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Risposta a Lettera agli Insegnanti italiani di James Hillman
quando ho iniziato ad insegnare, 18 anni fa, mi sono ritrovata in una scuola che si esprimeva in modi diversi - autoritari, ripetitivi, vivi, partecipati – ma che sicuramente non aveva perso il senso della sua esistenza. Un senso che ora, a mio parere, fatica a trovare. Lo dico con smarrimento perché ho sempre vissuto la scuola coinvolgendomi con emozioni e pensieri, con il corpo e con la mente, con gratificazioni preziose, con rassegnati fallimenti, sbagliando sicuramente, ma vivendo il lavoro di insegnante e non solo andando a lavorare. Ho creduto ad una scuola che potesse arricchire conoscenze e capacità, che facesse conoscere, riconoscere diritti e che insegnasse a difenderli per sé e per gli altri. A 18 anni, all’esame di maturità, il titolo del tema che svolsi proponeva una riflessione su Lettera a una professoressa con cui Don Milani e la Scuola di Barbiana denunciavano la "strage di poveri" e la voglia di bocciatura della scuola italiana. Il problema è che la scuola, in questo, non è cambiata e, seppure in modo forse più nascosto ed ipocrita, continua a selezionare, a lasciare indietro, a perdere. Ma mi rendo conto che ribadire che la scuola deve essere per tutti un luogo di costruzione della conoscenza non basta; noi offriamo pacchetti formativi, scatole confezionate in modo accattivante per essere competitivi nel mercato della formazione e non ci chiediamo se i saperi che incartiamo ed infiocchettiamo vengano ri-conosciuti dagli studenti e neppure ci chiediamo se noi veniamo ri-conosciuti. Dovremmo fermarci e domandarci quale è la nostra esperienza di conoscenza, come la viviamo, quale è il suo senso. Quando imparo sto meglio e più imparo più la conoscenza, da filo colorato e prezioso, diventa tessuto ancor più colorato e prezioso perché tutti i fili s’intrecciano e ciò mi permette di scivolare da un piano all’altro della conoscenza di me e del mondo. L’immagine dello scivolo richiama uno strabiliante luna park e mi convince perché include il piacere, il gioco – il mettersi in gioco – ed il rischio. E quando insegno offro, cerco e metto in comune. Allora voglio essere animata dall’interminabile speranza che la mia esperienza di conoscenza per me si riproduca anche a scuola e con essa si creino, si formino e crescano altre esperienze di conoscenza, quelle dei miei studenti. Credo insomma che la scuola possa essere un luogo dove i saperi sono diversi ed anche dispari, ma che sia necessario non prendere troppo sul serio il nostro sapere e seriamente ascoltare, aspettare, osservare chi ci sta di fronte (e sarebbe meglio stesse a lato, intorno, INSIEME). Grazie per la sua lettera che offre un’occasione di riflessione, attività a cui la scuola dovrebbe dedicare più tempo e più pazienza.
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