio e non per altri.
Si può dire allora
che progettare curricoli significhi tutto sommato progettare “ambienti
di apprendimento”? Sì, a patto che in tali “ambienti” ci siano dei
“contenuti culturali”, vale a dire delle conoscenze o delle attività
legate a un particolare ambito di saperi. E questo vale soprattutto
per i livelli di scolarità più elevati, laddove la scelta dei contenuti
o delle attività non può essere arbitraria, ma deve corrispondere a
determinati obiettivi.
Si dovrebbe approfondire
il discorso riguardante il rapporto tra curricoli disciplinari, che
hanno a che fare con abilità e competenze senza vincoli contenutistici,
e altri per i quali certi contenuti sono se così si può dire vincolanti.
.Tralascio per il momento tale questione, che diventa estremamente
complessa per discipline come ad esempio la storia o le altre discipline
che hanno avuto sempre nella nostra scuola un impianto di tipo
storicistico (letteratura, filosofia, ma io aggiungerei le stesse
discipline scientifiche a cui non dovrebbe mancare anche la dimensione
storico-sociale)
Tornando alla metafora
del “percorso” e dei “mezzi di trasporto” è evidente che questi ultimi
possono essere adattati anche a percorsi diversi, si possono in sostanza
dare esemplificazioni che servono in contesti simili o anche diversi,
purché adattabili. Ecco che si possono esemplificare varie tipologie di
percorsi, di strumenti o attività e sta al docente o ai docenti (nel
caso di percorsi interdisciplinari) scegliere quello che si adatta
meglio al proprio “territorio”
Le definizioni che si
danno di curricolo nel famoso libretto a cura di Scurati ritorna sempre
questa idea di “complesso integrato dell’esperienza scolastica” oppure
della “organizzazione delle possibilità offerte dalla situazione
scolastica” o di “modalità intenzionali di condurre e predisporre dei
processi di trattamento formativo”
Ma se è così il
curricolo lo ci costruisce man mano ed è quindi sempre in fieri. Lo si
può progettare così come si progetta un viaggio, indicando il mezzo di
trasporto, l’occorrente da portarsi dietro, sapendo quale è la meta, che
si dovrà trovare in un “territorio” prestabilito dal curricolo di scuola
o di classe. E’ qualcosa di diverso dalla programmazione classica, in
quanto questa non si limitava a indicare semplicemente gli obiettivi da
raggiungere ma poi si preoccupava di dare ai docenti gli strumenti, le
metodologie e le modalità di verifica già prestabiliti. A differenza dei
programmi, la programmazione attribuiva agli insegnanti il compito di
ricercare sì i contenuti adatti agli obiettivi, ma indicava anche quali
attività/contenuti potevano essere più indicate e quindi da attuare in
classe. Penso al testo dei “curricoli di base” elaborati dalla
Commissione De Mauro: per ogni disciplina subito dopo aver definito gli
obiettivi di apprendimento ci si preoccupava di indicare “contenuti e/o
attività”.
Le nuove Indicazioni
vanno oltre: non solo non propongono contenuti o conoscenze (ma non
sempre ciò accade; basti vedere il ricorso al verbo “conoscere” nelle
Indicazioni ad esempio di storia) ma quanto agli strumenti si limitano a
proporre un elenco di indicazioni metodologiche che vengono definite
“ambiente di apprendimento”, mentre sulla verifica e la valutazione si
può dire che … tacciano.
Il punto è proprio
questo. Una volta indicati i traguardi di competenze, definiti gli
obiettivi di apprendimento “relativi” a quelle competenze (seppure in
maniera provvisoria per il momento!) cosa resta da fare per costruire i
curricoli? Resta la progettazione dell’insegnante, quella particolare
arte/scienza di cui i docenti dovrebbero disporre per poter progettare
appunto i “percorsi”, le situazioni di apprendimento, le
“attività” dei curricoli del 2001 una volta esplicitati e ora assenti.
In questo senso un
curricolo di storia da progettare e quindi attuare in una zona cittadina
o in campagna o in montagna, al nord o al Sud non può che rifarsi alle
“occasioni” alle “situazioni” che quella data realtà possiede. E questo
vale per tutte le discipline. L’importante alla fine è che il percorso
sia adeguato alla situazione della classe o degli alunni, nonché al
contesto, possibilmente in confronto con altri e soprattutto verificato
nel corso degli anni per vedere se ha consentito di raggiungere quegli
obiettivi di apprendimento previsti nelle Indicazioni. E’ un lavoro a
cui i docenti sono preparati? Ne dubito; di qui nascono le ansie e le
preoccupazioni dei docenti. Fino a un anno fa ai docenti era chiesto di
costruire le “Unità di apprendimento”, mai utilizzate prima, indicando
una particolare procedura, elaborata da un gruppo ben individuato e
appartenenti a una unica Scuola di pensiero. Pochi in effetti l’hanno
messa in pratica; la stragrande maggioranza l’ha rifiutata e in molti
casi senza cercare di cogliere quanto era in continuità e quanto se ne
discostava (il “peccato” originale di Bertagna era quello di voler
superare il curricolo!)
Ora in nome della
autonomia e della libertà dell’insegnamento, si lasciano i docenti
“liberi” ma sostanzialmente privi di indicazioni operative.
3)
UNA IPOSTESI DI ”FORMAZIONE IN SERVIZO”
A parere del
sottoscritto li si può aiutare in tanti modi. A parte la lettura e
l’approfondimento dei testi proposti, credo sarebbe più utile proporre
un inventario o un archivio di “percorsi” o esperienze realizzate, di
buone pratiche, di “progetti” promossi in particolari situazioni.
L’editoria scolastica dovrebbe proprio impegnarsi in questo senso,
invece di proporre i soliti manuali.
I corsi di formazione
previsti dalla Direttiva del 3 agosto, che dovranno ancora iniziare a
livello delle scuole, si potrebbero svolgersi in due modi, fermo
restando la necessità di “formare” preliminarmente dei formatori ai
quali spetterebbe:
a)
proporre modelli già sperimentati al fine di mettere i docenti nelle
condizioni di costruirsi dei “curricoli” locali, basati appunto sulle
situazioni presenti nel territorio, sulle particolarità delle singole
classi e delle caratteristiche degli alunni. Attività quindi, contenuti,
conoscenze che consentano di raggiungere attraverso gli OSA (sì si
chiamano proprio così dal DPR 275/99, e non li ha inventati Bertagna)
quelle competenze che le Indicazioni ci propongono. .
Senza dimenticare le
“finalità educative” o, sempre tornando al Bertagna, gli “obiettivi
formativi”, che non sono staccate, come avveniva nelle vecchie
Indicazioni e confinate nelle cosiddette educazioni, ma interne alle
varie discipline.
b) Una
via ancora più proficua sarebbe quella di non cominciare con la
“progettazione” dei curricoli, ma di esaminare a posteriori i
“curricoli” attuati nel corso dell’anno appena trascorso o degli anni
precedenti. Sì, perché la maggior parte degli insegnanti, anche quando
si sono affidati agli strumenti tradizionali (libri di testo, schede)
non hanno potuto rilevare volta per volta a posteriori quanto tali
percorsi didattici siano stati fruttuosi (i cosiddetti curricoli
“impliciti” che si tratterebbe di rendere “espliciti” senza timori o
false modestie) .
In sostanza la mia
proposta si potrebbe avvicinare (solo nominalmente però!) alla
post-programmazione alla Boselli. Il “post” in questo caso è inteso nel
senso letterale e cioè temporalmente successivo allo “svolgimento del
programma”.
Di solito si propone
agli insegnanti di presentare una relazione finale classica, nella quale
sono indicati genericamente gli obiettivi raggiunti, che molto spesso
coincide con il “programma svolto” Liberarsi della logica dei programmi
non è facile: nella maggior parte dei casi non c’è corrispondenza tra il
piano di lavoro iniziale, costruito sulle solite voci (obiettivi,
strumenti, criteri di valutazione) e la relazione finale, che non è
svolta in fretta prima degli scrutini da consegnare al preside o al
Presidente di commissione. Difficilmente, salvo in qualche scuola
elementare, ci si sofferma sul “lavoro” svolto durante l’anno , sugli
obiettivi raggiunti e soprattutto sulle attività svolte, gli “strumenti”
utilizzati. Molto tempo, giustamente viene dedicato alla valutazione
degli alunni più che al proprio lavoro.
E allora ecco la
proposta: alla fine di quest’anno (esami di III media permettendo) o
all’inizio del prossimo anno si dedichino due/tre riunioni a livello
disciplinare per confrontarsi e per confrontare se il “programma” svolto
o meglio se le attività messe in atto nell’anno precedente hanno avuto o
meno un riscontro rispetto agli obiettivi delle Indicazioni e se queste
sono davvero realistici |