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Reg. Tribunale Lecce n. 662 del 01.07.1997
Direttore responsabile: Dario Cillo

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L’INTERVISTA IMPOSSIBILE

Alcuni anni fa c’era una trasmissione radiofonica che si basava su fantastiche interviste a famosi personaggi storici dell’antico passato della nostra cultura letteraria, artistica, scientifica, ecc…

L’intervistatore poneva domande; un attore entrava nel personaggio in questione e tentava risposte per spiegare l’ "immagine del mondo" dell’intervistato…

A me, invece, è venuto in mente di fingere un’intervista assolutamente fantastica a un possibile Ministro della scuola che molte/i di noi vorrebbero, a un Ministro che (come ormai siamo convinte/i) nella realtà non si troverà mai.

In mancanza di ciò, non rimane altro che sognare!

INTERVISTATORE (per comodità, lo chiamerò "I")

Signor Ministro, qual è l’idea di scuola che La guida nella Sua opera riformatrice?

INTERVISTATA (sempre per comodità, la chiamerò "M")

Un’ idea? No, non è un’idea, è qualcosa di più forte e alto, è una speranza, è un ricercare continuo, insieme con le/gli insegnanti, una strada per trovare risposte concrete ai bisogni di tutte/i le/i cittadine/i.

I: queste sono parole, si spieghi meglio in modo che tutti possano capire.

M: sì, ha ragione, le parole avulse da un contesto non arrivano al cuore e alla mente: non se ne può più di parole. Allora, le dirò subito che io vengo dall’insegnamento: ho provato tutti gli ordini di scuola e, nonostante ciò, ne ho soltanto appena intraviste le necessità, le storture, i punti di forza e quelli di debolezza. Inoltre provengo da una famiglia di quelle definite difficili per molti motivi di cui non vorrei parlare, ma ho conosciuto la vita molto presto, mi sono dovuta arrangiare e lottare contro il pregiudizio.
Della vita a scuola, dirò subito che sono rimasta colpita dall’assoluto niente di spazi, materiali e tempi che hanno a disposizione le/gli insegnanti, soprattutto dalle scuole elementari in avanti. Sono a dir poco stupita di come le nostre abbiano potuto in questi ultimi cinquant’anni reggere il confronto con le scuole di tutto il mondo e, in alcuni campi e indirizzi, superarle!
Allora mi sono detta: vediamo di cosa c’è assolutamente bisogno e partiamo da ciò per innalzare la qualità! Non partire da troppo lontano e ascolta. Così ho sentito le richieste di tutte le scuole e i motivi ricorrenti di scontento sono stati: l’eccessivo cumulo di burocrazia, i "progetti mega" a cui o partecipi, oppure resti al palo anche se hai sperimentato strade diverse e positive, una valutazione che stringe tra maglie d’acciaio docenti e discenti, gli spazi inesistenti per muoversi, "teatrare", cantare, ecc…. I tempi sono anche più inesistenti: l’ insegnante, a volte, ha a sua disposizione pochissime ore che non le/gli permettono di far affrontare la sua materia in modo autonomo e cooperativo alle/ai ragazze/i, magari valutandone in modo formativo le tappe che le/li hanno portate/i all’insuccesso o al successo…

I: cosa intende per valutare in modo formativo le tappe…?

M: intendo dire che la valutazione dovrebbe informare famiglie e alunne/i non tanto dei risultati, bensì dei percorsi mentali, delle abilità conoscitive attivate, dei ragionamenti, della costruzione delle modalità con cui si è giunti a risultati condivisi, dello scambio continuo di opinioni e stili d’apprendimento nell’azione-reazione dentro situazioni d’apprendimento che vedano le/gli alunne/i in attività che le/li coinvolgano sempre in prima persona nelle scoperte. Una valutazione dovrebbe tener conto del fatto che ogni scoperta fatta all’interno delle discipline non è per sempre. Anzi è rivedibile se confrontata con la realtà e le realtà scientifiche contingenti: nulla è certo, e l’errore è una risorsa, non una vergogna! Senta, perfino le "leggi"matematiche sono sempre rivedibili, non parliamo poi della grammatica, della storia, della geografia, della filosofia e via dicendo!
La scelta di dare voti o punteggi è rassicurante perché dà l’illusione di tenere tutto sotto controllo, ma è limitativa, è scolastica, non muove alla riflessione. Ecco, vorrei sperimentare strade diverse per l’accertamento delle competenze. Vorrei mobilitare tutta la ricerca in questo campo ancora inesplorato per verificare se è vero che senza punteggi di vario tipo, con l’uso continuo del coinvolgimento diretto, si può insegnare a ognuna/o a essere "costruttore di pensiero" per trovare soluzioni sempre rivedibili e spesso divergenti.

I: ma com’è possibile una scuola senza "voti"?! La responsabilità del giudizio qualcuno dovrà prendersela!

M: certamente, ma non per misurare, bensì per stimolare a fare meglio insieme e individualmente. Lavorare in team è una sfida complicata se gestita in modo serio ed è il passaporto per il futuro di ogni scelta lavorativa. La coppia, il gruppo, la collettività inducono al risveglio della coscienza, ti chiamano in causa costantemente, ti mettono alla prova, ti danno idee per provare e riprovare. La nostra scuola finora è stata costretta (dopo ne vedremo i motivi) a basarsi molto sulla volontà individuale, sulle risorse personali e familiari, sullo studio a casa, così le volontà deboli, le persone sole, chi non aveva una famiglia alle spalle è "fuggita/o" dalla scuola con la sensazione che non facesse per lei/lui.

I: quindi Lei incolpa la lezione frontale, il compito in classe, la verifica, i test, di molta parte dei fallimenti del nostro sistema!

M: io credo che non ci possa essere vera crescita culturale individuale se non si prevedono molti momenti cooperativi; io credo che la democrazia, la solidarietà, la libertà nel suo significato più alto,non si possano insegnare, ma si debbano conquistare mettendosi continuamente alla prova nel rapporto con le/gli altre/i e che la scuola debba spingere in questa direzione cooperativa tutte/i togliendo l’illusione di poter costruire qualcosa di valido e duraturo in solitudine. (Veniamo ai motivi di costrizione o quasi del non rinnovamento di cui abbiamo detto prima). Logicamente per intraprendere in modo serio e produttivo un percorso di questo tipo occorrerebbe diminuire il numero di materie, non aumentarlo, nella consapevolezza che ci sono nella scuola dei limiti di tempo concreti: se non tenuti in considerazione, si rischia di spezzettare il sapere nei suoi mille rivoli. Faccio un esempio: si potrebbero affrontare tematiche ambientali o artistiche o musicali dentro una visione ampia di ciò che è lo studio delle scienze, dell’italiano, della storia, ecc…senza istituire l’ora di questa o quella materia, ciò pur avendo in servizio insegnanti di musica, di ambiente, di arte… La contemporaneità va studiata e incentivata, perché diventa possibilità di ricerca trasversale fra docenti e occasione di puntare uno "sguardo incrociato" sui problemi, le difficoltà, le predilezioni delle/dei ragazze/i. Comunque è assolutamente necessario diminuire il numero di ragazze/i per classe per dar modo a tutte/i di poter essere protagoniste/i e costruttori dei propri apprendimenti, per dar modo alle/agli insegnanti di seguire i loro percorsi, le strategie, gli stili d’apprendimento di ognuna/o, per orientare e scoprire insieme le predilezioni e le difficoltà…
Una scuola delle/dei docenti e delle/degli alunne/i che tiene conto della categoria dell’ascolto è per forza di cose un ambiente in cui il tempo, gli spazi, la narrazione, la lettura, lo scambio continuo di vedute e di strategie, la ricerca la fanno da padroni sopra i computer, sulle singole materie, sui progetti imposti da qualcuno, sulla burocrazia.
Una scuola così diventerebbe rispettosa dei tempi di ognuna/o e dovrebbe fornire supporti di ogni tipo senza badare a spese, a compromessi, altrimenti non vale la pena muoversi per fare riforme a meno che non le si voglia fare per farle!

I: per favore, spieghi meglio cosa significa meno materie.

M: significa che non importa dividere la giornata in ore rigide di cattedra. Vuol dire che l’insegnante di musica può lavorare nella classe con quella/o di lettere per stimolare alla riflessione su temi trasversali, che la/il docente di storia può collaborare con quella/o di greco, che l’insegnante di matematica può seguire le/gli ragazze/i mentre lavorano intorno a una "catena produttiva" in laboratorio e via dicendo. Bisogna aver fiducia nelle persone. Se si dà molto, si ottiene molto. Se si dicesse ( all’inizio progettando orari e modalità ancora inesplorate):<< Lavorate insieme! Fate ricerca con i piccoli gruppi classe che vi sono assegnati!>> sono sicura che nelle/nei nostre/i insegnanti ci sarebbe un entusiasmo nuovo, uno slancio mai conosciuto prima. D’altra parte non inventiamo niente di speciale, ci sono esperienze già in atto che vanno tenute in grande considerazione: una Riforma che si rispetti e che voglia essere condivisa DEVE assolutamente tener conto di ciò che è già stato sperimentato positivamente da chi la scuola la vive giorno per giorno. Nessun ministero può fingere che le/gli insegnanti siano stati fermi in tutti questi anni e che l’autonomia non sia mai esistita!
Perché non essere noi fra i primi in Europa a dire che si può costruire una scuola di tutte/i per tutte/i basata sulla fiducia nelle intelligenze, nella collaborazione, nella contemporaneità, il tutto con numeri ridotti di studentesse/studenti, con un lavoro trasversale di squadra di docenti.
Per ciò che riguarda la lingua straniera insegnata in tenera età, vorrei fare un distinguo da ciò che ho affermato per tutti gli altri saperi: essa andrebbe affrontata creando un apposito "contenitore" spazio-tempo per far "giocare" con le parole e le frasi, riservandosi un numero di ore, questo sì, aggiunto. Per apprendere una lingua, tutti sanno quanto sia importante parlarla in situazione!
Vorrei laboratori linguistici in cui le/gli specialisti di lingua straniera potessero "lavorare" in tempi lunghi e distesi con bambine/i, ragazze/i per farle/i "giocare" con la lingua. Però bisogna che le famiglie, non solo la scuola, si rendano conto che se si vogliono aggiungere conoscenze durature e consolidate al bagaglio delle/dei figlie/i, delle/degli alunne/i si deve avere un tempo aggiunto all’altro tempo scuola già scarso. Altrimenti non resta che la strada della rinuncia a ciò che non è propriamente essenziale alla "sopravvivenza" culturale.

I: sopravvivenza culturale?

M: sì, guardi che il primo problema è quello della lingua madre: lei saprà che uno dei problemi più gravi è quello dell’espressione e della correttezza linguistica oltre a quello della presa di coscienza dei propri vissuti e della comunicazione di essi. Ebbene, io credo in una scuola che, a partire da quella dell’infanzia, dia tempo per questo e il tempo si comporta come una coperta troppo stretta e corta: se la tiri per coprire una parte, se ne scopre un’altra! Non vorrei che si scoprisse quella della padronanza della lingua italiana, perché essa rende liberi e forti e se appresa nei modi di cui parlavo prima, cioè costruita insieme, diventa la base di tutti gli altri apprendimenti. Per cui va bene insistere sull’importanza di arte, musica, ambiente, inglese, informatica, ecc…, ma non sottraendo ore alla lingua madre, alla matematica, alla storia che permette di riscoprire le radici, alla geografia che permette di contestualizzare le"radici" e di sapere dove mi trovo e perché mi ci trovo, alle scienze in generale che consentono di avere una visione critica del mondo e delle scoperte umane…

I: ma allora lei non vuole dare ascolto alle richieste del mondo industriale, del mondo del lavoro!

M: no, al contrario, io voglio che le/i ragazze/i siano pronte/i alla sfida del lavoro, ma in modo critico, costruito dalle loro intelligenze rese consapevoli dal continuo lavorio per addivenire a scoperte autonome, voglio che possano scegliere in base alle loro potenzialità di cui esse/i siano diventate/i le/i padrone/i nel corso di una scuola di base solida, serena, valutante sì, ma per stimolare, non per castrare.

I: sì, va bene, ma i percorsi delle scuole superiori dovranno essere pure differenziati!

M: bisogna rendersi conto che la scuola superiore è quella più delicata e importante: gli adolescenti, il loro male di vivere, le pressioni delle famiglie sul futuro delle/dei figlie/i, le pressioni della società, del lavoro, ecc…Eppure noi sappiamo quanto siano fragili le/i nostre/i figlie/i. Allora credo che anche in quest’ordine di scuole, ci sia bisogno di "sguardi adulti" attenti nelle scelte didattiche e metodologiche, nella scelta di percorsi: per cui, penso che avvicinare le/i giovani ai nuovi modi di produzione e all’economia sia importante, ma ancora una volta non la faccenda più importante; io credo che primariamente vadano incentivati la ricerca delle proprie radici culturali, lo sguardo critico su ciò che è stato, la riflessione su cosa potrebbe essere il futuro anche industriale. Imparare a usare le macchine, a conoscere la produzione, i materiali, le tecnologie non credo siano compiti primari della scuola. Penso che in ultima analisi gli "adulti imprenditori" possano farsi carico dell’addestramento e "perdere tempo" per "istruire" le/i giovani che vorranno entrare nell’industria.
Non c’è disegnatore, stilista, pubblicitario, vetrinista, progettista, ecc…che, al giorno d’oggi, non debba avere una cultura molto solida di base per poter essere competitivo con una creatività che abbia basi solide nella cultura generale!
Si corre altrimenti il rischio di avere personale tecnico senz’anima e senza riferimenti culturali a cui attingere.
Tutte/i dovrebbero aver "maneggiato" Dante Alighieri (prendo Dante per tutto e tutti!), essersi misurate/i insieme con le compagne/i con le fatiche della "traduzione" linguistica, dell’interpretazione e ciò dovrebbe servire a ragionare su altro, anche su qualcosa di molto distante.
A cosa servirebbe una scuola con un’ora di ambiente, una di arte, una di esperanto, una di italiano, una di lingua straniera , una di computer, una di chimica, una di matematica, una di geografia, una di musica, una di ed. fisica, una di diritto, un’altra di filosofia,ecc…all’infinito?!
Secondo me a disgustare i più senza nulla dare. Anzi togliendo serenità a docenti e discenti sconosciuti fra di loro, senza alcun legame intellettuale, senza alcuna voglia di conversare, di misurarsi, di apprendere…proprio il contrario di ciò che vogliamo!

I: vorrei conoscere la Sua posizione sul tempo pieno e sui moduli della scuola elementare e anche su un eventuale anticipo delle iscrizioni delle/dei bambine/i alle scuole dell’infanzia ed elementari.

M: sono argomenti che trovano una risposta da soli nei successi ottenuti dagli ordini di scuola a cui fa riferimento la sua domanda: non vorrei mai e poi mai "toccare" ciò che funziona egregiamente così com’è, non avrebbe senso demolire esperienze in atto e non ancora concluse come la riforma dei moduli alle elementari e altrettanto dico per il tempo pieno che offre un servizio di alto livello e professionalità che vede la collaborazione e la presa di responsabilità quotidiana e condivisa di team docenti che conoscono e seguono insieme costantemente le/i bambine/i. Per ciò che riguarda l’anticipo, credo che non ci si possa assumere la responsabilità di mandare a scuola bambine/i troppo piccole/i senza garantire spazi, tempi, personale aggiunto e "strutture fisiche". Inoltre credo fermamente che l’infanzia vada preservata dalla "fretta" adulta di arrivare chi sa dove pur di arrivare! Costruire percorsi didattici validi e rispettosi delle diversità è un’impresa difficilissima (che pochi conoscono e apprezzano) anche ora, figuriamoci cosa succederebbe in classi colme di bambine/i piccolissime/i e di diverse fasce di età!! Se si vogliono fare uscire i giovani a 18 anni di età dal percorso scolastico (sull’utilità di tale scelta non sono d’accordo), non si deve toccare l’infanzia! Comunque le ripeto che la qualità della scuola si fa non con i "numeri" dell’età, ma con i numeri delle risorse da impegnare, con quelli delle/degli alunni per classe, con le modalità d’insegnamento adeguate ai tempi e agli stili d’apprendimento…

I: e come la mettiamo con la differenziazione degli stipendi delle/degli insegnanti in base al merito?

M: non credo proprio che ciò potrebbe funzionare nella scuola: io sono stata un’insegnante e ho notato che non esiste docente che non valuti positivamente il proprio lavoro, forse come fa ogni genitore che quando agisce crede di farlo per il meglio! Il problema della qualità della scuola non va affrontato in questi termini, ma in quelli di cui dicevo prima: anche fra docenti si dovrebbero incentivare il più possibile la ricerca cooperativa, l’aggiornamento, la riflessione pedagogica, la possibilità di lavorare per aree disciplinari fuori dalle classi scambiandosi vedute, materiali, relazionando e mostrando, non per perdere la propria "identità", la propria esperienza, libertà, bensì per rafforzarle con il contributo di altre "voci", per farle divenire patrimonio pubblico anche rivolto ad insegnanti di prima nomina. Allora una riforma dovrebbe prevedere, insieme con il contratto, spazi e tempi reali per il confronto didattico, metodologico, pedagogico anche fra insegnanti di ordini di scuola diversi. Così si evidenzierebbero naturalmente le eccellenze, ci sarebbe contaminazione fra docente e docente, ci si "conoscerebbe" finalmente nell’arco di tutto l’anno fra ordini di scuole diversi, si "tirerebbero" eventuali insegnanti demotivati, ecc…Mi dica, quale altro modo per dare qualità all’insegnamento di tutte/i se non questo? Lei pensa che differenziando gli stipendi, le/gli eventuali demotivate/i scomparirebbero? Lei crede in tutta sincerità che ci sarebbe una spinta al cambiamento reale senza collaborazione e con la competizione?
Nella scuola le/gli insegnanti dovrebbero spendersi per l’insegnamento e per trovare sempre strade nuove per aiutare la crescita di ognuna/o; chi si occupa di organizzazione non dovrebbe essere un insegnante, dovrebbe essere qualcuna/o con un ruolo distinto ed essere pagata/o per questo ruolo importante, ma distinto e, mi consenta, "un tantino" meno importante di chi si spende per gli esseri umani che ha "in tutela". La confusione dei ruoli non mi è mai stata gradita e mi sembra che in molti casi abbia deluso le aspettative sia della conduzione delle classi, sia dell’ organizzazione della scuola, non per incompetenza delle persone, bensì per la sopravvalutazione delle proprie forze e la sottovalutazione della durezza del lavoro nelle classi!

Claudia Fanti (maestra elementare)

Fo, 28 maggio 2002


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