NON C’E’ INNOVAZIONE SENZA
FORMAZIONE (obbligatoria!)
di
Pasquale D’Avolio
Sta tornando prepotentemente alla
ribalta negli ultimi tempi la questione dell’aggiornamento in servizio
dei docenti, che molti sostengono costituisca un diritto-dovere, ma che
pochi si azzardano a definire come un vero e proprio “obbligo”. Nella
risposta a un lettore che chiedeva lumi sul diritto-dovere
all’aggiornamento, su ITALIAOGGI del 18 marzo, l’esperto Di Gironimo
sostiene che il docente non è tenuto a partecipare alle iniziative di
aggiornamento deliberate dal Collegio docenti, qualora non abbia votato
a favore. A tal proposito richiama l’art. 24 del DPR 3/57. Ora a parte
il fatto che l’art. 24 parla di tutt’altro, vale a dire della
responsabilità “per violazione del diritto” del componente di “collegi
amministrativi deliberanti” .. e non si vede cosa c’entri con una
delibera del Collegio Docenti, è del tutto evidente che una delibera
del Collegio Docenti, seppure presa a maggioranza, vincoli tutti i
componenti alla sua esecuzione. Sarebbe davvero singolare che siano
tenuti a partecipare solo coloro che hanno votato a favore, a meno che
la stessa delibera non lo preveda espressamente. Qualora invece il
Collegio deliberi che quella tale iniziativa è fondamentale e che ad
essa debba partecipare l’intero Collegio, nessuno potrà sottrarsi. Lo
stabilisce persino una recente Sentenza del Consiglio di Stato, così
come riferisce l’Ispettore Cerini in un articolo apparso su “Notizie
della Scuola” dedicato all’argomento
Una settimana fa nel corso del Seminario nazionale svoltosi a Bari
nell’ambito delle iniziative del MPI sul tema “Indicazioni per
l’integrazione”, il gruppo coordinato dall’ispettore Iosa, al quale ho
partecipato, ha approvato un documento in cui si sollecita il Ministero
a introdurre l’obbligatorietà come elemento decisivo per avviare davvero
una nuova stagione nella scuola italiana.
Infine ho sottomano l’ultimo Documento dell’ANDIS Piemonte sulla
formazione dei docenti riguardo alle Indicazioni nazionali (“Perché i
nostri alunni risultano i più somari d’Europa?” sul sito
www.andispiemonte.it) che mi pare estremamente puntuale e chiaro
nell’indicazione di un obbligo da introdurre se non per via contrattuale
(vista la contrarietà delle OOSS) attraverso una precisa norma ad hoc. A
dire il vero tale norma esiste già, per le innovazioni di carattere
ordinamentale a livello nazionale, ma il Ministero non ha inteso
applicarla finora. Si rischia di perdere così una grande occasione per
introdurre nella Scuola italiana quelle innovazioni di carattere
metodologico-didattico, che sono le sole in grado di immettere elementi
di qualità nel sistema.
Non servono infatti né i bei documenti né i buoni propositi che
accompagnano di solito le recenti stagioni “riformistiche”, da
Berlinguer a Fioroni. Sappiamo tutti come si siano arenate le riforme
precedenti, sotto il fuoco incrociato di sindacati e forze restie a
qualsiasi cambiamento. Il nodo fondamentale, è inutile nasconderselo,
sta nella convinzione e nella partecipazione del corpo docente ai
processi di cambiamento reale, quelli che investono la pratica didattica
quotidiana.
Al di là delle frustrazioni e delle continue “giravolte” a cui abbiamo
assistito negli ultimi anni, che hanno potuto ingenerare atteggiamenti
di sfiducia e immobilismo anche nei più motivati, credo non si vada
lontani dal vero affermando che la gran parte della categoria (docenti e
dirigenti) non abbia poi tanto desiderio di cambiare. E perché
dovrebbero cambiare? Tutto sommato a star fermi non si fa danno e
soprattutto non si è costretti a impegnarsi più di tanto. Se facessimo
una indagine seria tra i docenti dei Licei, ad esempio, forse
scopriremmo che l’impianto tradizionale dei programmi risalenti in gran
parte a Gentile, nonché le modalità didattiche di trasmissione del
sapere (la classica “lezione-compiti a casa-interrogazione-voto” )
vengono considerati tutto sommato validi ancora nel 2008! E allora
l’affossamento della riforma Berlinguer come quella della Moratti non
hanno scomposto più di tanto le schiere dei docenti, a parte qualche
drappello di “contestatori” dell’uno e dell’altra schieramento. Il gran
movimento nell’ordine tecnico e professionale si spiega con l’interesse
a parare i danni di una licealizzazione spinta, che ha messo in crisi
questi istituti negli ultimi anni.
Tornando alle “Indicazioni” e al sostanziale immobilismo che si
riscontra alla base (ora che poi è caduto il Governo e si attendono
nuovi inquilini a palazzo Trastevere è ancora più giustificata
l’”attesa”) è indubbio che molte colpe stiano nei vertici nazionali e
regionali. Delle famose misure di accompagnamento previste nella
Direttiva del 3 Agosto 2007 e dei 36 milioni previsti per la formazione,
si sa che sono stati assegnati a novembre i fondi alle Direzioni
regionali, che queste hanno costituito gruppi di lavoro e che, al di là
di riunioni ristrette dei “prescelti” (dove sono avvenute, perché ad
esempio in Friuli neanche questo è stato fatto) nulla è pervenuto alle
scuole, anche nel “Rapporto di attività” del Ministero nel mese di
gennaio si parla di seminari regionali, costituzione di reti, di
“sondaggi telefonici” (sic!) alle scuole e via dicendo. Nel frattempo si
sa solo che sono stati organizzati dei megaconvegni nazionali i cui
esiti non sono ancora noti, ma si sa che sono costati fior di migliaia
di euro. Le scuole, quelle più attente e motivate, hanno dovuto
“arrangiarsi” da sole o chiamare esperti delle associazioni a proprie
spese.
Detto questo occorre tuttavia che le associazioni professionali e
disciplinari facciano sentire forte la loro voce affinché le innovazioni
questa volta, qualunque sia l’esito elettorale, qualunque sia la sorte
delle Indicazioni, non passino sulla testa dei docenti e che, se si
vuole davvero cambiare questa scuola, l’investimento maggiore dovrà
essere rivolto nella formazione e nell’aggiornamento dei docenti, di
TUTTI I DOCENTI e non dei soliti volenterosi che poi si trovano a dover
combattere una battaglia improba nei Collegi per spingere i colleghi a
partecipare alla formazione.
Non si può non concordare con l’ANDIS piemontese che “problema centrale
per la riqualificazione della nostra scuola (è) la formazione
degli insegnanti non come dato volontaristico e occasionale, bensì come
dimensione irrinunciabile e costitutiva della professionalità docente,
unitamente alla ridefinizione di un “tempo certo” di servizio”.
Giustamente nel documento si fa notare come una gran parte dei docenti
sia all’oscuro delle innovazioni sul piano della didattica provenienti
dal cognitivismo e dal costruttivismo. Io direi che a una gran parte dei
docenti della secondaria siano ignoti persino Dewey, Piaget e Bruner.
Altro che Gardner e Feuerstein o Goleman!
Nelle "Nuove Indicazioni" la questione metodologico-didattica è trattata
in un paragrafo alquanto contenuto, laddove si parla di “ambienti di
apprendimento”. Ma è lì il vero cuore del problema e se non si parte da
lì i nuovi curricoli o gli obiettivi di apprendimento non hanno alcun
senso. Resta la vecchia didattica del libro di testo, della spiegazione
in classe con connessi rifiuto o “noia” da parte dei discenti per
arrivare quindi all’abbandono.
Certo la didattica non è tutto, lo sappiamo, ma, se si eccettua la
scuola elementare, quanti corsi di formazione trattano tali argomenti?
Si parla di laboratorialità, di “saper fare”, di contestualizzazione
degli apprendimenti; ma quanti sono nelle condizioni di attuare un vero
insegnamento laboratoriale?
Qui non si tratta di imporre una nuova didattica di Stato (come poteva
apparire in fondo quella della scorsa legislatura), ma anche le "unità
di apprendimento" potevano costituire un terreno fertile di confronto e
di avanzamento per la classe insegnante. Quando nella primavera del 2003
fu proposto un Piano nazionale di formazione con un timido tentativo di
renderlo obbligatorio (nota del 10 aprile 2003 contenente le Linee
guida), i docenti, appoggiati dalle OOSS, insorsero e il Ministro
dovette fare marcia indietro (Comunicazione di servizio del 5 giugno
succcessivo).
Sappiamo come si è riusciti a smontare la proposta di un Codice
deontologico e di un nuovo stato giuridico, per paura che introducesse
doveri non “contrattabili”; sappiamo come da almeno tre Contratti si
parla di superare l’appiattimento della funzione docente e .. poi non
c’è mai il modo di realizzare una carriera docente!.
Almeno su questo punto dell’aggiornamento obbligatorio nei modi da
definire, il nuovo Ministro dovrà impegnarsi.
Purtroppo non c’è traccia di questo
impegno nei documenti apparsi in questi giorni da parte del gruppo del
“Buonsenso” o di quello che insiste sul “merito nella Scuola” |