|
|
Siamo a luglio… che ne è della riscrittura delle Indicazioni nazionali?
E luglio ferve, dice il poeta, e il canto d’amor vola… ma il pian non sembra affatto laborioso… Che cosa fa l’Amministrazione per la riscrittura delle Indicazioni? Fino a quando le nostre istituzioni scolastiche autonome dovranno subire l’insulto di lavorare con delle Indicazioni il cui carattere è transitorio, e, per di più, di norma [1]? Una stravaganza tutta italiana!? E, soprattutto, quand’è che delle Indicazioni nazionali non saranno una brutta copia dei programmi ministeriali di un tempo, ma, veramente, la definizione di quelle “norme generali sull’istruzione” e la “determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni” che le istituzioni scolastiche devono garantire su tutto il territorio nazionale?
La nuova Costituzione e la scuola
Ma, le Indicazioni di cui disponiamo rispondono ai principi del nuovo articolo 117 della nuova Costituzione? Vediamo! I programmi ministeriali di un tempo, prescrittivi e concepiti per una scuola fortemente centralizzata dovevano essere ampi, esaustivi, in quanto non solo dovevano dare il là dei contenuti e degli obiettivi, ma anche il senso dell’asse culturale storico-scientifico e civile che la nostra scuola repubblicana, pubblica e laica, aveva adottato in virtù degli stessi principi fondanti della Carta costituzionale del ’47. Le cose sono cambiate in più di 50 anni! L’articolo 114 della nuova Costituzione delinea e fonda uno Stato diverso, non più un primus super partes (per la Costituzione del ’47 “la Repubblica si riparte in Regioni, Provincie e Comuni”), ma un primus inter pares (per la Costituzione del 2001 “la Repubblica è costituita dai Comuni, dalle Province, dalle Città metropolitane, dalle Regioni e dallo Stato”)! Le Regioni, oggi, hanno potestà di legislazione concorrente in materia di istruzione e di legislazione esclusiva in materia di istruzione e formazione professionale [2]. E i piani di studio prevedono anche una quota riservata alle Regioni (art. 2, c. 1, punto f della legge 53/03). Il tutto nel pieno rispetto dell’autonomia delle istituzioni scolastiche, che costituisce oggi un principio costituzionalmente garantito. Siamo così passati da una scuola che applica ed eroga programmi prescritti dallo Stato centrale ad una scuola che costruisce i suoi percorsi di studio in forza della sua autonomia nel contesto di norme che hanno un duplice scopo: garantire un tessuto culturale ed educativo comune a tutto il Paese; garantire che il servizio erogato dalle scuole non scenda al di sotto di quei livelli essenziali che lo Stato ha il pieno diritto di individuare e definire.
Chiavi di lettura o chiavi di scrittura?
Ma le Indicazioni nazionali – quelle di cui oggi disponiamo – rispondono a questi due principi? Riescono a coniugare le due istanze, assolutamente nuove per la scuola della nostra Repubblica che si avvia verso un assetto federale? A nostro avviso, no! Ed è per questo che urge una loro riscrittura! Vediamo! In quanto al primo principio, relativo alle norme generali sull’istruzione, le Indicazioni – a giudizio di tutti gli osservatori, dei disciplinaristi in primo luogo – sono estremamente povere e di basso profilo culturale. E’ certo che dobbiamo adottare una chiave di lettura diversa rispetto a quella a cui eravamo soliti leggendo i programmi di un tempo! Quelli erano programmi prescrittivi, queste sono Indicazioni, pur sempre prescrittive, ma – potremmo dire – a maglie larghe! Il fatto è, però, che chi ha scritto le Indicazioni non ha adottato, o non è stato capace di farlo – una chiave di scrittura diversa! E le ha scritte tendendo sott’occhio i programmi del ’79 e dell’85! Per cui le Indicazioni, che dovrebbero essere indicazioni e non programmi, di fatto sono programmi riveduti e corretti – o scorretti! – asciugati, impoveriti, disordinati, raffazzonati! Le maglie larghe che avrebbero dovuto ispirarle e caratterizzarle non ci sono! Sono solamente maglie assai sfilacciate! In quanto al secondo principio, di cui al nuovo articolo 117, le Indicazioni dovrebbero determinare i livelli essenziali delle prestazioni al di sotto dei quali nessuna istituzione scolastica autonoma può scendere! Ma, questi livelli sono indicati, sono definiti, sono determinati? Si evincono dal testo? Assolutamente no!
La questione degli obiettivi
E non è sufficiente quella epigrafe in corsivo che sottotitola e dovrebbe esplicitare e argomentare i paragrafi relativi agli Obiettivi specifici di apprendimento. Leggiamola insieme: “Al termine di… la scuola ha organizzato per lo studente attività educative e didattiche che hanno avuto lo scopo di aiutarlo a trasformare in competenze personali le seguenti conoscenze e abilità disciplinari”. A questo proposito occorre fare alcune considerazioni, di carattere linguistico-semantico, se ci è concessa questa espressione, e di merito. Le tre righe tortuose e impasticciate della epigrafe – o meglio di tutte le epigrafi che introducono i singoli obiettivi specifici – dovrebbero costituire il clou concettuale dell’intera operazione Indicazioni! La svolta avviata dall’articolo 117 è essenzialmente qui! Il discorso, in poche parole, dovrebbe essere questo: ogni istituzione scolastica autonoma dispone delle seguenti risorse, eguali per tutto il territorio nazionale, in relazione ai due ambiti che sostanziano una attività educativa, quello contenutistico-culturale c quello istituzionale-organizzativo, amministrativo, gestionale. Su questo versante, però, l’epigrafe è assai carente. Tutto è centrato sugli obiettivi specifici di apprendimento, che sono chiamati in causa in quanto era doveroso il richiamo al dpr 275/99, in cui, all’articolo 8, relativo ai curricoli, si dice testualmente che, tra i compiti del Miur, vi è quello di definire gli obiettivi generali del processo formativo e gli obiettivi specifici di apprendimento relativi alle competenze degli alunni. Ed è in questa indicazione che nasce il pasticcio: si verifica una contaminazione, non esplicitata – e/o, a nostro avviso, non tenuta nel conto dovuto! – tra ciò che recita l’autonomia (il dpr è del ’99) e ciò che recita l’articolo 117 (la nuova Costituzione è del 2001)!
La confusione tra le norme generali e i livelli essenziali
Il pasticcio è il seguente. Occorre considerare questi due adempimenti: 1) lo Stato legifera in materia di obiettivi e li pone come traguardi che le scuole devono proporre ai loro studenti (si vedano il dpr 275 e la voce norme generali sull’istruzione di cui all’articolo Cos. 117); 2) ma lo Stato legifera anche in materia dei livelli essenziali delle prestazioni che ciascuna istituzione scolastica si deve impegnare a garantire (si veda l’articolo Cos 117; si tratta di una indicazione non presente nel dpr 275 in quanto precedente alla riforma costituzionale). I due adempimenti devono essere distinti e non possono e non debbono essere confusi! Le Indicazioni invece li confondono per cui gli obiettivi specifici di apprendimento finiscono con il costituire il corredo di cui le scuole dispongono per aiutare lo studente a realizzare le sue competenze personali. Ciò che conta nelle Indicazioni sono quest’ultime. E gli obiettivi specifici, che sono primari nel dpr 275, nelle Indicazioni diventano secondari, strumentali al raggiungimento delle competenze personali degli studenti. E allora, se gli obiettivi specifici costituiscono uno sfondo, un riferimento, ciò che invece acquista rilievo – sempre stando alle Indicazioni – sono gli obiettivi formativi, di conio assolutamente nuovo nelle Indicazioni e non presenti – e giustamente! – nel citato articolo 8 del dpr 275/99. Alle scuole, sempre in base a questo articolo, spetta il compito di determinare i curricoli, ma il concetto di curricolo sembra estraneo alla filosofia delle Indicazioni! Da questo pasticcio terminologico-semantico consegue una macchina operativa assolutamente stravagante, non confortata da nessuna ricerca pedagogico-didattica: gli obiettivi specifici devono essere ben conservati nel cassetto degli attrezzi, e gli insegnanti sono tenuti a costruire un’altra serie di obiettivi, quella degli obiettivi formativi! Il che non sarebbe in sé sconvolgente: in sede di programmazione educativa e didattica gli insegnanti hanno sempre lavorato adattando, curvando, riscrivendo gli obiettivi dei programmi alle concrete situazioni in cui operano con i loro studenti. E’ sconvolgente il fatto che obiettivi di apprendimento siano considerati nelle Indicazioni come risorse a disposizione delle scuole, e non come obiettivi da proporre agli studenti! E delle reali e concrete risorse di cui le scuole debbono disporre in quanto livelli essenziali per garantire l’efficacia degli insegnamenti e quel successo formativo, di cui al dpr 275, art. 1, c 2, non c’è assolutamente traccia. Il che significa che gli estensori delle Indicazioni hanno preso un grosso abbaglio! Hanno scritto le Indicazioni come se dovessero essere dei Programmi! Una chiave di scrittura assolutamente errata!
Per una corretta riscrittura delle Indicazioni
Stando ai due adempimenti dell’articolo 117 (le norme generali dell’istruzione e i livelli essenziali delle prestazioni al di sotto dei quali le istituzioni scolastiche non possono scendere), le Indicazioni nazionali relative ai diversi segmenti del sistema nazionale di istruzione debbono essere tutt’altra cosa rispetto ai vecchi Programmi ministeriali, non una loro rimasticazione. Le Indicazioni dovrebbero dare indicazioni, appunto, su due versanti: 1) quello culturale, educativo e pedagogico didattico, quello dei macroobiettivi, cioè degli obiettivi generali del processo formativo e degli obiettivi specifici di apprendimento relativi alle competenze degli alunni – come si esprime il dpr 275 – proposti come traguardi per gli studenti; 2) quello delle risorse di cui le istituzioni scolastiche devono disporre per garantire i livelli essenziali del servizio – in ordine all’adempimento dell’articolo Cos. 117, c. 2, lettera n. Com’è noto, il punto 2) nelle Indicazioni è totalmente assente! Quando, invece, avrebbe dovuto costituire l’elemento forte, caratterizzante, innovatore, in relazione al nuovo ordine che deriva dal Titolo V!
Il punto e a capo ha azzerato le preziose esperienze pregresse!
A questo proposito, occorre ricordare che non partiamo da zero! Forse lo slogan del punto e a capo ha indotto il Miur al clamoroso abbaglio. Una esperienza nel senso dell’attenzione alle risorse e della loro valorizzazione la nostra scuola la ha già fatta quando negli anni Novanta, a seguito del dibattito avviato con la legge 241/90, che detta nuove norme in materia di procedimento amministrativo, si cominciò a ragionare in termini di Carta dei servizi. Con il DPCM del 19 maggio ’95 fu effettuata una “prima individuazione dei settori di erogazione dei servizi pubblici ai fini della emanazione degli schemi generali di riferimento di Carte dei servizi pubblici”. E i settori individuati furono la Sanità, l’Assistenza e la Previdenza sociale, l’Istruzione, le Comunicazioni, i Trasporti, l’Energia elettrica, l’Acqua e il Gas. Per quanto riguarda l’Istruzione, con il DPCM del 7 giugno ’95 fu emanato lo “schema generale di riferimento della Carta dei servizi scolastici”. Ebbe così inizio la stagione delle Carte dei servizi che tutt’ora interessa tutto l’ampio settore della Pubblica amministrazione e dei servizi pubblici. Ma, per quanto riguarda la scuola, dopo un primo timido e impasticciato avvio – lo schema di riferimento suscitò non poche perplessità e discussioni! – tutto cadde in breve nel dimenticatoio! Eppure la Carta dei servizi costituiva il primo nucleo dell’avvio di una erogazione diversa del servizio, meno centralizzata e più autonoma e responsabile! Seguirono anni assai interessanti sulla via del “decentramento” e della autonomia. La “legge madre” dell’autonomia fu varata nel ’97 (l’ormai storica legge 59/97: “delega al Governo per il conferimento di funzioni e compiti alle regioni ed enti locali, per la riforma della Pubblica Amministrazione e per la semplificazione amministrativa”). L’autonomia delle istituzioni scolastiche venne sancita con il citato dpr 275/99. E la marcia dell’autonomia investì anche la stessa Costituzione: venne riscritto il Titolo V che, approvato dal referendum popolare confermativo, divenne la legge costituzionale 3/2001.
Per una attenzione ai livelli essenziali come fattori di qualità
Chi è deputato a “riscrivere” le Indicazioni nazionali dovrebbe riflettere su questo cammino, deve elaborare quegli obiettivi di cui al dpr 275, considerando tutta la dignità e lo spessore formativo che obiettivi di apprendimento a livello nazionale debbono avere. E, soprattutto, deve indicare quali sono i livelli essenziali delle prestazioni che le istituzioni scolastiche autonome devono offrire in termini di risorse. E nella voce risorse trovano posto sottovoci determinanti, quali, ad esempio: le risorse economico-finanziarie, gli organici, le strutture e le attrezzature, le dotazioni e i servizi, i monte ore per insegnati ed alunni, la sicurezza, e così via… il tutto in termini di standard e di fattori di qualità! Ovviamente, il discorso è complesso: sono tutti indicatori da esplodere nei loro dettagli, sui quali sono chiamati in causa anche altri soggetti, le istituzioni che sul territorio hanno responsabilità e funzioni nei confronti del servizio scolastico Ma è questa la via da percorrere, se si vogliono scrivere Indicazioni che costituiscano un impegno per l’Amministrazione centrale ed un impegno per le istituzioni scolastiche! La stagione dei bla bla bla non paga mai e dovremmo chiuderla per sempre! Ma… a proposito… e le Indicazioni per il secondo ciclo???
Roma, giugno 2004
Maurizio Tiriticco[1] Si vedano gli articoli 12, 13 e 14 del dlgs 59/04. [2] Tra breve passerà alla discussione il provvedimento già approvato dal Senato con cui si modifica il Titolo V; vi si legge testualmente, tra l’altro: “Spetta alle Regioni la potestà legislativa esclusiva nelle seguenti materie:… organizzazione scolastica, gestione degli istituti scolastici e di formazione, salva l’autonomia delle istituzioni scolastiche; definizione della parte dei programmi scolastici e formativi di interesse specifico delle Regioni”. |
La pagina
- Educazione&Scuola©