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Ma se ne rendono conto? Ma si rendono conto di che cosa ha prodotto questa riforma in via di attuazione nei Collegi docenti della scuola elementare?! Credo proprio di no. La cronaca di esperienze riferite in giro per l’Italia parla chiaro:
Qualcuno racconta di dirigenti in gamba “assaliti”, “aggrediti” verbalmente, da docenti un tempo “amici” e “compagni” di lavoro, ogni qualvolta tentino di far partire anche soltanto riflessioni sulla legge non ancora a pieno regime… E poi i volti tesi, stanchi, perplessi di chi non sa più che cosa pensare di sé e del proprio lavoro, delle proprie valutazioni e dei contenuti delle proprie materie ormai considerati “vecchi”, senza aver avuto la possibilità di sbocciare del tutto! Infine le classi, in cui si lavora tanto, senza un futuro sicuro: chi le condurrà fra i tre o quattro o due insegnanti dei moduli e del tempo pieno? Quali i laboratori di “nuova” concezione? Quali gruppi si formeranno? Quale posto nei gruppi e quale “personalizzazione” per gli stranieri appena inseriti? E per l’handicap? E per i bambini e le bambine iscritte in anticipo di età? Quali valutazioni? Perché dover rinunciare a insegnare in tempi distesi un ambito disciplinare o un percorso di storia sperimentato e di successo, magari anche di storia moderna (ai bambini delle elementari piace moltissimo e serve (!), ma nessuno ne ha tenuto conto elaborando le Indicazioni!)? Perché rinunciare a spezzoni di tempo in prima elementare per spostarsi nei laboratori di informatica a volte quasi o del tutto inefficienti o inesistenti? Di più, senza aver fatto tutti insieme, come docenti italiani, una riflessione pedagogica su ciò che ha valore e priorità, su ciò che si crede vada potenziato e cosa invece ridimensionato in programmi, programmazione e contenuti nell’attuale società in previsione di una auspicabile umanizzazione dei rapporti umani? Quale la funzione docente? Si deve divenire “applicatori” di riforme che non si sono in alcun modo potute discutere se non in ambiti di associazioni, movimenti, sindacati, oppure in soliloqui senza uditori? Si deve tacere dentro le aule e nei Collegi e “fare” la scuola che non si vorrebbe? Si deve fingere che piaccia per non incorrere in sanzioni? Ci si deve spendere senza emozioni? Si deve entrare in classe “armati” di “Indicazioni” che non si “comprendono” o di cui non si vede la necessità? Si deve abbandonare la propria storia professionale ed eseguire gli ordini sentendosi “vecchi e sorpassati” pur sapendo di non esserlo, e comunque di dover stare in servizio, costretti dalle leggi, fino a tarda età? Si devono dimenticare i corsi d’aggiornamento e le teorie che fin qui si è tentato di far diventare realtà? Le personali librerie stracolme di testi pagati a proprie spese che dei maestri e delle maestre hanno fatto docenti attenti e riflessivi, docenti pronti all’autocritica e al superamento dell’autoreferenzialità nella pratica quotidiana di conduzione delle classi, dovranno essere svuotate senza nostalgia per lasciare spazio ai “nuovi vangeli” didattici e pedagogici? Si dovranno acquistare (ormai “quasi” obbligatoriamente!) il computer e il collegamento Internet per aggiornarsi via Web? I pensatori della nuova era hanno scritto libri e articoli: si dovranno forse pagare di tasca propria un’ennesima volta pagine e pagine di raccomandazioni e istruzioni per l’uso per trasformarsi in fretta e furia nelle “nuove” tipologie di insegnanti che non si vorrebbe mai diventare? Ogni riforma porta con sé soffi e spazi di libertà, di rinnovamento, tuttavia la scuola, la nostra scuola, quella ampiamente già riformata e in via di miglioramento costante aveva già in sé la voce della libertà. Ogni istituzione, in autonomia, senza grandi risorse, dovrebbe aver indicato ai legislatori i suoi punti di forza nella miriade di soluzioni adottate per superare problemi e altri affrontarne, sarebbe dovuta essere interpellata sui temi che premono: tutor, tempo pieno, funzioni strumentali, handicap, inserimenti delle bambine dei bambini stranieri, disagio, didattica applicata, metodologie dell’insegnamento della lingua italiana, della matematica, della storia…sarebbe dovuta essere messa nelle condizioni di raccontare e raccontarsi anche per ciò che riguarda le dinamiche della relazione con le famiglie, anche per le emergenti richieste di intervento educativo, in direzione di una più sicura lettura dei bisogni dell’infanzia contemporanea… La funzione docente e quella dei dirigenti dovrebbe essere soltanto quella di “uomini morti” ? Dovrebbe configurarsi come quella di coloro i quali eseguono meccanicamente leggi sfornate a macchinetta, sostenute da chi, nei commenti e nelle considerazioni più o meno filosofiche, li considera personale di basso valore sociale, culturale, professionale e (perfino) umano…? E poi c’è tutta la questione della pressione pubblicitaria a colpi di spot e opuscoli: quale potere viene lasciato nelle mani della funzione docente? Nullo! Azzerato con convinzione, sprezzo e determinazione! Quale potere ha una professione che si basa unicamente sulla ragione e sul sentimento, sulla propria debole voce professionale emessa anche grazie all’esperienza degli incontri molteplici con le giovani generazioni in divenire? La funzione docente dovrebbe contribuire a “elevare” la società con la voce della propria competenza didattica, pedagogica, di conoscenza delle relazioni umane e sociali, ma quale presa potrà ormai avere nei confronti della cosiddetta utenza, la quale è in pratica l’utenza degli spot e degli opuscoli che ha pagato? E non si continui a fare l’errore di credere anche solo per un momento che l’unica voce che “grida” sia quella autorevole delle associazioni professionali, quella delle manifestazioni di piazza, dei sindacati attivi, dei movimenti e dei coordinamenti…Essi hanno forza, ragioni e determinazione senz’altro, ma c’è una voce che negli anni continua a non essere proprio udita: è quella di chi non è “eroe” o battagliero, è quella delle miriadi di persone, anch’esse di valore, che forse “sembrano starci”, ma nella realtà silenziosa del proprio lavoro fanno in modo di non cedere del tutto, di non abbandonare il loro credo didattico e pedagogico; sono quelle persone che sembrano adeguarsi, perché non amano il conflitto aperto, amano le “piccole cose di ogni giorno” e i sorrisi della collega della porta accanto e forse vorrebbero anche il sorriso di ministri ed esperti, pur tuttavia scuotono la testa di fronte alla urlata pubblicità che stravolge quella loro piccola grande scuola che le fa sudare ogni santo giorno prima del ritorno a casa serale con la grande valigia, stretta nella mano, colma di cartoncini colorati, di compiti da correggere, di strisce di carta con i pensieri “multietnici” e profondi dei bambini, di agende da completare, di programmazioni condivise con le colleghe, ma ancora da scrivere, di avvisi e comunicazioni abbozzati da studiare e concludere, di libri prestati da un collega didatticamente e professionalmente stimato, di posate sporche della mensa del giorno, di golfini stropicciati, i quali, nel corso delle attività, si sono inzuppati di sudore e macchiati di tempera, colma di musicassette, di videocassette, di cd, di fogli di appunti presi a mano (da organizzare e riscrivere al computer) con le osservazioni di ogni bambina e bambino durante una conversazione in classe…E la testa va ai problemi emersi quel giorno da Chiara, Luca, Antonio…, ma la testa va anche al futuro incerto di quella scuola che si era intimamente voluta e si sarebbe voluta ancora per molto, ma che ora è lì, in bilico, e non si sa come andrà a finire…e si spera che possano fare qualcosa quelli più battaglieri, più informati di politica e sindacato e li si ringrazia per quel che può contare!
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