Prima Pagina
Reg. Tribunale Lecce n. 662 del 01.07.1997
Direttore responsabile: Dario Cillo

Ricerca

 

Risposta a 
Lettera agli Insegnanti italiani di James Hillman

 

Forlì 11 novembre 2002

Gentilissimo professor Hillman immagino che sarà lei e non una squadra, sia pur affiatata, di collaboratori, che provvederà a leggere questa mia risposta alla sua lettera-provocazione.

Una squadra, un team, per quanto solidali ed omogenei nel sentire, non sono la stessa cosa di una persona sola che, magari seduta accanto al caminetto, sorseggiando un buon caffè e, essendo in definitiva la diretta interessata, si fa investire pienamente dalle risposte di "amici" lontani.

Ho avuto modo di apprezzare alcune sue dichiarazioni a proposito della guerra contro l'Iraq e devo assicurare che mi è piaciuto il tono asciutto e stringente delle medesime.

Che c'entra questo? E' presto detto; non mi piacciono gli educatori-anime-morte. Uno psicoanalista è in definitiva un educatore (non mi pare azzardato pensarlo). Suo compito, credo, sta nel tentare di offrire spazi d'interpretazione e di modificazione per cambiamenti mancati.

I detrattori della psicoanalisi, generalmente piuttosto organicisti, vogliono vedere in tale disciplina quello che non c'è ed essa non può dare.

Voi educate la mente ad essere se stessa, non è poco e, a tal fine, non è indispensabile sapere di neuroni o genetica.

Saper dire poi alla propria nazione, ai propri concittadini, ai propri governanti le cose che da loro stessi non sanno comunicarsi, come mi sembra lei faccia da sempre, in particolare dopo l'11 settembre, è un'opera di fondamentale civile educazione. Guai se un insegnante o uno psicoanalista a ciò abdicassero.

In fondo, i buoni insegnanti, i veri psicologi e i filosofi sanno bene che la schizofrenia dei singoli non è indipendente da quella della sua società nel suo complesso.

Il regista Michael Moore ha scritto recentemente: "…i nostri figli non sono al sicuro perchè li rimpinziamo di MacDonald's e di Ritalin e poi ci meravigliamo se hanno il diabete a 13 anni o che la settimana prima del diploma fanno saltare in aria la scuola…".

So che lei, professore, conosce bene l'Italia e non so se le sembra sempre più uguale al suo paese.

Dal mio punto di vista vedo crescere le somiglianze e non sono tutte piacevoli. Magari si trattasse solo di MacDonald's!

L'attaccamento profondo all'adolescenza è un dato che mi pare scaturisca evidente da una facile osservazione che chi lavora nella scuola, ed ha a che fare con generazioni di genitori sempre più giovani, può ben verificare.

Non so se tale desiderio di allontanare la vecchiaia sia così simile negli Stati Uniti ma le assicuro che qui è palpabile.

Abbiamo genitori-bambini che pretendono di vivere un'eterna età dei balocchi. Sono significative, a questo proposito, le affluenze da record, ai "divertimentifici" piazzati un po’ ovunque nel paese, in particolare qui nella mia Romagna.

La richiesta di accorciare il tempo scolastico, non occupando i sabati nelle lezioni, non risponde, infatti, solo se si scava un po’ nei colloqui, ad una volontà di tempo liberato, di ricerca della convivialità, quanto, piuttosto, a quella di poter proseguire nei giochi e nei divertimenti giovanili

Un'altra somiglianza è la dimensione da "paria" che sta avvolgendo gli insegnanti italiani, un po' per colpa loro, un po' per le derive istituzionali e politiche che si vanno estendendo in tutto il settore scolastico del mondo occidentale.

E' vero "…qualcosa si sta ammalando nel cuore dell'educazione; è malata nel cuore, e questo cuore non può essere ristabilito con semplici esercizi di base o con una nuova dieta dell'anima, nè questo cuore può essere sostituito da una macchina ad alta tecnologia…"

Lei narra di alcuni insegnanti-modello, Orilla Miller, Miss Shank, Miss Wood… Le confesserò una cosa, anch'io ho avuto insegnanti simili, purtroppo solo nella scuola superiore e all'università, ma sono stati fondamentali per tutta la vita.

Recentemente, ad uno di questi, incontrato non a caso, durante una presentazione di un libro di un anziano studioso italiano, attivissimo nella politica italiana in una formazione d'estrema sinistra, ebbi a riconoscergli, nuovamente, la grande influenza che ebbe per me: " …a te devo tutto quello che sono oggi…".

Si schernì, arrossendo. Egli non fu e non è l'unico, certamente, ma è forse un caso che io bramai sin da piccolo diventare insegnante - come risposta agli altri, che ferme guide e carezzevoli accompagnatori non furono mai - perchè, disprezzando, sostanzialmente, il mio insegnante di scuola elementare volevo diventare un maestro per far scuola in modo totalmente differente?

Questa consapevolezza che i piccoli "sanno" mi accompagna ancor oggi. Ogni volta che il mio sguardo ed il mio agire incontrano gli occhi severi di un bambino, mi domando cosa io devo ancora a lui, per via di quest'assoluta certezza che ai piccoli poco importa l'età dell'adulto, quanto il suo essere coerentemente consapevole con la propria capacità di saper mettere in discussione i presupposti stessi del discorso comune.

Un educatore deve saper fornire risposte che contengano sempre un critica alla domanda.

La relazione allievo - educatore ha necessità di questa "sapienza". Non basta chiedere per ottenere d'essere educati, bisogna saper porre le giuste domande.

Forse per questo, generalmente, i migliori "maestri" sono persone non più giovani. Occorre veramente il disincanto, l'aver perduto l'ansia di tutti guarire e tutti salvare.

Eguale disincanto poi, il saggio maestro, il buon "rieducatore" sa porre nei confronti delle istituzioni.

Leggo poi, nelle sue parole, una traccia sensibile delle ricerche d'Ivan Illich, credo che non sia una caso com'egualmente mi fece riflettere, a suo tempo, in altre letture, la sua definizione di "carattere".

Qui per me è spontaneo e spero che lei lo apprezzi il raffronto con un altro psicoanalista-filosofo, mio vero beniamino e guida spirituale fra i miei venti e trent'anni, Wilhelm Reich. Conoscerà pertanto quanto lui asseriva intorno alla questione del "carattere".

Mi pare, a questo proposito, che la scuola d'Alexander Neill, profondo conoscitore di Reich, sia stato il tentativo più riuscito e fortunatamente ancora in piedi per dare risposta a molti dei temi che lei affronta nella sua lettera.

Credo non sia un caso se Illich, Reich, Neill, sono oggi quasi misconosciuti. Probabilmente non furono mai veramente neppure di moda.

Per far entrare dentro di noi il sale della loro esperienza bisognerebbe essere capaci di de-strutturarsi e di fare un lungo silenzio attorno e dentro sè.

Queste due operazioni non sono propriamente ciò che è richiesto agli insegnanti dai loro amministratori e dalle famiglie utenti dei loro servizi.

Particolarmente qui in Italia, oggi possiamo vedere i "piccoli uomini e le piccole donne", di reichiana memoria, che carichi delle loro "corazzature emozionali" impongono una visione del mondo ristretta e disperata.

Viene in mente la metafora di David Cooper sui "polli in macelleria", per via, ancora, di tutti quei bei colli incravattati, tutti lustrini e maschere di trucco.

Lei, fra l'altro, scrive a noi insegnanti italiani, proprio nel bel mezzo di una ben curiosa occasione: le riforme strutturali e di contenuto che i governi, sia di sinistra sia di destra vanno giocando da qualche tempo.

E' curioso come alcuni elementi di fondo siano talora simili negli schemi legislativi, certamente giocano anche altri fattori e l'incompetenza di chi legifera non è talora da porsi solo sul piano del sapere psicologico o pedagogico, quanto sulla sfrontata incapacità d'essere compassionevoli e benevoli.

Non so se lei, nei suoi viaggi per l'Italia, abbia avuto modo di conoscere il pensiero e l'azione d'Aldo Capitini. Egli fu uomo "morale" che pose, in tempi non sospetti, i fondamenti d'una critica serrata al fare politica.

Anch'egli era un educatore e sull'educazione e del suo stretto rapporto con la "polis" scrisse le cose più attente e severe.

"La scuola di tutti", il "potere di tutti", la "religione della politica", sono alcuni dei suoi punti fondamentali che dovrebbero ben interrogarci.

Ma Capitini non si legge nelle scuole, è più frequente imbattersi nel "giovane Holden". Che direbbe oggi Capitini, che direbbero Reich, Neill, Illich, di questa sottolineatura di certificazione dei processi d'apprendimento scolastico, che può anche avere una sua dignità, ma che da sola è lo specchio di un disarmo morale?

Quando si nega allo straniero il diritto di cittadinanza, quando s'investe più in strutture di morte che di vita, quando della salute, del vivere, del sapere, si fa merce di scambio, con quale pretesa si può poi sperare che i giovani si proiettino in un futuro e vivano il loro addestramento alla vita, dentro la scuola, come una grande occasione, un appuntamento da non perdere?

Ma è così sano che in fondo la scuola sia vissuta come un penoso obbligo cui non è possibile sottrarsi? Non è curioso che ancora oggi si debba imporre per legge il limite minimo di scolarizzazione?

Penso, talora, a quei bambini e a quelle bambine che 60, 70 anni fa, camminavano anche nella neve, per quattro-cinque chilometri prima di raggiungere la scuola.

Era quel sedersi su duri banconi, in aule spesso fredde e disadorne, una grande occasione una così lucida vitale esperienza, che ancora oggi, vecchi, ne parlano col rimpianto, spesso, di non aver potuto proseguire oltre le elementari, tanto cocente fu il bisogno di lavorare per la famiglia.

Ma perchè oggi, questi nuovi ragazzi che seduti in auto, accompagnati quasi sul banco dalle mamme o dai papà che sorreggono lo zaino troppo pesante, entrano oggi in aule, sovente piene di colori, banchi comodi e funzionali, magari col computer in classe e poi, via via negli anni, odieranno sempre più la scuola?

I ragazzi che uccidono i genitori, assaltano compagni e compagne, vuoi per un giubbetto o un paio di scarpe, vuoi per far sesso, vuoi per affermare la propria identità, sono la punta di un iceberg che sta maturando grosse contraddizioni.

Certo vi sono anche i ragazzi di Porto Alegre, di Seattle, di Firenze, se così non fosse saremmo proprio alla disperazione.

Non è stato un caso che al Social Forum di Firenze si sia dibattuto lungamente sui temi dell'educazione.

Tuttavia, per la gran maggioranza, non si è ancora aperto il cielo e già mi par di vedere queste torme di giovanotti diventare vecchi acidi ed insipidi, legati alle loro piccole e smaniose manie, crudeli contro i differenti da loro, affamati di sicurezze.

Oggi è in gioco tutto il nostro futuro e la scuola dovrebbe sapere di dover assolvere anche ad una funzione vicariale della famiglia, Questa è una situazione che non dovrà e non potrà durare a lungo. Occorre che s'investa perchè gli allievi sappiano divenire, più che buoni lavoratori, buoni genitori.

Non è, non può essere, l'impresa il centro ed il fine del progetto educativo, ma il ritornare alla famiglia, diventare grandi, insomma, essere attrezzati per imparare a sorridere alla vita, amarla, goderla, essere fieri d'esistere.

C'è bisogno, pertanto, d'insegnanti che, altrettanto, per prima immancabile cosa, questo facciano: amino la vita cosa che, evidentemente, non è da confondere con l'esistenza bohemienne o con il più totale e dissoluto conformismo sociale.

Per questa ragione, non sarebbe male che anche lei, gentile professore, cogliesse l'occasione per suggerire ai nostri governanti il senso ed il percorso di una riforma che occorre certamente nella scuola italiana, ma che deve essere l'esatto contrario di quanto vanno apprestando.

Ci aiuti professore, ci sono ancora tanti insegnanti che vogliono essere depositari di un trapasso di nozioni, di cultura, di saperi non mortificato o mistificato.

La nostra voce è, generalmente, poco gradita ai media che indulgono più spesso nella descrizione delle nostre disperazioni.

Così avrebbe un senso lo scambio di questi pensieri. Ho poco apprezzato questa specie di concorso a punti dove le tre migliori lettere avrebbero vinto un premio da 500 €!

Non per questo io credo, lei ci ha scritto, anzi forse neppure sa di questa iniziativa. Non certo per questo io le ho provato a rispondere.

Non credo che il lavoro intellettuale vada sottovalutato ed immagino che lei, partecipando a qualche conferenza, si faccia magari anche ben pagare, ma qui io ho inteso porre uno scambio d'anime, e mi perdoni il termine, forse poco adatto ma più consono a quanto voglio esprimere.

Non so se lei potrà rispondere a questa mia, ma mi piacerebbe, sono paziente e non ho fretta. Vorrei, infatti, aggiungere altre cose, ma prima ho necessità di un primo sguardo, un qualche cenno di consenso o dissenso.

Questo non è un compitino da redigere diligentemente, è, lo voglio credere, uno scambio fra educatori, mi auguro che lei sia incuriosito e voglia continuare.

Chiudo, infine, offrendole una breve lirica di Danilo Dolci, altro grande e ignorato educatore italiano, che costituisce un poco il mio motto educativo, anche su questa mi piacerebbe avere una sua opinione.

Un cordiale saluto
Gabriele Attilio Turci

 

Ciascuno cresce solo se sognato
di Danilo Dolci

C'è chi insegna
guidando gli altri come cavalli
passo per passo:
forse c'è chi si sente soddisfatto
così guidato.

C'è chi insegna lodando
quanto trova di buono e divertendo:
c'è pure chi si sente soddisfatto
essendo incoraggiato.

C'è pure chi educa, senza nascondere
l'assurdo ch'è nel mondo, aperto ad ogni
sviluppo ma cercando
d'essere franco all'altro come a sé,
sognando gli altri come ora non sono:
ciascuno cresce solo se sognato.

 

Gabriele Attilio Turci
Docente presso la Scuola Statale Italiana

Gabriele Attilio Turci è nato a Forlì il 27 ottobre del 1950, dopo varie esperienze di lavoro, anche nel campo educativo e della riabilitazione di giovani psicotici, è approdato, quasi per caso, complice anche un'urgente necessità economica, nella scuola di stato italiana, tornando a quella che era la sua infantile determinazione: fare il maestro.

Oggi che gli anni iniziano a farsi sentire è un maestro non più per vocazione quanto per convinzione.

In internet, su siti diversi, possono ritrovarsi alcuni suoi interventi in ordine a temi della pedagogia e della politica scolastica.

Dopo alcuni anni di lavoro nelle scuole delle carceri italiane oggi insegna presso l'Aurelio Saffi, scuola elementare di un quartiere medio-borghese di Forlì, città della provincia italiana.


La pagina
- Educazione&Scuola©