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L’INTERVISTA IMPOSSIBILE Alcuni anni fa c’era una trasmissione radiofonica che si basava su fantastiche interviste a famosi personaggi storici dell’antico passato della nostra cultura letteraria, artistica, scientifica, ecc… L’intervistatore poneva domande; un attore entrava nel personaggio in questione e tentava risposte per spiegare l’ "immagine del mondo" dell’intervistato… A me, invece, è venuto in mente di fingere un’intervista assolutamente fantastica a un possibile Ministro della scuola che molte/i di noi vorrebbero, a un Ministro che (come ormai siamo convinte/i) nella realtà non si troverà mai. In mancanza di ciò, non rimane altro che sognare! (per comodità, lo chiamerò "I") Signor Ministro, qual è l’idea di scuola che La guida nella Sua opera riformatrice? INTERVISTATA (sempre per comodità, la chiamerò "M") Un’ idea? No, non è un’idea, è qualcosa di più forte e alto, è una speranza, è un ricercare continuo, insieme con le/gli insegnanti, una strada per trovare risposte concrete ai bisogni di tutte/i le/i cittadine/i. I: queste sono parole, si spieghi meglio in modo che tutti possano capire. M: sì, ha ragione, le parole avulse da un contesto non
arrivano al cuore e alla mente: non se ne può più di parole. Allora,
le dirò subito che io vengo dall’insegnamento: ho provato tutti gli
ordini di scuola e, nonostante ciò, ne ho soltanto appena intraviste
le necessità, le storture, i punti di forza e quelli di debolezza.
Inoltre provengo da una famiglia di quelle definite difficili per
molti motivi di cui non vorrei parlare, ma ho conosciuto la vita molto
presto, mi sono dovuta arrangiare e lottare contro il pregiudizio. I: cosa intende per valutare in modo formativo le tappe…? M: intendo dire che la valutazione dovrebbe informare famiglie
e alunne/i non tanto dei risultati, bensì dei percorsi mentali, delle
abilità conoscitive attivate, dei ragionamenti, della costruzione
delle modalità con cui si è giunti a risultati condivisi, dello
scambio continuo di opinioni e stili d’apprendimento nell’azione-reazione
dentro situazioni d’apprendimento che vedano le/gli alunne/i in
attività che le/li coinvolgano sempre in prima persona nelle
scoperte. Una valutazione dovrebbe tener conto del fatto che ogni
scoperta fatta all’interno delle discipline non è per sempre. Anzi
è rivedibile se confrontata con la realtà e le realtà scientifiche
contingenti: nulla è certo, e l’errore è una risorsa, non una
vergogna! Senta, perfino le "leggi"matematiche sono sempre
rivedibili, non parliamo poi della grammatica, della storia, della
geografia, della filosofia e via dicendo! I: ma com’è possibile una scuola senza "voti"?! La responsabilità del giudizio qualcuno dovrà prendersela! M: certamente, ma non per misurare, bensì per stimolare a fare meglio insieme e individualmente. Lavorare in team è una sfida complicata se gestita in modo serio ed è il passaporto per il futuro di ogni scelta lavorativa. La coppia, il gruppo, la collettività inducono al risveglio della coscienza, ti chiamano in causa costantemente, ti mettono alla prova, ti danno idee per provare e riprovare. La nostra scuola finora è stata costretta (dopo ne vedremo i motivi) a basarsi molto sulla volontà individuale, sulle risorse personali e familiari, sullo studio a casa, così le volontà deboli, le persone sole, chi non aveva una famiglia alle spalle è "fuggita/o" dalla scuola con la sensazione che non facesse per lei/lui. I: quindi Lei incolpa la lezione frontale, il compito in classe, la verifica, i test, di molta parte dei fallimenti del nostro sistema! M: io credo che non ci possa essere vera crescita culturale
individuale se non si prevedono molti momenti cooperativi; io credo
che la democrazia, la solidarietà, la libertà nel suo significato
più alto,non si possano insegnare, ma si debbano conquistare
mettendosi continuamente alla prova nel rapporto con le/gli altre/i e
che la scuola debba spingere in questa direzione cooperativa tutte/i
togliendo l’illusione di poter costruire qualcosa di valido e
duraturo in solitudine. (Veniamo ai motivi di costrizione o quasi del
non rinnovamento di cui abbiamo detto prima). Logicamente per
intraprendere in modo serio e produttivo un percorso di questo tipo
occorrerebbe diminuire il numero di materie, non aumentarlo, nella
consapevolezza che ci sono nella scuola dei limiti di tempo concreti:
se non tenuti in considerazione, si rischia di spezzettare il sapere
nei suoi mille rivoli. Faccio un esempio: si potrebbero affrontare
tematiche ambientali o artistiche o musicali dentro una visione ampia
di ciò che è lo studio delle scienze, dell’italiano, della storia,
ecc…senza istituire l’ora di questa o quella materia, ciò pur
avendo in servizio insegnanti di musica, di ambiente, di arte… La
contemporaneità va studiata e incentivata, perché diventa
possibilità di ricerca trasversale fra docenti e occasione di puntare
uno "sguardo incrociato" sui problemi, le difficoltà, le
predilezioni delle/dei ragazze/i. Comunque è assolutamente necessario
diminuire il numero di ragazze/i per classe per dar modo a tutte/i di
poter essere protagoniste/i e costruttori dei propri apprendimenti,
per dar modo alle/agli insegnanti di seguire i loro percorsi, le
strategie, gli stili d’apprendimento di ognuna/o, per orientare e
scoprire insieme le predilezioni e le difficoltà… I: per favore, spieghi meglio cosa significa meno materie. M: significa che non importa dividere la giornata in ore rigide
di cattedra. Vuol dire che l’insegnante di musica può lavorare
nella classe con quella/o di lettere per stimolare alla riflessione su
temi trasversali, che la/il docente di storia può collaborare con
quella/o di greco, che l’insegnante di matematica può seguire
le/gli ragazze/i mentre lavorano intorno a una "catena
produttiva" in laboratorio e via dicendo. Bisogna aver fiducia
nelle persone. Se si dà molto, si ottiene molto. Se si dicesse ( all’inizio
progettando orari e modalità ancora inesplorate):<< Lavorate
insieme! Fate ricerca con i piccoli gruppi classe che vi sono
assegnati!>> sono sicura che nelle/nei nostre/i insegnanti ci
sarebbe un entusiasmo nuovo, uno slancio mai conosciuto prima. D’altra
parte non inventiamo niente di speciale, ci sono esperienze già in
atto che vanno tenute in grande considerazione: una Riforma che si
rispetti e che voglia essere condivisa DEVE assolutamente tener conto
di ciò che è già stato sperimentato positivamente da chi la scuola
la vive giorno per giorno. Nessun ministero può fingere che le/gli
insegnanti siano stati fermi in tutti questi anni e che l’autonomia
non sia mai esistita! I: sopravvivenza culturale? M: sì, guardi che il primo problema è quello della lingua madre: lei saprà che uno dei problemi più gravi è quello dell’espressione e della correttezza linguistica oltre a quello della presa di coscienza dei propri vissuti e della comunicazione di essi. Ebbene, io credo in una scuola che, a partire da quella dell’infanzia, dia tempo per questo e il tempo si comporta come una coperta troppo stretta e corta: se la tiri per coprire una parte, se ne scopre un’altra! Non vorrei che si scoprisse quella della padronanza della lingua italiana, perché essa rende liberi e forti e se appresa nei modi di cui parlavo prima, cioè costruita insieme, diventa la base di tutti gli altri apprendimenti. Per cui va bene insistere sull’importanza di arte, musica, ambiente, inglese, informatica, ecc…, ma non sottraendo ore alla lingua madre, alla matematica, alla storia che permette di riscoprire le radici, alla geografia che permette di contestualizzare le"radici" e di sapere dove mi trovo e perché mi ci trovo, alle scienze in generale che consentono di avere una visione critica del mondo e delle scoperte umane… I: ma allora lei non vuole dare ascolto alle richieste del mondo industriale, del mondo del lavoro! M: no, al contrario, io voglio che le/i ragazze/i siano pronte/i alla sfida del lavoro, ma in modo critico, costruito dalle loro intelligenze rese consapevoli dal continuo lavorio per addivenire a scoperte autonome, voglio che possano scegliere in base alle loro potenzialità di cui esse/i siano diventate/i le/i padrone/i nel corso di una scuola di base solida, serena, valutante sì, ma per stimolare, non per castrare. I: sì, va bene, ma i percorsi delle scuole superiori dovranno essere pure differenziati! M: bisogna rendersi conto che la scuola superiore è quella
più delicata e importante: gli adolescenti, il loro male di vivere,
le pressioni delle famiglie sul futuro delle/dei figlie/i, le
pressioni della società, del lavoro, ecc…Eppure noi sappiamo quanto
siano fragili le/i nostre/i figlie/i. Allora credo che anche in quest’ordine
di scuole, ci sia bisogno di "sguardi adulti" attenti nelle
scelte didattiche e metodologiche, nella scelta di percorsi: per cui,
penso che avvicinare le/i giovani ai nuovi modi di produzione e all’economia
sia importante, ma ancora una volta non la faccenda più importante;
io credo che primariamente vadano incentivati la ricerca delle proprie
radici culturali, lo sguardo critico su ciò che è stato, la
riflessione su cosa potrebbe essere il futuro anche industriale.
Imparare a usare le macchine, a conoscere la produzione, i materiali,
le tecnologie non credo siano compiti primari della scuola. Penso che
in ultima analisi gli "adulti imprenditori" possano farsi
carico dell’addestramento e "perdere tempo" per
"istruire" le/i giovani che vorranno entrare nell’industria. I: vorrei conoscere la Sua posizione sul tempo pieno e sui moduli della scuola elementare e anche su un eventuale anticipo delle iscrizioni delle/dei bambine/i alle scuole dell’infanzia ed elementari. M: sono argomenti che trovano una risposta da soli nei successi ottenuti dagli ordini di scuola a cui fa riferimento la sua domanda: non vorrei mai e poi mai "toccare" ciò che funziona egregiamente così com’è, non avrebbe senso demolire esperienze in atto e non ancora concluse come la riforma dei moduli alle elementari e altrettanto dico per il tempo pieno che offre un servizio di alto livello e professionalità che vede la collaborazione e la presa di responsabilità quotidiana e condivisa di team docenti che conoscono e seguono insieme costantemente le/i bambine/i. Per ciò che riguarda l’anticipo, credo che non ci si possa assumere la responsabilità di mandare a scuola bambine/i troppo piccole/i senza garantire spazi, tempi, personale aggiunto e "strutture fisiche". Inoltre credo fermamente che l’infanzia vada preservata dalla "fretta" adulta di arrivare chi sa dove pur di arrivare! Costruire percorsi didattici validi e rispettosi delle diversità è un’impresa difficilissima (che pochi conoscono e apprezzano) anche ora, figuriamoci cosa succederebbe in classi colme di bambine/i piccolissime/i e di diverse fasce di età!! Se si vogliono fare uscire i giovani a 18 anni di età dal percorso scolastico (sull’utilità di tale scelta non sono d’accordo), non si deve toccare l’infanzia! Comunque le ripeto che la qualità della scuola si fa non con i "numeri" dell’età, ma con i numeri delle risorse da impegnare, con quelli delle/degli alunni per classe, con le modalità d’insegnamento adeguate ai tempi e agli stili d’apprendimento… I: e come la mettiamo con la differenziazione degli stipendi delle/degli insegnanti in base al merito? M: non credo proprio che ciò potrebbe funzionare nella scuola:
io sono stata un’insegnante e ho notato che non esiste docente che
non valuti positivamente il proprio lavoro, forse come fa ogni
genitore che quando agisce crede di farlo per il meglio! Il problema
della qualità della scuola non va affrontato in questi termini, ma in
quelli di cui dicevo prima: anche fra docenti si dovrebbero
incentivare il più possibile la ricerca cooperativa, l’aggiornamento,
la riflessione pedagogica, la possibilità di lavorare per aree
disciplinari fuori dalle classi scambiandosi vedute, materiali,
relazionando e mostrando, non per perdere la propria
"identità", la propria esperienza, libertà, bensì per
rafforzarle con il contributo di altre "voci", per farle
divenire patrimonio pubblico anche rivolto ad insegnanti di prima
nomina. Allora una riforma dovrebbe prevedere, insieme con il
contratto, spazi e tempi reali per il confronto didattico,
metodologico, pedagogico anche fra insegnanti di ordini di scuola
diversi. Così si evidenzierebbero naturalmente le eccellenze, ci
sarebbe contaminazione fra docente e docente, ci si
"conoscerebbe" finalmente nell’arco di tutto l’anno fra
ordini di scuole diversi, si "tirerebbero" eventuali
insegnanti demotivati, ecc…Mi dica, quale altro modo per dare
qualità all’insegnamento di tutte/i se non questo? Lei pensa che
differenziando gli stipendi, le/gli eventuali demotivate/i
scomparirebbero? Lei crede in tutta sincerità che ci sarebbe una
spinta al cambiamento reale senza collaborazione e con la
competizione? Claudia Fanti (maestra elementare) Fo, 28 maggio 2002 |
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