nelle scelte pedagogiche di qualsiasi riforma che
interpreti in modo “personale” la costituzione (v. art.3 e 33);
nella mancanza di ascolto di posizioni
discordanti, anche se fossero minoritarie;
nel parlare per slogan di ciò che è giusto o
sbagliato;
nell’imporre un unico modello organizzativo di
scuola;
nel “tenere” di fatto gli insegnanti “legati”
alle cattedre fino a 60-65 anni, non riconoscendo o fingendo di non
sapere quale ruolo giochi l’energia fisica e psichica nel loro lavoro
di “motivatori” di apprendimenti;
nel far cadere dall’alto strategie e scelte
organizzative che privilegino una gestione centralistica e al tempo
stesso individualista di singoli docenti;
nel far spendere ai docenti energie
nell’organizzazione e in produzione cartacea (anche con il premio di
pochi spiccioli per le ore prestate in commissioni e sottocommissioni)
dimenticando che la funzione delle/degli insegnanti dovrebbe essere
quella di ricercare professionalmente e intellettualmente strade
possibili, creative, strategiche per motivare ogni studente, nella sua
diversità, all’apprendimento;
nel mortificare progetti o approcci educativi che
si sono rivelati vincenti facendo finta che non siano nemmeno
esistiti;
nel considerare le famiglie come entità astratte,
territori di propria proprietà, nel non percepirne e accettarne le
differenze di pensiero e condizione;
nell’umiliare costantemente la scuola dei piccoli
privandola di tempo e risorse;
nella mancanza di attenzione per il tempo di cui
necessita la didattica della conversazione, dell’argomentazione,
dell’ascolto, del confronto, della solidarietà…;
nelle imposizioni di modelli orario che non
considerano i ritmi di “veglia” intellettiva e riposo delle persone in
apprendimento;
nell’inculcare con ogni mezzo, nelle menti delle
persone, che esistono materie nuove e altre vecchie e scontate che
avrebbero tutto il tempo sufficiente per essere insegnate anche
aggiungendone di “nuove”…;
nelle valutazioni pressanti delle competenze;
nel costringere, a causa di ritmi forzati di
una didattica senza tempo per la rielaborazione, la rimozione delle
emozioni, dell’affettività;
nella fretta in generale;
nella didattica modulare;
nei gruppi di livello, di compito, elettivi…
nel rischio dello smembramento delle classi a
favore dei gruppi;
negli inserimenti selvaggi senza risorse;
nel numero alto di alunni per classe;
nelle scelte miopi che non prevedono risorse
adeguate per sostenere i docenti e le famiglie nell’impegno verso i
portatori di qualche disabilità e disagio;
nell’ “intrattenimento terapeutico” di alcuni
bambini fuori dalla classe di appartenenza (e dai suoi percorsi
didattici) con la “motivazione” della personalizzazione;
nella personalizzazione dei percorsi in tenera
età, proprio quando nulla ancora è e deve essere certo;
nell’errore visto come mancanza di abilità e non
come risorsa;
nell’accanimento valutativo a partire dalla
scuola dell’infanzia;
nell’orientamento precoce;
nella classificazione anzitempo di “zone
vocazionali o di rifiuto” dei bambini piccoli;
nella mania di tutto tenere sotto controllo per
mezzo di organizzazione, progettazione, valutazione…
nella pretesa che uno sia meglio di due o tre o
più (nel senso dell’eliminazione della contitolarità alla pari di
docenti che si confrontano e “guardano” i loro alunni da diversi punti
di vista senza pretendere di imporre un’unica visuale nei giudizi e
nelle strategie d’attacco ai problemi, ma anche in riferimento al
rischio di una futura didattica rivolta soprattutto ai singoli)…
nella lezione come trasmissione (più veloce senza
ombra di dubbio) al posto di quella che lancia il sasso e fa circolare
le idee finché non si tramutano in scoperte;
nella falsa bonomia della scuola supermarket: tu
vuoi un prodotto al posto di un altro che non ti si confà
immediatamente e io te lo do, così siamo tutti e due contenti…
nel ritenere la scuola meno importante (non
tributandole la fiducia che in molti casi si è ampiamente meritata,
quindi destinarle risorse insufficienti) di agenzie esterne e con
queste pretendere di sostituirla per la cura del disagio con la
conseguente deresponsabilizzazione del corpo docente;
nell’ignorare che il problema dell’insuccesso si
può affrontare anche con l’apprendimento cooperativo dentro le classi,
con l’intervento di metodologie e l’attenzione per la relazione;
nella confusione fra ruolo dei docenti e ruolo
della famiglia;
nel caricare tutte le famiglie, anche quelle in
difficoltà, di responsabilità in riferimento all’istruzione e alla
valutazione delle/dei proprie/i figlie/i, costringendole a un gravoso
confronto che in realtà potrebbe divenire una valutazione dolorosa di
se stesse (un’istituzione che “non disperde” invece dovrebbe porsi
come obiettivo il favorire nei giovani, indipendentemente dalla loro
provenienza familiare, dalla “presenza” o meno di una famiglia, in un
tempo scuola disteso e denso di sollecitazioni al fare da sé, la
costruzione dell’autostima, dell’autonomia di studio, la costruzione
di un linguaggio capace di comunicare pensiero, di una disponibilità
alla ricerca e alla progettazione della propria esistenza assieme agli
altri);
nei metodi che considerano più importante la
trasmissione di contenuti a ripetizione che non le attività mirate a
offrire gli strumenti di azione e pensiero, i quali consentano di
appropriarsi dei contenuti anche autonomamente nel corso della vita;
nei programmi nazionali in cui ci sia attenzione
per la quantità, quelli densi di obiettivi da raggiungere, i quali
scordano che i contenuti si dimenticano, le strategie per
appropriarsene alla bisogna no;
nel percepire il bambino e la bambina come futuri
lavoratori, individualmente considerati portatori di competenze e non
come soggetti in relazione di solidarietà con i pari della classe e
come persone con un passato già strutturato nel destino familiare in
previsione di un futuro assolutamente da inventare, futuro che non sia
vittima del passato;
nella mancanza di continuità fra ordini di
scuola;
nel non incentivare la ricerca didattica e
metodologica fra docenti operanti nella realtà scolastica (in
continuità fra diversi ordini di scuola) su come affrontare il disagio
dentro le scuole;
nel tenere il corpo docente della scuola pubblica
in una condizione di soggezione culturale e professionale senza dargli
modo di esprimersi sui processi di riforma che riguarderanno il suo
lavoro e senza permettergli di essere protagonista primario
responsabile dei processi di ricerca per il miglioramento del sistema;
nel fare spot continui diretti all’opinione
pubblica influenzandola senza formarla a una presa di coscienza del
reale valore dell’esperienza scolastica (se si devono spendere soldi
per l’informazione, lo si faccia tenendo conto dei problemi, delle
luci, ma anche delle ombre che ogni cambiamento porta con sé!);
nel far fare, nella pratica educativa,
valutativa, didattica, organizzativa, ecc…, confusione fra i concetti
di persona, essere umano, cittadino, lavoratore (orientato),
individuo, soggetto, elemento parte di un tutto…e su questa indefinita
percezione della identità di ragazze e ragazzi costruire una mole
schiacciante di “indicazioni e raccomandazioni” che, invece, nelle
intenzioni del legislatore dovrebbero formare una persona nella sua
interezza;
nel pretendere di far “personalizzare” gli
interventi didattici, prima di averli resi possibili ed efficaci,
attraverso risorse per la ricerca, l'edilizia scolastica, la copertura
finanziaria di materiali di facile consumo, materiali strutturati e
non strutturati, dotazioni strumentarie adeguate alle progettazioni
educative, anche a quelle con pretese “riformistiche” (ognuno sa
quanto costa oggi qualsiasi cosa, ma poi qualcuno, là in alto, se ne
scorda).
7 ottobre 2003
Claudia Fanti