Insegnare per emancipare,
insegnare per una società solidale
CONTRIBUTO DELLO GFEN AL FORUM DI PORTO ALEGRE, 2003
martedì 24 décembre 2002
di
Odette Bassis
Traduzione a cura di
Paola Capozzi
Il diritto all'istruzione e alla sua
attuazione in qualità di istruzione pubblica per tutti, rappresenta
una esigenza prioritaria. Ma è anche molto urgente interrogarsi su
quale scuola, per quale società, per quali finalità. Perchè la scuola,
in tutti i paesi in cui si è sviluppata, se è stata portatrice di una
reale massificazione scolastica, non ha avuto come effetto evidente
quello di formare a comportamenti ed a pratiche democratiche. Troppo
spesso vincolata a forme limitate di pensiero o, là dove
l'indiscutibile evidenza dei fatti è legge, a contenuti scientifici e
culturali concepiti più come prodotti finiti che nelle loro rotture
creatrici, la scuola ha espulso dalle sue pratiche d'apprendimento
l'esercizio di una funzione critica esigente e nello stesso tempo
quello di un'immaginazione creativa. Essa non ha lasciato spazio ad
una strada cooperativa e partecipativa, in classe come a scuola, nè a
progetti realmente elaborati e portati avanti dagli alunni, aperti al
mondo sociale. Così facendo la scuola non ha preparata il terreno, nei
contenuti come nei metodi, per una formazione reale ad una democrazia
in divenire.
Una sfida immane si pone oggi su fronte dello sviluppo su scala
mondiale di un neoliberismo che sappia anche impadronirsi del
« capitale immateriale, invisibile »,
rappresentato dal potenziale umano d'intelligenza, di competenza e di
cratività da mettere al servizio del profitto attraverso la mediazione
dello sviluppo e dalla concorrenza d'impresa. Così, per il « Knowledge
Management », l'avvenire dell'espansione dell'economia di mercato è
legata alla sfida di una produzione in grado di assicurare, d'ora in
poi, il passaggio « dalla manodopera al cervello
d'opera ». Una mercificazione che non è più soltanto quella delle
mani e della forza fisica, ma quella della testa e del potenziale
creativo di ciascuno. Da cui un dispiegamento di pratiche di
formazione (che si vogliono attive e costruttive), di attuazione di
progetti che s'impadroniscono di ogni competenza e intelligenza,
addirittura di un « mutualismo », per la più
grande accumulazione dei profitti. Con l'accompagnarsi di divieti,
soprattutto sul piano sociale, mascherati dietro libertà saggiamente
« gestite ».
A fronte di questo, troppo spesso la scuola pubblica si appiattisce su
forme di taylorizzazione di cui Paulo Freire è stato tra coloro che
hanno denunciato le devastazioni, con la sua messa sotto accusa de «
la concezione bancaria dell'istruzione ». Taylorizzazione dei
contenuti d'insegnamento in discipline compartimentate,
taylorizzazione delle pratiche d'insegnamento che, sotto la coperta di
una trasmissione collettiva non si indirizzano, infatti, che a
individui isolati e taylorizzazione di una valutazione con finalità
classificative e di gerarchizzazione. Taylorizzazione che si traduce
in un beaviorismo dei procedimenti di apprendimento diventati
dominanti. Si pone una grossa domanda: : ci si può ormai accontentare
di un'istruzione ispirata da un modello di società industriale nel
quale i modi di trasmissione rimangono connessi all'espansione del
mercato e al consumo che lo accompagna ? Si può accettare di
riprodurre delle forme educative che perpetuano, nei fatti, il dominio
di una società liberale? ?
Che ciò avvenga nelle imprese o a scuola, attraverso le forme odierne
di sfruttamento dell'intelligenza o, troppo spesso, attraverso la
messa al bando dell'intelligenza, nell'uno come nell'altro caso e
sotto sfide differenti, è comunque assente l'esercizio di una funzione
critica e sono segnatamente evitati l'esame dei problemi economici e
sociali ad essere tra i problemi più cruciali del nostro mondo
attuale. Qui Pierre Bourdieu ci aveva messo in guardia da parecchio,
su ciò che denunciava come « violenza simbolica»,
ovvero questo arbitrio di significati culturali trasmessi
nell'implicito delle pratiche legate al « lavoro
pedagogico ». Bourdieu aveva alzato il velo delle relazioni
recondite tra la pseudo-neutralità dei contenuti prescritti e la
realtà dei loro effetti alienanti, attraverso pratiche in uso. Il
tutto insieme ai rischi di una riproduzione mascherata e in definitiva
accettata dalla società locale.
Avere il coraggio di tali analisi si rivela oggi di grande urgenza,
evitando tuttavia il rischio di determinismi fatalistici. Perchè i
cambiamenti, se sono essenziali, non possono generare spontaneamente
delle trasformazioni in campo educativo se non sono sostenuti da una
consapevole sfogo di forze emancipatrici. Ora, di tali forze ne
esistono già, in relazione diretta alle difficoltà, alle
contraddizioni e alle alienazione del terreno.
Così è nel caso della Nuova Istruzione, che alimenta le sue ricerche
sulle forze progressiste in movimento, sulla rincorsa di una lunga
filiazione storica negata all'indomani della prima guerra mondiale.
Un'educazione alle forti finalità dell'uguaglianza e della
fratellanza, della libertà e della responsabilità, collegata alle
realtà senza concessione al quotidiano; quindi, un'istruzione sempre
alla ricerca, un'istruzione sempre nuova. Ma un'istruzione che abbia
già al suo attivo pratiche e teorizzazioni di rottura, che riguardino
un altro approccio ai saperi scolastici e al vissuto istituzionale
corrente, legato a pratiche di costruzione di sapere, ad ateliers di
creazione, a modi di vita solidali e a progetti aperti sul mondo
attuale. Pratiche che spesso sono tenute al margine dalle istituzioni
ufficiali e vengono tuttavia, dopo lungo tempo, portate e messe in
atto su terreni multipli.
Formare e formarsi alla capacità di trasformare, mettere in risalto
gli interrogativi e l'esperienza della Nuova Istruzione tra paesi,
questa è la sfida del LIEN (Lien International d'Education Nouvelle)
di cui il GFEN (Groupe Français d'Education Nouvelle) è parte
integrante.
Questo secondo Forum Mondiale dell'Istruzione di Porto Alegre è
sicuramente un grande momento in cui la questione dell'istruzione può
trovare legittime ragioni per essere posta come questione etica e
politica. Perchè è in termini d'emancipazione che le trasformazioni
cui si approccia possono preparare l'avvenire. A condizione tuttavia
che di tali emancipazioni, più che individuali, siano conquiste
collettive e prendano corpo socialmente divenendo fattori di
emancipazioni solidali.
Paris, le 5 Novembre 2002
Odette Bassis
Présidente du GFEN
www.gfen.asso.fr
Articolo originale pubblicato da:
http://www.ecoledemocratique.levillage.org/article.php3?id_article=12