Francia
Decentralizzazione: fa rima con
modernizzazione o con mercificazione?
di Nico Hirtt
traduzione di Paola Capozzi
Visto da Parigi, il dibattito sulla
decentralizzazione dell'insegnamento potrebbe non sembrar
altro che l'episodio in un noioso sceneggiato: ogni due o
tre anni, un (nuovo) ministro dell'Istruzione cerca di
modernizzare un apparato scolastico obsoleto, ma gli si
oppongono degli insegnanti esasperatamente conservatori, per
i quali qualsiasi riforma - eccetto tuttavia l'aumento dei
finanziamenti per l'Istruzione - rappresenta una minaccia
alla scuola repubblicana, laica, pubblica, gratuita e
obbligatoria.
Tuttavia, ad esaminarla da Bruxelles, là dove si staglia
l'ombra delle istituzioni e delle lobbies europee e lo Stato
centrale si è ritirato dalla sfera educativa da più di
dieci anni, la questione assume immediatamente una
dimensione di gran lunga più interessante.
Sottolineeremo, comunque, che il movimento di
decentralizzazione non è peculiare della Francia che non fa
altro che raggiungere tardivamente una evoluzione altrove
già molto avanzata. Nel 1994, un rapporto di Eurydice
sull'istruzione in Europa, sottolineava che "le riforme
apportate all'amministrazione generale del sistema
scolastico si rifanno principalmente ad un progressivo
movimento di decentralizzazione e di delega dei poteri.
Praticamente, tutti i paesi interessati hanno introdotto
nuove regole che dislocano alle autorità regionali, locali
o municipali e da queste alle classi dirigenti
d'insegnamento, il potere decisionale dello Stato centrale .
»1
Questa constatazione è molto più sostanziale in quanto le
motivazioni addotte per giustificare la decentralizzazione
variano moltissimo da un paese all'altro. Luc Ferry invoca
l'efficacia e la lotta contro la dispersione scolastica. In
Belgio, il primo accenno di deregolamentazione verso la fine
degli anni '80, è stato fatto esplicitamente in nome
dell'austerità finanziaria. Di contro, la communautarisation
del 1990 (attribuzione agli esecutivi fiamminghi e
francofoni di tutta l'autorità in materia d'insegnamento)
è stata introdotta col pretesto, tanto trito eppure tanto
efficace nel nostro paese, dell'autonomia linguistica.
Altrove, nei Baesi Bassi per esempio, ci sono argomenti
pedagogici e di "vicinanza umana" che hanno
veicolato la decisione, mentre in Germania e in Inghilterra
il rifiuto delle "burocrazie" e la lotta per
l'elevazione degli "standard di qualità" sembrano
essere stati i motivi principali.
A fronte di argomentazioni così divergenti per una politica
comune, uno sente in diritto di domandarsi se, al di là dei
discorsi di circostanza e di pretese costrizioni urgenti, la
decentralizzazione non risponda invece a determinanti più
profonde e più potenti.
Dalla metà degli anni '80, gli industriali riuniti in seno
alla potente Tavola Rotonda Europea (ERT) hanno iniziato a
deplorare il fatto che la scuola sia dominata da « pratiche
amministrative spesso troppo rigide per permettere all'estabilishment
d'insegnamento di adattarsi ai cambiamenti richiesti dal
rapido sviluppo delle moderne tecnologie e dalle
ristrutturazioni industriali e terziarie »2. « Nella
maggior parte dei paesi europei, dice ancora l'ERT, le
scuole sono integrate in un sistema pubblico centralizzato,
gestito da una burocrazia che rallenta la loro evoluzione o
le rende impermeabili alle richieste di cambiamento
provenienti dall'ambiente esterno»3 Nel 1996, la Commission
Reiffers costituita dalla Commissaria Europea per
l'Istruzione, Edith Cresson, riprendeva questa idea
spiegando che è "attraverso una maggiore autonomia dei
soggetti responsabili chiaramente informati delle missioni a
loro affidate che i sistemi scolastici potranno
adattarsi»4.
L'ambiente economico emerso negli anni '80 e '90 è
caratterizzato da una instabilità molto forte, da un ritmo
elevato di cambiamenti industriali e tecnologici, da una
costante riduzione dell'orizzonte di prevedibilità
economica. Ciò esige, tanto dal parte del sistema
d'insegnamento quanto da quella dei suoi
"prodotti" - i futuri lavoratori e consumatori -,
un elevato grado di adattabilità. Pertanto, il principale
grande motore di decentralizzazione della scuola europea è
questa comune volontà di dotarsi di un sistema
d'insegnamento più flessibile che, grazie alla sua
autonomia e al gioco della concorrenza, tenda ad adattarsi
il più rapidamente possibile e in modo più spontaneo ai
cangianti bisogni della produzione e dei mercati.
In Belgio, per esempio, la communautarisation
dell'insegnamento è stata seguita da una lunga serie di
misure finalizzate, in ciascuna delle comunità
linguistiche, ad aumentare questa capacità d'adeguamento
della scuola ai bisogni economici : riorganizzazione della
scuola superiore in scuole autome d'eccellenza e
concorrenziali, creazione di commissioni di programma a
partecipazione padronale per l'insegnamento tecnico e
professionale, riforma dei programmi delle scuole primarie e
secondarie nella direzione di una sostituzione dei saperi a
vantaggio delle competenze strumentali, crescente autonomia
dell'apparato degli insegnanti a tutti i livelli, etc.
Altri aspetti comuni ai paesi europei: la volontà di
diminuire i finanziamenti alla scuola o, al meglio, di
frenarne la crescita. In effetti, l'inasprimento delle lotte
concorrenziali impone una spirale di "defiscalizzazione
competitiva" e riduce pertanto i margini di manovra
finanziaria degli Stati. E ancora, la decentralizzazione
dell'insegnamento è utile in quanto permette di realizzare
più facilmente delle economie. Non che una ventina di
piccoli amministratori siano meno onerosi di uno grande. Ma
è decisamente più facile imporre misure restrittive a
livello locale che non a livello nazionale: li si può
prendere meglio di mira e si evitano grandi movimenti di
resistenza.
Anche qui l'esperienza del Belgio risulta particolarmente
eclatante. Il primo effetto della legge di communautarisation
è stato di programmare una progressiva diminuzione delle
spese per l'istruzione in termini relativi (percentuale sul
PIL). Le riduzioni di personale e di mezzi che hanno preso
il volo hanno, molto perspicacemnte, bastonato a fasi
alterne la comunità fiamminga e quella francese del Belgio:
un colpo a Nord, un colpo a Sud. Nel 1990 e nel 1996, i
professori francofoni hanno indetto due scioperi di diverse
settimane. Invano, perchè i loro colleghi fiamminghi erano
in classe. Nel 1994 e nel 2000, è toccato agli educatori e
agli insegnanti fiamminghi arrestare il lavoro e, questa
volta, sono stati i francofoni a mancare di solidarietà.
In un'intervista concessa al Monde de l'Education,
Anne-Marie Comparini, presidente dela regione Rhône-Alpes,
fa suoi questi due obiettivi della decentralizzazione :
flessibilizzare il sistema e razionalizzarlo. « La
regionalizzazione, la decentralizzazione, essa dice, sono
una necessità. In primo luogo per una ragione che attiene
all'efficacia: il centralismo in vigore nel nostro paese
costa caro. Inoltre (perchè)dobbiamo rispondere a delle
nuove sfide che non possono essere sostenute se non da una
gestione locale »5.
Ci si potrebbe interrogare : quali sono dunque queste «
nuove sfide » che necessiterebbero, oggi più di ieri, di
essere gestite a livello locale? La cultura comune di cui la
scuola dovrebbe farsi portatrice sarebbe più
"locale" nel 2002 di quanto non lo sia stata nel
1900 ? Gli studenti di Marsiglia sarebbero oggi più
differenti da quelli della regione parigina di quanto non lo
fossero cinquanta o cento anni fa? No. Le « nuove sfide »
non si traducono in contenuti specifici ma in pratiche molto
particolari: partenariati e scambi con le imprese, sviluppo
di competenze e di attitudini che sono utili alla "impiegabilità"
dei giovani, processo d'orientamento attivo, etc.
In conclusione, Anne-Marie Comparini si dice « favorevole
al completo trasferimento delle competenze che sono
attualemnte di dominio dello Stato (....) nel trasferire i
mezzi finanziari e le risorse umane" ». In quanto
viene dal presidente della terza regione più ricca della
Francia (in PIL/abitante, dopo l'Ile de France e l'Alsazia),
queste proposte non sono davvero stupefacenti. Dato che il
trasferimento di mezzi finanziari da lei proposto
implicherà inevitabilemnte una crescita delle ineguaglianze
tra le regioni. Ancora una volta, il Belgio ne ha fatto
l'amara esperienza. Le due comunità linguistiche hanno
senz'altro ricevuto un finanziamento equivalente (in
funzione al numero di studenti) ed entrambe hanno sofferto
della riduzione di mezzi conseguente alla
decentralizzazione. Ma non nella stessa maniera: la Fiandra,
più ricca, ha potuto compensare una parte delle perdite
attraverso la propria fiscalità mentre attualmente
l'insegnamento francofono accusa, in tutti i campi, un
ritardo rispetto a quello fiammingo.
E come viene ad ammonire l'inchiesta PISA dell' OECD, la
disuguaglianza non è aumentata soltanto tra le due regioni,
E cresciuta anche all'interno di ciascuna di esse. Eccolo il
risultato, tra le altre cose, delle politiche deregolatrici
delle quali l'accresciuta autonomia permette di accelerare
la messa in atto.
Si può almeno sperare che questo rischio di vedere
accresciuta la frattura sociale a scuola susciti la
mobilitazione dei governanti? Soprattutto, anche nella
logica di sottostare alla competizione economica, c'è un
interesse ad istruire il più possibile tutti i
cittadini-produttori. Disingannatevi.
L'evoluzione duale del mercato del lavoro - 25 % della
creazione di posti di lavoro che interessano i diplomi
universitari, ma il 65% che non chiedono altro che
lavoratori non qualificati - rende meno urgente, davvero
obsoleta, la questua di democraticizzazione
dell'insegnamento o la ricerca del movimento di
massificazione degli anni 50-80. Da allora, l'aumento delle
disuguaglianze sociali dentro e intorno alla scuola non è
più una "deplorevole conseguenza secondaria" del
movimento di decentralizzazione, ma costituisce il terzo
elemento della messa a punto dei sistemi scolastici rispetto
alle "esigenze" della assai mal definita
"società della conoscienza".
In Francia come altrove, il dibattito su questioni anche
altrettanto importanti della decentralizzazione,
dell'autonomia scolastica, dell'innovazione pedagogica o
dell'utilizzazione di tecnologie dell'informazione e della
comunicazione è sostanzialmente viziato. E' impossibile
sezionarlo senza tener conto del potente contesto globale,
fatto di deregulation, di dualizzazione sociale, di
riduzione dei finanziamenti e di pressioni che spingono
nella direzione della strumentalizzazione economica della
scuola.
E' questo contesto che permette di comprendere perchè la
decentralizzazione - che abbia luogo in Francia o altrove,
che sia opera di un ministro di destra o di sinistra - debba
necessariamente andare nella direzione di una perdita di
qualità della scuola pubblica e, a termine, di una
mercificazione del sistema educativo. .
Nico Hirtt
1 Eurydice, Dix années de réformes au niveau de l'enseignement
obligatoire dans l'union européenne (1984-1994).
2. Table Ronde des Industriels Européens, 1989, op. cit.,
p. 7.
3. Table Ronde des Industriels Européens, 1995, op. cit.,
pp. 11-12.
4 Reiffers Jean-Louis, Accomplir l'Europe par l'éducation
et la formation, rapport du groupe de réflexion sur l'Education
et la Formation, décembre 1996
5 Le Monde de l'Education, octobre 2002