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A proposito delle nuove (?) Indicazioni Nazionali
di Cosimo De Nitto
“…Oggi l’apprendimento scolastico è solo una delle tante esperienze di formazione che i bambini e gli adolescenti vivono e per acquisire competenze specifiche spesso non vi è bisogno dei contesti scolastici. Ma proprio per questo la scuola non può e non deve abdicare al compito di scoprire la capacità degli studenti di dare senso alla varietà delle loro esperienze, al fine di ridurre la frammentazione e il carattere episodico che rischiano di caratterizzare la vita dei bambini e degli adolescenti”
Ormai questo pensiero sembra essere entrato definitivamente nell’immaginario scolastico degli estensori dei documenti ministeriali quando vogliono definire il quadro ed i contesti in cui si trova oggi ad operare la scuola. Da Berlinguer, alla Moratti, a Fioroni.
1)La scuola è solo una delle tante esperienze di formazione. 2)Compito della scuola è scoprire la capacità degli studenti di dare senso alla varietà delle loro esperienze (formative); 3)Finalità è ridurre la frammentazione e il carattere episodico (delle esperienze formative).
Ritorna sempre la storia della scuola come una delle tante “agenzie formative”! Mi domando: cui prodest far passare questa idea come verità di fatto scontata buona a far senso comune? Non dovrebbe convenire certo al Ministero della Pubblica Istruzione che invece, anche con enfasi ed orgoglio, deve affermare e rivendicare l’unicità ed insostituibilità della scuola pubblica nel raggiungimento di quei fini che, qui in modo ambiguo e confuso, poi in modo un po’ più comprensibile, ma ugualmente generico, il documento richiama.
E’ possibile che non riusciamo a dichiarare, urlare se occorre, che la scuola non è una delle tante agenzie ma è l’istituzione dello Stato che realizza il compito assegnatole dalla Costituzione Repubblicana relativamente all’istruzione ed alla formazione dei cittadini italiani?
Allora perché in un documento così solenne lasciare il compito di marcare le differenze tra l’istituzione scolastica e le altre agenzie formative private solo ad alcune finalità? (“In tale scenario, alla scuola spettano alcune finalità specifiche…”).
La scuola pubblica è altro ed incommensurabilmente di più rispetto alla altre “agenzie” non solo per “alcune finalità specifiche”, ma per ciò che essa è e per ciò che essa fa.
Occupa troppo spazio nel documento, può essere dato per sottinteso, o, peggio ancora, per scontato che l’istituzione scolastica, a differenza di tutte le altre agenzie, è caratterizzata per la sua specificità ed insostituibilità nel compito che costituzionalmente e quotidianamente svolge, per cui in essa e per essa l’apprendimento-insegnamento è: 1. intenzionale; 2. sistematico; 3. propedeutico; 4. formativo; 5. attento al bambino-ragazzo-adolescente-giovane che apprende crescendo e cresce apprendendo; 6. volto al perseguimento dell’autonomia critica e della divergenza; 7. usa e tende ad elaborare-costruire-ricostruire un sistema di conoscenze ed esperienze strutturate; 8. volto a “produrre” cittadinanza?
Quale altra agenzia pubblica o privata può svolgere i compiti della scuola pubblica? Quale altra “lavora” con i bambini-ragazzi-adolescenti-giovani dai 3 ai 18 anni dalle 5 alle 8 ore al giorno?
Se un documento ministeriale come questo non contiene con molta più forza e chiarezza ciò che la scuola pubblica è in quanto:
come si farà a costruire una mentalità diffusa che la consideri per la sua importanza fondamentale e non per gli episodi di bullismo di qualche ragazzotto o debolezza professionale di qualche insegnante? Come si potrà impedire il “massacro” e il pubblico disprezzo degli insegnanti e della scuola pubblica perpetrati con cinismo, ignoranza e malafede da parte dei media che amplificano episodi che, sia pur spiacevoli e degni di riflessione critica, restano tuttavia sempre degli episodi?
Cominci magari da qui l’orgoglio di essere scuola pubblica, non dalla giornata nazionale decisa dal ministro che lascia il tempo che trova.
Il secondo capitolo del documento è dedicato alla centralità della persona. Qui si riprende il Moratti-Bertagna-pensiero e lo si ripropone pari passo per 20 righe. Poi nelle altre 20 si parla di gruppo, socializzazione, classe. Accortisi gli estensori della giustapposizione e timorosi che si indulga troppo alla importanza della "socializzazione", e che ci si contraddica con quanto affermato nelle prime 20 righe, recuperano in questo modo: " La formazione di importanti legami di gruppo non contraddice la scelta di porre la persona al centro dell'azione educativa, ma è al contrario condizione indispensabile per lo sviluppo della personalità di ognuno". Insomma, si potrebbe dedurre, l'essere sociale dell'uomo se si potesse si negherebbe del tutto (Moratti-Bertagna), ma non potendosi ignorare una dimensione così importante e fondamentale dell'essere umano che lo fa stare con gli altri e lo connota in tutti gli aspetti del suo esistere, allora la si limita ad " importanti legami di gruppo " importanti in quanto " condizione indispensabile per lo sviluppo della personalità di ognuno ". Vivere, giocare, cooperare, fraternizzare, scontrarsi, prevaricare, subire, mediare, negoziare, pattuire, aiutare ed essere aiutati, apprendere insieme, discutere, sintetizzare pensieri, costruire conoscenze insieme agli altri, provare sentimenti come amicizia, stima, amore, simpatia, antipatia, gelosia, invidia ecc, ecc. Come si fa a ridurre la dimensione sociale del bambino-ragazzo-adolescente alla nozione di "legami di gruppo" importanti in quanto strumentali allo sviluppo della persona? Troppe semplificazioni e banalizzazioni su questo terreno rendono pressoché inutili scienze (umane) come la sociologia, la psicologia, l'antropologia. Nelle buone intenzioni degli estensori si vogliono evitare astrazioni ed astrattismi. Ma allora, perché il cardine di tutto il discorso è la nozione di persona così astratta che più astratta non si può? Il libricino del Ministero titola " Cultura Scuola Persona " e come sottotitolo recita " verso le indicazioni nazionali per la scuola dell'infanzia e per il primo ciclo di istruzione". Allora perché non si è cercato di rendere concreta la nozione metastorica ed astratta, metafisica direi, di persona dicendo: parliamo dei bambini di oggi 2007 anno del Signore presi nella fascia di età dai 3 ai 5 anni e nella fascia dai 6 agli 11 anni. Nella fascia dai 3 ai 5 e dai 6 agli 11 anni come si manifestano i bambini nei comportamenti, negli apprendimenti, nelle relazioni con i pari e con gli adulti di riferimento? Quale percezione essi hanno di se stessi e degli altri? Quali bisogni essi avvertono, quali disagi svelano, come si sviluppano in essi dimensione cognitiva, comportamentale, socio-affettiva? Come crescono "questi" bambini, figli di "queste" famiglie, in "questi" contesti socio-culturali e relazionali? Dire che è "persona" basta a connotare Marco, che ha problemi fisici, Lin che non dice e non capisce una parola di italiano, Andrea che è un bambino figlio di tossici ed alcolizzati dato in affido ad una famiglia che non sa come prenderlo, Gianni che è aggressivo e violento, Marta che si chiude in sé, non dice una parola e se ne sta sempre sola, Lucia che se ne sta attaccata alle gonne della maestra tutto il tempo, Luca che ha sempre gli occhi ed il pensiero da un'altra parte, Anna che piange ad ogni minimo contrattempo? Ci sono forse insegnanti che per andare dietro alle loro conoscenze astratte non si occupano di questi bambini reali, in carne ed ossa? Mi chiedo, nella commissione ministeriale, c'era qualche insegnante di scuola dell'infanzia o elementare che dicesse agli altri: "Ma signori miei di quali bambini parliamo, di quali insegnanti parliamo, di quale scuola stiamo parlando?" Anche se l'insegnante volesse, perché (sciagurato!) ama più le nozioni parcellizzate ed astratte(?) dei suoi bambini, potrebbe mai lasciare Marta al suo mutismo, Gianni alla sua aggressività, Luca ai suoi pensieri che sono sempre da qualche altra parte, Andrea alla sua carenza di genitorialità, Lucia alle sua carenze affettive, Anna alla sua gracilità emotiva, Lin a pensare alla Cina e al perché si trova in questo mondo strano e qualche volta ostile? Assolutamente no. L'insegnante si occupa prevalentemente e prioritariamente delle "persone" sempre, da quando entrano i bambini in classe a quando escono, quando dialogano, o cercano di dialogare con i genitori, quando si riuniscono tra di loro, quando devono inventarsi soluzioni per colmare la carenza di strutture specialistiche di assistenza, supporto psicologico e sociale nel territorio, quando devono supplire all'assenza degli insegnanti di sostegno che il Ministro ha ritenuto inutili ed ha tagliato. Ben strana cosa è che il ministro Fioroni, come prima di lui la Moratti , canta il peana della "persona" e poi aumenta i bambini per classe, taglia il sostegno e gli organici, rende impossibili interventi, questi sì, "personalizzati". Ma allora, se gli insegnanti si occupano quotidianamente, a volte ne hanno persino gli incubi notturni, dei bambini-ragazzi-persone umani che hanno una loro fisicità, psicologia, comportamenti, capacità apprenditive, hanno una loro storia, loro vissuti, mondi interiori, quale bisogno c'era e c'è di martellare con la centralità della persona e traslare così dal livello antropologico, psicologico, sociologico, pedagogico, a quello ideologico, teleologico e persino teologico? Alla faccia del nuovo umanesimo! Mi sembra che sia stato messo un cappello sul sistema formativo pubblico e nazionale. Un cappello inutile per certi aspetti, dannoso per altri. Un cappello che non unisce, non "legge" la realtà, non interpreta il presente (valore ermeneutico), ignora la storia, non indica strade e percorsi lungo cui cercare, sperimentare, trovare, inventare soluzioni sempre adattabili e perfezionabili ai veri e reali problemi del nostro sistema formativo. Manca la storia, ridateci la storia dell'istituzione scolastica; dateci le coordinate spazio-temporali per capire il cammino che la scuola italiana ha fatto per giungere sin qui, le diverse stagioni, le cose bellissime ed originali che ha fatto, gli errori, le difficoltà e le sfide di oggi . Dateci la storia affinché gli insegnanti (soprattutto gli anziani esperti reduci da tanti cambiamenti) possano guardare il loro passato, anche personale, e trovarci il continuum, il filo conduttore che li ha fatti navigare nelle diverse stagioni, con successi, errori, intuizioni, entusiasmi, ricerche e sperimentazioni, infatuazioni pedagogiche e didattiche, sempre comunque al servizio dei bambini-ragazzi e delle loro persone. Dateci la storia per non cadere nel vuoto della disperazione e del pentimento per non aver mai messo in tutta la nostra vita professionale al centro la persona, anzi "la centralità della persona". Che delusione! Quanto sono arretrate queste nuove(?) Indicazioni! E poi, diciamocelo chiaramente: alla Chiesa non è riuscito di mettere il cappello delle "radici cristiane dell'Europa" alla Costituzione Europea, riesce bene invece metterlo come ispirazione centrale alle Indicazioni Nazionali, Moratti-Fioroni imperanti. E' mai possibile, oggi, con la cultura pedagogica e didattica che gli insegnanti hanno maturato in decenni di professione, di trincea direbbe una mia collega, parlare di "centralità", qualsivoglia essa sia? Se proprio si vuole, si può parlare di centralità al plurale. Centrale è l'allievo, centrale è il docente, centrale è l'ambiente di apprendimento, centrali, anzi centralistiche, sono le politiche ministeriali, centrali sono le risorse che diminuiscono, centrale è il territorio, centrali sono le relazioni tra tutte queste centralità. Lo so che non è troppo neo-umanista fare ricorso alla Sistemica, ma penso che tutte queste centralità "facciano sistema" e come tale esse vadano considerate. Allora non parliamo solo della complessità del mondo globalizzato, parliamo anche delle complessità della scuola. Per capire, pensare, elaborare strategie, operare per il suo miglioramento. Ci dicano qualcosa a questo livello le Indicazioni, non si esauriscano nel teleologismo, altrimenti si potrebbe dire che sono Indicazioni che indicano poco, perché ad alcuni possono sembrare scontate, ad altri non dire niente, ad altri ancora risultare un'occasione perduta per dire qualcosa di significativo ed efficace sulla scuola di oggi (e quella di domani).
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