|
|
Incubo di Cosimo De Nitto Vorrei svegliarmi da un cattivo sogno che ormai è
divenuto un incubo. Vorrei svegliarmi in un paese normale in cui le cose,
le persone, le istituzioni, i comportamenti sociali possano essere
chiamati col loro nome. In un paese in cui quando si parla di scuola si
intende soprattutto dell'apprendere e dell'insegnare, dell'educazione e
della formazione, di pedagogia e di didattica, di conoscenze e
competenze, di decondizionamento e integrazione, di contenuti, saperi e
istruzione. E invece da anni, da troppi anni, la parola scuola è
ormai divenuta sinonimo di economia, tagli all'occupazione e alle spese
necessarie di funzionamento, spreco. Da anni siamo perseguitati
dall'incubo che si manifesta sotto forma di teorema: la cultura è un
peso economico, non si può nemmeno mangiare; se si tagliano i fondi
aumenta l'efficienza, se si sopprimono posti di lavoro aumenta il
merito, per premiare pochi occorre sottrarre ai molti, se aumentano gli
alunni per classe si insegna e si apprende meglio, se i
docenti e dirigenti li si riduce al silenzio possono insegnare meglio
l'esercizio critico della mente e il senso della cittadinanza attiva e
democratica alle giovani generazioni. E la misurazione (di che, di cosa), presunta
oggettiva, soppianta la valutazione, colpevolmente soggettiva. Il
numero-voto col suo spessore di quantità, misurabilità, chiarezza
oggettiva(?) risolve i problemi della complessa difficoltà di descrivere
i processi di crescita dei piccoli allievi della primaria. Questionari,
test, quiz prendono il posto dell'esposizione, narrazione, espressione
verbale e non dei processi crescita. Vorrei svegliarmi in un paese
in cui la parola Riforma non sia
usata-abusata come un "idola fori" di
baconiana memoria o, peggio ancora, come un'arma per colpire un nemico,
ma per indicare un processo di miglioramento delle condizioni
organizzate di vita e di lavoro dei cives.
Una parola da usare con discrezione, poche volte
e per indicare grandi cambiamenti globali di
settori importanti del vivere comune. Vorrei svegliarmi in un paese
in cui l'attributo "storico" non si accompagnasse a vicende, eventi,
personaggi
che la Storia sicuramente metabolizzerà
e confinerà in una pietosa parentesi o
accidente. Vorrei svegliarmi in un paese normale in cui la più
alta forma di pedagogia è rappresentata dalla Politica e dalle
Istituzioni, con esempi concreti di vita morigerata, sobria, moderata da
offrire alle giovani generazioni come modello cui ispirarsi nel vivere
comune e individuale. Vorrei svegliarmi in un paese in cui una ragazzina di
18 anni frequenta l'ultimo anno delle superiori ed è intenta a costruire
la sua mente e la sua anima e non a come meglio vendere il proprio
corpo. Vorrei svegliarmi in un paese
in cui il conversare civile prende ad esempio la dignità degli operai di
Mirafiori con il loro drammatico ma composto discutere, anche quando è
in gioco la
vita loro e quella delle proprie famiglie.
Non del chiacchiericcio insulso, delle aggressioni verbali urlate, degli
insulti, della sguaiataggine dei tanti nani, ballerine, cortigiani
sapientemente condotti dai troppi maggiordomi del potere che
imperversano sui media, che producono un rumore tossico per le giovani
generazioni.
|
La pagina
- Educazione&Scuola©