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La questione dei due sistemi di Sandra Ronchi e Marisa Vicini
E’ apparso sul sito Itanet (Istituti Tecnici Agrari della Lombardia) un documento anonimo dal titolo “ Ipotesi: una Y anche per il canale dell’istruzione”. L’articolo vuole riportare due ipotesi interpretative a proposito del sistema d'istruzione e formazione professionale, facendo riferimento alla posizione sostenuta dal prof. Bertagna e a quella proposta dalla Confindustria, che viene sposata dall’autore. Diamo atto che nella realtà esistono le due valutazioni e che il testo ne dà relazione. Compaiono, però, alcune interpretazioni che ci paiono poco corrispondenti alla realtà. L’articolo, volendo introdurre il tema dei due sistemi dell'istruzione liceale e dell'istruzione e formazione professionale, inizia facendo correttamente riferimento alla Riforma del Titolo V della Costituzione e alla legge 53 del 28.3.2003, che prevede “l’istituzione di due sistemi di pari dignità “. L'articolista, però, dopo aver posto correttamente le premesse (dimenticando peraltro la correzione alla Riforma del Capo V che sarà introdotta con l'approvazione della Legge Bossi - La Loggia) incappa in un errore lessicale definendo i due sistemi "due canali", anticipando inconsciamente una valutazione (negativa) del secondo sistema, come poi si chiarirà nella continuazione dello scritto. Procede poi con le sintesi dell'ipotesi del Prof. Bertagna e della Confindustria. Secondo il pensiero del prof. Bertagna, riportato nel testo, esisterebbero nel ciclo secondario due “sistemi” : quello dell’istruzione (8 licei) e quello dell'Istruzione e Formazione Professionale, "il primo orientato esclusivamente a contenuti di tipo ' teorico', il secondo alla ' pratica ', articolati su 25 ore di impegno settimanali (contro le attuali 30), e con una quota di discipline specifiche per ogni indirizzo". La proposta della Confindustria, invece, prevederebbe uno slittamento degli attuali Istituti Tecnici nel Liceo Economico o nel Liceo Tecnologico, pur mantenendone “la conclusività professionale” Ci permettiamo di rilevare, innanzi tutto, che in nessun testo successivo agli Stati Generali che ha accompagnato l'approvazione del DL Moratti e le Indicazioni nazionali per i Piani di Studio Personalizzati si fa riferimento a 25 ore. Parlare, inoltre, di contenuti di tipo unicamente teorico per il liceo e pratico per il secondo sistema, significa non far riferimento ai documenti che hanno accompagnato la Riforma. Allo stesso modo far riferimento a discipline specifiche di indirizzo per l'istruzione liceale e per l’istruzione e formazione professionale significa ugualmente suggerire qualcosa che non trova riscontro negli stessi documenti prima citati.
Lo spirito della legge“Istruzione e formazione sono due processi diversi: il fine prioritario dell’istruzione può collocarsi nel conoscere, nel teorizzare; quello della formazione nel produrre, operare, costruire. Istruzione e formazione, però, sono anche due processi tra loro integrati perché non si può elaborare théoria senza téchne. Nel percorso liceale infatti, sono previsti i laboratori e gli stages come modalità organizzative, metodologiche e didattiche per giungere alla conoscenza, per precisare meglio concetti e teorie. Analogamente nel percorso di istruzione e formazione professionale sono possibili approfondimenti di tipo teorico sull’esperienza pratica" [1]. L'articolo, invece, non coglie per nulla questa fondamentale premessa e, anzi, fa emergere una sostanziale diffidenza nei confronti del secondo sistema , considerato di serie B rispetto al percorso liceale di serie A. Infatti la proposta della Confindustria, sposata dall'anonimo estensore, per valorizzare parte del secondo percorso propone di far transitare gli attuali istituti tecnici di eccellenza nel liceo tecnologico ed economico pur mantenendo la conclusività professionale degli studi. Ciò che è sotteso a questa proposta è una visione negativa nei confronti della istruzione e formazione professionale e positiva nei confronti dell’istruzione liceale. Per questo si vuole "salvaguardare" almeno parte dell'istruzione tecnica, quella ritenuta dell'eccellenza, facendola transitare nell'unico sistema che è considerato culturalmente valido e dignitoso. Fuori rimarrebbero l'istruzione e la formazione professionale e l'istruzione tecnica di basso profilo, che andrebbero alla deriva. Questo, oltre a portare alla bulimia i licei e all’anoressia l’istruzione e la formazione professionale, significherebbe lasciare le cose come sono! Si riproporrebbe, infatti, la convinzione di una gerarchizzazione dell’istruzione secondo il modello quadriatico: istruzione classica, tecnica, professionale e la formazione di arti e mestieri, concezione per cui la classe dirigente può essere formata solo nei licei. Nella realtà le cose non stanno così. Un dato statistico allarmante afferma che il 70% circa del Pil è prodotto da lavoratori che non hanno nemmeno la licenza media e che mantengono il restante 30%. Questa notizia ci ricorda che per essere produttivi nella vita non occorre essere laureati ma preparati professionalmente, ciascuno nel proprio campo. Sarebbe interessante, a questo punto, capire quali competenze ha messo in gioco e come le ha acquisite il dirigente d’azienda in possesso solo di diploma di terza media. Il successo, economico e, soprattutto, della persona, non dipende dall'aver frequentato la scuola migliore, ma la più adatta per ciascun alunno, con quelle caratteristiche e capacità, cioè dall'aver scelto, come studenti, il percorso adeguato alla piena realizzazione delle proprie capacità che, solo così, possono diventare competenze. In questo senso liceo o istituto professionale si equivalgono. Perché percorsi diversi? Perché non tutti gli studenti sono uguali, perché l'educazione deve essere personalizzata, perché ogni ragazzo deve trovare il cammino adeguato a tirar fuori il meglio di sé e a farlo diventare competenza: non a caso il Profilo educativo, culturale e professionale in uscita, dopo 12 anni di studio, è il medesimo. Questo è il principio di equità per cui a tutti viene garantito, attraverso percorsi diversificati, lo stesso risultato, cioè la piena realizzazione della persona. Ma questo significa partire da una concezione assolutamente nuova (o meglio sarebbe dire, antica ma in "disuso") del lavoro .
Un'altra concezione del lavoroLa proposta della Confindustria, che vorrebbe sottrarre l’istruzione tecnica al secondo sistema per lasciare alle regioni l'attuale istruzione professionale statale e la formazione professionale, già ora regionale, mantiene il paradigma tradizionale del lavoro, facendo propria una visione negativa del lavoro, alienato e alienante, per cui “ solo fuori del lavoro il soggetto si sente presso di sé”[2]. Perché invece non pensare al lavoro come ad un’esperienza che fa crescere, come possibilità nuova per promuovere l'educazione di ogni persona, come occasione per scoprire conoscenze e abilità e, quindi, accrescere le proprie competenze? In questo senso il lavoro e l'istruzione - formazione professionale non possono avere l'occupabilità come fine (come purtroppo finora è successo), ma come mezzo, per la crescita educativa, culturale e professionale della persona.
La paura del nuovo Si tratta certamente di una sfida culturale, cui non siamo abituati: non a caso l'articolista continua la sua disamina prospettando futuri scenari molto preoccupanti. Si legge infatti che la proposta di Bertagna vorrebbe annullare tutta la tradizione del sistema scolastico italiano, separando "radicalmente in due tronconi un sistema che era triadico". A parte il fatto che l'ipotesi Bertagna è la proposta contenuta nella Costituzione (cfr il riformato capo V), essa opera, in realtà, una semplificazione perché da un'impostazione quadriatica (istruzione classica, tecnica, professionale e artigiana), espressione di una gerarchia non solo sul piano linguistico ma anche organizzativo (si pensi alle direzioni generali), si passerebbe ad un solo ed unitario sistema di istruzione liceale e di istruzione e formazione professionale, la cui unità è garantita dal Profilo culturale e professionale, unico per entrambi i sistemi e dai Larsa. Ridurre drasticamente il sistema dell'istruzione e formazione professionale, assorbendo gli attuali istituti tecnici nel futuro sistema dei licei, come propone la Confindustria, significa riproporre logiche meritocratiche, gerarchizzanti e selettive che forse sarebbe tempo di superare. Oggi, invece, costituzionalmente, ci troviamo di fronte ad un binomio inscindibile: "istruzione e formazione" e ciò giustifica il loro abbinamento in un unico sistema educativo, ovviamente articolato, appunto, per riassorbire la molteplicità delle richieste dell'utenza. D'altra parte, creare un sistema di qualità, con alti scopi educativi e critici, è un'esigenza dell'intero paese: perché oggi l'Italia ha bisogno di persone innovative, critiche, capaci di scoperte tecnologiche, di gusto, responsabili sul piano morale e sociale, con positive relazioni interpersonali, in una parola con una "buona educazione". Senza queste risorse, è utopico parlare di crescita sociale ed economica dell'Italia. Non per nulla queste osservazioni sono state recepite nella legge 30/2003 sul lavoro e l'occupazione, ispirata dal Prof. Marco Biagi. Fantasiosa, inoltre, appare la preoccupazione, espressa dall’articolista quando prevede l'eclissi di tutte quelle figure professionali intermedie (Geometri, Ragionieri, Periti) che attualmente vengono formate in 13 anni e che, dopo, non potrebbero più esistere perché il sistema della istruzione e formazione sarebbe, in totale di 12 anni. Ma come dimenticare che è possibile, per tutti, addirittura formare queste figure in 13, 14 o perfino 15 anni? Così altrettanto vecchia appare la proposta di un biennio unificato per l'acquisizione dei saperi essenziali. Viene infatti ribadita una concezione della scuola che fa ancora riferimento ai saperi disciplinari. Anche in questo caso non ci pare che sia stato compreso appieno lo spirito della Legge 53: non si può più partire dalle discipline perché la definizione dei saperi nella scuola scaturisce dal Profilo educativo, culturale e professionale e cioè dalle conoscenze, abilità e competenze che lo studente, unitariamente, deve possedere alla fine del suo percorso di istruzione liceale o di istruzione e formazione professionale. E nemmeno sostenere la necessità di acquisire saperi essenziali perché non esiste una cultura generale (area comune) cui se ne debba aggiungere un’altra specialistica, non organica e consustanziale alla precedente. Il sapere è unitario, così come lo è il Profilo educativo, culturale e professionale. Non c’è distinzione fra cultura e professionalità, tra studio e lavoro, e ne è prova il fatto che lo stage e il tirocinio formativo sono pensati per promuovere la scoperta delle conoscenze e delle abilità specifiche previste nell’indirizzo di studi frequentato Si legge nelle Indicazioni nazionali che “ Il cuore del processo educativo si ritrova, quindi, nel compito delle istituzioni scolastiche e dei docenti di individuare gli obiettivi formativi adatti per i singoli alunni… e di progettare le Unità di Apprendimento (unità, appunto, e non segmentazioni didattiche) necessarie a raggiungerli e a trasformarli , così, in competenze di ciascuno.” Peraltro l'apprendimento è un diritto - dovere assicurato su 12 anni: non si può, quindi, pensare ad un sapere più importante (quello di indirizzo, del triennio) rispetto a quello di base, meno prestigioso (il biennio). Chiedere il biennio unico, significa, poi, riproporre la stessa impostazione fallimentare della Legge Zecchino (per altro attaccata nell'articolo) che aveva proprio introdotto il biennio di base negli studi universitari! E’ inoltre poco rispettoso della Costituzione, il timore espresso a priori, che le Regioni non sappiano gestire questa mole di novità. In ogni caso il Governo, proprio a partire da questa diffusa preoccupazione, ha proposto in Parlamento l'approvazione della Legge Bossi - La Loggia che sostanzialmente corregge l’articolo 117 della costituzione appena riformato (riforma del titolo V). In particolare, se mai la proposta Bossi-La Loggia fosse approvata nel testo attuale, lo Stato detta le ”norme generali” non solo sull’istruzione liceale, ma anche dell’istruzione e formazione professionale (ambito riservato dal titolo V – versione 2001 – alla competenza esclusiva delle regioni). Questo significa che gli attuali legislatori si sono preoccupati di garantire una base nazionale comune e non differenziata al sistema dell'istruzione liceale e a quello dell'istruzione e formazione professionale. Quello che l'articolista paventa, infine, come un grande limite della proposta Bertagna, e cioè di "immaginare un sistema scolastico italiano all'anno 0, senza storia", né tradizioni, non è da attribuire alla proposta Bertagna ma a quel titolo V riformato della costituzione che ha istituito i due sistemi di pari dignità. Non certo con l’intenzione di azzerare la storia, ma per proporre una strada alternativa per superare la gerarchizzazione qualitativa e quantitativa esistente tra Licei, Istituti Tecnici, Istituti Professionali e Formazione professionale. O è proprio questo ciò che non si vuole? [1] G. Bertagna, Le bozze delle Indicazioni nazionali nel contesto della riforma. Significati, scenari, scopi, in "Scuola e Didattica", 10/2003, p.10. [2] Cfr. C. Marx, Manoscritti economico - filosofici del 1844 (1844), trad. it. Einaudi, Torino 1968, p.75
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