All’incirca
nell’ultimo decennio si è andata profilando una nuova cultura della
classe dirigente della scuola. Per classe dirigente non devono
necessariamente essere intesi solo il ruolo apicale del dirigente
scolastico o altri ruoli a questo superiori. In tale concetto
rientra innanzitutto la fascia dei ruoli intermedi che si sono
oramai attivati in tutte le scuole (Collaboratori del dirigente,
Funzioni Strumentali, Coordinatori del Consiglio di Classe, ecc).
Nella misura in cui la riflessione sulla leadership educativa
attiene alla gestione del gruppo-classe, è, per estensione, lo
stesso ruolo del docente, in quanto professionista della formazione
di una determinata fascia di età, a rientrare nella configurazione
di classe dirigente della scuola.
Questa nuova
cultura si presenta sotto forma di sedimentazioni e curvature di
contenuti provenienti da settori un tempo lontani dalla formazione
filosofica, come ad esempio le teorie delle organizzazioni e del
management. Ma anche da paradigmi oramai trasversali sia alle
scienze umane che della natura, come la teoria della complessità e
il pensiero sistemico. Adottando uno schema semplificato, si può
dire che, alle due aree precedenti, se ne aggiunge un’altra, più
vicina alle competenze filosofiche, che indicherei nel “counseling
filosofico” e nelle “pratiche filosofiche”.
Ai fini
dell’economia della presente comunicazione, vorrei selezionare
qualche riferimento alla corrente delle pratiche filosofiche. Come è
noto, questa corrente si rifà, tra l’altro, alle proposte di P.
Hadot basate su di un rilancio di alcuni insegnamenti dello
stoicismo, che vedevano nella pratica di vita e nella condotta
personale l’espressione autentica dell’ispirazione filosofica.
Quello stoicismo sostanziale, tradotto, al di là delle specificità
concettuali delle tradizioni di provenienza, dal Mahatma Gandhi in
una mirabile e straordinaria forma moderna. Tendo a coglierne, come
nucleo centrale, il buon uso e il cambiamento delle
rappresentazioni. In buona sostanza, sono le rappresentazioni che
determinano i comportamenti personali.
Ai fini dei
successivi punti, vorrei associare qui il concetto di apprendimento
delle attuali scienze dell’educazione. Là dove lo definiscono come
“modifica del comportamento”.
Ora, credo che
si tratti di sviluppare una rappresentazione complessiva della
condizione attuale del sistema scolastico con realismo ed
autenticità. Evitando razionalizzazioni, rimozioni e scotomi
cognitivi sin troppo consueti nel mondo scolastico. Ai fini di un
simile vertice di osservazione realistica propongo di partire dai
fenomeni di criticità organizzativa.
Nucleo di
criticità considerevolmente diffuso, nella generalità della scuola
italiana negli ultimi anni, è il burnout dei docenti, documentato da
indagini scientificamente condotte, che ne attestano il rischio per
i docenti da due a tre volte superiore ad ogni altro comparto del
pubblico impiego, compresi i medici (Acanfora 2002; Lodolo D’Oria
2005; Picone 2002).
Quasi come
variabile dipendente dalla precedente condizione va considerato un
altro nucleo di criticità, emerso dai dati di una delle indagini
PISA: il 38% degli studenti italiani quindicenni ha una percezione
negativa del contesto scolastico (Bottani 2002, pp. 231-232).
Ulteriore elemento di criticità è il fenomeno, sotto gli occhi di
tutti, del bullismo, verso cui è diretta una recentissima direttiva
del Ministro della P. I. (Dir. Min. 5 febbraio 2007:
Linee di
indirizzo generali ed azioni a livello nazionale per la prevenzione
e la lotta al bullismo),
che ha anche istituito un sito web ed un numero verde per le
segnalazioni di tali casi.
L’ex ministro
della P. I. Berlinguer, in un contributo di bilancio della sua
esperienza istituzionale, coglie un altro elemento di criticità in
quello che definisce come doppio fallimento della scuola attuale. Un
servizio scolastico che, in relazione all’utenza, non riesce né a
sostenere ed integrare i casi di svantaggio culturale di
provenienza, né a rinforzare le eccellenze (Berlinguer 2001).
Confermando che tuttora la scuola si presenta come sistema di
compressione delle risorse umane sulla medietà, la dispersione e il
fallimento scolastico. Gli studiosi avevano già da tempo messo a
fuoco un simile fenomeno. Schematizzato dalla curva a campana della
distribuzione delle prestazioni degli allievi che arrivano il primo
giorno di scuola del primo anno. La stessa distribuzione rimane
inalterata per tutta la durata dei cinque anni del corso di studi di
liceo (Tassi 1993).
E’ importante
mettere a tema fenomeni e variabili, sui quali è invalsa una
rimozione abbastanza diffusa, perché, come il dirigente scolastico
non può limitarsi a diramare ordini ma deve porsi come il mentore
dello sviluppo professionale dei docenti, così il docente non può
più limitarsi alla sola trasmissione dei contenuti della sua
disciplina ma deve porsi come guida (leader) per lo sviluppo degli
allievi. Ad ambedue i ruoli vengono chieste competenze relazionali
sulla gestione delle dinamiche dei gruppi: dei docenti all’uno; del
gruppo-classe all’altro.
Né la
progettazione su singoli aspetti dell’attività scolastica, né la
modellizzazione organizzativa, soprattutto con orientamento
innovativo, possono prescindere da un’analisi sistemica, organica e
complessiva della singola organizzazione scolastica. Gli studiosi
continuano a formulare diverse osservazioni sul fatto che la gran
parte della progettualità della scuola risulta di tipo “aggiuntivo”
e raramente di tipo trasformativo, innovativo, atto a costituire
memoria, esperienza, ricerca e modifica, cioè innovazione (cfr. la
rimozione diffusa dell’art. 6 del DPR 275/99 sull’autonomia di
ricerca, sperimentazione e sviluppo).
Un
inquadramento persuasivo di tale condizione è stato fornito, ad
esempio con riferimento alle strategie di gestione del sistema
sicurezza e tutela della salute, da S. Garzi (2006) con la
teorizzazione dei modelli “omeostatico”, “morfogenetico” e di
“regolazione socio-culturale”. Il primo “considera gli adempimenti
come un obbligo a cui far fronte con il minor livello possibile di
investimento di risorse, utilizzando la norma come schermo dietro il
quale celarsi” (Garzi 2006, p. 3). Il modello morfogenetico “se apre
parzialmente alle esigenze di rendicontazione e
professionalizzazione, può produrre una progressiva esclusione
dell’’utenza’ che finisce per chiedere un sempre maggior numero di
tutelanti e l’aumento di controlli” (Garzi 2006, p.4). In tale
modello si tende a delegare agli esperti, spesso esterni, evitando
di calare nelle attività organizzative specifiche (la didattica),
onde sollecitare la interiorizzazione e l’autonomia dei
comportamenti di tutti i soggetti istituzionali. A differenza dei
primi due, il modello di regolazione socio-culturale considera i
processi “non come un elemento di disturbo, quanto, piuttosto,
un’opportunità in grado di promuovere il recupero dell’intelligenza
complessiva del sistema” (Garzi, p. 5).
E’ mia
profonda convinzione che i modelli proposti da Garzi sono
applicabili alle strategie per la comprensione e la possibile
gestione di tutti i processi specifici dell’organizzazione
scolastica: dalla sicurezza e tutela della salute, all’apprendimento
delle singole discipline, allo sviluppo delle competenze
relazionali, all’analisi e alla gestione delle dinamiche
organizzative, sino alla diffusione della didattica multimediale.
Nell’analisi dei tre scenari della realtà scolastica, proposta da
Garzi, non si fa fatica a riconosce che quello più diffuso, almeno
in alcune aree del nostro Paese, è il primo. In linea con la tesi
dell’applicabilità di tale analisi a tutti i processi
dell’organizzazione formativa, vi è pure la constatazione che, un
simile triplice ventaglio di scenari, lo si può osservare già a
partire dalla vita del singolo gruppo-classe.
Si tratta di
disporre di una visione reversibile tra parte e tutto nella
prospettiva, appunto, olografica, dove la parte contiene il tutto e
viceversa.
L’unità
fondamentale dell’istituto scolastico è costituita dalla relazione
docente-gruppo/classe.
Questo
microcosmo si interfaccia, da un lato, con le competenze didattiche
e tecnico-professionali del Consiglio di Classe. Tali competenze
disciplinari nei termini di strutture organizzative, afferiscono ai
Dipartimenti Disciplinari che, convenzionalmente, possono essere
considerati come costituenti le righe del modello organizzativo a
matrice, discusso dai teorici delle organizzazioni (Mintzberg 1996;
Morgan 1999). L’altra interfaccia, spesso trascurata
dall’organizzazione scolastica, è la storia che il singolo
gruppo-classe genera nei cinque anni di permanenza nel Liceo,
ovverossia la Sezione, i singoli corsi. Le diverse Sezioni o corsi,
con le storie, le dinamiche, le micro-società, costituite dai cinque
gruppi-classe che le compongono, vanno considerate come colonne del
predetto schema a matrice.
Tale
impostazione richiede una concezione della leadership e una
strategia di deleghe autentiche e di gran lunga più sostanziale di
ciò che si è tentato di fare sinora con i Coordinatori di Classe,
responsabili di Dipartimento e Funzioni Strumentali. Peraltro, come
funzioni elettive dal Collegio Docenti, anziché parte di un sistema
premiante ripartito in diverse fasce alle quali si accede per
concorso.
Ciò si può
realizzare, nelle singole scuole, con un rilancio della formazione
permanente sulla nuova professionalità docente, della comunità di
pratiche, del senso di appartenenza, della motivazione e
ri-motivazione continua degli studenti, del benessere organizzativo,
di una vera e sistematica partecipazione dei genitori, di una
funzionale interfaccia di rete e di territorio.
I precedenti
obiettivi richiedono una forte consapevolezza della gradualità e
della necessità di tempi intermedi e lunghi per implementare
innovazioni organizzative che, a loro volta, sono effetti di
innovazioni, cambiamenti e ri-orientamenti che accadono sul piano
delle mentalità e delle rappresentazioni. Come ci ha insegnato la
scuola di metodologia storica francese delle
Annales,
le mentalità costituiscono le strutture storiche di più “lunga
durata”. E tuttavia le competenze e la formazione filosofica
diventano preziose per il lavoro sulle rappresentazioni.
D’altro canto
una prospettiva di conseling filosofico ricava la sua consistenza da
diversi contributi scientifici, a partire da quelli prodotti da
Autori specificamente centrati sul settore scuola. In particolar
modo, il gruppo della “Clinica della Formazione” che ha operato
presso l’Università di Milano Bicocca e l’IRRE Lombardia, i cui nomi
di spicco, tra gli altri, sono Riccardo Massa e Luciano Cerioli (Massa-Cerioli,
a cura di, 1999).
Tali posizioni si arricchiscono dei contributi di teoria generale
delle organizzazioni, privilegiando la curvatura adattativa, di tali
teorizzazioni, alle specificità dell’organizzazione formativa, della
Comunità educativa. Sino ad uno specifico approccio psicoanalitico
alle organizzazioni, espresso prevalentemente da Kets De Vries
sull’organizzazione nevrotica e irrazionale, e da G. P. Quaglino
sulla psicodinamica della vita organizzativa.
Una tesi di
fondo, che veicola il raccordo tra teoria generale delle
organizzazioni e specificità dell’organizzazione scolastica, è che
se la conclusione unanime degli Autori di management è che qualsiasi
struttura, per realizzare una buona organizzazione, si deve
trasformare in
learning
organization,
allora tanto più la scuola, che ha nell’apprendimento la sua ragion
d’essere, il suo DNA, si deve porre come
learning
organization.
Puntando a realizzare la Comunità Formativa come una micro-knowledge
society,
concretizzando al suo interno gli obiettivi di Lisbona per il 2010.
Tanto più quanto l’efficacia dei processi di apprendimento degli
studenti viene oramai concepita come variabile dipendente dalla
qualità della relazione con i docenti.
Il contributo
sulle intelligenze multiple di H. Gardner (1987), sull’intelligenza
emotiva di Goleman (1996), insieme alla rivoluzione dei processi
cognitivi, avvenuta sotto la spinta anche della multimedialità
(Antinucci 2001; Picone 2002 a), hanno reso le concezioni della
scuola tradizionale non più persuasive.
Altra tesi di
fondo, che sostiene la tendenza a privilegiare l’approccio
psicodinamico, deriva, in primo luogo, dalla necessità ineludibile
della conoscenza profonda e continua dell’oggetto-soggetto verso il
quale, e con il quale, si attivano i processi di
insegnamento-apprendimento. Nel caso dei Licei e Istituti di II
grado, si tratta dei processi mentali specifici dell’adolescente.
Per gli altri ordini di scuola, a scalare, si tratta dei processi
specifici della pre-adolescenza, della terza e seconda infanzia. In
secondo luogo, l’altrettanta ineludibile necessità, per i
professionisti della formazione, dell’analisi e gestione delle
dinamiche organizzative, insieme allo sviluppo continuo delle
competenze relazionali. Su questo punto c’è molto da lavorare, nei
termini della messa a tema delle dinamiche dei gruppi-classe e di
come tali dinamiche si riversano nello spazio mentale del docente.
Determinando i transfert specifici del setting scolastico. I
docenti, a loro volta, senza eleborarne la portata disfunzionale,
riversano tali transfert verso il dirigente scolastico.
Sui transfert
non elaborati si addensano, oltre i controtransfert più noti,
riferiti a come inconsciamente i docenti percepiscono gli allievi,
anche una serie di rappresentazioni profonde, più difficilmente
accessibili. Il docente, nella sua pratica di insegnamento ri-attiva
un parallelismo con alcuni processi primari dello sviluppo –tipici
del rapporto bambino/genitori- non solo verso il dirigente
scolastico. Si tratta di un parallelismo che attiene alla
costruzione dell’identità professionale e personale.
L’idealizzazione inconscia, l’identificazione, il conflitto e
l’ambivalenza rispetto ai modelli di riferimento, in questo caso i
docenti universitari e di specializzazione -che hanno contribuito
alla formazione in ingresso-, rappresentano alcuni di tali processi
nell’iter formativo del docente.
Il campo
semantico della formazione, di qualunque formazione, implica
concettualizzazioni sull’identità, il ruolo, le funzioni e i
compiti.
Per converso,
se provassimo ad adottare il punto di vista dei processi formativi
che presiedono all’accesso al ruolo didattico, dovremmo chiederci se
non si riattivino gli stessi processi di base in quella che, a tutti
gli effetti, è un’acquisizione di nuovo ruolo, all’interno di una
organizzazione formativa qual è la scuola.
L’idealizzazione inconscia, l’identificazione, il conflitto e
l’ambivalenza rispetto al modello di riferimento, si riattivano,
nello specializzato SSIS che accede al ruolo di docente, nei
confronti dei fondatori: Socrate, Platone, Aristotele e di tutti gli
Autori successivi che, per chiara fama, gli ricordano -adesso che è
il suo turno di trasmetterne le idee alle nuove generazioni-, per
così dire, in analogia con quanto dicevano i pensatori del
Rinascimento, di “essere un nano sulle spalle di giganti”.
Nella misura
in cui i precedenti processi primari non sono continuamente messi a
tema, resi consapevoli, essi andranno ad alimentare un’Ombra del
ruolo di docente che, chiaramente, colluderà con le Ombre
corrispondenti degli allievi, che “usano” lui come uno dei modelli
di riferimento. I tal senso, la sostanza ambivalente dei circoli
delle dinamiche formative viene generalmente rimossa, negata,
proiettata e scissa. Con l’esito estremo di stare, anziché sulle
spalle dei giganti, sotto i loro tacchi.
Simili circoli
collusivi del docente limiteranno, più o meno pesantemente,
l’efficienza e l’efficacia delle sue funzioni. La relazione con gli
allievi risulterà fredda e formalistica, depauperandone la
componente empatica. La leadership formativa, nel senso etimologico
di guida di un’esperienza, si sposterà verso una rigida e noiosa
ripetitività, venendo gradualmente a mancare uno dei nuclei
significativi presenti in ogni esperienza di formazione: la
trasmissione dell’autenticità, della passione e della
pistis
verso le proprie scelte, la propria vocazione, la fiducia nel potere
trasformativo e migliorativo della conoscenza.
(*) Comunicazione per la sessione
parallela su “Scuola e università” del XXXVI Congresso Nazionale
SFI-Società Filosofica Italiana, Verona, 26-29 aprile 2007.
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