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Non con il nostro silenzio di Domenico Sarracino E’ ora di dire in modo
netto che lo stato della scuola “reale ” è davvero preoccupante, e lo
diventa sempre più,
intervento dopo intervento, manovra
dopo manovra, evidenziando
che
l’unica vera “direzione” che si persegue è quella
della destrutturazione della
scuola
pubblica senza orizzonti
per
il futuro. La crisi economica e di
sistema del nostro paese richiederebbe la necessità di mettere accanto a
giusti ed equi interventi
risanatori
anche quelle
prospettive di cambiamenti profondi
negli stili di vita,
nei
consumi, nel
rapporto con l’ambiente, nella
conduzione, a tutti i livelli, della “res publica”:
bisognerebbe perciò avere la vista
più lunga e curare ciò che più serve per il futuro. Non si intende tirare la
scuola fuori dalle impellenti ristrettezze, anche se essa prima di
altri, ed a più riprese è già
stata
prosciugata, ma si vuole richiamare il pericolo di vedere
ridurre
il sistema di istruzione italiano
ad
un pantano di sabbie mobili, e ciò facendo di annullare quella funzione
di leva strategica che, come tutti proclamano,
esso
è chiamato a svolgere per il futuro dei nostri giovani e di tutto il
paese. Nella scuola oggi tutto è
in affanno: amministrazione centrale e periferica, dirigenze,
docenze , uffici di segreteria,
funzionamento, sicurezza,
strutture
scolastiche; e soprattutto sono in crisi i principi e le finalità
educativi, l’architettura progettuale, la capacità di senso
che la scuola deve sapere far emergere
nelle giovani generazioni del nuovo secolo. Tutto ciò è già abbastanza evidente, ma la
profondità dei guasti non appare ancora nella sua vera dimensione. E’ tempo che il
mondo della scuola parli, che apra una
vera discussione, che racconti quello che sta accadendo, che dica in
pubblico quello che dice in privato. C’è in giro un’aria
asfissiante di silenzi, omissioni, “acconciamenti” che fanno pensare
alle tristi esperienze di quei paesi
“persi” alla democrazia perché - o per
paura o per convenienze o per insipienza o per sfiducia - la gente si
adattava alle doppie verità, le subiva e/o le praticava .
Frequenti risuonano i
ritornelli del tipo: “non te la prendere, segui il carro, fai pure tu
questa o quella sperimentazione che sta tanto al cuore a questo o a
quello”; “meglio stare dentro che fuori, qualcosa ricaverai per la “tua”
scuola”: “questa cosa va fatta, poi le cose si aggiusteranno per la
strada”. E le cose, con questo andazzo difatti si stanno … aggiustando. Ancora più frequente è il
ritornello delle reti: c’è un problema, un fenomeno da studiare, un
progetto a cui concorrere? L’indicazione universale
è quella di fare una rete, anzi di
“mettersi in rete” che è anche più chic. Confesso che mi è venuta una
vera idiosincrasia per l’abuso che si fa della parola “rete”, ormai
portatrice di un potere taumaturgico.
Vorrei proprio che
qualche volta provassimo un po’ a parlarne, tanto per intenderci, per
condividerne il significato,
il funzionamento, il chi fa che cosa,
come e quando.
Perché di reti in mare se
ne sono messe tante, ma quante hanno davvero permesso di tirare i pesci
in barca? E quante sono quelle che finiscono incagliate nei perigliosi
fondali della scuola o addirittura vengono dimenticate per la strada da
una marineria frastornata da tagli, improvvisazioni, dimenticanze,
contraddizioni, superficialità e incompetenze? Insomma, a dirla tutta,
forse ce l’avrò con le reti perché esse
mi
fanno troppo venire in mente
la nota storiella secondo
cui quando non si sapeva o non si voleva affrontare o risolvere un
problema si decideva di mettere su una bella commissione! Eppure, credetemi, contro
il concetto di rete ed
il
suo significato nel mondo della telematica e dell’informatica, non ho
proprio niente, ed anzi apprezzo fortemente la sua orizzontalità per la
valenza che ha nella realizzazione di una più vasta partecipazione
democratica. Gli esempi e le
considerazioni che ho fatto fin qui, e molti altri come tutti sanno se
ne potrebbero fare, sono per dire che è davvero tempo di iniziare una
vera e seria inchiesta sullo stato della scuola italiana,
andando
a guardare nella realtà quotidiana;
e
cioè nelle classi, nelle presidenze, nelle sale professori, nelle
segreterie, dentro gli uffici provinciali e regionali, tra gli alunni e
i loro genitori. Non conosco bene gli
uffici della nostra Amministrazione, ma ne so abbastanza per dire che
anche lì – e non per colpa dei singoli operatori -
si lavora maledettamente in affanno:
per tappare falle, rimediare a vuoti, stare
dietro
al turbinio di “innovazioni”, spesso improvvisate, spesso
contraddittorie, e dopo poco… spesso dimenticate. Conosco di più la scuola,
la mia e un po’ le altre, e posso dire che ancora si resiste, ancora c’è
gente che lavora con entusiasmo, che ha
un senso del dovere, che sente che il lavoro con i ragazzi,
per
avvicinarli alla conoscenza,
ai saperi ed
alla
cittadinanza è uno dei compiti più alti e stimolanti che si possa essere
chiamati a svolgere. Eppure, andatele a
sentire queste persone: in
tantissime
dichiarano il loro scoramento, il loro
disagio, il senso di uno sfaldamento in atto. Dovremmo pensare a
rilanciare le nostre scuole, per farle diventare
i luoghi eletti in cui si scopre il
piacere della conoscenze, il mondo che c’è intorno e che ci appartiene,
la vita nella società;in cui si
respirano
e
praticano libertà,
democrazia,
pensiero critico, responsabilità,
diritti, doveri. Dovremmo poterci dedicare
a queste cose, ma non nella predicazione dottrinale astratta e ipocrita,
ma lavorando a calarle nel tessuto della vita scolastica, facendole
diventare esperienze e
pratiche agite,
inventando e tentando modalità
partecipative e responsabilizzanti capaci dare motivazione e di
preparare ad nuova cittadinanza . Eppure tutto ciò, giorno
dopo giorno,
diventa sempre più residuale
e
i nostri pensieri-azioni
vengono
deviati verso altre priorità, che sono
emergenze
, accorpamenti, tagli, riduzioni del tempo scuola, nel mentre la
complessità delle classi cresce e si accrescono compiti, responsabilità
propri ed impropri. Dei dirigenti (in tanti chiamati con incredibile
levità a dirigere mega scuole e
mega reggenze), dei docenti, delle
segreterie. La grande inchiesta prima
citata dovrebbe riguardare anche quella figura centrale della scuola
che è il dirigente scolastico.
Che cosa sta accadendo
nelle scuole riguardo ad essa? Nell’ottica
dell’autonomia (dpr 275/99) e delle funzioni dirigenziali e
nelle
peculiarità del sistema scolastico il ruolo di tale figura è definito da
una molteplicità di competenze (formative, culturali, psico-pedagogiche,
gestionali, organizzative, amministrative, relazionali, etc..), che
vanno ricondotte ad un'unica finalità che è quella di muovere in maniera
convergente tutte le leve e le competenze citate per realizzare una
buona scuola, e cioè buoni insegnamenti, buona organizzazione, buone
proposte educative, buone innovazioni, e soprattutto buona riuscita
degli alunni.
Il dirigente deve sapersi
proporre come
il
motore propulsivo di tutto ciò, ma
deve
essere messo in condizione di avere il tempo e la testa per farlo,
operando in un sistema che sappia camminare e rinnovarsi
coraggiosamente, in un quadro di azioni ben pensate e
coerenti, nel quale i fini
non siano lasciati senza i mezzi.
E invece sta succedendo
che sotto i nostri occhi, nel mentre sembriamo un po’ tutti storditi
come pugili suonati, sta cambiando o è
già cambiato il ruolo del dirigente scolastico,
che
si va trasformando nella figura
di uno strattonato
burocrate-paraurti
, costretto a saltellare e di qua e di là, da un plesso all’altro, da
una falla all’altra, in scuole sempre più complesse e varie, con meno
collaboratori,
obbligato ad utilizzare i mezzi
pubblici anche quando non ci sono o hanno tempi biblici. Penso alle altisonanti
parole che vengono spese sulle “magnifiche sorti e progressive” che le
“riforme scolastiche” apporteranno, pronunciate in tutte le liturgie
pubbliche:” scuola volano dello sviluppo”,
“ ruolo strategico dei dirigenti
scolastici”, “managerialità. efficienza ed efficacia”. Guardo
alla realtà effettuale,
all’impoverimento ed impaludamento del nostro sistema scolastico; guardo
allo sfiguramento del ruolo
dirigenziale,
ai dirigenti- paraurti
e
mi dico che tutto ciò non può accadere nel nostro silenzio. Lucignano (Ar),
22.09.2911 |
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