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Un modesto contributo di G. Campagnoli Quale destino si poteva figurare in una teoria di segni come quelli che narrerò per arrivare al mio timido ed umile approccio ad una non conformista idea di scuola? E’ una piccola storia da raccontare,fatta di pensieri in libertà. La scuola rurale della mia infanzia ,casa e bottega di genitori maestri elementari anni '50, alle prese con la scuola attiva , mi ha fatto sbirciare nei titoli della pedagogia praticata e nei discorsi della scuola,sedimentando figurazioni ricordi e creatività tanto da superare la parentesi classica per una proiezione entuasiasta, da umanista creativo, nello studio dell'architettura in una linea ideale antitecnica. Per questo ringrazio i maestri, prima ancora dello spirito che della forma, dell'insegnamento che della pratica progettuale. I segni continuavano con le prime esperienze architettoniche: la tesi sugli spazi universitari, il progetto per una scuola d'infanzia come tema di abilitazione alla professione,una scuola media progettata e costruita come vero "locus" per maestri e discepoli condivisa e vissuta. Poi,la spinta ad insegnare l' "arte" passando anche da una parentesi ingenua sulla descolarizzazione del mondo. Quasi un ventennio di architettura "fatta" e di scuola praticata e "pensata", tra superficiali pedagogie "rivoluzionarie" imperanti, didattiche scientifiche,psicologie rampanti e riforme imminenti. Ora, da convinto anfitrione di una nuova "scuola d'arte" e di un’ "arte della scuola", quando la mente è svuotata da burocrazie quotidiane e pianificazioni scolastico-aziendali, riesco a pensare che la "memoria" del mio primo maestro del fare "poeticamente" l'architettura, anch'essa ahimè divenuta preda del mercato, è la stessa del fare scuola. Progettare con la storia e con quell'idea dell'imprevisto prevedibile e poetico, dell'immaginazione e della creatività è l’agire più prossimo alla relazione umana della scuola. Essa è infatti luogo fisico e intellettuale autonomo culturalmente e giammai asservibile ad una efficienza da macchina. Pensare alla pedagogia come architettura della crescita umana attraverso la memoria e la consapevolezza del presente,può essere la prospettiva del futuro dove i saperi diventano essenziali perché appunto fondati sull’instabilità "produttiva" dell’ errare e non sulle "certezze" senza scampo del programmare. Attraverso l’insegnamento del fare artistico,che non è programmabile per definizione ma è mutante e non è "anestetico" perchè è proiettato in avanti dai sensi, con la spinta della memoria e dei continui momenti di provocazione, si cura l’intelligenza della fantasia e la logica dell’immaginario. Queste si distinguono ed integrano con l’apprendimento delle convenzioni comunicative che trasformano la percezione libera in linguaggio comprensibile e trasferibile, senza i vincoli preconcetti dei luoghi comuni formali che fanno disegnare "la casa" e non "una casa" "il fiore" e non "un fiore". Superando l’ingenuità funzionale si costruisce un sapere della creatività che non si insegna ma si riattiva di volta in volta nella ricerca continua superando gli stereotipi dell’osservazione e della rappresentazione. In questo delirio che non si accontenta delle "certezze" dell’autonomia prossima ventura,e forse non se ne fida, credo ci sia una speranza di libertà dell’insegnare e dell’insegnare ad insegnare che deriva dall’aver progettato con gli allievi e non su di essi e dall’aver raggiunto mete,sempre provvisorie, non sempre misurabili,ma apprezzabili per gli effetti di crescita personale e di consapevolezza di se stessi e del reale. Le letture notturne,scampoli di un ossessivo presenzialismo imposto da un ruolo che si distanzia,ahimè,sempre di più dalle aule mentre si sommerge di carte,mi hanno convinto a riflettere sulle vite dei giovani che ci passano accanto. E vedo adolescenti "programmati" dai media e dal consumo, ma, purtroppo, anche dalla scuola, che vi si adegua quando non si accorge del suo,ridotto,banale, ruolo addestrativo e si incammina verso un mondo che la chiede sempre più gregaria dell’economia e del "prodotto". Essa spesso non si accorge neppure del consolidarsi di un’idea di "efficienza,efficacia ed economicità" che piace al mercato globale prechè gli è funzionale quando è diretta da "managers" formato azienda e "curata" da docenti perfettamente omologati alle scienze ed alle tecniche della psicologia e della didattica " di moda". Si chiude definitivamente all’educazione per radicalizzare i soli significati di istruzione e formazione e rinuncia alla vera creatività riconfinando il "fare arte" tra le "poetiche" e i linguaggi accessori. Ho provato sgomento nel leggere il futuro della scuola tra le righe del Piano "Goals 2000" del Dipartimento dell’educazione USA dove vengono elencati standards,obiettivi e pianificazioni. Uno slogan emblematico: "Schools are strong,safe,disciplined,and drug free" prospetta la scuola del terzo millennio,mentre annuncia l’educazione globale e un computer su ogni banco! Sbaglierò,ma è nella mia convinzione che sia meglio l’"errare" del dubbio sistematico, di troppe pragmatiche certezze,nella speranza che comunque sia, alla fine, l’uomo a conquistarsi spazi per una autonomia della cultura,dell’educazione e dell’apprendimento,non trascurando comunque l’aspetto positivo di tutti i momenti di crisi e di tensione innovativa né l’uso,puramente strumentale,delle nuove tecnologie. Una via utile e, per esperienza, verificata è il passaggio attraverso l’educazione all’arte e lo stimolo e il potenziamento della creatività fin dall’infanzia, come ricerca di ciò che non si ha e non si è ancora, per "levare" dal reale l’irreale e liberare la fantasia in una migrazione attraverso tutte le conoscenze possibili,scoprendo che è estetico anche apprendere la lingua,la logica,il testo e che non ne sono sicuramente programmabili gli esiti e neppure misurabili, se non con le emozioni che suscitano ed una crescita avvertibile della persona. Questo ho appreso facendo scuola,progettando e guidando per essere guidato! |
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