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Reg. Tribunale Lecce n. 662 del 01.07.1997
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Metodo storico e metodo didattico: un possibile percorso disciplinare

di Arcangela Miceli

 

Premessa . “..Parecchi teorici della storia pensavano anzitutto ad una storia di fatti, meglio di episodi: voglio dire a quella che a torto o a ragione attribuisce estrema importanza all’esatto racconto di azioni, discorsi o atteggiamenti di alcuni personaggi riuniti in una scena di relativamente breve durata, in cui convergono, come nella tragedia antica, tutte le forze della crisi del momento: giornata rivoluzionaria, combattimento, colloquio diplomatico..”[1] con queste parole il grande storico M. Bloch ci aiuta a entrare nel cuore del problema, in uno dei nodi centrali della didattica della storia, il problema del metodo. L’attenzione alla procedura metodologica, nell’insegnamento come nella ricerca storica, è tuttavia di recente acquisizione e di ancor più recente motivo di dibattito e di riflessione teorica. E se la storiografia tradizionale si mostrava più attenta alla componente evenementielle ( secondo la definizione di  Lacombe e Simiand, cioè del singolo evento, del tempo breve, dell’accadimento ) che a quella della pluralità e della lunga durata[2],  i modelli culturali  a cui si riferiva il filologismo storico ottocentesco, anche  per la scoperta  di una gran massa di documenti, avevano fatto credere allo storico che l’autenticità documentaria fosse l’intera verità. L’idea di un processo di individualizzazione di quelle che venivano ormai unanimemente definite scienze dello spirito era nettamente distinta dal procedimento generalizzante delle scienze della natura così come veniva auspicato dagli storici idealisti tedeschi (Diltey, Windelband). La dicotomia tra scienze della natura e scienze dello spirito portò alla riduzione del metodo scientifico-storiografico e alla identificazione di storia e filosofia operata da G.Gentile e B. Croce.

Preparato dalla storiografia illuministica che, grazie agli studi comparati di economia, diritto, storia delle religioni e storia politica, poteva essere definita “scienza generale dell’uomo”, il nuovo modello scientifico nel lavoro storiografico è diventato il punto di approdo e di incontro nello stesso tempo delle scienze sociali che non possono non essere scienze storiche, e della storia che non può non essere che storia del sociale. Il divenire della storia è il divenire stesso della società, e, in quanto tale, deve procedere con i criteri generalizzati delle scienze della natura, epurandosi tuttavia da ogni scientismo ed erudizione ma anche da ogni moralismo etico-politico o, ancor peggio, propagandistico.

La restaurazione di un metodo scientifico nella storia tradizionalmente intesa, è opera degli storici francesi, dalla prima elaborazione teorica di Lacombe e Simiand in “Revue de sinthèse historique” (1900) e alla rivista “Annales” fondata nel 1929 da L.Febvre e M.Bloch e continuata da F.Braudel e da altri fino ai contemporanei J.Le Goff e M.Ferro. Sarà proprio F.Braudel a sintetizzare nel 1958 [3] il metodo della nuova storia economica e sociale: egli contrappone il concetto di lunga durata più che al concetto di evenement al concetto di breve periodo (le temps court),  e ciò non presuppone necessariamente una modalità diversa di osservare l’evento ma di inserirlo  in un contesto di più ampio respiro che potrebbe prescindere dal tempo stesso. La stessa osservazione delle cose passate, è collocata in un “divenire” dinamico e non statico delle cose stesse; in un approccio investigativo di questo tipo assume rilievo non solo ciò che cambia ma anche ciò che permane, in quanto è proprio il confronto tra questi due termini che predispone i parametri del divenire. Si potrebbe affermare, dunque, che l’osservazione storica non è altro che  l’osservazione dell’azione del tempo nelle cose.

 

 

 

 

 

Il nuovo curricolo verticale

 

 Nella riforma scolastica della commissione Bertagna e soprattutto nella proposta di Landis del nuovo curricolo verticale per l’area geo-storico-sociale,  si affrontano due aspetti fondamentali che riguardano la didattica della storia: la partizione dei contenuti e la modalità con cui si dovrebbe insegnare la storia. E se nella suddivisione dei contenuti previsti per la secondaria superiore si dichiara di volere evitare il carattere di “ripetitività” e si privilegia un modello di apprendimento “a spirale”, ciò che si afferma sulla metodologia relativa all’insegnamento della storia lascia qualche perplessità e ci offre lo spunto per enunciare l’argomentazione che si intende seguire.

Distribuire i contenuti della disciplina nell’arco di tutti gli anni di formazione di ogni alunno può essere  un’ottima prospettiva didattica in grado di riconoscere alla storia la sua caratteristica di “disciplinarità”, dotata quindi di scopi e finalità didattiche,  di un proprio linguaggio e di una specificità, che sarebbe riduttivo far coincidere con la sola ripartizione cronologica degli eventi. Prospettiva valida ed efficace purché l’alunno, fin dalla scuola di base, sia messo nella condizione di conoscere, utilizzare e seguire una procedura di apprendimento ed una metodologia di lavoro tali da rispettare la natura  stessa della disciplina e cioè, quella di essere,  per dirlo con Bloch,  “realtà del passato”, un passato con cui si dovrebbe mantenere “un continuo processo di interazione [tra lo storico e i fatti],  un dialogo senza fine”[4].

Ora, se l’acquisizione e l’uso di un linguaggio, poniamo della biologia, richiede un graduale adattamento espressivo sin dai primi anni dell’’età scolare in cui l’insegnante più che preoccuparsi di rispettare un determinato contenuto (conoscere per ipotesi in dettaglio l’anatomia umana) cerchi di far apprendere il rapporto organo/funzione, e dunque  la procedura che persegue è di natura prevalentemente metodologica, non si capisce perché per l’apprendimento del linguaggio della storia sia indispensabile passare necessariamente da contenuti “ingabbiati” in una sequenza di eventi, e per di più in un quasi ossessivo e inutile “incasellamento cronologico” dei fatti (dalla linea del tempo alla rigida successione temporale ), e che oltretutto si ripete per almeno tre volte nell’arco di un corso di studi medio nell’attuale sistema scolastico.

L’insegnamento nella scuola primaria, specialmente se l’alunno ha avuto modo di “interiorizzare” le tappe del metodo di analisi, correlazione e ricostruzione, più che “comprendere quali sono gli avvenimenti più significativi di un periodo” o “conoscere il dove, il quando e il come degli eventi e dei periodi “ o delegare l’applicazione del metodo al solo momento degli approfondimenti sia pur “significativi sul piano delle svolte epocali o della mentalità di un periodo”[5], dovrebbe aver imparato a usare, saper leggere, confrontare e sintetizzare concettualmente le “materie prime dello storico” “qualsiasi descrizione del lavoro dello storico deve cominciare con le fonti…Le fonti comprendono ogni genere di testimonianza delle proprie passate attività lasciate dagli esseri umani: la parola scritta e parlata, la conformazione del paesaggio e il manufatto, le belle arti e la fotografia, il cinema” [6] ; perché, come avremo modo si argomentare qui di seguito, la svolta non può essere relegata all’ approfondimento in quanto essa spesso costituisce il nesso centrale che determina la dinamica del passaggio da una situazione a un’altra, da un periodo a un altro, da una durata a quella successiva. Ed è proprio il cambiamento che, se da una parte soddisfa l’esigenza della successione e della suddivisione cronologica, dall’altra costituisce il fondamento stesso della didattica disciplinare e del “sapere storico” in generale.

Questo ordine  di problemi, tuttavia  non  è nuovo. Sembra che il dibattito sulla didattica della storia sia rimasto “congelato” o mai esaurito negli ultimi vent’anni. E che se allora (negli anni 70/90 ) era spinto dalla necessità di adeguamento alle linee programmatiche determinate dal rinnovamento dei programmi per la Scuola elementare e alla cultura del valore insegnamento/apprendimento, ora stimola una doverosa necessaria riflessione proprio in vista delle nuove proposte.

 

 

 

Insegnare la storia con il metodo degli storici

 

Nei lunghi pellegrinaggi che mi hanno fatto incontrare centinaia di insegnanti (soprattutto della scuola primaria) in tutta Italia – erano gli anni della riforma dei programmi della scuola elementare e in molte realtà scolastiche l’esigenza di informazione e formazione era sentita e partecipe -, ho raccolto una serie di riflessioni sulla didattica in genere e sull’insegnamento della storia in particolare.

Avevo l’abitudine, maturata dalla lettura appassionata di Carr, di Bloch e di Febvre e di altri, di iniziare il mio primo intervento con le fatidiche domande: Che cosa è la storia ? e Quale storia insegnare ?, con l’intento prioritario di non dare una definizione disciplinare o di ricercare, o ancor peggio privilegiare, una determinata scansione di contenuti; la domanda radicale, l’interrogativo forte era  su come, con quali strumentalità metodologiche affrontare in modo efficace ed adeguato l’insegnamento della storia.

Questo punto di partenza mi consentiva di “misurare” sia il livello di interesse che la serie di problematiche che il nuovo dettato istituzionale sembrava porre e sollecitare.

Molte erano le perplessità e innumerevoli i problemi irrisolti, alcune di queste definizioni, nate dalla spontaneità del contesto ma maturate nel corso delle reciproche esperienze, tuttavia hanno costituito motivo di riflessione e di ripensamento.

Ho raccordato tra loro le più significative e le ho classificate secondo un criterio generale che mi farà da guida all’argomentazione successiva.

Il primo raggruppamento, che mi sembrava essere legato al modo “tradizionale” di considerare la storia, si configurava secondo le seguenti definizioni:

  • Narrazione di eventi
  • Cronologia di fatti
  • Ricerca degli eventi e  delle loro cause
  • Ricerca di radici comuni per la costruzione di una possibile identità collettiva
  • Mediazione tra passato, presente e futuro; confronto tra passato e presente
  • Capacità di previsione

L’altro, che in genere si riferiva a insegnanti attenti ai mutamenti e informati sulle nuove “prescrizioni” ministeriali, sembrava orientarsi sui seguenti modi di intendere la storia come :

·        Formulazione degli interrogativi

·        Soddisfazione dei bisogni e/o soluzione di problemi

·        Ricerca di tracce e segni del passato

·        Ricerca, uso, lettura  e interpretazione delle fonti

·        Espressione del mutamento e della trasformazione

·        Memoria  individuale, collettiva e storica

 

Un approccio disciplinare di questo tipo, certo, rompeva con lo schema didattico della tradizione e della consuetudine stratificata nella pratica quotidiana di molti insegnanti che, pur spinti verso il nuovo, non sempre trovavano i mezzi e le opportunità di intraprendere una strada diversa che richiedeva pazienza e perseveranza. L’orientamento metodologico, che era in parte presente nella premessa ai nuovi programmi della scuola elementare ma era entrato nel dibattito “politico”e culturale  sull’insegnamento della storia come nella sensibilità di pedagogisti e storici, poneva l’attenzione  alle innovative proposte che provenivano dalla metodologia della “ricostruzione” che si contrapponeva nettamente alla “narrazione” e all’uso esclusivamente “evenemenziale” dei fatti storici. Per renderla operativa era però necessario procedere a un’attenta “declinazione” dei raggruppamenti tematici per rifuggire dalla rigidità di una definizione dalla quale sembravano prendere  le distanze sia Bloch che Febvre  “ogni definizione è una prigione, e le scienze, come gli uomini, hanno bisogno anzitutto della libertà. Definire la storia ? Ma quale ?…non varia forse la storia perpetuamente, nella sua inquieta ricerca di tecniche nuove, di angoli  visuali inediti, di problemi che vanno posti meglio…” [7]

Ogni indicazione, tra quelle elencate, di fatto, si presta, allora come ora, a essere moltiplicata in una miriade di descrittori e a ogni descrittore il dibattito si fa serrato coinvolgendo problemi ancor più ampi dell’insegnamento della disciplina: capire quali dovrebbero essere le competenze e le conoscenze di base e quali dovrebbero essere quelle propedeutiche all’acquisizione del metodo storico, di quel metodo storico a cui continuamente sembravano  riferirsi i “nuovi” programmi.

Addestrare il bambino nell’età scolare a porsi degli interrogativi per esempio su come l’uomo nel tempo abbia risolto i suoi problemi ed abbia soddisfatto i suoi bisogni primari [8], vuol dire di fatto fargli capire che la storia è lo studio dell’azione esercitata dal tempo sulle cose, e sono le cose, sotto la spinta di queste azioni,  a soddisfare i bisogni a cui esse corrispondono. Avviarlo a questo tipo di interrogativi, significa per di più preparare la sua disponibilità negli anni della secondaria a individuare le questioni storiografiche che, per esempio, possono riguardare i sistemi di produzione e di commercio, le forme dell’organizzazione sociale, i caratteri peculiari di alcune “civiltà” e così via.

Ricercare le tracce e i segni del passato che per un alunno degli ultimi anni della “scuola di infanzia” vuol dire affinare la sua capacità osservativa, investigativa, intuitiva e di confronto concettuale  , del tipo  ieri/oggi,  per un allievo dei primi anni dell’ultimo sessennio si traduce nella competenza astrattiva della continuità tra passato e presente, nella percezione della persistenza, della durata e di quella storia che M.Bloch definiva “scienza del passato”, perché il buon  storico ( e dunque chiunque studia la storia) “somiglia all’orco della leggenda: là dove fiuta carne umana, là sa che è la sua preda” [9].

Per quanto riguarda l’utilizzo delle fonti, anche la loro classificazione e la loro “lettura” dovrebbero essere affrontate secondo una gradualità e una propedeuticità legate a tutto il ciclo della formazione scolastica. Partendo e privilegiando, per esempio le fonti iconografiche o quelle legate alla “cultura materiale” nel periodo della prima scolarizzazione, si abitua il bambino alla decodificazione simbolica e alla comprensione dei significati senza operare alcuna forzatura di tipo astrattivo, come avviene per esempio nella descrizione di un evento, lontano sia dall’esperienza cognitiva che dal controllo emotivo e del vissuto infantile. Questa stessa abilità di decodificazione, man mano che si arricchisce e si applica ad altri tipi di fonte ( da quelle scritte a quelle, per così dire “di ultima generazione” quali sono le fonti cinematografiche ), può mettere il ragazzo nella condizione di enucleare simboli e significati, di interpretarli e utilizzarli per la caratterizzazione per esempio di un contesto o di una civiltà, di “controllare” la loro validità di testimonianza, di distinguere la loro efficacia comunicativa o la loro funzione strumentale ed “educativa” (procurare il consenso, l’adesione e l’appoggio del gruppo dominato nei confronti di  quello dominante, ecc.), di cogliere i nuclei concettuali essenziali, di individuare gli elementi comuni (“costanti”), di correlare tra loro le fonti documentarie, di fare una ricostruzione e di ipotizzare un’interpretazione.

 E’ chiaro che mentre lo storico si deve misurare con i problemi legati a) agli usi della storia, b) alla scrittura della storia, c) alla sua oggettività [10], questi stessi problemi osservati dal punto di vista didattico si riducono il primo al  concetto di intenzionalità , il secondo a quello di “lettura” critica e il terzo alla logica del punto di vista quale può essere  quella tematizzata da M.Ferro: come si racconta la storia ai ragazzi in tutto il mondo.[11]

 

Il tempo come progressione e il tempo come cambiamento

 

 

Senza voler entrare nei meriti del problema che la definizione temporale porta con sé e che riguardano la cronologia, la successione, la partizione temporale, la diacronia, la sincronia, il segmento temporale ed altri elementi legati al problema tempo, ci basta qui richiamare l’attenzione su alcuni aspetti legati all’uso che in genere si fa della cronologia in una normale programmazione didattica: il primo aspetto riguarda la necessità di assegnare ad essa forse l’unica vera funzione che le compete è cioè quella di tipo “misurativo”. “Ordinare” una successione, una serie di eventi legati tra loro “nelle maglie larghe” di un periodo è   una semplice “comodità” che lo storico usa per delimitare campi di indagine, aree geografiche, passaggi da situazioni ad altre situazioni, scansioni concettuali.

Il secondo è che ogni partizione temporale, che computa l’inizio e segna la fine di un periodo, spesso è frutto di un atteggiamento “moralistico” che tende a leggere, per esempio,  il passato dalla superbia del presente, che giudica l’ alterità e la diversità in base alla pretesa superiorità culturale, tecnologica e “civile”e che di conseguenza si arroga, giustificandolo, il diritto di avere  “missioni di civiltà” e compiti di civilizzazione.

Il terzo, infine,  è quello che riconosce come unico possibile l’uso corretto, neutro, efficace della dimensione temporale che solo può attenere alla storia stessa , e cioè  il tempo come trasformazione.  La suddivisione cronologica che segna il mutamento, il  passaggio da un prima a un dopo, può esulare, per esempio da quella che gli storici francesi chiamavano histoire battaille perché della contrapposizione politica e militare circoscritta alla guerra, considera soprattutto le conseguenze a lungo termine,  quegli effetti che spesso mutano e trasfigurano il volto di una nazione e di un popolo o di una  società.

Una cronologia al servizio della collettività e dei suoi ritmi lenti, delle sue persistenze e dei cicli non è altro, in una parola, che  il tempo come durata. Una storia simile è una storia che ha, per sua natura,  come oggetto esclusivamente “l’uomo”, le sue azioni, i suoi progetti, il suo modo di organizzarsi, il suo modo di esprimere la creatività, l’inventiva, la riflessione, il sapere, la conoscenza…Infatti “la storia non pensa soltanto l’umano. Il suo clima naturale è quello della durata. Scienza degli uomini, sì ma degli uomini nel tempo. Il tempo, ininterrotta continuità, ma anche perpetuo cambiamento” [12] E alcune pagine dopo, sempre Lucien Febvre , precisa:“La storia si evolve rapidamente, come ogni scienza, oggi. Esitando spesso, con qualche passo falso, alcuni cercano di orientarsi sempre più verso il lavoro collettivo. Verrà il giorno in cui si parlerà di ‘laboratori di storia’ come di realtà e senza provocare sorrisi ironici…nutrito di una solida cultura, [lo storico], preparato a cercare nella storia elementi di soluzione dei grandi problemi che la vita quotidianamente pone alle società e alle civiltà, saprà tracciare le direttive per un’inchiesta, formulare esattamente i problemi, indicare le fonti di informazione…lettura di microfilm, schedatura, preparazione delle carte, delle statistiche, dei grafici, confronto dei documenti propriamente storici con i documenti linguistici, psicologici, etnici, archeologici, botanici,ecc capaci di facilitare la conoscenza”[13].

La storia è dunque è una disciplina che mantiene intatta la sua funzione a) formativa in quanto può aiutare  a costruire la propria identità sociale e culturale, rafforzare la percezione del sé in senso soggettivo e relazionale, promuovere l’atteggiamento interattivo, predisporre al dialogo e al confronto, offrire strumenti di interpretazione della realtà; b) informativa poiché è in grado di sviluppare competenze investigative ed esplorative, attivare capacità analitiche ed interpretative, favorire le abilità di correlazione concettuale,  rafforzare conoscenze ed abilità di base

Essa è, però,  soprattutto scientifica perché è osservabile, è osservabile nelle cose, è frutto di una procedura rigorosa (metodo), possiede un linguaggio specifico, cerca di capire come l’uomo nel tempo e nello spazio ha risolto i suoi problemi e soddisfatto i suoi bisogni, è in grado di fare previsioni, è in grado di cogliere cambiamenti e trasformazioni. Ora il fatto che le scienze sociali e le tesi di macroeconomia (Marx e Weber) abbiano costituito, per certi aspetti, i prodromi concettuali che consideravano il mutamento categoria centrale del “sapere storico”, se da un lato potrebbero creare problemi alla definizione della “storia totale”intesa idealisticamente[14], non vanno certo a intaccare l’uso didattico che si può fare del mutamento. Nella pratica didattica ogni trasformazione assolve a una funzione meno meccanica ed astrattiva della cronologia e, al di là dell’acquisizione metodologica, ci aiuta a far superare molti pregiudizi storici che circolano sia nella cultura che tra i ragazzi, secondo i quali la storia è sempre e comunque storia evolutiva, progresso, avanzamento, superiorità…Mentre la storia – oggi che sta per fare un balzo verso la ‘storia scientifica’ auspicata da Barracluogh[15]- “riguarda eventi e strutture, individui e masse, mentalità e forze materiali…la loro disciplina è ricreazione e spiegazione, arte e scienza..”

 

 

Struttura e tappe del metodo storico-didattico

 

 

Si vengono così a delineare gli aspetti più importanti di quelli che nella didattica degli ultimi decenni si riferiscono al “metodo storico” e che possono essere ordinati nelle seguenti tappe:

  • Formulazione di domande/problema  -  questione storiografica
  • Ricerca e classificazione delle fonti documentarie
  • Lettura delle fonti       -   Lettura della storiografia   -  tesi storiografica
  • Confronto tra le fonti   -  confronto storiografico      -  tesi e/o posizioni storiografiche
  • Individuazione del “concetto organizzatore”  -  nucleo concettuale portante
  • Reperimento di “costanti”     -    individuazione di “concause”
  • Ipotesi di ricostruzione (di un’epoca, di un evento, di una trasformazione, di un ciclo, di una durata, di una civiltà, di un popolo)
  • Utilizzazione del mutamento come criterio cronologico  (il prima e il dopo) -   esiti/soluzione dei problemi/permanenze e/o nuovi problemi                          

Se alla proposta del curricolo verticale, con le precisazioni e le riflessioni precedentemente espresse, si riuscisse ad affiancare l’assimilazione di questo tipo di  metodo storico, distribuito, diluito ed adattato in tutti gli anni della scuola dell’obbligo, l’auspicio di ‘scientificità’di Barracluogh si estenderebbe dalla ricerca dello storico alla pratica didattica e renderebbe più completo, rigoroso e critico lo studio della storia negli ultimi anni della formazione scolastica.

Non è sempre facile, tuttavia, misurarsi su un terreno nuovo senza difficoltà in quanto se alcuni docenti si trovano ad  avere  dietro le spalle anni di “consuetudine” didattica e non sono supportati da scelte editoriali che si orientano comunque su impianti di tipo “tradizionale”, altri possono contare su alcuni eccellenti ma rarissimi esempi di aggiornamento metodologico e di un’editoria rinnovata ma devono in ogni caso affrontare  continuamente la sequela di lamentele e di critiche di chi si scandalizzava se gli alunni non sanno “chi è Garibaldi”, in che anno è avvenuta la battaglia tale o tal altra, o che continuano a ripetere, citando con una certa approssimazione il buon Vico, che i fatti sono una realtà incontrovertibile  e unico fondamento di certezza e di verità.

I primi termini di un ulteriore  dibattito vengono riproposti: Vico, lo storicismo, la tradizione didattica da una parte, gli storici della scuola de “Les annales” dall’altra.

E, per dimostrare che non conviene mettere steccati all’investigazione e alla riflessione e che conviene invece mutuare da ogni posizione ciò che reputiamo valido ed efficace per rinnovare la nostra azione didattica ed educativa[16], vorremmo proprio chiudere partendo dal brano di Vico sul verum et factum convertuntur tratto da De antiquissima italorum sapientia [17]. Il vero è fondamento valido in Dio, secondo Vico,  in quanto creatore della natura. L'uomo, in quanto creatura, non può avere una piena conoscenza di sé, eppure egli si realizza si fa nella storia, che diventa cosí il luogo privilegiato della conoscenza che gli uomini possono avere di se stessi. E se la  “storia ideale ed  eterna”, era la sola  degna di indagine filosofica, proprio la nuova riflessione filosofica avrebbe consentito di recuperare il mondo dell'umano, le lingue, i costumi, le leggi, le tradizioni, i miti e per così dire “la coralità della cultura” e lo sviluppo dello spirito umano. Compito specifico della filosofia, dunque per G.B.Vico,  è quello di scoprire se nel mondo dell'uomo, in continuo divenire e soggetto alle leggi naturali del declino e della finitezza, vi siano costanti e leggi: se vi sia, cioè, un senso. E anche quando  “la storia non avesse senso: però ha in cambio ritmi, pulsazioni, curve di livello; ha stile” ci suggerisce nel suo ultimo lavoro Franco Cardini[18], questo ci deve stimolare una costante e continua ricerca della sua ragion d’essere .

Da parte mia, ogni volta che mi sono trovata nella scomoda condizione di “formatore” ma anche nell’attuale insegnamento ( i primi mesi del terzo anno li dedico esclusivamente al metodo), ho cercato di analizzare le ragioni degli uni e quelle degli altri; ma ciò che mi sono sempre proposta di comunicare e di perseguire erano e sono  le motivazioni che mi hanno , con sempre maggior convinzione, spinta a utilizzare nella pratica quotidiana una procedura didattica il più possibile vicina alla storiografia e al metodo storico della “ricostruzione”. Per questo motivo ho cercato e cerco di dare della disciplina una sorta di configurazione epistemologica collegandola ai suoi statuti disciplinari ma dandole allo stesso tempo una prospettiva didattico-educativa di ampio respiro.

 


 

[1] Bloch M. Apologia della storia, Torino, Einaudi 1950

[2] Braudel F. Histoire et sciences sociales, in « Annales » n.  4    1958

[3]  Braudel F op. cit. pag. 727

[4] E. Carr, Sei lezioni sulla storia, Einaudi Torino 1976 pag. 35

[5] le citazioni sono tratte dalla proposta di Landis per un curricolo verticale per l’area geo-storico-sociale – Insmli – Rete delle sezioni didattiche degli ISR

[6] J.Tosh, Introduzione alla ricerca storica, La Nuova Italia Firenze 1989 pag. 39. Nelle pagine immediatamente seguenti tuttavia l’autore precisa che , pur rimanendo le fonti scritte quelle privilegiate dallo storico, “negli ultimi trent’anni la gamma delle fonti sulle quali gli storici rivendicano competenza si è certamente allargata…anche a quelle fonti orali che hanno di recente iniziato ad attirare nuovamente la [sua] attenzione “

[7] F.Braudel op. cit. pag. 173  Febvre cita Bloch e si dichiara in pieno accordo con il “maestro” e amico.

[8] Illuminante da questo punto di vista e di grande utilità è la proposta didattica di Cousinet per l’insegnamento della storia nella scuola primaria “Le cose per cui il fanciullo manifesta una curiosità di tipo storico…corrispondono a bisogni che in parte risalgono alle origini dell’umanità, in parte sono nati con lo sviluppo della civiltà ma sono comuni a tutti gli uomini…e allora la storia è lo studio dell’azione esercitata dal tempo sulle cose, le quali sotto questa azione soddisfano sempre meglio i bisogni cui esse corrispondono (il corsivo è dell’autore)” in R.Cousinet, L’insegnamento della storia e l’educazione nuova ,  La Nuova Italia Firenze 1983 pag. 49

[9] M.Bloch, op. cit pag. 59

[10] J.Tosh  op. cit. pag 5 e seguenti

[11] Si tratta del sottotitolo di un’ interessante opera di Ferro, Uso sociale e insegnamento della storia, SEI Torino 1982. Racconta lo stesso autore, in un’intervista a cura di M.Godet in “Historiens et geographes” del febbraio 1982, che le origini di questo libro sono da ricercare in una lontana esperienza e in una recente intuizione. L’esperienza: attorno al 1950, giovane docente al Liceo di Orano in Algeria, si accorse con stupore che la visione francese della storia dell’Africa settentrionale contrastava apertamente con la memoria collettiva di cui erano portatori i suoi allievi arabi. L’intuizione, ormai maturo, e che rappresenta  la tesi centrale del libro è questa : la storia, come ci viene raccontata da piccoli, condiziona largamente le nostre opinioni durante l’intero arco della vita, alimenta giudizi e pregiudizi, orienta i sentimenti collettivi, contribuisce a formare la memoria e la coscienza sociale, indirizza in una parola il nostro punto di osservazione sul mondo e sulla storia nostra o altrui.

[12] L. Febvre op. cit. pag 174 nello stesso scritto Febvre cita Bloch celebrandone il valore come storico e come “filosofo della storia “Da un pezzo i nostri grandi predecessori - Michelet e Fustel - ci hanno insegnato a riconoscere che oggetto della storia è per natura l’uomo” una pausa e Bloch   correggendosi cita questa frase di un amico “Non l’uomo, non mai l’uomo, le società umane, i gruppi organizzati” [ in L.Febvre, La terre et l’évolution humaine, Paris 1922, pag. 201] l’amico di cui parla Bloch non è altri che Febvre ed è commovente quale reciprocità di intenti animi questi due straordinari storici. 

[13] L. Febvre, op.cit pag. 176

[14] J.Tosh  op. cit. pag. 259 ecco cosa ci dice in proposito l’autore ”…se la società si aspetta dagli storici [fautori della ‘storia scientifica’ ] delle risposte nel senso di previsioni sicure e di generalizzazioni esatte, resterà delusa. Ciò che emergerà dalla ricerca della ‘rilevanza’ è meno tangibile, ma alla lunga più prezioso: un senso più sicuro delle possibilità latenti nella nostra condizione attuale”

[15] citato da J.Tosh in op.cit. pag. 256. Anche la frase seguente è dello stesso autore, pag.258

[16] così J.Tosh, in op. cit. pag. 258 “La storia è sempre stata ostile alle definizioni in termini logici; ma oggi più che mai essa può essere caratterizzata in modo adeguato solo in termini di coppie di opposti….eventi e strutture…la storia è un ibrido che sfida ogni classificazione”.

[17] G. Vico, La scienza nuova ed altri scritti, UTET, Torino, 1976, pagg. 194-195).

[18] F.Cardini “Il ritmo della storia”, Rizzoli Milano  2001.


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