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Il grave problema degli stranieri a scuola di STEFANO STEFANEL
Nel momento in cui tutto il mondo della scuola si stava aspettando una parola definitiva sulla Riforma delle Scuole secondarie di 2° grado (“si farà”, “sarà ancora rinviata”, “come si farà”) e mentre i fatti di Rosarno mostrano il problema dell’immigrazione in Italia in tutta la sua gravità e drammaticità il Ministro Gelmini annuncia l’arrivo della normativa relativa al tetto del 30% di alunni stranieri per classe, con deroghe possibili in base alle competenze linguistiche degli alunni stranieri. Il provvedimento del Ministro – che ancora una volta preferisce anteporre la carcassa mediatica al dibattito interno e specialistico – in sé non fa altro che registrare quanto già avviene nelle scuole, in quanto sia le classi di soli alunni stranieri, sia quelle con pochi italiani sono dettate più che da scelte da necessità o da situazioni contingenti. Il provvedimento annunciato e che probabilmente non sarà dello stesso tipo di quello emanato, come ormai siamo abituati a veder accadere in quasi ogni occasione, in realtà non sposta né l’entità del problema reale, né riesce ad entrare in quella che è la criticità dell’immigrazione extracomunitaria che riversa i suoi figli nelle scuole. Credo possa essere utile analizzare quanto prefigurato dal Ministro alla luce non delle dichiarazioni di politiche e sindacali parte, che purtroppo ci sono state anche questa volta, ma di un’analisi schietta delle questioni sul tappeto.
DOVE ABITA PIU’ DEL TRENTA PER CENTO Il 30% è un numero che in alcuni casi è inutile, in altri inapplicabile:
Quelli che ho riportato sono solo alcuni esempi eclatanti di una norma applicabile quasi dovunque, ma che, dove non sarà applicabile, porterà alla paralisi. I minori obbligati espulsi dalle scuole per superamento del tetto del 30% dove vanno? Chi decide quali stranieri accettare e quali no? Come è facile capire potrei complicare la questione con mille esempi, ma mi preme solo far comprendere come un meccanismo numerico applicato ad una questione storico-sociale non sempre è il modo adatto per risolverne la criticità. Se in un quartiere di Roma o Napoli o Torino abitano molti stranieri si assisterà ad un meccanismo molto semplice: gli italiani tenderanno a portare i propri figli “un po’ più in là” anche se si rispetterà il 30%, mentre gli stranieri non sapranno dove andare. Una soluzione pericolosa in caso di espulsioni massicce a quel punto sarebbe o quella di non far frequentare ai figli le scuole, aumentando il disastro sociale e cancellando le residue possibilità di integrazione, o cercare di dar vita a scuole di quartiere in cui si accettino tutti senza limiti e che magari abbiano connotazioni etniche. Se mal applicato o applicato in forma rigida il provvedimento annunciato dal Ministro Gelmini rischia di lasciare indifferenti la gran parte degli Istituti italiani (che hanno classi con molto meno del 30% di stranieri) e al tempo stesso di rendere ancora più incandescente e drammatica la situazione delle scuole che vivono situazioni di frontiera.
CHI E’ STRANIERO Mentre è abbastanza chiaro chi è straniero e chi italiano per la legge diventa molto complicato stabilire chi lo è perla scuola. Per capirci faccio due esempi-limite ma che presentano una casistica abbastanza diffusa:
Lasciare alle scuole la scelta sulla deroga può essere pericoloso, perché qualche Dirigente può utilizzare il tetto del 30% per non accettare stranieri e qualche altro per accettarne troppi e salvare così cattedre (come fa lo straniero accettato o respinto a fare i conti? Come si contano in classe quelli che sanno o non sanno l’italiano?). Il problema della cittadinanza legale e di quella reale è stato complicato e non poco dalle nostre complesse norme sull’immigrazione. Non credo lo si possa risolvere con un decreto che stabilisce quote, perché le quote di alunni stranieri per classe non dicono cosa fa un bambino straniero che parla l’italiano così e così, che la scuola inserisce tra gli stranieri da conteggiare dentro al 30%, ma che abita a 10 chilometri dalla scuola più vicina a quella d’elezione che lo respinge. La norma “annunciata” del Ministro Gelmini riapre l’idea delle classi di ingresso (ma si guarderà bene dal dire chi le paga e dove si fanno e come) e cancella la possibilità di classi con soli alunni stranieri, anche se a volte quelle strutture limite impongono forti meccanismi di integrazione che aiutano gli alunni più della loro dislocazione a quote nelle altre classi. Attuare un programma di italiano per stranieri o insegnare la matematica a chi non parla italiano è molto diverso che trovarsi a gestire in classi 28/30 alunni tre quattro ragazzi che non parlano e non capiscono l’italiano. In alcuni casi le classi di soli stranieri per alcune materie fortemente personalizzate con l’integrazione nelle altre col sistema delle classi aperte potrebbe aiutare molto di più del sistema delle quote. In Italia oggi comunque gli stranieri sono molto più bocciati degli italiani.
GESTIRE I FLUSSI CITTADINI La questione sollevata dal Ministro Gelmini e che certo non sarà risolta dalla misura inutile o difficilmente applicabile del 30% va a toccare un nervo scoperto della società italiana: i Comuni non gestiscono i flussi dei minori stranieri nel loro inserimento nelle scuole. Gli alunni stranieri vanno nelle scuole per scelta propria o per vicinanza abitativa, ma i loro problemi linguistici o culturali, le loro privazioni e la soglia della povertà quando questa è varcata sono questioni che compaiono a scuola e che l’ente locale non vuole conoscere. In questo momento esiste un vero baratro tra i servizi di assistenza sociale comunali e le scuole perché non stanno perseguendo la stessa missione. Qui è insito il vero problema sollevato dal Ministro Gelmini, che non si risolve né con misure di tipo xenofobo (espulsioni, denunce, allontanamenti, ecc.) né con misure di apertura totale ad un’immigrazione che non siamo in grado di gestire e che poi finisce nei centri d’accoglienza o alla mensa della Caritas. Quello che è il problema dell’immigrazione si riverbera sui minori in età scolare senza che i flussi cittadini vengano neppure minimamente gestiti. C’è una sorta di zona di nessuno tra la vita dello straniero e l’obbligo scolastico dei suoi figli. Chi fa il Dirigente scolastico sa che non è sufficiente dire ad un genitore straniero che le classi sono piene e che quindi il bambino o ragazzo non può essere accettato, perché il genitore non molla la presa e capisce subito che la scuola vicina a casa è un servizio, quella lontana un impegno inaffrontabile. I Comuni dovrebbero capire che la scuola non ha una struttura tipica di accoglienza per gli stranieri, ma che semplicemente adatta le sue pratiche ai nuovi arrivi. Qualche volta questa procedura è facile da attuare, qualche altra no e quando lo straniero invece di arricchire l’ambiente lo impoverisce, lo disturba, lo contamina anche in forma teppistica salta tutto il meccanismo dell’accettazione e dell’integrazione. Se non si gestiscono i flussi cittadini nei confronti della scuola ci si troverà sempre di più davanti alla fuga degli italiani dalle scuole dove gli stranieri sono governati male. Lasciare le scuole sole con la “frontiera” del 30% significa soltanto cementare le difficoltà trasformandole in muri che sarà difficile abbattere. |
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