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2008 – 1902 Tenendo dietro alla mia curiosità di spigolare tra vecchi libri mi è capitato di leggere una relazione finale scritta nel giugno 1902 da un maestro-supplente 1) a Pieve Saliceto, piccola frazione di Gualtieri, provincia di Reggio Emilia. Riporto alcune parti che mi sembrano interessanti per gli spunti di riflessione che mi suggeriscono (scusandomi per la lunghezza): "Frequenza: La frequenza fu lodevole. Ebbi su trentacinque iscritti una media di trentatré frequentanti giornalieri. Anche questo è un segno dei tempi. La scuola s’innalza nel concetto delle masse e diviene necessità sociale. Anche la parziale refezione scolastica contribuì alla frequenza. “Stato intellettuale e fisico degli alunni. Non posso dir nulla sullo stato fisico ed intellettuale degli alunni all’ingresso della scuola per la ragione semplicissima che non c’ero. Al termine dell’anno scolastico i gobbi lo erano ancora ed idem dicasi dei deficienti. Per i primi la cura consigliabile è quella dell’Istituto ortopedico Rizzoli, per gli altri occorre un altro organamento della vita scolastica che dia agio all’educatore di porre in atto, almeno in parte, la trangugiata teoria pedagogica. “Disciplina. La disciplina l’ho sempre ottenuta con mezzi semplicissimi: destando l’allettativa, l’interessamento; vigilando. Non è disciplina, quella che si ottiene con mezzi coattivi. Comprime l’individualità infantile e genera tristi sentimenti. Il maestro deve prevenire e rimuovere le cause del male per non dover poi dolorosamente reprimere. “Diligenza. Finché scuola e famiglia non saranno unite nell’opera educativa la vera diligenza resterà pio ed utopico desiderio. Come pretendere un foglietto pulito da un bambino che fa il compito in una stalla per dura necessità di cose? La pratica qui ebbe la salutare virtù di farmi buttare alle ortiche molta e forse ingombrante zavorra idealistica. “Risultati conseguiti. Per un complesso di cause indipendenti dalla mia volontà i risultati non furono troppo soddisfacenti quantunque non abbia trascurato nulla per migliorare le sorti psichiche di bambini massacrati da lunghi anni di sgoverno scolastico. *** Noto che mal s’appone al vero chi crede con coscienza di giudicare la valentia di un maestro dal numero dei presentati e promossi all’esame. Perché? Perché l’esame fatto come si fa oggi, acquista i poco pedagogici caratteri di un giudizio di Dio, e non sono rari i maestri , che unitamente ai bimbi si affidano alla medesima dea: la fortuna. “Programma e suo svolgimento; giornale di classe. Il programma lo svolsi come potei, il giornale di classe non l’ho fatto. -------------------------------------------------------------------- Quando ho letto questo resoconto non ho potuto evitare di pensare all’esagitato dibattito di questi giorni sulla scuola. La prima considerazione che mi viene, leggendo i “Quarant’anni da smantellare” della Ministra M. S. Gelmini sul Corriere della Sera, è la mancanza assoluta di senso storico. Proporsi di rimuovere il passato, o parte di esso, per ritornare al “prima” è un sogno vano. Prima perché è impossibile, poi perché non è assolutamente scontato che il passato sia come uno si immagina o vuol credere. La nozione di passato, in questo caso, ha più a che fare con la psicologia e l’ideologia politica, che con la storia. Un esempio per tutti la Restaurazione. Il ’68 è storia e non c’entra niente. Le nuove generazioni di insegnanti non l’hanno vissuto, sicuramente non lo conoscono molti alunni che non arrivano col programma a studiarlo. Prendersela con il ’68 o con una sua pretesa pedagogia (?) sembra un’ossessione propria di chi comunque ha bisogno di un nemico cattivo per mascherare le proprie difficoltà a capire, valutare, operare e per nascondere le proprie magagne. E il manicheismo, si sa, non serve a chi vuol gettare sul passato uno sguardo sereno, attento alla sua complessità, per capire i processi e cercare il bandolo della matassa per andare avanti nel presente. Il nostro maestro supplente nel 1902 dice alla Gelmini: “la scuola è necessità sociale, si innalza nel concetto delle masse, anche la parziale refezione contribuisce alla frequenza” (figuriamoci il tempo pieno!). Se la maggiore frequenza non è obiettivo del governante di oggi, altro che ritorno al prima del ’68. Occorrerà tornare agli istitutori privati del ‘700, prima della Rivoluzione francese. Nello stato intellettuale e fisico il nostro, al di là di un linguaggio povero e crudo, che non risente certo del deteriore pedagogismo odierno!, per i “deficienti” (coloro cioè che accusano deficit e ritardo cognitivi) prefigura ed invoca “un altro organamento della vita scolastica”. Vuoi vedere che il maestro del 1902 chiede uno di quegli insegnanti di sostegno che la ministra Gelmini vuole far fuori per esigenze di cassa? Quando riferisce sulla disciplina il nostro maestro, che, non dimentichiamolo, opera nel 1902 e per giunta è un supplente temporaneo, sembra impartire alla nostra ministra una vera e propria lezione. Cosa dice in pratica: “non è disciplina quella che si ottiene con mezzi coattivi”. Perché essa “comprime l’individualità infantile e genera tristi sentimenti. Il maestro deve prevenire e rimuovere le cause del male per non dover poi dolorosamente reprimere”. Quindi ciò di cui principalmente gli insegnanti e la scuola devono preoccuparsi è prevenire i comportamenti deviati attraverso un’opera educativa, servendosi di strategie didattiche adeguate. Altro che 7 in condotta come panacea che risolve definitivamente i problemi del comportamento degli alunni. E’ come dire che la pena di morte fa diminuire i delitti ( confronta “Dei delitti e delle pene” di Cesare Beccaria -1763/64. Nemmeno il più malandato psico-pedagogista sarebbe disposto a confermare che il 7 in condotta risolve il problema del bullismo. Dove si parla di diligenza il nostro maestro-supplente prima invoca l’unità tra scuola e famiglia nell’opera educativa, poi mette in rilievo il peso rilevante del condizionamento sociale (“Come pretendere un foglietto pulito da un bambino che fa il compito in una stalla per dura necessità di cose?”) nei risultati scolastici. E se a lui basta “gettare alle ortiche molta e forse ingombrante zavorra idealistica”, noi dovremmo gettare alle ortiche anche la lettura strumentale dei risultati OCSE-PISA quando non si ha l’onestà intellettuale di riconoscere il peso negativo che esercita il grave condizionamento sociale in certe (non tutte!) realtà scolastiche del meridione. E allora, anziché portare al sud sviluppo economico e sociale, si trascinano gli insegnanti a fare corsi di formazione intensiva per imparare a… fare miracoli! Vuoi vedere che è da addebitare agli insegnanti anche la questione meridionale? E se poi non si fosse perso tempo in questi ultimi anni a fare corsi di aggiornamento su riforme (Moratti) che non riformano niente, o su Nuove Tecnologie decontestualizzate(Moratti), forse non si sarebbe perso tempo e denaro per dare ai docenti l’opportunità di una seria formazione metodologica, didattica, disciplinare, assolutamente contestualizzata agli specifici ambienti di lavoro. Dei risultati conseguiti il nostro maestro-supplente non è troppo soddisfatto, per cause indipendenti dalla sua volontà, ma dal massacro causato da lunghi anni di “sgoverno scolastico” (sic!). Quanto lo comprendiamo! Chi negli ultimi tempi pontifica e inveisce contro gli insegnanti, capofila tra tutti la ministra Gelmini, seguita a ruota da giornalisti non molto informati o da eminenti cattedratici che non vedono un palmo di naso al di là della loro cattedra, non ha la benché minima onestà intellettuale di riconoscere e indagare i fattori, indipendenti dalla volontà dei docenti, che limitano e condizionano pesantemente la loro opera. Al massimo riconoscono l’incidenza degli indecorosi stipendi, ma poi si fermano solo a questo, quando invece ci sono tantissimi altri condizionamenti che una civile società e un governo attento (non imbufalito contro il mulino a vento del ’68) indagherebbero bene e svolgerebbero una positiva opera di decondizionamento, per far svolgere pienamente alla scuola a agli insegnanti la loro missione. Altro che OCSE-PISA. Si curano le cause della malattia, non i suoi male interpretati sintomi. Infine il nostro maestro-supplente mette il dito nella piaga della valutazione dei docenti. Egli dice che sbaglia chi vuol giudicare l’insegnante dal numero degli alunni presentati o promossi agli esami. Egli non crede ai criteri meramente quantitativi. La bravura e la produttività dei docenti e della scuola non si misura con criteri aziendalistici, per il semplice fatto che la scuola non è una azienda, gli studenti non sono prodotti, gli apprendimenti non sono cumuli di nozioni che in modo automatico si trasformano in competenze, la personalità degli alunni non è materiale plasmabile come e quando lo si vuole. Da qui, forzando un po’, l’illusorietà della semplificazione numerico-quantitativa della valutazione. Ridurre la drammatica complessità della valutazione alla semplificazione della sua espressione in numeri è come se un elefante avesse la pretesa di risolvere complessi problemi di fisica nucleare. Il programma il nostro maestro-supplente lo ha svolto come ha potuto. Come possono anche oggi molti insegnanti in situazioni scolastiche e sociali sgarrupate. Egli non compila il giornale di classe, segno che l’inizio del processo di burocratizzazione della professione docente si perde nella notte dei tempi, e anche di questo non si può dare colpa agli insegnanti. Riflettendo sull’oggi mi pare che la ministra Gelmini non regga il confronto con il nostro docente-supplente. Troppo superficiale e superata anche per il 1902 lei. Molto più pertinente e a fondo dei problemi lui, molto più avanzata la sua visione della scuola e dell’insegnamento: mutatis mutandis. A quale prima del ’68 si riferisca la ministra Gelmini non è dato sapere. All’immediato dopoguerra (prima della riforma della scuola media 1962-‘63), al fascismo, al pre-fascismo, al dopo unità d’Italia. Non si sa, basta che si cancellino 40 anni di storia della scuola italiana e poi qualunque cosa va bene. Cancellare cosa? I Decreti Delegati del 1974 n. 416 (governo Rumor), Legge 4 agosto 1977, n. 517 (governo Andreotti), I programmi della Scuola Media. D. M. 9 febbraio 1979 (governo Andreotti, le 150 ore per il diritto allo studio- DPR n. 395/1988 (governo De Mita), i Programmi per la scuola elementare del 1985 (governo Craxi), gli Orientamenti per la scuola dell’Infanzia del ’91 (governo Andreotti), il Progetto ’92 per i Professionali (governo Andreotti), I programmi Brocca (noto sessantottino!) dal 1988 al 1991 (governi De Mita, Goria, Andreotti). A questo punto non so se anche la riforma Moratti sia figlia del ’68. Ma poi bisognerebbe anche cancellare tutte le leggi, regolamenti, direttive, che fanno riferimento ai sopracitati provvedimenti. E poi bisognerebbe cancellare anche i comportamenti dei docenti e dei dirigenti che hanno lavorato con questi strumenti. E poi anche tutto ciò che hanno appreso generazioni e generazioni di studenti. Insomma mi par di capire che dovremmo cancellare tutta, o quasi, la legislazione scolastica e vivere di “Voto di condotta, divisa scolastica, insegnamento dell' educazione civica, ritorno al maestro unico (?), rilancio degli istituti tecnici e della formazione professionale (?).” . Impresa alquanto difficile anche per un ministro così determinato. Si ha l’impressione (fondata!) che non si abbia la più pallida idea di che cosa siano l’istituzione scolastica e la storia di questa nel nostro Paese. Quanto al tanto vituperato pedagogismo, occorrerebbe dire prima che cos’è la pedagogia. Gli scritti di pedagogia si esprimono nel linguaggio proprio di questa disciplina, come il diritto, la fisica, la medicina ecc. ecc. si esprimono nei propri linguaggi specialistici (sottocodici, linguaggi settoriali ecc.). Ogni disciplina ha il suo lessico, ignorarlo non può un meritevole studente. Ciò si insegna nelle prime lezioni di Italiano (proprio la quarta I della ministra) a partire dalla scuola elementare.
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