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Risposta a
la mia attività di insegnamento nella scuola é stata parallela alla formazione prima, e all’esercizio dopo, della professione di psicoanalista junghiano. Nel corso di questa formazione il tuo pensiero mi ha puntualmente accompagnato e ispirato, talvolta anche mio malgrado. Il tuo richiamare l’attenzione su Vico, la malinconia, l’immaginazione e la memoria immaginale mi ha fornito punti di vista proficui per le mie ricerche nell’ambito della psicologia e psicopatologia italiana. Dove uno dei primi trattati e delle prime pratiche istituzionali, emersero proprio a Napoli, durante il governo francese di Murat (ne ho dato conto in “L’inconscio prima di Jung”, AA. VV. Trattato di Psicologia Analitica, Torino, Utet, 1992, vol.I). Più di venti anni fa, il tuo pensiero mi stimolò a studiare il grande lavoro della Yates sull’arte della memoria e a interessarmi, in pianta stabile, della connessione funzionale tra memoria e immaginazione. Questi interessi mi hanno fatto comprendere in profondità il cambiamento dei processi cognitivi, che ha investito l’apprendere e l’insegnare negli ultimi tre o quattro anni, con l’avvento della multimedialità. Un cambiamento che, con l’immaginazione e la creatività, ha riportato nella scuola quel pensiero associativo, reticolare, esperienziale che era stato represso, scacciato dal pensiero unidirezionale, col quale si identifica una vecchia pratica di insegnamento (Francesco Antinucci, La scuola si é rotta. Perché cambiano i modi di apprendere, Roma-Bari, Laterza, 2001). Qualche giorno fa, nella mia seconda classe di Liceo Psico-Pedagogico, tutta femminile, nell’approfondire alcuni aspetti del rapporto madre-bambino, mi sono trovato ad affermare che la psiche del neonato si “nutre”, “viene accolta”, “va ad abitare” nelle fantasie che la madre aveva su di lui prima che nascesse, a volte anche prima del concepimento. Un’allieva, con un’espressione meravigliata, ha risposto: -Ma non é possibile! Questa é una cosa magica! Ho evitato di dirle che “magia” deriva da imago e che, nella storia occidentale, per estirpare la fantasia, ci sono stati diversi secoli di roghi e di Inquisizione. Sarebbe apparsa come una deviazione erudita del discorso. Le ho promesso che avrei mostrato come il funzionamento della mente, in questa circostanza, poteva essere compreso in modo razionale. A tal fine, ho ripreso l’argomento del circolo vizioso del pensiero negativo, che avevamo svolto l’anno scorso e rinfrescato due settimane prima. Il cosiddetto “alunno difficile” attiva continuamente fantasie negative su se stesso e gli altri, i docenti, la scuola. Tali fantasie producono un reticolo di emozioni, di qualità corrispondenti, che premono per esprimersi in comportamenti altrettanto negativi. Tutto il processo avviene, ovviamente, senza alcuna consapevolezza. I comportamenti indurranno delle risposte, da parte dell’ambiente esterno, nella gran parte dei casi sicuramente negative. Queste, vanno a chiudere il circolo vizioso innescato dalle fantasie negative, perché vengono vissute dall’”alunno difficile” come conferme della loro fondatezza. Vi é quindi un effetto di conferma e di rafforzamento delle fantasie stesse. Nel setting scolastico, anche quando deve chiedere al docente di uscire per andare al bagno, l’”alunno difficile” lo farà con un tono aggressivo, provocatorio, con atteggiamenti arroganti e di sfida. Il docente, in genere, ci casca. Viene “catturato” dalle sue fantasie e gli risponde a tono, in maniera repressiva o persecutoria. Dopo di ciò l’alunno dirà a se stesso: -Hai visto? Avevo ragione io a pensare che il prof. ce l’ha con me, mi odia. Anziché condividere con l’allievo la fantasia umanista, come indichi nella tua lettera, caro James, il docente condivide una fantasia anti-umanista. Ritornando all’allieva della classe dove insegno, la sequenza fantasie-emozioni-comportamenti-risposte esterne, la si riscontra anche nel caso della madre-bambino. Basta immaginare la situazione del bambino non desiderato. Naturalmente, tutta la sequenza del circolo vizioso può essere vista anche in positivo, come circolo virtuoso. Per non parlare del fatto che le fantasie negative, che caratterizzano l’”alunno difficile”, sono il prodotto di un’inoculazione dei docenti delle prime fasi della scolarizzazione, attraverso il famoso effetto Pigmalione. Oppure di fasi ancora più precoci, come fantasie genitoriali di figlio non desiderato. Dunque, qui il ruolo cruciale é svolto dal docente. Se annusa una fantasia negativa e, anziché lasciarsene catturare, si adopera per spezzare gradualmente il circolo vizioso, il docente lavora con l’anima e per l’anima. Trasforma il suo lavoro in una dimensione creativa, in quello che tu, in tanti tuoi scritti, indichi come il “fare anima”. Ma qui si apre la prospettiva che poco dopo l’inizio della tua lettera, caro James, formuli come “enormi difficoltà stanno schiacciando le scuole nel mondo… Sebbene queste difficoltà appaiano nella psiche turbata di insegnanti e allievi, esse non sono radicate nell’insegnare e nell’imparare”. Poi, verso la fine, come “il primo compito dell’educazione sarebbe di psicoanalizzare se stessa, di decostruirsi trovando i miti che suggeriscono i suoi programmi”. Sono profondamente persuaso che si tratta di liberare i processi di insegnamento e di apprendimento dalla “psiche turbata” da sovrastrutture di una certa pedagogia unilaterale, che comprende anche sistemi relazionali e organizzativi gestiti da scissioni psichiche. Forse sarai a conoscenza dei risultati emersi dalla ricerca di Lodolo D’Oria e altri, “Burnout e patologia psichiatrica negli insegnanti”, Il Sole 24 Ore Scuola, n.17/02, dove emerge che gli insegnanti sono a rischio di disturbo psichiatrico, da due a tre volte superiore rispetto a tutte le altre categorie del pubblico impiego. Inoltre, da un’indagine OCSE del 2000 emerge che, su 27 Paesi, l’Italia si pone al secondo posto, dopo il Belgio, per il tasso del 38% di studenti quindicenni che hanno una percezione negativa della scuola (N. Bottani, Insegnanti al timone?, Bologna il Mulino, 2002, pp. 231-232). Si tratta forse di orientare maggiormente l’interesse di psicoanalisti e filosofi verso un aiuto alla scuola. Quei filosofi che si sono riappropriati dei miti contenuti sin dalle origini nel concetto stesso di philo-sophia. Dove, oltre all’amore e all’amicizia, ricorre, come spesso é stato richiamato da te e da Umberto Galimberti, il senso dell’aver cura. Sin dalle origini la Paideia é connessa intimamente con Therapéia, con PhilÏa, con Eros e le sue diversificazioni di Charis, il dono reciproco, ed Agàpe, il dono gratuito. Laddove il magistero di Jaeger ci ha indicato come, sin dalla Grecia classica, fondamenta dell’anima d’Occidente, l’evento dell’apprendimento e quello della trasmissione del sapere, espressioni di “influenza liberatrice”, rivestono la sostanza di “impulso divino”, di “miracolo naturale” (Werner Jaeger, Paideia. La formazione dell’uomo greco, vol. I, La Nuova Italia, 1953, p.77). Un paio di settimane prima che venissi a conoscenza della tua Lettera agli insegnanti italiani, caro James, ho rilasciato un’intervista, dal titolo La professione impossibile (www.casadellacultura.it), alla curatrice del sito web, che ha contribuito a divulgare la ricerca di Lodolo D’Oria e altri. L’idea di fondo recupera il parallelismo posto da Freud in Analisi terminabile e interminabile tra lo psicoanalista e il docente, viste come professioni “impossibili” per la loro analoga complessità. Non si tratta di psichiatrizzare gli insegnanti. Si tratterebbe, in buona sostanza, di dare una mano ai docenti di scuola a riappropriarsi di una serie di strumenti professionali che non sono mai stati loro forniti o che, talvolta, sono stati addirittura a loro sottratti. Al punto che gli insegnanti si ritrovano quasi del tutto sprovvisti di potere sociale, privi di una reale carriera intermedia che funga da dispositivo di rimotivazione continua. Che collochi i più motivati ai vertici dell’organizzazione e consenta loro di svolgere -con una alleanza funzionale, rispetto alla mission, alla vision e agli obiettivi di sistema, col dirigente scolastico-, un ruolo trainante del collegio docente. Per meglio dire: disabituati ad attivare fantasie di un potere nutrito, ad esempio, dai miti platonici della caverna e dell’auriga, come tu hai cosÏ brillantemente indicato nel tuo ultimo libro (Il Potere. Come usarlo con intelligenza, Milano, Rizzoli, 2002). Nel senso che, nel mito della caverna, il prigioniero che riesce a liberarsi dalle catene e a cogliere la realtà (degli archetipi), ha il dovere etico di tornare indietro per liberare i compagni di prigionia, anche a costo di correre inevitabili rischi. I docenti, per esempio, non vengono per nulla addestrati alla conoscenza, all’osservazione e alla gestione operativa del transfert e del controtransfert, che si attivano nel setting scolastico; delle fantasie inconsce; delle proiezioni e delle identificazioni proiettive; delle fantasie di potere e degli stili di leadership nella conduzione delle classi e dei gruppi, ecc. Come dice M. F. R. Kets de Vries, che si occupa di psicoanalisi delle organizzazioni e di management, “nelle organizzazioni che incoraggiano un rapporto sano con gli altri, i dirigenti anziani traggono piacere per interposta persona, vedendo crescere i giovani allievi. Questo senso di generatività, questa disponibilità ad assumere il ruolo di allenatore e di maestro, pone le organizzazioni ‘amorevoli’ su un piano diverso” (L’Organizzazione Irrazionale. La dimensione nascosta dei comportamenti organizzativi, Milano, Cortina, 2001, p.254). Con riferimento alla sottrazione di potere, permettimi, caro James, di informarti su alcuni passaggi illuminanti della “storia interna” recente della professione docente in Italia. Nel 1995 ci fu un convegno, all’Università di Viterbo, su “L’università e la scuola per la formazione iniziale e in servizio degli insegnanti”. Era il periodo del fermento per la promulgazione degli strumenti giuridici, che avrebbero dovuto generare i corsi di laurea in Scienze della Formazione Primaria e le Scuole di Specializzazione all’Insegnamento Superiore. Di superare, finalmente, l’anacronistica condizione di maestre di scuola materna ed elementare che non erano formate all’insegnamento grazie ad un corso di laurea specialistico. E quella degli insegnanti medi e superiori che non avevano formazione post-laurea alla didattica della propria disciplina. Il titolo del convegno si poneva come contributo di elaborazione e di proposte operative per questi obiettivi. Vennero al convegno fior fiore di pedagogisti universitari, prevalentemente romani. Si ventilò l’ipotesi, e addirittura ne circolarono bozze, che ai docenti di scuola, soprattutto quelli di Filosofia e pedagogia degli Istituti Magistrali (che nel frattempo erano da anni diventati Licei Psico-Pedagogici), dove da sempre c’era il tirocinio, ai maestri laureati di scuola elementare e ai direttori didattici, che dovevano essere chiamati alla funzione di Supervisore dei tirocini, nei corsi di laurea e nelle SSIS, potesse essere conferita la docenza universitaria a contratto. In realtà, all’indomani della legge istitutiva dei corsi di laurea e delle SSIS, venne fuori l’umiliante normativa del distacco part-time, da conferire ai supervisori, attraverso un concorso per titoli ed esami, più selettivo di quello per l’ordinariato della docenza universitaria. Un distacco senza nemmeno la possibilità del rimborso spese. I retroscena di questa vicenda li ha svelati pubblicamente il principale protagonista istituzionale di quegli anni, il ministro Berlinguer. C’é un altro episodio. Nel 2000, con l’accordo di tutti i maggiori sindacati della scuola, viene pubblicato un bando di concorso per selezionare ed incentivare una quota più motivata di docenti (Gazzetta Ufficiale 4a Serie Speciale Concorsi n. 3, dell'11 gennaio 2000. Sono i Decreti che bandiscono la procedura di assegnazione del “trattamento economico accessorio” previsto dall'art. 29 del Contratto Collettivo Nazionale di lavoro del comparto Scuola, sottoscritto il 26 maggio 1999 e dall'art. 38 del contratto collettivo nazionale integrativo, sottoscritto il 31 agosto 1999). Ma poi c’é il colpo di scena. Molti insegnanti non vogliono che si faccia questa selezione, i sindacati si rimangiano letteralmente l’accordo, autorevoli commentatori di giornali affermano che non é “democratico che in una scuola ci siano insegnanti di serie A e di serie B”. A febbraio c’é una protesta di piazza, che costringe il ministro Berlinguer a sospendere la procedura di quello che in Italia resterà noto come “concorsone”. Il principale protagonista istituzionale, quel ministro Berlinguer, del quale qualche uomo di scuola (cfr. A. Ietto, Vivere e soffrir di scuola, Salerno, Edisud, 2002) ha indicato le responsabilità di non aver tenuto duro sulla questione del “concorsone”, ha rivelato coram populi, in pieno Congresso del CIDI di Sorrento del 2000, che sulla questione del tirocinio dovette subire il ricatto dei pedagogisti universitari romani di sinistra. I quali, se lui non avesse fatto come dicevano loro, non avrebbero fatto partire i corsi di laurea e le SSIS. Qualche mese dopo Berlinguer fu costretto dal suo governo a dimettersi per la vicenda del “concorsone”. A mio giudizio, caro James, sempre utilizzando il tuo paradigma della “condivisione di fantasie”, i precedenti eventi di “storia interna”, della professione docente in Italia, rivelano che una parte di coloro (esistono significative eccezioni) che dovrebbero essere i méntori e i maestri dei docenti di scuola, cioé i docenti universitari, insieme a quelli che dovrebbero lottare per il miglioramento della loro condizione, i sindacati, nutrono una fantasia di sottrazione, di evirazione del potere dei docenti di scuola. Una fantasia di relegarli in una condizione servile; di “sequestrarli” e incatenarli nello stato di prigionieri della caverna platonica. Simmetricamente, i docenti di scuola hanno mostrato, attraverso il rifiuto del “concorsone”, dietro un’apparente fantasia di comunistico egualitarismo, di aver agito (acting out), di essersi inconsapevolmente identificati con la fantasia dei professori universitari. E’ su questo archetipo negativo, affiorante dall’inconscio collettivo della classe dei docenti di scuola, che giungo a parlare della sindrome di Stoccolma, di cui essi sono affetti. Il “prigioniero” arriva ad identificarsi e a giustificare il proprio “sequestratore”. Se tali sono le cause, non ci si può quindi tanto meravigliare dell’entità del rischio psichiatrico cui la classe docente viene esposta. Ciononostante, il rischio é rilevante. Come qualcuno ha sottolineato, riguarda direttamente lo standard di benessere di circa un milione di insegnanti. Ma con una ricaduta, altrettanto diretta, su circa otto milioni di studenti e loro famiglie. Tuttavia, a questo punto bisogna tener conto di alcuni rilievi che altri lettori di questa risposta potrebbero sollevare. Ma che anche tu accenni: i rilievi sull’obiettività, l’eguaglianza, le ombre della selezione, il primato di quelli che vengono scelti da una condivisione della fantasia del docente, ecc. Quando si osservano le dinamiche di un gruppo-classe in una scuola affiorano le differenze tra pochi studenti più motivati, un gruppo mediamente motivato ed un altro poco motivato o le cui motivazioni sono troppo spostate verso la polarità estrinseca. I primi sono più attenti, ascoltano e assorbono molto, non disturbano, lavorano di più e si attengono meglio al compito, intervengono in maniera più misurata. Gli altri si distraggono più facilmente, sono più refrattari e ascoltano poco, disturbano spesso, non lavorano e hanno difficoltà ad attenersi al compito, intervengono d’impulso, accavallandosi e parlando tutti insieme. Quest’ultimi mettono in atto anche altri comportamenti collettivi. Sono più propensi a trovare un capro espiatorio del gruppo, assumono comportamenti e atteggiamenti di aggressività più o meno indiretta verso quelli più motivati. Apostrofandoli ironicamente con attributi dispregiativi come “secchioni”, “lecchino del prof.”, ecc., li escludono dai sottogruppi, li ostracizzano, sino al bullismo e alle minacce. In definitiva, mettono in atto un controllo sociale al negativo del gruppo-classe. Ingenerando conformismo, mantenendo il livello di apprendimento e di lavoro su standard bassi, cementando i circoli viziosi del pensiero negativo, impedendo l’emancipazione dalla controdipendenza, dal ribellismo e dal sabotaggio delle relazioni. In definitiva, sono agiti dall’ombra della differenziazione e della selezione, cioé l’invidia. Per questo, molto giustamente, Kets De Vries, nel suo lavoro sulle organizzazioni irrazionali, dedica un intero capitolo all’analisi del ruolo distruttivo che l’invidia svolge nelle relazioni organizzative (Kets De Vries,op. cit,, pp. 133-152) La cosa sorprendente é che quando si osservano i consigli di classe o, ancora di più, i collegi docenti, si rilevano le stesse dinamiche. I docenti sono spesso “agiti” dal transfert dei loro allievi più demotivati e di questo fenomeno sono del tutto ignari. Talvolta basta iniziare un gruppo di lavoro con docenti per osservare come tutti parlano contemporaneamente, c’é scarso ascolto reciproco, difficoltà di attenersi al compito. I docenti più motivati sono di fatto emarginati. O tutt’al più utilizzati per qualche tempo, quando si vuole acquisire l’immagine che il gruppo docente di quella scuola ha dei numeri, ha delle risorse. E’ veramente raro trovare che i docenti più motivati, quelli più capaci di instaurare circoli virtuosi tra fare scuola e fare anima, fungano da componente trainante del collegio docente. CosÏ come avviene nelle aziende che funzionano, dove i più motivati fanno aumentare i profitti, assicurando l’occupazione per sé e per quelli demotivati. Perché, come ho riferito più sopra, i docenti di scuola aborriscono la selezione. Le dinamiche più diffuse nella classe docente sono il conformismo, l’appiattimento e l’acquiescenza acritica verso i dirigenti autoritari. Sui quali ci sarebbe da fare un approfondimento a parte, con il ricorso ai principii di psicologia archetipica delle organizzazioni che tu formuli in Il Potere (Milano, Rizzoli, 2002). Se il docente non conosce la psicologia dei gruppi, che, a sua volta, presuppone la conoscenza e la padronanza dei processi specifici della fascia di età con cui lavora, come farà a non restare catturato dalle fantasie di invidia di quella componente degli studenti che esercita il controllo sul gruppo-classe? Non solo ne resta catturato ma le replica, ne viene “agito” a sua volta, quando si troverà in condizioni analoghe, quali quelle del collegio docenti. Se invece maturano simili consapevolezze individuative e il docente le trasmette al gruppo-classe, si assiste all’emergere di una mente, di un’anima di gruppo. Dove i più motivati fungono da componente trainante e la condivisione di “fantasie umaniste”, cioé di arricchimento e di ascolto reciproco, di condivisione della bellezza e della creatività del fare scuola, diventano comuni al gruppo-classe. L’apprendimento ne risulta agevolato e anche i meno motivati vengono contagiati da un’atmosfera di ascolto e di partecipazione. L’anima dispiega le ali in una commensalità di significato, come Platone ci ha insegnato nel Simposio. E la stessa paura del fanciullino verso l’Orco, come quella dell’uomo verso la morte -descritta da Cebéte, l’allievo prediletto da Socrate, nel primo testo di psicologia dell’Occidente, il Fedone platonico che porta come sottotitolo perÏ psychés, sull’anima-, può essere “incantata”, disciolta, superata dalla commensalità della therapéia, dell’eros e della philÏa. Cioé, con traduzione nel linguaggio dei processi dell’infanzia e dell’adolescenza, si supera la paura delle trasformazioni, delle metamorfosi della crescita e dei terremoti della vita. Sarai d’accordo, caro James, che simili processi sono identici a quelli presenti nel rapporto tra democrazia e platonismo che tu hai affrontato ne Il codice dell’anima (Milano, Adelphi, 1997, pp. 335 e segg.), dove concludi che “il tenere lo sguardo puntato sul meglio e sulla realizzazione non apre le porte all’aristocraticismo. Né rinnega la democrazia”. Ti riferisci, infatti, al mito dell’auriga della Repubblica sugli strati dell’anima. Caro James, forse mi sono dilungato troppo, ma ho confidato nella tua posizione di méntore che non disdegna l’ascolto paziente della parola di un allievo, che ritiene di condividere qualche sua fantasia. Spero che vorrai ancora rivolgere la tua preziosa attenzione al temenòs del fare scuola.
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