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La cultura dei bambini
nella Convenzione di Lanzarote
di Margherita Marzario
Abstract:
L’autrice traccia, con
un breve commento, il profilo culturale e giuridico ispiratore della
Convenzione europea di Lanzarote per la protezione dei minori contro lo
sfruttamento e l’abuso sessuale, evidenziandone portata, connotazioni e
limiti per la incompiuta attenzione nei confronti del bambino
considerato nella sua pienezza relazionale di persona.
1. Gli strumenti della prevenzione:
a) la cultura Il primo luglio 2010 è entrata in vigore, nei Paesi
che l’hanno ratificata, la Convenzione europea per la protezione dei
minori contro lo sfruttamento e l’abuso sessuale. Adottata a Lanzarote
(isola spagnola) dal Consiglio d’Europa nel Comitato dei ministri il 12
luglio 2007, aperta alla firma il 25 ottobre 2007 e sottoscritta
dall’Italia, che ha dato un grosso contributo alla stesura (ben 50
articoli), il 7 novembre dello stesso anno, è comunemente denominata
Convenzione di Lanzarote. La Convenzione, seppure con lacune, non rappresenta
solo una pietra miliare in materia di reati sessuali a danno dei minori,
ma fissa dei principi validi per tutto il diritto minorile e la cultura
minorile in generale. Un primo indice positivo si legge già nella Premessa
in cui si afferma: “il benessere e l’interesse superiore dei bambini
sono valori fondamentali condivisi da tutti gli Stati membri e devono
essere promossi senza alcuna discriminazione”. Premettendo il benessere
all’interesse superiore dei bambini si è dato un contenuto e un
obiettivo alla discussa clausola dell’interesse superiore; benessere
presente in più punti della Convenzione Internazionale sui Diritti
dell’Infanzia del 1989 e significativamente inserito nel titolo della
Carta africana sui diritti e il benessere del bambino del 1990.
Benessere che è il contrario di quel malessere principale causa e anche
conseguenza dello sfruttamento e dell’abuso sessuale; perché spesso gli
abusanti sono stati bambini abusati e si innesca così un circolo
vizioso. A differenza della Convenzione Internazionale del
1989, che rimarca l’aspetto della promozione (che guarda al futuro) o di
altri atti, internazionali e non, in cui si parla di prevenzione,
tutela, garanzia, la Convenzione di Lanzarote sin dal suo titolo ha
puntato l’attenzione sulla protezione che, etimologicamente e
letteralmente, ingloba gli altri aspetti summenzionati ed è più
confacente ai minori che, come qualcuno ha detto, non sono “figli di un
dio minore”, ma sono solo minori d’età, minorenni. Il loro è uno status
che, come tale, va salvaguardato; di status si parla espressamente e
giustamente in alcune traduzioni della Premessa della Convenzione (in
luogo del francese “condition”). “Considerato che l’umanità ha il dovere
di dare al fanciullo il meglio di se stessa” (dalla Premessa della
Dichiarazione dei diritti del bambino del 1959), “riconosciuto che il
fanciullo per il pieno ed armonioso sviluppo della sua personalità deve
crescere in un ambiente familiare, in un’atmosfera di felicità, amore e
comprensione” e data la priorità della salute e dello sviluppo
psicosociale dei bambini si deve lottare contro ogni forma di violenza e
anche di amore incestuoso (dal latino “incestum”, “in” = non e “castum”
= puro, innocente) nei confronti dei bambini soprattutto da parte di
quelle madri che adorano, idoleggiano i figli o in caso di separazioni
coniugali si ancorano ai figli causando loro danni psicologici. Tanto la Premessa quanto gli articoli, relativamente
agli interventi, ai programmi e alle sanzioni, postulano l’efficacia. In
realtà come prevenzione primaria l’efficacia dovrebbe qualificare ogni
intervento a favore dei bambini, a cominciare dagli interventi educativi
tanto che, oggi, si richiedono precipuamente genitori efficaci. Apprezzabile l’ampiezza del principio di non
discriminazione di cui all’art. 2
che fa riferimento ad ogni possibile condizione della vittima, tra cui
la disabilità e l’orientamento sessuale. Induce a riflettere che in una
fonte internazionale di diritto
minorile vi sia un riferimento
all’orientamento sessuale ove si pensi che,
giuridicamente, per la prima volta, s’è parlato di orientamento
ma solo in senso lato nell’art. 7
paragrafo 1 della Dichiarazione dei diritti del bambino del 1959, in cui
si distingueva l’orientamento dall’educazione. L’orientamento, autogeno
o esogeno, di una persona tende al processo di formazione di identità,
le cui disfunzioni possono portare una persona ad essere rea o vittima,
a seconda dei casi. Da notare che si parla di “persona” e non di
“soggetto” o “individuo”, infatti nell’art. 3 è definito “bambino
qualsiasi persona di età inferiore ai 18 anni”; non si dice “essere
umano” come nell’art. 1 della Convenzione di New York ma persona, perciò
con una dimensione relazionale (nella Convenzione di Lanzarote si parla
in ogni caso di persona e non solo in riferimento al bambino). Riprendendo il lessico della
Convenzione del 1989 si continua a parlare di bambino senza
distinzione tra fanciullo e adolescente, come invece si tende a fare
nella legislazione nazionale. Il legislatore europeo ha fatto questa
scelta per richiamare la massima attenzione e considerazione giuridica e
sociale sull’essere bambino che etimologicamente è “colui che balbetta,
non sa parlare”, deve imparare a parlare e, come tale, va rispettato e
va bandita ogni forma di adultizzazione o, al contrario, di puerilismo a
cominciare dall’ambito familiare principalmente nel linguaggio e negli
atteggiamenti.
b) la consapevolezza Intenso l’art. 5 già dalla rubrica “Assunzione,
formazione e istruzione delle persone che lavorano a contatto con i
bambini” (la formazione è, poi, nuovamente richiesta a tutte le
professioni legali nell’art. 36) a differenza dell’isolato e generico
riferimento alla qualificazione del personale contenuto
nell’art. 3 paragrafo 3 della Convenzione di New York. Le
locuzioni “persone” e “lavorare a contatto con i bambini” pongono
l'accento sull’aspetto relazionale e quindi anche spirituale
dell’operare con i bambini, riecheggiando il concorso al progresso
materiale e spirituale della società di cui all’art. 4 comma 2 della
nostra Costituzione. In quest’articolo, come nel resto dell’articolato,
si richiama l’espressione “sensibilizzazione” che è più
dell’informazione in quanto riguarda il sentire e quindi può essere
intesa come un’educazione sentimentale, cioè
educazione dei cinque sensi e dei cinque sentimenti. In una
“società affettiva” in cui si richiede l’educazione all’affettività
anche a scuola, è necessario superare l’affettività (ricordando che,
etimologicamente, “affetto” ha anche un significato negativo)
elaborandola in sentimento perché, altrimenti, si rischia un
analfabetismo affettivo generalizzato o addirittura l’anaffettività.
E si può arrivare a tragici fatti di cronaca, come nel caso della
ragazzina ripetutamente violentata dal baby-branco a Gravina di Puglia,
di cui i genitori non si erano accorti di alcun cambiamento o turbamento
e che ha avuto il coraggio (si può parlare di coraggio in famiglia che
dovrebbe essere basata sulla comunicazione e condivisione?) di
confessarlo ai suoi solo dopo la reiterazione. Sentimento, dunque,
inteso in senso letterale, come coscienza, consapevolezza di sé, della
propria esistenza, delle proprie azioni. Nella Convenzione in esame
“sensibilizzazione” è stata talvolta tradotta con “consapevolezza”. E’
consapevole (dal latino “cum” e “sapere”) chi insieme ad altri ha
contezza di qualcosa o che ha piena cognizione della cosa in discorso.
La consapevolezza del proprio valore non negoziabile di persona, in un
mondo dove tutto è merce, è quella che, oggi, manca, tanto che si
organizzano percorsi di consapevolezza che sarebbero necessari prima per
gli adulti e poi per i bambini ed insieme ai bambini. In tal senso nel
2010, nell’ambito del Programma “Costruire un’Europa per e con i
bambini”, per combattere la violenza sessuale sui minori è stata
lanciata dal Consiglio d’Europa (COE) la campagna “Uno su cinque” (“One
in five”, perché un bambino su cinque subisce abusi) con varie finalità,
tra cui contrastare la cultura del silenzio e della negazione ancora
così diffuse. Sempre nell’art. 5, tra i vari settori di vita del
bambino, sono richiamati lo sport, la cultura e il tempo libero, in
linea con l’art. 31 della Convenzione di New York in cui si stabilisce
il diritto del fanciullo a partecipare pienamente alla vita culturale e
artistica; quel “pienamente” impone che il bambino lo possa fare senza
alcun rischio. Inoltre l’aggettivo “culturale” richiama l’attenzione
sulla cultura in generale che è diventata l’anello debole della nostra
società e che, invece, è il vero fattore di sviluppo umano con cui
arginare l’apologia del sesso e l’abuso della tecnologia. Oltre alla sensibilizzazione di tutti, l’art. 6
“Educazione dei bambini” insiste nell’appello odierno all’educazione
anche in collaborazione con i genitori (il testo in francese è più
incisivo “en collaboration avec les parents”). Criticabili la locuzione
“se del caso” che dà un ruolo marginale ai genitori, aspetto biasimevole
in tutta la Convenzione, e l’aver limitato l’educazione all’informazione
trascurando la formazione. Il legislatore europeo ha dimenticato che
nell’art. 24 della Convenzione Internazionale del 1989 in materia di
salute dei bambini, alla lettera e, si richiamavano congiuntamente “in
particolare i genitori ed i fanciulli” e, alla lettera f, si prevedeva
espressamente l’educazione dei genitori. Nella rubrica dell’articolo non
si parla di educazione sessuale ma di educazione in senso lato e nel
testo si parla di “sessualità”, perché l’aggettivo sessuale avrebbe
indotto a pensare solo al sesso, invece la sessualità è più ampia,
infatti il primo riguarda tutti gli esseri viventi, la seconda più gli
esseri umani. La sessualità è una dimensione dell’identità e della
relazionalità di ogni persona, la cui repressione con tabù o la cui
esasperazione senza alcun pudore può stimolare la violenza. Bisognerebbe
proprio recuperare il pudore nel senso etimologico di “sentimento di
vergogna che induce avversione alle cose disoneste”. Per qualcuno
“pudico” ha la stessa origine del latino “puer”, bambino, per cui il
pudore indica il “sentimento di vergogna che nasce nel bambino quando si
avvicina all’adolescenza”. Dovremmo tutti approcciarci alla sessualità
come i bambini per i quali i baci, gli abbracci, le carezze, il
mostrarsi nudi hanno un valore spontaneo, autentico senza dietrologie,
ammiccamenti o pruriti di ogni sorta. Da leggere l’art. 7 “Programmi o
misure preventive”: “Ciascuna Parte provvede affinché le persone che
temono di poter commettere un reato determinato ai sensi della presente
Convenzione possono accedere, se del caso, a programmi o interventi
efficaci per valutare e prevenire i rischi della messa in atto”. Se da
un lato quest’articolo ha una portata innovativa per l’elevata
prevenzione e l’attenzione per ogni persona anche del potenziale reo,
dall’altro è discutibile la sua efficacia perché conta sull’autodenuncia
delle persone interessate.
c) la comunicazione L’art. 9 “Partecipazione dei bambini, del settore
privato, dei media e della società civile”, criticabile perché non
attribuisce alcun ruolo alla famiglia, al par. 1 stabilisce: “Ciascuna
Parte incoraggia la partecipazione dei bambini, secondo il loro stadio
di sviluppo, all’elaborazione e all’attuazione delle politiche, dei
programmi pubblici o altri attinenti sulla lotta contro lo sfruttamento
e gli abusi sessuali riguardanti bambini”. Questa statuizione della
partecipazione dei bambini è in linea con l’affermazione della Premessa
della Convenzione di New York “considerato che occorre preparare appieno
il fanciullo ad avere una vita individuale nella società” e con l’art. 3
comma 2 della nostra Costituzione giacché lo sfruttamento e l’abuso
sessuale sono ostacoli che vanno rimossi perché, limitando di fatto la
libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo
della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti. Urge rendere
parte il bambino al contrario di quanto avviene nella nostra società in
cui è reso spettatore, destinatario, fruitore, è passivizzato. La
partecipazione, nella sua valenza filosofica e psicologica, dovrebbe
caratterizzare ogni aspetto della vita del minore e non solo questi casi
drammatici. Così come il fatto che si richiami la partecipazione in
queste esperienze così dolorose dovrebbe rievocare la necessità di
partecipare il dolore ai bambini anche in altre vicende per favorire la
loro maturità. Nell’art. 14 “Assistenza delle vittime” si legge che
occorre tenere “debito conto delle
esigenze, opinioni e preoccupazioni del bambino”; in particolare delle
preoccupazioni (menzionate per la prima volta in un testo normativo) si
dovrebbe tener conto sempre e soprattutto nei casi di separazione e
divorzio dei genitori quando, invece, i bambini sono resi vittime della
P.A.S. (sindrome di alienazione genitoriale), di denunce di falsi casi
di violenza o abuso da parte dell’altro
genitore o purtroppo di veri casi di violenza di ogni natura. In
questo e in altri articoli è prevista l’assistenza alle vittime e ai
parenti e, in subordine, il sostegno; l’assistenza e il sostegno sono,
tuttavia, ancora ben lungi dalla
solidarietà, dalla consapevolezza di far parte tutti, rei, vittime,
parenti ed stranei, dello stesso meccanismo, infatti solidale in
meccanica è l’elemento di un meccanismo rigidamente collegato a un
altro. Una forma di cultura che dobbiamo trasmettere è proprio quella
della solidarietà ricordando che la condizione umana è la fragilità. L’art. 18 “Abuso sessuale” considera reato anche
l’"abuso di una posizione riconosciuta di fiducia, autorità o influenza
sul bambino, anche all’interno della famiglia". Fiducia, autorità,
influenza sono componenti di ogni relazione sana ma oggi, purtroppo,
nonostante la diffusione delle tecnologie della comunicazione e
informazione, più volte menzionate nella Convenzione, mancano la
comunicazione e l’informazione nel senso letterale per cui le relazioni
sono minate sin dal loro sorgere. Anzi manca proprio la relazione intesa
nel senso più profondo dimenticando che nella persona tutto, nel bene e
nel male, passa attraverso la relazionalità (si pensi, per esempio, ai
disturbi del comportamento alimentare). La prima e fondamentale forma di
prevenzione dello sfruttamento e abuso sessuale dei bambini è, dunque,
curare la relazionalità, aspetto negletto dalla Convenzione e dai
“grandi” in generale. Un’altra lacuna della Convenzione è l’ascolto dei
bambini, a cui bisognerebbe dedicarsi sempre senza trincerarsi dietro la
scusante che non conta la quantità ma la qualità del tempo dedicato ai
bambini. Più di ogni altra cosa bisogna saper ascoltare il silenzio dei
bambini, perché come, qualcuno ha ribadito, nella solitudine della
cameretta il silenzio dei figli può essere la voce del pedofilo
dall’altra parte del computer. |
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