Il Maestro (in tre persone, prevalente, unico,
solo?) di Gabriele Boselli, consigliere CNPI
Contingenze di una figura perenne
Rileggevo in questi giorni l’ultima opera di Giovanni Gentile, “Genesi e
struttura della società”, scritta nel 1944, al crepuscolo del suo mondo.
Io sono socialista e, fossi vissuto in quel tempo, sarei stato insieme
ai compagni che combattevano la parte che l’autore del fondazionale
“Sommario di Pedagogia come scienza filosofica” aveva deciso di non
rinnegare; eppure in molte pagine con-sentivo con Lui perchè forse anche
il mio mondo è prossimo al termine dei valori in cui si era formato.
Certo sono tempi travagliati. Non solo nella scuola ma in tutti i
servizi sociali e per chiunque svolga un lavoro come dipendente. La
globalizzazione e la fluidità senza controllo statale dei processi
economici mettono in grado le varie oligarchie di omogeneizzare ovunque
il costo dei servizi sociali e del lavoro: ciò comporta possibilità di
sottrazione di risorse ai servizi (il “salario indiretto”, come lo
chiamava Ugo La Malfa (1) ai tempi del primo centro-sinistra), un
relativo miglioramento nei paesi arretrati e un peggioramento di quelli
che sinora avevano strappato migliori condizioni. Lo Stato, un po’ in
tutto il mondo, viene sostituito nei servizi da network privati o
ristretto a ciò che è strettamente funzionale alle imprese economiche.
Sanità, giustizia, scuola pagano i costi maggiori. Non sono fenomeni
sistemici ineluttabili e irreversibili, ma per ora la tendenza è questa
e con varia perniciosità dura ormai da un ventennio (Luhman e Schorr,
Fabrizio Ravaglioli).
In questo contesto, l’art 4 del dl 137/2008 ha suscitato comprensibili
allarmi e certo sollecita una discussione sul valore e gli inconvenienti
del cosiddetto “ritorno” al maestro unico. La storia insegna che non ci
sono mai puri e semplici ritorni; si può migliorare o peggiorare, mai
tornare allo stesso punto, poiché le condizioni cambiano e cambia il
profilo delle professioni e l’identità delle persone.
Mi augurerei invece che si “tornasse” semplicemente all’attenzione al
Maestro con la maiuscola, quello di cui scrivono Gentile e
Lombardo-Radice; se non resta solo, non è unicamente figura del passato
ma anche. spero, di un augurabile futuro. Occorre tracciare un profilo
ideale del Maestro compatibile con la legge 53/04 (tuttora in vigore pur
con gli accresciuti limiti posti dal citato articolo 4) e con le
esigenze minime di una composizione sociale dell’utenza che è
profondamente cambiata dal 1990. Gli insegnanti davvero Maestri forse
reggerebbero lo stress psicologico, pur insegnando bene solo le
discipline in cui sono effettivamente preparati. Ma senza il supporto di
qualche collega una parte rilevante non potrebbe sostenere in solitudine
il confronto con la più dura realtà (stranieri, disagio, stress
famigliare da precarietà economica, handicap) delle classi di oggi,
specialmente negli ultimi tre anni della scuola elementare.
Notevoli le conseguenze anche di ordine socio-politico che deriverebbero
da una pura e semplice sottrazione di risorse umane; debole peraltro
l’efficacia di eventuali “compensi” di ordine tecnico. La scuola è oggi
destinataria di un’ampia richiesta di produzione di educazione, di
conoscenze e di competenze. Le esigenze espresse dalla società crescono,
le risorse di ogni tipo vengono progressivamente erose. Se fra i
consiglieri di viale Trastevere c’è qualche economista (di pedagogisti
dopo Bertagna e Fiorin, che io sappia, più nessuno) consideri che fino a
un certo punto alla riduzione degli investimenti corrisponde un
proporzionale calo dei rendimenti quali-quantitativi delle istituzioni;
ma al di sotto di una certa soglia l’organizzazione collassa, “va in
stallo” come un aereo che vola troppo piano, senza che la densità
dinamica dell’aria gli possa più offrire un sostentamento minimo.
Non si può agire come se spendere nell’istruzione equivalesse a sprecare
(2). Occorre invece, a mio avviso, ripensare alle strutture
dell’istruzione come a luoghi di investimento sociale per la
formazione integrale di tutto l’uomo; costituirvi un punto di forza
nella coscienza di un soggetto intero proteso all’Intero e, lasciando
perdere l’infatuazione ipermoderna per la “competenza”, condurre la nave
nelle direzione indicata dalla stella principale: conoscere.
Sarebbe comunque opportuno non parlare di “ritorni” né di ”maestro
unico” ma di diversa articolazione della didattica su figure di alto
rilievo culturale e pedagogico. La linea più efficace potrebbe essere
quella di stabilire, in base alle esigenze della scuola - compatibili
con quelle di un Tesoro che non consideri l’istruzione qualcosa di
secondario - il numero di insegnanti di cui un circolo o un istituto può
disporre, lasciando che siano le scuole a scegliere, in un quadro
scientificamente garantito dal corpo ispettivo, l’organizzazione
dell’insegnamento.
Essenziale è il conoscere di una persona (non sola). E il suo
additare l’Intero
Uno dei limiti della l. 148/90, da me a suo tempo criticati, era in una
sorta di marginalizzazione e deresponsabilizazione della persona del
Maestro nella formazione della coscienza e del conoscere dell’alunno. La
coscienza si forma nell’interazione pedagogica con altre coscienze. La
conoscenza è la forza dell’intelligenza umana storicamente formatasi che
porta una coscienza a entrare in una relazione più razionale (inquadrata
dall’attività “legislatrice” del sapere costituito) con il mondo,
intendendo ancora per mondo l’insieme delle relazioni che la coscienza
trascendentale dell’umanità intrattiene con le sue rappresentazioni
culturalmente consolidate. La scuola può/deve offrire un orizzonte
epistemologico e storico insieme (Dario Antiseri), affidabile almeno
quanto fallibile e incerto, per l’intelligenza dell’essere
attraverso le vie dell’esistere pedagogico: offrire dunque conoscenze
e saperi (conoscenze in atto) di qualcuno, essenziali in
quanto lasciano essere anziché trasmettere statuti di ciò che la cultura
dà per essente; conoscenze e saperi offerti da qualcuno a qualcun altro,
da volto a volto. Se il conoscere che si impara a scuola non
fosse in primo luogo interpretativo dell’essenziale sarebbe chiacchiera,
addestramento alle competenze, introduzione al culto del Nulla, alla
rassegnazione, alle prestazioni anonime e dunque insensate.
I ragazzi hanno bisogno di un volto che - insieme ad altri volti
- racconti dell’Intero; hanno bisogno di segni essenziali di
indicazione; non possono essere lasciati nel nichilismo della
frammentualità ma nemmeno nella rarefazione del conoscere che
conseguirebbe a una forte diminuzione del numero dei docenti. Gli
insegnanti e chiunque abbia un ruolo educativo devono aver modo di
detenere uno spazio proprio, per dire qualcosa di proprio nella
relazione con gli altri, per essere se stessi anche grazie ai colleghi
consentendo agli alunni di attuare il loro essere nella pienezza
dell’ambiente pedagogico.
(1) Trent’anni fa la storia andava in un altro
senso. Il mondo del lavoro aveva buoni motivi per sperare: il fisco
cominciava a funzionare (Sylos Labini, Reviglio); nasceva il
servizio sanitario nazionale (legge Mariotti) per attuare, oltre la
costellazione mutualistica e caritativa, il diritto alla salute;
nasceva la scuola materna statale (l. Codignola) per dare a tutti i
bambini dai tre anni un’educazione e un’istruzione tra le migliori
del mondo; nasceva lo statuto dei lavoratori (l. Brodolini) per
ridurre il diritto di sfruttamento dei lavoratori, prima
assolutamente incondizionato. Si chiudevano le istituzioni totali
per malati di mente e per i soggetti con deficit gravi. Chiudevano
le classi differenziali e iniziava l’integrazione.
In tutta Europa lo Stato -si parlava ormai di Stati Uniti D’Europa-
diveniva una garanzia contro la legge della giungla; attraverso
politiche fiscali certo incomplete ma comunque positive riduceva
iniquità e sperequazioni.I lavoratori, dai braccianti agricoli agli
intellettuali, soprattutto nutrivano speranza in un domani migliore.
Oggi le riforme hanno cambiato direzione. Ora il sistema informativo
globale invita le masse –diseredate della Terra e del Cielo- a
compatirsi nel presente (parole d’ordine declino, deriva, etc.), a
non aver fiducia nel futuro, a temerlo. (2)
Questo potrebbe fra l’altro –anche in termini economici- costare
moltissimo a lungo termine. La dequalificazione della scuola
pubblica negli Stati Uniti conseguente alle “reaganomics” ha
costretto ad aprire sempre nuove carceri: quasi l’1% dei cittadini
statunitensi è oggi in carcere e un carcerato costa molto più di uno
scolaro. Senza tener conto delle passività (e delle sofferenze)
prodotte da chi in carcere non c’è ma delinque liberamente; questi
ultimi sono almeno il triplo di quelli rinchiusi.
Riferimenti bibliografici
G. Gentile, Genesi e struttura della società
(1944) letto in Mondadori, Milano, 1954
Luhman e Schorr Il sistema educativo, Armando, Roma, 1985
F.Ravaglioli Il sistema della formazione. Una analisi
istituzionale, Armando, Roma, 1998
D. Antiseri Ragioni della razionalità, voll. 2, Rubbettino,
Soveria Mannelli, 2005
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