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Insegnanti e apprendimento di STEFANO STEFANEL Il Ministro dell’Istruzione Mariastella Gelmini ha deciso di affrontare i gravi problemi della scuola tenendosi per ora molto lontana dal problema principale sotto gli occhi di tutti: il rapporto tra gli insegnanti e l’apprendimento degli alunni. Esami di riparazione, grembiulino, 7 in condotta, parità scolastica sono questioni che hanno una forte attinenza con la scuola, ma che stanno lontane dal centro della questione. Il perché è molto semplice: si tratta di decidere da che parte cominciare, se cioè prendere sul serio il sistema scolastico e i suoi problemi o affrontare problemi marginali per non arrivare allo scontro con la classe insegnante. Benedetto Vertecchi su Tuttoscuola n° 483 del maggio 2008 ha scritto: “non ci si può limitare a spiegare i risultati che si conseguono sulla base di una semplice relazione di causa-effetto che collega l’attività degli insegnanti agli apprendimenti conseguiti dagli allievi”. Inoltre, secondo Vertecchi, per screditare gli insegnanti “saremo posti di fronte alle consuete, aberranti utilizzazioni dei dati contenuti in Education at Glance (l’annuario dell’Ocse sull’educazione) o dei risultati delle rilevazioni Pisa”. Sono d’accordo che non c’è nulla di peggio che un uso strumentale delle rilevazioni Ocse-Pisa, ma i risultati sono pubblici e sotto gli occhi di tutti, anche quelli scorporati per Regioni che collocano il Friuli Venezia Giulia e Trento nell’empireo e il Sud Italia nei gironi infernali. Una domanda interessante penso possa essere questa: “Quanti dirigenti scolastici leggono annualmente Education at Glance (Uno sguardo sull’educazione), anche nella sua forma ridotta pubblicata annualmente dall’editore Armando e dal Miur?”. E poi sarebbe interessante conoscere la risposta ad una seconda domanda: “Quanti insegnanti italiani sanno che esiste Education at Glance?”. Sono due comande non da poco, perché prima di fare un uso distorto o corretto dei dati internazionali è il caso di accertarsi se questi dati sono perlomeno conosciuti. Io ritengo che ci sia una percentuale bassa per la prima risposta e insignificante per la seconda. Il volume pubblicato dal Miur viene inviato in copia omaggio a tutele scuole italiane, ma non mi pare sia una lettura frequentemente citata. Nell’edizione ridotta di Uno sguardo sull’educazione del 2006 c’è scritto a pagina 21: “La valutazione PISA rivela che l’ambiente sociale svolge, nel determinare la prestazione di uno studente in paesi come la Germania, la Francia e l’Italia, un ruolo anche maggiore che negli Stati Uniti”. Nell’edizione ridotta di Uno sguardo sull’educazione del 2007 c’è scritto a pagina 314 come “agli insegnanti sia richiesto un numero di ore di lezione piuttosto basso, a fronte di un tempo-scuola per gli alunni molto esteso” e a pagina 319 che “gli alunni stanno a scuola molte ore e i docenti hanno un orario di cattedra relativamente limitato. In queste condizioni quindi il sistema ha bisogno di un numero rilevante di insegnanti per svolgere i compiti che si è prefissato.” I dati Ocse poi dicono anche un’altra incontrovertibile cosa: siamo il Paese che ha il più lungo tempo scuola dell’Ocse dopo l’Olanda e quello che nel complesso ha risultati catastrofici. Dire che in tutto questo gli insegnanti non c’entrano è dire troppo. Dire che c’entrano i Dirigenti è dire l’ovvio, anche se a loro discolpa i Dirigenti possono dire che devono occuparsi dei contratti dei collaboratori scolastici, della sicurezza sul posto di lavoro, della privacy, dei sindacati, delle graduatorie e di tante altre cose che il Ministero ha scaricato sulle scuole senza porsi problemi di tenuta del sistema. Una questione preliminare da dirimere è se la scuola italiana ha come scopo principale l’apprendimento degli studenti o l’occupazione di manodopera intellettuale. Perché su ciò che è primario si fissano gli obiettivi del sistema. Ha scritto Luigi Berlinguer sul “Corriere della sera” del 1 agosto 2008 parlando della scuola italiana: “la lezione ex cattedra resta il metodo dominante, sparito quasi ovunque nei Paesi evoluti” e “la nostra scuola, invece, quella della inossidabile lezione frontale, ha criminalmente cancellato l’arte praticata, la creatività”. Tutto questo secondo Berlinguer ha mandato in crisi il rapporto tra insegnante e apprendimento degli alunni: “l’autorevolezza perduta non si ripristina con un’autorità impotente, bensì adeguandosi ai tempi, per la scuola di tutti e dei migliori, per il merito di tutti e dei migliori. Il sapere non è un’erogazione ma una conquista. I giovani lo capiscono”. Tra il “giustificazionismo” di Vertecchi e il “giustizialismo” di Berlinguer i dati danno ragione al secondo. Se ci si tiene lontani dal problema docente ci si dimentica come i docenti italiani negli ultimi dieci anni si sono distinti soprattutto per ciò che non hanno permesso di attuare: il concorsone di Berlinguer e la Riforma Moratti. Probabilmente entrambe le cose avevano più lati negativi che positivi, ma l’esito di quelle battaglie lo vediamo tutti i giorni e l’Ocse Pisa lo vede con noi. I sindacati parlano di tagli agli organici, tutto il Mondo ci contesta il rapporto tra tempo scuola degli alunni (dilatato e dunque inefficace) e orario di servizio dei docenti (stretto tra rigidità e mansionari). L’apprendimento non nasce solo a scuola, ma l’insegnante lo deve perseguire: troppo spesso, invece, persegue dell’altro. La scuola italiana da troppi anni fa leva su quel nucleo di grandi docenti capaci da soli di reggere una scuola o una classe: ma questi docenti stanno finendo, i giovani vivono la scuola come un lavoro, non come una professione (in tedesco Beruf, da Rufen, chiamare) e questo lo si comincia a percepire a livello di sistema. Stanno finendo i grandi insegnanti trascinatori ed entusiasti e con gli impiegati di apprendimento ce ne sarà poco. |
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