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LOCALISMO LINGUISTICO ED ESTEROFILIA Il pianto speculare Le člites colte, interne alle minoranze linguistiche presenti nel territorio nazionale, hanno sempre dibattuto la questione se gli alloglotti debbano scrivere e parlare nel loro dialetto, coltivando gli interessi linguistici in una sfera privata e informale o se abbiano il diritto di istituzionalizzare l'apprendimento della lingua materna per far proprie e rispettare le regole formali della lingua d' origine , cosģ come essa viene scritta e parlata, oggi, nella ex madre patria. Mentre nelle minoranze, per cosģ dire, meno minoritarie, dal punto di vista storico e geo-politico (francofona, tedescofona, slavofona), la controversia ha radici antiche ed oggi risulta pressoché placata, nelle minoranze grecaniche, occitaniche e albanofone, essa conosce attualmente una vivace ripresa, parallela e speculare alla rivitalizzazione leghista delle parlate padane. Contribuisce ad alimentare il dibattito la regionalizzazione dell'istruzione, con la sua produzione legislativa di tutela delle minoranze linguistiche, la deriva federalista e la globalizzazione culturale con le loro contraddittorie tendenze disgreganti e omologanti. Ma, dietro la questione si nascondono interessi politici (elettorali), clientelari e corporativi. Ha la sua importanza anche la componente pedagogica (socializzazione primaria), quella professionale (cattedre per l'insegnamento ) e quella socio-culturale (la lingua come perno per la formazione e il consolidamento dell'identitą dei singoli e della comunitą minoritaria) A tale proposito, vi č chi sottolinea il carattere mobile e polimorfo dell'identitą in una civiltą dell'incertezza e ricorda che la pluridimensione dell'identitą individuale di pirandelliana memoria, simboleggiata nel titolo di "Uno, nessuno, centomila" č applicabile anche alle aggregazioni sociali. Secondo questa tesi, non solo non si danno identitą fisse, ma č perfino dannoso stabilire dei programmi educativi per promuoverle. In questo quadro, perpetuare la fissitą plurisecolare di una lingua che rispecchia condizioni di vita medievali, significa cristallizzare l'arretratezza della comunitą alloglotta e ostacolare i giovani nel loro adattamento al presente ritardandone l'ingresso nel futuro.
Secondo altri, non č disdicevole insistere sull'identitą in un mondo globalizzato, sottoposto a rapidi processi di deidentificazione e di depersonalizzazione. Ma occorre allargare i confini dell'identitą ed essere pił estremisti, non nel senso che bisogna andare pił a destra o pił a sinistra, ma pił in alto e pił in basso. Il baricentro dell'identitą dovrebbe oscillare in due direzioni: in direzione ascensionale, dalla zona cardiaca alla zona cefalo-cerebrale e in direzione "discensionale", dalla zona cardiaca alla zona "artropodica" o pedestre. In termini meno allusivi e pił diretti, occorre essere meno sentimentali e pił razionali, occorre investire nell' educazione alla conoscenza scientifica di quei settori di realtą utili alla mobilitą professionale e geografica. Dunque, la conoscenza delle lingue straniere di pił, meglio e prima di quella materna che č indispensabile per piangere e per ridere, ma fino a quando qualcun altro puņ avere un qualche interesse a sentirci piangere e ridere; subito dopo, anche la lingua materna cessa di esserci utile, se non per continuare a ridere con gli amici d'infanzia ,che ,certamente, di pianti non ne vogliono sentir parlare. Se proprio non se ne puņ fare a meno- di piangere - si puņ continuare a farlo nella lingua materna davanti allo specchio e brevettare l'operazione con il nome di "pianto speculare". Tra l'altro, l'Arbėresh - insinuano i sostenitori della teoria del narciso shqipėtaro in lutto - si presterebbe in modo particolarmente efficace a svolgere questa funzione, per la sua ricchezza musicale in fatto di fonemi e la sua superioritą quantitativa , rispetto all'Italiano, sul versante delle lettere alfabetiche (36 contro le 21 dell'Italiano).
Gli esterofili, seguaci di una ideologia dirigistica , sostengono la necessitą della formazione a tavolino di una koiné linguistica che assuma ed amalgami elementi locali ed elementi importati dall'esterno con lo scopo di soddisfare esigenze di comunicazione istituzionale di tipo amministrativo e di creare i presupposti culturali per una cooperazione tra alloglotti e istituzioni del Paese di esodo .Gli esterofili esprimono perplessitą di fronte alla prospettiva di un pianto speculare di tipo polifonico, anche in considerazione della difficoltą a reperire specchi dotati di superfici speculari che abbiano dimensioni proporzionate alla grandezza della collettivitą internazionale costituente il coro di emarginati potenziali e reali delle due sponde opposte, del Mar Adriatico e del Mar Jonio. I localisti sostengono che se la lingua parlata puņ svolgere una funzione, questa deve prescindere totalmente dal rapporto con la lingua ufficiale del Paese "straniero" e deve consistere nella valorizzazione delle tradizioni locali veicolate dal mezzo linguistico socialmente operante. Il carattere isolazionistico di questa concezione viene attenuato dalla concessione benevola alla lingua "straniera", parlata nel Paese di origine, del privilegio di essere considerata progenitrice , ma pur sempre lontana, di una realtą comunicativa che ormai si é emancipata da ogni sudditanza ed ha acquistato la sua autonomia dalla ex madre patria. La riflessione empirica, per immagini e metafore, svolta negli scritti , qui di seguito riportati, che l'autore si rifiuta di chiamare "poesie", rappresenta, a modo suo, il nucleo sostanziale della problematica esposta, per sommi capi, in questa introduzione. La lingua minoritaria utilizzata come veicolo di rappresentazione dei problemi č quella arbėresh ( Unghirnjot) parlata nella comunitą alloglotta albanofona di Lungro, in pprovincia di Cosenza. Una curiositą: Il nome della comunitą, Lungro, in Italiano, Ungra, Unghir in Arbėresh, ha assonanze che richiamano parentele fonetiche con nomi della Guinea Bissau (UNGRO), dell'Islanda (UNGRI), della Romania (UNGRA) , della Birmania (LUNGRI) e della Gran Bretagna (HUNGRY): la fonetica universale dei linguaggi umani tradisce una segreta aspirazione della natura a sostenere l'utopia dell'esperanto. Altro che localismo linguistico. Ecco gli "scritti", redatti in Arbėresh lungrese (Unghirnjot) da Antonio Sassone e proposti dallo stesso autore con traduzione italiana a fronte:
GJUF'E E QANGIERIT UNA LINGUA DA MACELLAIO
Albrishti ėshtė njė gjufė qangieri. L'Arbėresh č una lingua da macellaio, Ndan shurbiset si njė topir e trash . taglia gli oggetti come una ruvida ascia. I rruxiartur si ėshtė, rrashkarin misht Arruginita com'č, lacera la carne e i lė tulet tė vargarisur si njė bisht. e ne lascia sospesi i frammenti come pendule code. Ndė donje t'e shkilqinje A chi volesse lucidarla nėng sosnej moti t'e pushtinje; non basterebbe il tempo per spruzzar saliva Albrishti ka cickun pa ehjur, L'Arbėresh č una scure spuntata, nėng hin mbrėnda ndė kurmit si gilpier, non penetra dentro il corpo come un ago acuminato, ma rri pir jashta ma si ferma in superficie e gjimėst e mishit lė tė bģer. e disperde nello spreco metą della carne che sfiora. Albrishti nėng ka stolit tė bėnjė nuse fialat, L'Arbėresh non ha vesti nuziali per abbellir le spose, i lė pa lar e i xheshin mbrolat. ma le lascia contaminate e le denuda. Ndė donje tė gjėnje buk, Se volessi cercare cibo Se tė mbionje barkun tėnde , per saziare la tua fame, me vet albrishtin ndė grikt , con il solo uso della lingua Arbėresh, mund hanje biav me krunde rischieresti di nutrirti di crusca di biada.
Si gjithė gjufat tė prer' e tė ēiarė Come tutte le lingue tagliate e rotte Albrishti, edhč se nėng ėsht arė, l'Arbėresh, anche se non č lussuoso come l'oro, sosin tė qeshėē me shokėt ha quanto basta per farti ridere con gli amici e t'i mielē sist kur mbarsen lopėt. e per farti mungere le mucche gravide. Si qumshtin ēė pi njė viē i vikir, Come un vitello latterino aggrappato al seno materno pive Albrishtin kur u leve. hai succhiato il latte dell' Arbėresh fin dalla nascita.
Kur vdiq jot' ėmė Se alla morte di tua madre e qindrove pa skamandil ti dovessi trovare privo di fazzoletto tė shutarē sytė, e non sapessi come asciugar le lacrime, vete ket albrishti puoi lenire il tuo dolore, trovando rifugio nell'Arbėresh, e e lėpjin si mjal ket gjishti . e leccarlo come il miele che irrora il dito. Mund jet se lotėt tė shkasin mė mir Forse le lacrime scivoleranno pił fluide e zėmra rrashkaret mė pak, e il tuo cuore si graffierą di meno, edhč se u bėre pjak per alleggerire il peso dell'incombente vecchiaia e nėng je mė bir. e per sminuire la perdita della tua qualitą di figlio. Albrishti i qilluar ndir syt' e s'at ėmė L'Arbėresh, addormentato negli occhi di tua madre ėsht njė gjuf' e fatosur: č una lingua fatata: nga herė ē'e zgjon, ogni volta che le dai risveglio, ngrėfet jot' ėmė ka bota e ngritė si desta anche tua madre dalla terra fredda e tė qeshin me dritė ndir sytė. e ti sorride con la luce negli occhi.
MUNGARJ DYGJUFĖS L'AFASIA DEL BILINGUE
Kur fiet albrishtin, Quando parli la lingua arbėreshė, shkararin ndė halkomit infili la testa nella giara gigante shurbisevet tė harruar; delle cose dimenticate: se tė gjėcė fialat grisin gjishtin , per trovare le parole, consumi il ditale, ket biercė mot nga herė si ēot ogni volta, devi indugiare in un imbarazzato silenzio ture kruajrtur kocin e ēerė, e nello sforzo di ricordare, gratti la testa e strofini il viso, bine duke si pulė piklore fai la figura di una gallina lentigginosa me kėmbit tė penguar; che ha le zampe legate, ket ecėēė e kėcecė pir ore, sei costretto a camminare saltellando per ore, me njė rropaq ndir duar, con un bastone in mano, mos tė mbaēofecė e se tė rricė shtuar; per non inciampare e per reggerti in piedi; ma dhopu ēė fole gjuf albrisht. ma dopo che hai parlato la lingua arbėreshė e nxore kamnen ka syt e gjisht e la fuliggine hai spazzato via da occhi e dita adurin e spartavet e ndien senti il profumo delle ginestre e shtie lule kopdhit Krisht. e come nel Corpus Domini fai festa, spargendo fiori dalle finestre
Kur fiet lėtisht, Quando parli un'altra lingua, je si fucka qumbi, sei leggero come una palla di piombo, duke i maim si derk kashetjie ti senti grasso come un maiale ēė hipet ndir rahjet, che cerca di salire su un dirupo, rrugulliset ndir plezkat rotola nelle pozzanghere e krufet se tė nxier pieshtat. e si gratta strofinandosi per liberarsi dalle zecche. Si do tė fiaēė, albrisht o lėtisht, Quale che sia la parlata, arbėresh o non, Kur gjėnde Unghir quando ti trovi a Lungro ture sgjiedhur gjiufin mentre cerchi di scegliere la lingua, bier mot par se tė fiaēė , ti attardi come una chioccia prima di parlarla e si kllos ket bėēė dy gėlas. e come una chioccia espelli due pallottole di guano. Pir haren atji ēė tė gjegjin Per fortuna di chi ti ascolta fiet me grik e jo me shexhin. parli con la bocca e non con l'ano
Ikni mjj, , iknj pieshta ecni gjithė ndir ata vreshta.
I BỄGATJ L'ARRICCHITO
Njė herė hanje miell krundie Un tempo mangiavi farina di crusca e teshtėnje qurra hundie, e starnutivi spruzzando moccio dal naso, kishe tirqit mė kunjit portavi pantaloni con la pezza al sedere e mut ndir thonjt . e avevi le unghie sporche.. Nanģ ēė u bėre i bėgat Ora che sei diventato ricco ture viedhur mat rubacchiando mate e ture shitur piēėpitat e vendendo merci adulterate nėng qindrove tė grrienje bithin me thonjit , non hai cessato di grattare il culo con le unghie me duart pa lar i shet bukin gjindies, porgi il pane ai clienti con le mani sporche, viell fial me grik . vomiti parole dalla bocca . Mos tė kurrumbirēė turrest Per non contaminare i soldi, ng'i nget me duar, eviti perfino di sfiorarli con le mani, ma i mer me njė thik . li prelevi infilzandoli con una lama. Se tė mbjidhnje sa mė donje Pur di accumulare altro denaro Ishe i mir tė shitėnje bithin saresti capace di mettere in vendita il culo edhč ahirna nėng e lanje. e neppure in quella occasione lo puliresti. Mė njė here o mė dhopu Prima o poi Edhč tj ule i lodht pir posh nji fiku anche tu ti riposerai, seduto sotto l'ombra di un fico E ture ruajėtur qiellin pa ree e guardando il cielo senza nubi Kulton dritin e vetėherės ē' i t iku. rimpiangerai la luce della vita che non hai potuto trattenere, Se me njė dor grrinje bithin perché avevi una mano occupata a grattare il sedere e me ietrin shprishnje hithin. e con l'altra spargevi l'ortica per l' altrui dispiacere.
GROPA LA FOSSA COMUNE
Ka Kąrmuni, ket shpji e tė vdčkurvet, Nella cittą dei morti, mė njėhere ishė Gropa , una volta c'era la fossa comune, e llutmia shpji atirve ultima dimora ēė nėng kishin ėmrin. dei senza nome.
Sot, sipir grops u rrit Oggi, sul cumulo di terra č cresciuta bari i shkret. e spadroneggia l'erba cattiva. E vietir gropa u buar La vecchia fossa comune č scomparsa e me atėn kishterėt pa ėmir e cosģ gli uomini senza nome buartin t'llutmin shpji. hanno perduto anche l'ultima dimora. Eshtrat i hėngėtin qenėt I cani randagi ne hanno rosicchiato le ossa. Unghir, eshtrat e qenvet A Lungro, le ossa dei cani gjetin shpjin, hanno trovato dimora, kishterėt nėng gjetin ėmrin gli uomini non hanno trovato il nome e buartin Gropin. e hanno perso la dimora comune.
Ėmri ėshtė si lėkura sipir misht. Il nome č come la pelle sulla carne. Kur qeni hėngri ashtin Quando il cane ha divorato l'osso ēė mban shtuar che sostiene misht, la carne, lėkure ėmrit ikin nd'ir duar la pelle del nome si consuma e sparisce zotit Krisht. nelle mani di Dio.
Unghir kirdhirin se sosin ėmri A Lungro sono convinti che basti i shkruar ndė marmurit la scritta di un nome sul marmo di una tomba se tė sgjofet Hora a restituire il risveglio ad Hora, la dea cė ripitirin fialat, che fa risuonare le parole, i dirgon ket ieta ne manda l'eco per il mondo e bine i gjiegjin tė gjiallt e tiene desta l'attenzione dei vivi pir shum vieta. sul nome dei morti, per lungo tempo.
Syt e Horės kan dritin tė shuar Hora ha occhi spenti E fialt ndir gurt per guardar parole ng'i shofin tė shkruar. e nomi su pietra incisi echeggiar non vuole.
Atirve ēė ian piakra, pa shurbģer, Ai vecchi che l'etą ha reso inattivi Hora i dha shortien mė tė mir se gjithve: Hora ha assegnato una sorte che pił propizia
Duket se buartin ėmrin, shpin, non avrebbe potuto essere: sembrano persi nome, gropin e kishterin ē'ishin . di casa, di fossa comune e della stessa identitą.
Edhč mua, se ti vė kurorin, A coronamento del tutto, mė qindron vet anche a me non resta che perdere t'im biret birlloku il gioiello da metallaro ēė kam ket vroku che adorna il mio tizzone i shuar spento si hilnar i viuar. nella custodia di un tremulo baluginare.
Qiesh si tė duaēė, shoku im. Ridi pure, amico mio, Pir gazin t'ėnde ng' ėsht vende Tanto, per il tuo riso non c'č luogo ket ieta ēė te prier prap. nell'universo che te ne restituisca l'eco. Qindronj vet u me pokondrii Sono il solo ad essere impietosito t'i tė gjegjin dal ritorno di suono kur qeshin ti si njė dhii. della tua risata caprina.
ANTONIO SASSONE |
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