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I primi 25 anni
della Carta di Ottawa per la promozione della salute
di Margherita Marzario
Abstract: L’Autrice, scandagliandone il lessico e l’etimo, traccia gli
aspetti fondamentali della cosiddetta Carta di Ottawa e ne evidenzia,
dopo cinque lustri dalla presentazione, la persistente attualità.
Il 21 novembre 1986 a conclusione della prima
Conferenza Internazionale sulla promozione della salute, svoltasi dal 17
al 21 novembre 1986 ad Ottawa (Ontario, Canada), è stata presentata la
Carta di Ottawa per la promozione della salute al fine di stimolare
l’azione a favore della “Salute per Tutti per l’anno 2000 e oltre”.
Essa risulta più attuale, lungimirante e onnicomprensiva di atti
successivi che hanno inteso la salute più in senso sanitario e non
salutistico (come si vedrà infra),
tra cui “Salute 21 - Salute per tutti nel 21° secolo” documento adottato
dagli Stati Membri della Regione Europea dell’OMS nel marzo 1999. La Carta, suddivisa in cinque parti, si è
attenuta all’etimologia di “salute”, termine che deriva da una radice
sanscrita che significa integrità e quindi salvezza; così intesa
riguarda tutti e ciascuno, i sani ma
anche chi è colpito da qualsiasi infermità. Questo concetto d'integrità emerge già nell’uso
frequente del termine “comunità”, prevalente rispetto all’uso dell’altro
“società”, la quale ultima evoca
negativamente la liquidità del postmoderno di Zigmunt Bauman. La
comunità (da “comune”, dal latino “cum munis”, che compie il suo
incarico insieme con altri), invece, richiama non solo la socialità ma
pure la prosocialità in atteggiamenti quali attenzione, cura,
coinvolgere (dal latino “cum volvere”), condividere (dal latino “cum
dividere”) e responsabilità, tutti espressi, in particolare
quest’ultimo, nella Carta. La responsabilità evoca, poi, la
sostenibilità (nella Carta si parla espressamente di “risorse
sostenibili”) verso cui sono cresciute
una forte sensibilità e vigilanza a livello internazionale
proprio dal 1986 soprattutto in seguito al disastro di Chernobyl. Il
tema della sostenibilità, che è una forma di equità intragenerazionale e
intergenerazionale, è latentemente presente visto che per tre volte è
citata l’equità. Oltre a comunità si parla spesso di “ambiente”
(“ciò che sta attorno” - un’altra coincidenza: in Italia il Ministero
dell’ambiente è stato istituito proprio nel 1986). Si parla di ambiente
(insieme delle condizioni in mezzo alle quali si vive) e non di luogo
(concetto statico) quasi venga rivolto un monito per quello che sta
accadendo oggi, tra predisposizione
di “stanze” o “setting” in ambito terapeutico e rifugio in realtà
virtuali. Si richiamano i “bisogni” (dal prefisso germanico
bi-, presso, vicino) che indicano qualcosa di intimo, di proprio
dell’uomo, facendo attenzione perciò a distinguere quelli conformi alla
dignità della persona da quelli artefatti e indotti, avendo cura di non
medicalizzarli, con l’abuso della fecondazione assistita in età
avanzata, della chirurgia plastica,
dell'accanimento terapeutico ed altro. In quest’ultimo decennio si parla di una nuova
generazione di diritti, i diritti relazionali; la Carta già nel 1986,
anticipando la teoria dei diritti relazionali e l’educazione
all’affettività prevista anche nell’odierna legislazione scolastica,
parlava di ambiente in cui “si ama” e di “amici” includendo l’amore e
l’amicizia tra le fonti di salute. Nel paragrafo “Creare ambienti favorevoli” si
legge “La promozione della salute genera condizioni di vita e di lavoro
che sono sicure, stimolanti, soddisfacenti e piacevoli”. Si parla,
dunque, non solo di sicurezza ma anche (anzi a compimento delle altre
condizioni ambientali) di piacere, nel senso di edonia (il piacere che
motiva) e eudemonia. Da intendersi
questa nel senso filosofico della felicità come scopo ultimo
dell’esistenza umana e della vita in generale, e non nel senso moderno
di edonismo che sfocia in una crescente anedonia la quale induce, a sua
volta, non pochi a rifugiarsi nelle sostanze psicotrope, nello sballo
del sabato sera, nel gioco e shopping compulsivi o altro. Nel paragrafo “Dare forza all’azione della
comunità” si legge la locuzione “aumentare l’auto-aiuto”, espresso oggi
con altri modi di dire, quali self - empowerment o resilienza (dal
latino “resilire”, rimbalzare, saltare indietro; in inglese “hardiness”,
robustezza, o “coping”, far fronte). In altre parole tanto l’uomo quanto
l’umanità sono portati a cadere, a saltare indietro per poi rialzarsi,
risalire e ricominciare.
Tutti concetti connessi con quello espresso nella Carta con l’uso
frequente del vocabolo “risorse” (dal verbo latino “resurgere”, mezzo
per risorgere, per vincere una difficoltà). Il prefisso re- o ri- che
indica ritorno, ripetizione o anche rinnovamento fa venire in mente che
il primo mezzo per vincere una difficoltà è la relazione. Prima di
pre-occuparsi della relazione medico-paziente, la relazione per
eccellenza che caratterizza, forma l’uomo è quella educativa. Infatti,
nel successivo paragrafo “Sviluppare le abilità personali” si legge
l’espressione “educazione alla salute” e non educazione sanitaria e nel
prosieguo “È necessario mettere in grado le persone di imparare durante
tutta la vita, di prepararsi ad affrontare le sue diverse tappe e di
saper fronteggiare le lesioni e le malattie croniche”. Può essere
chiamata questa “educazione alla vulnerabilità”, perché oggi le
statistiche di aumenti del suicidio giovanile o di altre devianze
attestano un rifiuto della fragilità che è, invece, la condizione umana[1].
Bisogna avere la percezione e la consapevolezza della fragilità perché,
fra l’altro, ci fa avvertire il bisogno degli altri e ci porta ad
incontrare gli altri e la solidarietà è fonte di buona salute, con la
speranza di prevenire e sconfiggere il dilagante male oscuro, la
depressione, anche in età infantile. Si avvia così un circolo virtuoso,
come si legge nella Carta: “Una buona salute è una risorsa significativa
per lo sviluppo sociale, economico e personale ed è una dimensione
importante della qualità della vita”.
Ammirevole
che non si parli di costi, come invece si fa oggi in un’epoca di
continui tagli, ma solo di “benefici” e addirittura di “valori morali e
sociali” (si parla attualmente di educazione valoriale). Nella Carta si nominano spesso “azione” e
“creazione” facendo così riferimento all’homo faber delle antiche
civiltà (c’è anche il detto latino “homo faber fortunae suae”) contro il
tecnologismo di oggi, come pure molte volte risuona
“abilità” che rievoca l’immagine dell’homo habilis. Il fatto che
si parli di abilità e non di capacità o potenzialità è positivo perché
si lascia spazio ai diversamente
abili o diversabili che con l’impiego delle loro abilità possono
superare i cosiddetti normodotati, si pensi per esempio a chi dipinge
con i piedi o con la bocca. Apprezzabile anche il rimando alla cultura perché
la salute è un fatto culturale e al tempo stesso la cultura è fonte di
salute. Anzi, come qualcuno ha detto, anziché adoperarsi per la
procreazione artificiale bisognerebbe darsi da fare per la procreazione
culturale. Criticabile che si nomini poche volte la famiglia
visto che questa, fra i tanti compiti, è la prima e principale culla
della salute. Per ben tre volte è menzionata la “vita
quotidiana” per evidenziare che la salute non dipende solo da corrette
scelte alimentari o da adeguate cure mediche, quando necessarie, ma da
tutti i momenti della giornata, dal sonno notturno alla prima colazione. Compare la formula “qualità della vita”, oggi
abusata, prettamente occidentale e contraddittoria rispetto ad alcuni
stati di vita, come per esempio i cosiddetti malati terminali. Anziché parlarsi di singoli, o individui o
soggetti si parla prevalentemente di “persone” e si noti al plurale
perché ogni persona è tale nella relazione almeno con un’altra persona. Per due volte compare il binomio “uomini e donne”
che rimarca l’uguaglianza e la differenza di genere, oggi tanto
sostenute ma mai scontate, anche perché pur nell’uguaglianza il sesso
femminile esige differenze di cura per alcune patologie, infatti in
questi ultimi anni in Italia sono promosse varie iniziative per la
salute femminile, come “Salute in Rosa” o “Bollini rosa” per gli
ospedali.
Nella
terza parte “Entrare nel futuro” si afferma che “Assistenza, olismo ed
ecologia sono questioni essenziali nello sviluppo delle strategie per la
promozione della salute”. Sono questi tra i principi ispiratori
dell’intera Carta. Assistenza non nel senso, o non solo, di assistenza
sanitaria o assistenzialismo, ma nel senso proprio etimologico (dal
latino “ad sistere”, fermarsi, presentarsi presso, quindi stare presso
ad alcuno per aiutarlo, soccorrerlo o altrimenti giovargli), come
“assicurare”, “sostenere”, “mettere in grado”, “mediare”, “supportare”
(usando la terminologia stessa della Carta) affinché le persone siano se
stesse. Olismo nel senso che la Carta ha considerato la totalità della
persona e del sistema, infatti, la salute è intesa in ogni suo aspetto,
come benessere (da intendere come “well being”, essere bene e non come
“well ness”, stare bene), salubrità e sanità. Infine ecologia connessa
ad economia e ad ecosistema altresì quello formativo, infatti, si parla
di scuola e di formazione professionale con l’auspicio che non si cada
nel professionismo o tecnocrazia. Eco- dal greco “oikos”, casa,
considerando ogni ambiente e l’intero mondo come una casa. La salute
diventa così occasione di globalizzazione positiva; invero nella Carta
compare come elemento testuale per tre volte l’aggettivo “globale”. In
seguito la Carta stabilisce “progettazione, realizzazione e valutazione
della attività di promozione della salute”, caratteri che spesso mancano
alla politica legislativa italiana in materia di salute (e non solo),
basti pensare ad alcune leggi senza copertura finanziaria come per
esempio la legge 15 marzo 2010 n. 38 “Disposizioni per garantire
l’accesso alle cure palliative e alla terapia del dolore”, o a
situazioni di salute pubblica che pur essendo ricorrenti continuano ad
essere trattate come emergenze, per esempio gli sbarchi di immigrati. La
salute di tutti, quindi, e non solo di alcuni pazienti richiede quello
che in gergo è denominato follow up. Nella Carta, quindi, la salute è intesa come
essenza, natura (infatti è usato un paio di volte l’aggettivo
“naturale”), umanità dell’uomo in un’epoca in cui vi è “l’anoressia
dell’umano” (espressione coniata da don Luigi Giussani). In questi
ultimi anni pullulano terapie che si rifanno alla natura in senso lato
(in greco “phisis”), dalla naturopatia alla cromoterapia, proprio perché
è avvertita quest’esigenza di
ritorno alla natura. E’ tutta questa l’interpretazione sistematica che
si può dare anche alla trilogia degli articoli 2, 3 e 32 della nostra
Costituzione a conferma che essa è e rimane il nostro fondamentale testo
precettivo e programmatico anche in materia di salute.
[1]
Vittorino Andreoli, “Le nostre paure”, ed. Rizzoli 2010;
Giovanni Cucci, “Il suicidio giovanile. Una drammatica realtà
del nostro tempo” in “La Civiltà Cattolica” n. 3860 del 16
aprile 2011, pagg. 121-134.
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